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Pierluigi e l’Accoglienza come incontro con persone “altre”

Dal febbraio 1989 siamo in cammino con persone immigrate, profughe, rifugiate politiche che, vivendo con noi, ci fanno sentire insieme alle Tribù della Terra e ci stimolano continuamente ad aprirci al mondo, a riflettere, a proporre incontri, ad allargare e a rafforzare la rete della conoscenza, della reciprocità, delle collaborazioni


di Piero Murineddu

Zugliàno  è una frazione di 1200 abitanti, vicino a Cuneo,  conosciuto per la presenza del Centro di Accoglienza “Ernesto Balducci”  che ospita rifugiati politici immigrati e persone in difficoltà. Parroco, fondatore e animatore del Centro è Pierluigi Di Piazza, prete sessantottenne  impegnato da sempre nella diffusione della cultura della pace, della non violenza e della solidarietà.

 

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Se si va a vedere il sito,

http://www.centrobalducci.org/easyne2/LYT.aspx?IDLYT=1444&ST=SQL&SQL=ID_Documento=544&CODE=BALD

ci si accorge subito che in questo Centro vi si svolgono molte iniziative e dibattiti,    continuamente onorati dalla presenza di personalità di rilievo che presentano le loro riflessioni ad un pubblico sempre numeroso e partecipe.Ogni anno si organizza un convegno internazionale al quale partecipano testimoni, studiosi e intellettuali provenienti da tutto il mondo. Come detto, oltre  che creare cultura, fin dalla sua nascita il Centro offre ospitalità concreta ad una cinquantina d’immigrati. Ecco quanto a proposito vi si legge nel sito:

“L’ospitalità non va intesa solo in modo materiale, cioè come risposta immediata, pure importante, alle esigenze primarie della casa e della ricerca del lavoro, bensì come incontro con persone ‘altre’, diverse, per favorire e sostenere il loro orientamento. Sentiamo necessarie la ripresa continua dell’ispirazione evangelica e dell’apertura universale; l’alimentazione di una spiritualità dell’accoglienza, cioè di quella dimensione profonda, che si colloca alle radici dell’essere, che precede, sostiene, accompagna, verifica ogni necessaria organizzazione“.

“Spiritualità dell’accoglienza”, anche questa bisognosa di essere alimentata, e forse ancor più di altre spiritualità. Non ci vuole molto ad ammettere che l’accogliere l’altro non è affatto cosa semplice e naturale ma spesso la fatica è compensata dall’arricchimento. Questo normalmente, nei quotidiani incontri occasionali o nei confronti di persone con le quali ci sitroviamo a condividere attività lavorative o di altra natura. Va da sè che il farlo con individui con diversa sensibilità e provenienti da luoghi con storie e culture che il più delle volte non si conoscono, è necessario mettere in moto una serie di elementi che non sempre possediamo naturalmente. Condizione base rimane il non averne paura e la convinzione, almeno da parte chi non è intrappolato dal pregiudizio e dall’atteggiamento di respingimento, che l’altro è sempre portatore di ricchezze inaspettate.

Come riportato nel breve testo iniziale, presente nella pagina principale del sito indicato, il camminare insieme è uno stimolo continuo, e questo cammino può esser fatto anche tra persone che  la pensano diversamente, ma che pongono il rispetto alla base. spesso enunciato ma difficilmente attuato. Una delle sere scorse ho seguito una conferenza che Massimo Cacciari ha tenuto al Centro “E.Balducci” sulla figura di San Francesco, rapportato al Francesco attualmente Papa. Nella sua introduzione, Pierluigi Di Piazza evidenziava quanto segue:

“Il tentativo di papa Francesco è liberare la Chiesa del Potere nelle sue diverse espressioni: riguardo al dogmatismo; al potere centralizzato della Curia e della monarchia del papato; al potere economico e a quello liturgico. Perchè c’è anche una liturgia di potere, quando non celebra la vita ma diventa una solennità sacralizzata per separarla dalla vita. Una  liturgia è vera quando esprime i drammi e le speranze di chi vi partecipa. Una Chiesa povera e dei poveri, delle periferie esistenziali, dalle porte aperte; la Chiesa della misericordia e della tenerezza, del dialogo non solo dichiarato e auspicato, ma praticato”

A ben vedere, tutti punti che riporterebbero il Messaggio evangelico alla sua essenza. Lo scorso 4 ottobre, insieme alla morte (rinascita a vita nuova) di San Francesco, si ricorda anche quella di Carlo Carretto, una figura per me molto significativa che coi suoi scritti ha contribuito a farmi diventare ciò che oggi sono.  Racconta padre Alberto Maggi che un giorno,  in treno verso Assisi, Carlo gli disse:“Vedi Alberto, è venuto il momento in cui o si denuncia questa Chiesa o si diventa suoi complici...”. Un’affermazione da applicare a tutti gli ambiti. specialmente quando si vede calpestare la dignità umana dei più deboli non riconoscendone i diritti o si usa violenza nei confronti della Natura e del Bene Comune. A maggior ragione quando si vede tradito un ideale che da significato  e sul quale tanti hanno basato  la propria esistenza.

 

La musica non è un bisogno primario come il nutrirsi, ma aiuta a vivere meglio

di Piero Murineddu

Come riportato dalle note biografiche del suo sito     http://www.antoniodeiara.it/,

Antonio è polistrumentista, compositore,docente e organizzatore di eventi musicali. Io  l’ho conosciuto qualche anno fa, quando era, e credo lo sia ancora, titolare di una sorta di agenzia musicale, chiamata “Pentagrammando”. Era il tempo in cui un amico mi aveva invogliato a mettere su un coro polifonico a Sorso, paese in cui vivo. La ricerca di un buon direttore ci aveva portato  a contattarlo nella sede di Sassari. Avevamo incontrato una persona molto cordiale e disponibile, ma i suoi impegni non gli permettevano di assumere il ruolo da noi richiesto, per cui ci propose un altro che poteva fare al caso nostro. La cosa andò in porto, ma per una serie di motivi, non fu di molta durata. Ricordo che avevo contattato anche il direttore del coro polifonico tuttora attivo in paese, allora diplomando in organo, ma la sua serietà gli aveva fatto rispondere che ancora non si sentiva pronto ad assumere tale impegno, e in ogni caso l’ultimazione del decennio di studi lo stava assorbendo tantissimo. In seguito, dietro invito di alcuni componenti del vecchio coro a cui era rimasta la passione del canto d’insieme, aveva accettato. Oggi l’ensamble vocale ha un vasto e buon repertorio e la sua guida è accettata e gradita da tutti i componenti.

Dicevo di Antonio Deiara, tra l’altro anche nipote del frate francescano che era stato a Sorso diversi anni fa, padre Agostino Angioni, di Gergei. Nell’occasione parlammo della bellezza e dell’importanza della musica e del cantare insieme, occasione oltre che di aggregazione anche di formazione umana individuale, concetti ribaditi nell’articolo che segue e che invito a leggere, con la speranza che serva come stimolo per intraprendere quest’importante attività, qual’è quella della musica.

 

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La musica non è un bisogno primario come il nutrirsi,  ma aiuta a vivere meglio

di Antonio Deiara

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Do una bella notizia a tutti gli “O.A.” (over anta): potete tirar fuori il vostro sogno musicale da quel cassetto che tenete chiuso ormai da due o trent’anni! Si può suonare e cantare anche alla vostra età. La musica non è un bisogno primario come il nutrirsi, ma aiuta a vivere meglio, con se stessi e con gli altri. Fare musica equivale ad un impiego positivo del tempo libero, al pari del praticare lo sport, sia da soli che in band o in coro. Il passaggio dalla “musica in camera” alla “musica da camera” è ricco di valenze socializzanti, in quest’epoca di solitudini da selfie. «Capire la lingua – scriveva Don Milani – rende liberi». Capire il linguaggio dei dodici suoni, diciamo noi oggi, anche solo a livello amatoriale, significa essere ascoltatori consapevoli e quindi persone libere. Al diavolo i funambolici solfeggi o la teoria musicale a pappagallo… Prendi uno strumento e suona! Impugna un microfono e canta! Questo non vuol dire banalizzare: esistono delle strategie didattiche che consentono la gratificazione in tempi brevissimi di quanti si avvicinano alla musica. Se poi deciderai di voler conseguire un livello di competenza elevato, dovrai invstire un tot del tuo tempo nello studio quotidiano, per un tot numero di anni.
Il flauto dolce, strumento meraviglioso impiegato nella canzone “Geordie” in occasione dell’ultimo concerto di Fabrizio De Andrè, è stato imposto da troppi docenti come “strumento unico” a partire dagli anni Ottanta nella scuola media. Come tutte le “culture monotematiche”, al di là della visione manichea e salvifica propria dei neofiti, lo “strumento unico” ha prodotto l’allontanamento sistematico di un elevato numero di studenti dalla musica. Oggi si possono applicare strategie didattiche avanzate che prevedono l’impiego della batteria e del basso, delle tastiere elettroniche e della chitarra elettrica, dell’impianto voci e dei microfoni, per poi magari approdare agli strumenti “classici”. Il Centro Territoriale Permanente per l’istruzione in età adulta di Sassari, diretto al tempo dalla preside Angela Fadda, qualche anno fa ha offerto per un biennio il suonare e il cantare ai propri iscritti: alcuni gruppi di allievi “O.A.” hanno formato delle band che si sono esibite al Teatro Verdi in occasione della “Giornata della Musica”. Dal banco al palcoscenico, un risultato oggettivamente positivo. L’auspicio è che simili iniziative culturali, sociali ed occupazionali possano essere realizzate con regolarità, creando nuovi posti di lavoro per docenti di educazione musicale e di strumenti conservatoriali ed extraconservatoriali, didatticamente preparati per cotanta “mission”. Anche per l’alfabetizzazione o ri-alfabetizzazione musicale degli adulti e della terza età, come diceva il mitico maestro Manzi, «non è mai troppo tardi».

Critiche al Papa. Ma alla fin dei conti, cosa vuol dire pensare alla Salvezza?

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di Piero Murineddu

 

“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?                     (Luca  (2,41-52)

Questa è la risposta che il dodicenne Gesù diede ai suoi genitori quando,preoccupati per la sua assenza durante il loro rientro a Nazareth, fecero ritorno a Gerusalemme e lo ritrovarono  dopo tre giorni nel Tempio di Gerusalemme, intento ad ascoltare e dialogare coi dottori della Legge. Personalmente credo che Gesù abbia capito la sua missione man mano che cresceva, accettandola consapevolmente, insieme alla condanna a morte. Non penso che per lui la  vita sia stata facile e che fosse un privilegiato, nel senso che certe dure scelte non gli siano costate, per il fatto che era anche  “Dio”, ma questo è un altro discorso. Voglio piuttosto capire cosa significhi il doversi occupare delle “cose del Padre mio”, cosa significhi quindi, riportato a noi, occuparsi delle cose “spirituali”, il più delle volte messe in contrapposizione con le cose “materiali”, o per tornare all’articoletto che vi ho riportato riguardo al suo viaggio americano, cosa significa che Francesco dovrebbe occuparsi della salvezza e lasciare la politica ad altri. Ma stringi stringi, cosa è questa benedetta “salvezza”, ambito nel quale  si vorrebbe rinchiudere l’azione del Papa? Sappiamo dalla storia che per troppo tempo molti uomini di Chiesa si son occupati spesso  in modo improprio delle cose della terra, sfruttando  il potere “spirituale” per spadroneggiare sulle anime e sulle genti. In seguito, si è finalmente accettato e capito che il mandato di Gesù ai suoi seguaci era quello di costruire un Regno di pace e di giustizia già su questa terra, con la predicazione e specialmente con la “testimonianza”, che  vuol dire principalmente iniziare da sé stessi ad essere  costruttori del Regno. Nello stesso tempo essere persone col coraggio di denunciare le tantissime condizioni che sono contrarie a questo Regno Fraterno. Gli esempi da fare sarebbero infiniti, e l’attualità ce ne indicherebbe purtroppo una vasta scelta. Qualche esempio.

Un’economia che affama sempre più una grossa parte del mondo e arricchisce a dismisura un’altra minima parte, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

La mancata accoglienza di profughi di guerre, dittature e di persone che cercano migliori condizioni di vita, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

Negare la possibilità di recupero verso chi ha sbagliato, infliggendogli addirittura la pena di morte, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

Continuare a condurre una vita agiata, chiudendo gli occhi davanti alle diversificate situazioni di bisogno che abbiamo intorno  a noi, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

Il volersi arricchire costruendo e vendendo armi, sapendo benissimo che servono per distruggere le cose e ammazzare le persone, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

Pur di aumentare il profitto, non farsi scrupolo d’inquinare l’aria e distruggere l’ambiente, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia

E per finire, predicare un’individuale salvezza dell’anima completamente avulsa dalle realtà concrete di ogni giorno e dal dovere di divenire coraggiosi operatori del Messaggio Evangelico, è il contrario di un Regno di Pace e Giustizia.

 

A Jorge Mario Bergoglio, chiamato a guidare una grande realtà qual’è la Chiesa Cattolica e che sempre più si sta’ rivelando un credibile riferimento per l’intera umanità, religiosa o laica che sia, preme sopratutto questo: contribuire alla costruzione di un Regno di Pace, Giustizia, fraternità, Concordia e Ascolto reciproco. A ben guardare,lo vedono pericoloso e nemico  proprio quelli che si considerano i difensori di una religiosità astratta e perbenista, cioè coloro che impediscono allo Spirito di “soffiare” il suo alito d’amore dove e quando vuole.

 

 

Tradizionale saluto del nuovo anno del Papa al corpo diplomatico

 

“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?                     (Luca  (2,41-52)

M’immagino i troppi “fedeli” che s’illudono ancora di trovare la serenità spirituale e di mettersi a posto con la coscienza frequentando esclusivamente riti religiosi ed infischiandosene di ciò che succede intorno a loro, e m’immagino anche l’Artefice di questo loro bisogno continuamente “assente”, perchè impegnato ad occuparsi delle cose del Padre suo, cioè la faticosa e coraggiosa costruzione del “Regno”.

Per tornare all’articoletto iniziale, Bergoglio “annacqua la dottrina e confonde le acque”. Ah, quale ipocrisia! Ma per questa gente, che fine ha fatto il capitolo 25 di Matteo, versetti 31 – 46, in cui si chiarisce su che cosa sarà ed è giudicata la nostra vita? Facciamo così, rileggiamoci almeno la prima parte e riflettiamoci su.

 

 


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Reperendo alloggi per le famiglie Rom, dalle tasche dei portotorresi non uscirebbe un centesimo

di Piero Murineddu

Se hai deciso di aprire questo link, t’invito a cliccare sopra questo ritaglio di giornale. Ti chiedo di leggere mettendoci molta attenzione. Se vuoi, dopo,  puoi scorrere alcune mie considerazioni.

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Iniziamo dal titolo: “Diamo ai nomadi alloggi nuovi e adeguati”. M’immagino le reazioni rabbiose di tanti davanti a questo titolone sbattuto in faccia così brutalmente. Per esempio: “Non basta che siamo costretti a vederli in giro in continuazione a disturbarci col loro elemosinare e a disgustarci col loro aspetto, adesso pretendono anche che li sistemiamo comodamente in mezzo a noi“. E’ così o no? Lo ammettiamo il fastidio che ai più provoca la loro presenza?

E poi, non solo a suo tempo hanno avuto un campo a nostre spese, con acqua e corrente elettrica. Adesso, dopo che l’hanno distrutto e ridotto a discarica, pretendono addirittura di viverci accanto a nostre spese, e poter così entrare più facilmente nelle nostre case per derubarci”

L’ho detta in modo crudo, ma credo che sia una reazione e pensiero comune. Il titolo. Ancora si parla di “nomadi”, lasciando così intendere che si tratti di persone in continuo  movimento, che ogni tanto si fermano qua e là per  riprendere dopo non molto il loro continuo girovagare. Credo che sia ora che s’inizi ad usare termini appropriati e corrispondenti al vero, perché la maggior parte delle famiglie Rom sono diventate stanziali da molto tempo. I giovani sono nati nelle periferie dei nostri centri abitati, hanno la nostra stessa residenza e  documenti italianissimi. Nonostante ciò che si fantastica sui loro macchinoni, anelloni e catenoni d’oro, la maggior parte di queste famiglie patisce una povertà estrema, al limite della miseria. La mancanza di lavoro e d’istruzione acuisce questa loro condizione di estremo bisogno. Che decoro ci aspettiamo quando diverse famiglie che vivono in condizioni precarie sono costrette a vivere a strettissimo contatto in pseudo abitazioni? Inevitabilmente nascono tensioni e liti che possono avere anche conseguenze drammatiche. Come noialtri non siamo tutti ordinati, discreti, puliti e rispettosi,  così è anche per loro.

Entrando nei dettagli dell’articolo, mi sembra che spesso le loro aspettative vengano disattese e tradite dagli amministratori pubblici. Come è avvenuto ad Alghero, dove il campo di Fertilia è stato finalmente chiuso e le famiglie sistemate in appartamenti, l’associazione ASCE  (Ass. Sarda Contro l’Emarginazione) sta’ cercando di fare altrettanto a Porto Torres, ma evidentemente si vuole continuare a far vivere queste famiglie lontano dal contesto civile, forse perchè non si ha il coraggio di prendere decisioni che potrebbero creare malumore tra i portotorresi. In fondo si continua ad avere paura di queste persone, tenendole a debita distanza e pensando che sono “capaci solo di creare problemi”. Tra le altre cose, il compito di un amministratore pubblico è quello di aiutare a far progredire umanamente e civilmente i propri concittadini, e non assecondare pregiudizi e paure pregresse.

Occupandosi della sistemazione dei Rom, non si priverebbero i portotorresi di soldi a loro destinati, come erroneamente si pensa. Ad Alghero, gli affitti degli appartamenti non vengono pagati dalle casse comunali, ma da finanziamenti europei che hanno l’obiettivo  di integrare queste famiglie nel contesto sociale, dove tra l’altro sono legalmente residenti. Superamento dell’idea di “campo” e chiusura definitiva di questa sorta di lager, cosa che invece, sembra di capire, vorrebbero continuare a tenere i giovani amministratori di Porto Torres, magari con qualche aggiustatina e qualche intervento per renderlo igienicamente meno a rischio.

Come ci dice Irene Baule nell’articolo, la facoltà di Architettura di Alghero è disposta a dare una grossa mano per attuare progetti di restauro di alloggi  attualmente in completo abbandono. E allora? Dove sta’ il problema? Dalle tasche dei portotorresi non uscirebbe un centesimo e le famiglie che alla spicciolata continuano a scappare  dall’invivibilità del campo di Ponti Pizzinnu non sarebbero più costrette a farlo, occupando abusivamente stabili di altrui proprietà, perpetuando così la loro disperazione e contribuendo ad accrescere tensioni nel tessuto sociale già di per se fin troppo malconcio.

Forza, sindaco “Sciòn” e giovani pentastellati di Pothuddorra,  date un segno tangibile della vostra “diversità”. Vedrete che i vostri figli vi ringrazieranno per l’esempio di coraggio e di civiltà che avrete loro lasciato nell’A.D. 2015-2016.

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Amore e rifiuto, stima e riserva nel testamento spirituale di Arturo Paoli

 

di Piero Murineddu

“La vera ragione di stendere questo testamento spirituale nasce dal fatto di sentire nella grande comunità- chiesa, amore e rifiuto, stima e riserva”. E’ un passaggio molto importante di ciò che, più avanti, di se stesso dice Arturo Paoli, il Piccolo Fratello deceduto lo scorso aprile sulla soglia dei 103 anni. Il suo nome è da annoverare tra i tanti che, appartenendo alla Chiesa Cattolica, sentono spesso difficoltà a condividere certe posizioni e indicazioni dottrinali, oltre che sentire forte la sofferenza di  non vedere la loro comunità realmente impegnata in quella “scelta preferenziale per i poveri”, enunciata più facilmente nelle parole che vissuta nella prassi quotidiana. Lo stare sempre e comunque dalla parte dei poveri comporta necessariamente non accettare nessun compromesso col potere, qualsiasi esso sia. Anzi, per essere veramente credibili, bisogna farsi poveri, che non vuol assolutamente essere nella miseria, ma  voler vivere dell’essenziale. Arturo ha sempre rifiutato di andare a braccetto col potere, e nel contempo, ne ha sempre condannato e denunciato qualsiasi abuso, ai danni sopratutto della povera gente. Tale atteggiamento rispecchia del resto la vita degli stessi Piccoli Fratelli, una congregazione religiosa che porta avanti uno stile di vita semplice e, come detto, essenziale, oltre che di condivisione con la gente dei luoghi dove sorgono le loro minuscole fraternità. A ragione  e a pieno titolo si può dire che essi la “scelta preferenziale per i poveri”  la fanno veramente. essendo e volendo essere loro stessi poveri. E’ proprio per questo che la loro “predicazione”, fatta più che altro con l’esempio nell’ordinarietà della vita, è credibile. “Amore e rifiuto, stima e riserva”, leggerete tra poco nel testamento di Arturo. Coloro che s’impegnano a fare le proprie scelte quotidiane alla luce del Vangelo, che comporta anche avere una consapevolezza civica e  lottare in modo  nonviolento  ma deciso contro le ingiustizie, inevitabilmente viene guardato con sospetto e diffidenza, forse perchè in fondo viene invidiato  loro il coraggio e il  non voler mettere la coscienza in secondo piano. Il Potere, quello ingordo e opprimente, purtroppo si nutre anche della complicità (spesso inconsapevole) e della passività di molti “buoni cristiani”, intenti a rispondere ai loro bisogni (spesso “doveri”) spirituali, e lasciando le faccende terrene ai tanti lupi famelici che liberamente circolano ben incravattati, imponendo le loro morali di comodo e interessate. Arturo, col sorriso permanentemente sulle labbra dovuto al suo cuore semplice, ci ha insegnato questo e tanto altro ancora.

 

 

 

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                Il mio testamento spirituale

Nella domenica della Santissima Trinità 22 giugno 2011 dopo aver celebrata la messa nella chiesa di san Martino in Vignale ed aver predicato l’omelia seguito devotamente da una folta comunità, testimone della mia normale facoltà mentale, comincio a stendere il mio testamento spirituale.

Comincio con l’esprimere la mia gratitudine all’arcivescovo mons. Italo Castellani che mi ha accolto e concesso ospitalità nella splendida residenza di san Martino, il cui parroco, don Lucio Malanca ha atteso ai miei bisogni come un fratello amoroso.

Ringrazio il Padre celeste del dono delle amicizie che hanno reso ovunque lieta la mia esistenza e consolato negli inevitabili contrasti.
Ricordo prima degli altri i fratelli della mia famiglia religiosa (beato Charles de Foucauld).
Ho spesso ricordato le lacerazioni del cuore, le giornate di distacchi, quelle che il beato Carlo chiama l’éloignement (la lontananza).

Parecchi giovani mi sono vicini in questa tappa della mia esistenza fra cui il mio compagno di contubernia (convivenza) Tommaso Centoni che ricordo qui con particolare gratitudine.

La vera ragione di stendere questo testamento spirituale nasce dal fatto di sentire nella grande comunità-chiesa amore e rifiuto, stima e riserva. E ho pensato che questo avesse dei motivi giusti ed inevitabili.
Se mi si chiedesse a quale Chiesa appartengo, quella cui aderisco direi, senza esitazioni, è quella del Concilio Vaticano II, è quella della Lumen Gentium, della Gaudium et Spes e confesso, senza tortuose ipocrisie, che penso che i due pontefici succeduti a Paolo VI sono incorsi nel rimprovero-lamento espresso da Gesù in Mt 16 e in Lc 12, sui segni dei tempi.
Credo fermamente che Gesù sia misericordioso non solo perché lancia un salvagente all’anima che sta per naufragare nella condanna eterna ma anche e soprattutto per la sua decisione, suggerita dal suo amore infinito di fare di ogni creatura umana, direttamente o anche a sua insaputa, un partecipe al suo progetto di “amorizzare” il mondo.
Abbiamo motivo di credere che una lagrimetta finale ci salverà dall’inferno. Ma i veri cristiani sono quelli che fanno quanto possono per portare frutto “Io sono la vite e voi i tralci”. Questo e solo questo è il nostro Salvatore.
Chiedo a tutti, parenti e amici che ho teneramente amato sulla terra, di pregare il Salvatore che mi accolga fra gli eletti. Ma vorrei dire a tutti coloro che mi ricordano che non dimentichino mai che il nostro luogo di nascita si professa cristiano-cattolico ma presentemente noi facciamo parte di un sistema politico il più antievangelico immaginabile.

Penso spesso a una bella preghiera al Padre «Tu apri la tua mano e riempi ogni essere di ogni bene».

Oggi per essere veri cristiani dovremmo pregare:
«Non guardare Signore
mentre riempio di pane il cassonetto dei rifiuti»
Mentre i nostri fratelli ci chiedono ospitalità noi preghiamo
«Liberaci dai nemici che vengono a turbare la nostra pace».

Forse il solo vantaggio di vivere in questa terra opulenta sarà quello di essere convinti di essere incapaci: “sono un servitore inutile”.
Nel caso cadessi ammalato, come preludio della mia morte, chi è vicino mi suggerisca questo ritornello “sono un servitore inutile”. Sul problema del mio cadavere non ho nessuna disposizione da dare. Mi attira il cimiterino di san Martino in Vignale ma lasciatelo decidere a chi se ne occupa.
Lucca S. Martino in Vignale 22 giugno 2011
Fratello Arturo Paoli

 

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Aggiunta del 31 dicembre 2011
Oggi martedi 13 dicembre 2011 festa di santa Lucia nel pieno delle facoltà mentali unisco al mio testamento la seguente disposizione.
Nell’evento della mia morte dispongo la mia ultima volontà che la mia salma venga interrata nel piccolo cimitero adiacente alla chiesa di san Martino in Vignale (alla sua destra verso levante) con una semplice targa.
Sac. Arturo Paoli
Piccolo fratello del Vangelo
Nato 30 . 11 . 1912
Morto 13 . 07 . 2015
Exultabunt in Christo ossa humiliata
Arturo Paoli

Arturo e il suo camminare, scrivere, parlare……

Per me è sempre un piacere ricevere la lettera che periodicamente i Piccoli Fratelli di Spello, religiosi che ispirano la loro vita individuale e di fraternità a Charles De Foucauld, mandano ai loro amici, i tanti che nel corso degli anni hanno condiviso la loro vita nella comunità umbra di Spello, specialmente nel periodo estivo. Giustamente, quest’ultima l’hanno voluta dedicare ad Arturo Paoli, il carissimo 103enne che ci ha recentemente lasciati. Il ricordo è affidato a Bernardo, col quale nel 1957 Arturo ed altri avevano condiviso la loro vita coi minatori di Bindua, in Sardegna.

Quando alla fine, non poteva più camminare e scrivere e poi neanche  parlare, il dubbio ha fatto parte del suo cammino di fede”, dice Bernardo del suo e nostro  Amico ormai giunto al termine del suo cammino terreno. Il CAMMINARE era per lui una consuetudine quotidiana. Preso il suo bastone, lo metteva dietro sotto la testa e, tenendolo ben saldo nelle mani, s’avviava nelle sue lunghe passeggiate. Pensando, riflettendo, pregando, ricordando le innumerevoli vicende vissute nella sua non breve vita. Lo SCRIVERE era probabilmente l’attività che ha maggiormente assorbito il tempo e le fatiche di Arturo, e il PARLARE, cosa che faceva sempre molto volentieri, gli permetteva di comunicare agli altri, sempre ansiosi e lieti di ascoltarlo, la sua visione delle cose, specialmente riguardo alla vita di fede, che assolutamente doveva essere “incarnata” nelle cose minute e anche grandi di ogni giorno. L’idea che nella fragilità dell’età avanzata sia stato preso dal dubbio, mi fa sentire il caro Arturo ancora più vicino, più vero, più amico e più fratello. (Pi.Mu.)

 

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Carissimi tutti,

Ci sentiamo uniti e in cammino con ciascuno/a di voi in questo mondo che stenta a trovare i sentieri della solidarietà e della fratellanza. Consapevoli che dobbiamo incominciare da noi, dalle nostre relazioni….

Come senz’altro avrete saputo, durante l’estate e per l’esattezza il 13 luglio ci ha lasciati Arturo Paoli, il nostro fratello maggiore che nel mese di novembre prossimo avrebbe compiuto 103 anni.

Ci siamo così ritrovati a Lucca per l’ultimo saluto insieme a tanti amici e amiche, fratelli e sorelle. E’ stata una vera festa di celebrazione  e ringraziamento per una vita compiuta, che ha trovato la sua pienezza nella fedeltà e nel servizio del Regno del Padre.

Ecco la testimonianza di nostro fratello Bernardo alla fine delle esequie:

“Sì, è proprio vero, c’è solo da ringraziare per la vita di fratel Arturo, perché è stata una vita riuscita. Riuscita perché, vita data. Fratel Arturo ha pensato agli altri rischiando di essere arrestato, torturato, ammazzato quando era un riferimento per vari ebrei che nascondeva durante la guerra mondiale.

Dopo il suo noviziato in Algeria e un tempo di fraternità in una zona di miniera a Bindua in Sardegna, vive in Argentina a contro corrente del regime militare, anche allora rischiando molto. Infatti, in quel tempo, alcuni fratelli sono torturati e un altro viene portato via mentre svolgeva il suo lavoro di spazzino. Ed è così che fratel Maurizio fa parte della lunga lista de “los desparecidos”.

In Venezuela, Arturo ritrova per un tempo il fratello con il quale visse a Fortin Olmos in Argentina.

Però è vero che fratel Arturo ha vissuto poco in fraternità, sia in Venezuela che in Brasile. Ma ha sempre saputo essere di stimolo con le sue riflessioni scritte o semplicemente condivise. Ha saputo mettere insieme persone attente ai bisogni dei più sprovvisti delle regioni povere dove aveva scelto di vivere.

Anche se sembra svolgere una vita di fraternità per conto suo, aveva  sempre presente le fraternità e i fratelli sparsi per il mondo. Come noi era mosso da quella spiritualità di Nazareth, spiritualità del quotidiano e delle cose semplici che Charles de Foucauld ci aveva trasmesso. La sua ultima casa, qui, a Lucca l’aveva chiamata “casa del beato Charles de Foucauld”.

Quando alla fine, non poteva più camminare e scrivere e poi neanche  parlare, il dubbio ha fatto parte del suo cammino di fede. Ma, alla fine, ha lasciato alle persone meravigliose che lo accompagnavano, una pace profonda.

Chiudendo gli occhi lo ritroviamo sorridente, umano, affettuoso .

 

 

Un civilissimo ed educativo inizio d’anno scolastico

 

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Il liceo Siotto di Cagliari non imponga agli studenti ideali politici a senso unico. Se qualche studente  fosse contrario all’invasione di immigrati clandestini in atto in questi mesi, saprebbe in partenza che il dirigente scolastico probabilmente non gradirebbe eventuali opinioni discordanti. La scuola deve essere terza e imparziale, far sentire tutti gli studenti liberi di esprimere le proprie opinioni e a casa propria. Non imporre modelli di pensiero a senso unico”                                               (nota di “Noi con Salvini Sardegna“)

 

Alle strumentalizzazioni  rispondo che questa è una scuola della Repubblica e qui si rispetta la Costituzione che sancisce il diritto d’asilo e di pace. Questo è il “Siotto”, una scuola accogliente anche in senso più generale. Questo avvio non poteva che cominciare così:non potevano non lanciare un messaggio di fronte a una tragedia così grande“. (Peppino Loddo, dirigente scolastico)

 

Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo, e nella nostra Costituzione è sancito dall’’articolo 10, terzo comma: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge“.

Diritto di asilo e status di rifugiato. E’ quest’ultimo riconoscimento che le varie Commissioni regionali stanno decidendo per ogni immigrato che è approdato alle nostre coste: accettare tale richiesta perchè proveniente da guerre o dittature oppure  farlo tornare indietro perchè  motivato da “semplici” questioni economiche.  “Diritto d’asilo e di pace“, aggiunge il Dirigente nel suo discorso ai ragazzi, e per chi ha conservato una equilibrata capacità di giudizio, nonostante oramai l’estrema messa in discussione di tutti quei valori che l’umanità ha faticosamente raggiunto nella sua storia, la pace è quella condizione che permette la totale manifestazione dell’essenza migliore di ciascun individuo e di ciascun popolo,  e l’accoglienza verso gli altri e il volersi rapportare alla pari sono componenti primari della pace. Come è possibile non far partecipi ragazzi in crescita di quest’epocale evento migratorio che sta’ caratterizzando questi tempi? Chi ha responsabilità nella formazione dei giovani, cos’altro di più importante può loro comunicare, specialmente all’inizio di una convivenza annuale, qual’è quella scolastica?  E far ciò sarebbe voler condizionare “politicamente” e imporre modelli di pensiero a senso unico? E che c’entra l’immigrazione “clandestina” contro la quale qualche studente potrebbe essere contrario? E’ estremamente calunnioso e offensivo ipotizzare possibili ritorsioni  da parte del Dirigente. Personalmente, sono convinto che un Dirigente che decide di iniziare in questo modo l’anno scolastico, sia una persona molto rispettosa, disponibile al dialogo e molto distante dall’atteggiamento arrogante dei tanti impegnati ad innalzare muri e, “con Salvini”, ad appesantire l’aria e avvelenare sempre più gli animi, rendendo sempre più utopica una convivenza pacifica. (Piero Murineddu)

 

http://www.videolina.it/video/servizi/86774/l-integrazione-parte-da-scuola-al-siotto-primo-giorno-con-i-migranti.html

 

Siamo tutti Raif ? Mah………….

Raif è un giovane blogger saudita che dal 2012 sta’ duramente pagando la sua “pretesa” di esprimere liberamente il suo pensiero. Sopratutto, spingeva i suoi conterranei a fare altrettanto. Seppur vivendo noi in democrazie incompiute che spesso fanno un passo avanti e due indietro, quello di potersi esprimere senza la paura di ritorsioni e addirittura col rischio della vita è una conquista abbastanza consolidata, a parte certe situazioni e in certi particolari luoghi. Altrove nel mondo si è ancora molto lontani da ciò. Per chi non  fosse a conoscenza del caso di Raif Badawi, vi propongo questo articolo di Riccardo Noury tratto da “Il Fatto Quotidiano”, ma  volendone approfondire la vicenda, nella rete può spaziare liberamente. Ancora una volta, come giustamente viene rilevato nell’articolo, colpisce il quasi silenzio dell’Occidente quando si tratta si prendere posizione su argomenti riguardanti il mancato rispetto dei fondamentali diritti umani in Paesi alleati militarmente ed economicamente, o che può essere rischioso intromettersi nel loro “affari interni”, come per esempio la Cina.  Nel contempo, i capi dei nostri Paesi progrediti non hanno esitato ad intervenire con armi super tecnologiche quando bisognava  “esportare” la democrazia, e inevitabilmente questi interventi dall’alto hanno provocato un numero impressionante di “effetti collaterali”, cioè cittadini inermi trucidati e fatti a pezzetti. Sembra truce usare questi termini, ma è la cruda realtà. In fondo al post trovate il link dove si parla della guerra dell’Arabia Saudita contro il suo vicino Yemen, anche questa nell’indifferenza pressochè totale. (Pi.Mu.)

Raif Badawi

di Riccardo Noury

“Gli stati basati sulla religione rinchiudono i loro popoli nel cerchio della fede e della paura”.

Paura del pensiero libero. Ecco perché Raif Badawi fa paura. Perché sfida la paura.

Raif Badawi è in carcere dal 17 giugno 2012 in Arabia Saudita. E’ stato giudicato di aver offeso l’Islam tramite il suo forum online, “Liberi liberali sauditi” e, per questo, condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, da eseguire 20 alla volta per 50 settimane.

Il 6 giugno di quest’anno la condanna è diventata definitiva e non c’è segnale, da parte delle autorità saudite, di ravvedimento o di clemenza. Anzi, Badawi ha persino rischiato una condanna a morte per il reato aggiuntivo di “apostasia” (tra i capi d’accusa c’era anche quello di aver fatto “like” su una pagina facebook di arabi cristiani…)

Le prime 50 frustate gli sono state inflitte il 9 gennaio di quest’anno all’esterno della principale moschea di Gedda, al termine della preghiera del venerdì e di fronte a una folla giubilante che invocava la grandezza di Allah. Uno spettacolo turpe, per fortuna non ulteriormente replicato ma che può riprendere da un giorno all’altro.

La persecuzione giudiziaria di Raif Badawi è seguita con preoccupazione da milioni di persone. In decine di paesi, alla vigilia di ogni possibile sessione settimanale di frustate, si organizzano manifestazioni di fronte alle sedi diplomatiche dell’Arabia Saudita. Purtroppo, a questa generosa partecipazione di opinione pubblica fa da contrasto il quasi generale silenzio delle istituzioni.

Prevale, come sempre, sulle frustate a un blogger (così come sull’uso sfrenato della pena di morte, con oltre 200 decapitazioni nei primi cinque otto mesi del 2015, sui crimini di guerra commessi dalla coalizione a guida saudita intervenuta nella crisi dello Yemen e sulla persecuzione ai danni di altri oppositori non violenti e difensori dei diritti umani l’esigenza di “tenersi stretto” un alleato importante in un’area geopolitica complicata, un simbolo di quello che viene caparbiamente definito “islam moderato”, un partner utile contro le minacce del terrorismo, un florido mercato per vendita di armi. Pazienza che la sua “moderazione” e la sua “utilità” siano smentite dai fatti.

 

Dal 17 settembre, i post di Raif Badawi saranno disponibili al pubblico italiano grazie all’editore Chiarelettere, col volume “1000 frustrate per la libertà

 

 

ensaf-and-raif

La moglie Ensaf Haidar mostra una foto col marito Raif coi loro  tre figli Terad, Najwai e Miriyam

 

«Vi prego, aiutatemi a salvare mio marito. La mia voce da sola non basta, ma tutti insieme possiamo farcela».
Questo l’appello di Ensaf Haidar, la moglie di Raif.
Col suo blog, il marito offriva spunti di riflessione sulla politica e sulla religione, sostenendo la necessità di riforme nel proprio paese. Le autorità iniziarono a considerarlo un personaggio scomodo, e per Raif nel 2008 iniziarono i primi problemi con la giustizia. Da quel momento, l’uomo decise di far fuggire all’estero sua moglie e i loro tre bambini, che si recarono prima in Egitto e successivamente in Libano, per poi ottenere asilo politico in Canada.

 

Per firmare in favore della sua liberazione:

https://appelli.amnesty.it/raif-badawi/

 

In qust’altro link, i crimini commessi dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita ai danni della poplazione dello Yemen:

http://www.amnesty.it/Yemen-in-un-rapporto-di-Amnesty-International-le-prove-dei-crimini-di-guerra-nel-sud-del-paese

 

ARABIA SAUDITA

Due righe sulla lettera di Matteo Renzi ad alcuni quotidiani europei

IMMIGRAZIONE: A LAMPEDUSA IN NOTTATA ALTRI 310 CLANDESTINI

 

 

di Piero Murineddu

Matteo Renzi, dopo che diverse testate giornalistiche europee gli hanno chiesto più coraggio nell’affrontare la questione migranti, risponde attraverso una lettera pubblica. Leggendola quest’oggi, ho avuto tanti stimoli di riflessione. Mi limito a rilevarne qualcuna.

 

Sarà il tunnel di Calais, il Tir in Austria, la foto spezzacuore del piccolo Aylan in Turchia, sta’ di fatto che all’improvviso tutti si sono accorti di ciò che stava accadendo.”(Matteo Renzi)

Credo che questa percezione l’abbiano avuta in molti, e se non sbaglio, l’aria è cambiata quando la Cancelliera tedesca ha improvvisamente capovolto atteggiamento nei confronti di chi vuole entrare nel suo Paese. Si, l’ingresso sembra riservato ai siriani, dove la guerra è più evidente e dove la presenza dell’IS è più marcata e qualche malizioso pensa che questo cambiamento è frutto di un calcolo ben preciso, fatto sta’ che i giornali e le tivù hanno iniziato ha mettere in rilievo esempi di accoglienza invece che notizie su manifestazioni di respingimento. Oltre la Polonia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria,che si dicono non in grado di aiutare qualcuno viste le loro persistenti difficoltà, c’è ancora la ricca Danimarca,altalenante sul da farsi. Si fa ancora fatica a capire che il far parte di un’Unione di Stati, comporta “onori” ma anche oneri. E’ tuttavia necessario entrare in quest’ottica,anche perchè le “penitenze” sono dietro l’angolo.

 

Non basta commuoversi, bisogna muoversi. Le emozioni sono importanti, ma le azioni servono di più. Che nessuno immagini di cavarsela col solito rito del minuto di silenzio”.(M.R.)

Il fatto tragico è che molti non sono in grado manco di commuoversi. Il cinismo del “mors tua vita mea” sembra che in certuni abbia preso il sopravvento e abbia talmente indurito che si rimane indifferenti a qualsiasi situazione di bisogno che può esserci intorno. E poi ci sono quelli che ti portano ad essere duri, a loro dire ad essere “razionali”. Uno è sicuramente il Matteo leghista che, vistosi isolato politicamente nella sua posizione di respingimento, adesso dice che “sono pur sempre una persona e se qualcuno che ha bisogno bussa alla mia porta io apro”, e questo dopo aver affermato, come risposta ad una domanda diretta, che anche se ha un bilolocale, un profugo l’ospiterebbe. Naturalmente profugo di guerra e nessun altro. Io dubito tantissimo, ma comunque, se qualche associazione impegnata seriamente ad accogliere questa marea di gente disperata gli mandasse a casa qualcuno da ospitare, potremmo vedere se il Matteo leghista parla perché ha la lingua collegata al cervello (e sopratutto al cuore!), oppure…….

 

Occorre maggiore attenzione all’Africa. E’ il cuore del nostro futuro, ha straordinarie capacità di crescita, è la miniera di una nuova speranza per chi crede negli ideali di un mondo globale”(M.R.)

E di quanto l’Africa avrebbe bisogno di attenzioni,ma non predatorie, com’è finora avvenuto, specialmente nell’epoca del colonialismo. In questo senso il termine “miniera” usato da Renzi potrebbe creare inquietudine. Solo se pensiamo all’Inghilterra e al suo attuale e persistente lavarsene le mani, il pensiero inevitabilmente và a quando la sua presenza in ogni dove serviva principalmente ad ingrassare se stessa, in modo particolare in terra africana e in India. Quello che è adesso, è anche frutto dello sfruttamento illimitato delle terre e dei beni altrui. Inutile ribadire la grande pena e irritazione che provoca chi stà bene e se ne infischia degli altri.

 

Chi ha studiato la storia della fine delle grandi civiltà, a cominciare dalla decadenza dell’Impero Romano, sa che il declino non inizia da un dato economico, ma culturale”(M.R.)

Il riferimento è all’Europa e al suo travagliato cammino verso un’unità effettiva,ma la fondatezza di tale affermazione è validissima per tutti gli ambiti della vita, collettiva ma anche individuale.

 

Bruno Vespa e il Casamonica show

di Vittorio Emiliani

Non ha reso certamente un buon servizio alla “nuova” Rai il pur navigatissimo Bruno Vespa con l’ospitata a “Prima Porta” della figlia e del nipote di Vittorio Casamonica, capo di uno clan più potenti dell’area metropolitana di Roma. Non che non dovesse averli come ospiti. Solo che bisognava fare giornalismo vero, abbandonare i toni ammiccanti e quasi mielosi usati anche in questa circostanza e chiamare persone in grado di rompere quell’idillio richiamando tutti alla cruda realtà.

Il funerale grandioso, prepotente, pacchiano come pochi al “papa” di questa numerosa famiglia che ha collezionato, lui e i suoi, processi e condanne di ogni tipo. Che la figlia parlasse del padre Vittorio con la dolcezza di “O mio babbino caro” ci sta. Bisognava però ricordare a tutti, al numeroso pubblico, circa 2 milioni di persone, che quel lusso sfarzoso e kitsch era reso possibile da un quarantennio abbondante di malaffare che il clan ha prodotto e trattato fra le periferie orientali e i Castelli.

Secondo la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) si tratta della struttura criminale più potente e radicata del Lazio il cui patrimonio viene stimato in 90 milioni di euro e con migliaio di affiliati. Settori di attività, usura, droga (a livello internazionale), racket edilizio, scommesse, riciclaggio negli stabilimenti balneari, nella ristorazione, nella società di capitale.

Tanti, a cicli, gli arresti subiti dai Casamonica in origine Sinti venuti dall’Abruzzo (i più stanziali, gestori di giostre), all’inizio degli anni ’70. Alcune loro donne, belle ed eleganti, era facile notarle in piazza del Popolo, davanti a Rosati o a Canova, ritrovi di intellettuali. Uno di loro, Romolo, è stato boxeur, campione italiano dei pesi medi, finito però anche lui nel fango dell’usura.

Fra il clan e la stessa Banda della Magliana i rapporti sono stati numerosi: il defunto “re” Vittorio recuperava crediti per quel giglio di Nicoletti cassiere della banda. Questo e altro si poteva e doveva dire e contestare a “Porta a Porta” se si voleva fare informazione e servizio pubblico. Ma v’è di più, poteva essere l’occasione per fornire un quadro oggettivo, serio, documentato della presenza nomade (in realtà sempre meno nomade) in Italia.

Si parla spesso di una vera e propria “invasione” zingara in Italia. Falso: da noi sono molti di meno che in Grecia, in Francia o in Spagna, sui 120-150mila, chiamati ancora nomadi quando il 70 per cento ormai risulta stabilizzato o lo è sempre stato (i già citati Sinti, ad esempio). Sono comunque lo 0,75 per cento della popolazione italiana. Metà di loro ha passaporto italiano e per lo più sono cittadini europei fuggiti dalle guerre balcaniche. La scelta di ospitarli in campi nomadi per lo più indecenti ha accresciuto la loro emarginazione che l’Onu ci rimprovera fin dagli anni ’90. Appena il 6 per cento di loro arriva ad un diploma scolastico contro il 67 per cento della media europea. La metà appena dei ragazzi viene mandata alla scuola dell’obbligo.

Il Comune di Roma ha speso per i campi nomadi, tanto squallidi quanto oggetto di speculazioni criminali (Mafia Capitale), ben 24 milioni di euro nel solo 2013. Risorse da riconvertire in social housing, per meglio integrare questa popolazione. Come chiedono da tempo gli esponenti più colti e illuminati della comunità, per esempio Nazzareno Guarnieri, il primo Rom diplomato, nel 1971, presidente della Federazione dei Romanì e che è stato anche maestro elementare sperimentando – come ha raccontato alla brava e competente Bianca Stancanelli autrice del libro “La vergogna e la fortuna. Storia di Rom” (Marsilio) – la emarginazione delle classi Lacio Drom, dai pessimi risultati. Guarnieri incita i Rom a lasciare i campi nomadi, a tirarsi fuori anche da soli “da quella dannazione”. Ma bisogna anche aiutarli ad uscirne, a entrare fra la gente. Trasmissioni come questa di Vespa non fanno opinione in senso costruttivo. Anzi. Indignano e confondono le idee.