Raif è un giovane blogger saudita che dal 2012 sta’ duramente pagando la sua “pretesa” di esprimere liberamente il suo pensiero. Sopratutto, spingeva i suoi conterranei a fare altrettanto. Seppur vivendo noi in democrazie incompiute che spesso fanno un passo avanti e due indietro, quello di potersi esprimere senza la paura di ritorsioni e addirittura col rischio della vita è una conquista abbastanza consolidata, a parte certe situazioni e in certi particolari luoghi. Altrove nel mondo si è ancora molto lontani da ciò. Per chi non fosse a conoscenza del caso di Raif Badawi, vi propongo questo articolo di Riccardo Noury tratto da “Il Fatto Quotidiano”, ma volendone approfondire la vicenda, nella rete può spaziare liberamente. Ancora una volta, come giustamente viene rilevato nell’articolo, colpisce il quasi silenzio dell’Occidente quando si tratta si prendere posizione su argomenti riguardanti il mancato rispetto dei fondamentali diritti umani in Paesi alleati militarmente ed economicamente, o che può essere rischioso intromettersi nel loro “affari interni”, come per esempio la Cina. Nel contempo, i capi dei nostri Paesi progrediti non hanno esitato ad intervenire con armi super tecnologiche quando bisognava “esportare” la democrazia, e inevitabilmente questi interventi dall’alto hanno provocato un numero impressionante di “effetti collaterali”, cioè cittadini inermi trucidati e fatti a pezzetti. Sembra truce usare questi termini, ma è la cruda realtà. In fondo al post trovate il link dove si parla della guerra dell’Arabia Saudita contro il suo vicino Yemen, anche questa nell’indifferenza pressochè totale. (Pi.Mu.)
di Riccardo Noury
“Gli stati basati sulla religione rinchiudono i loro popoli nel cerchio della fede e della paura”.
Paura del pensiero libero. Ecco perché Raif Badawi fa paura. Perché sfida la paura.
Raif Badawi è in carcere dal 17 giugno 2012 in Arabia Saudita. E’ stato giudicato di aver offeso l’Islam tramite il suo forum online, “Liberi liberali sauditi” e, per questo, condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, da eseguire 20 alla volta per 50 settimane.
Il 6 giugno di quest’anno la condanna è diventata definitiva e non c’è segnale, da parte delle autorità saudite, di ravvedimento o di clemenza. Anzi, Badawi ha persino rischiato una condanna a morte per il reato aggiuntivo di “apostasia” (tra i capi d’accusa c’era anche quello di aver fatto “like” su una pagina facebook di arabi cristiani…)
Le prime 50 frustate gli sono state inflitte il 9 gennaio di quest’anno all’esterno della principale moschea di Gedda, al termine della preghiera del venerdì e di fronte a una folla giubilante che invocava la grandezza di Allah. Uno spettacolo turpe, per fortuna non ulteriormente replicato ma che può riprendere da un giorno all’altro.
La persecuzione giudiziaria di Raif Badawi è seguita con preoccupazione da milioni di persone. In decine di paesi, alla vigilia di ogni possibile sessione settimanale di frustate, si organizzano manifestazioni di fronte alle sedi diplomatiche dell’Arabia Saudita. Purtroppo, a questa generosa partecipazione di opinione pubblica fa da contrasto il quasi generale silenzio delle istituzioni.
Prevale, come sempre, sulle frustate a un blogger (così come sull’uso sfrenato della pena di morte, con oltre 200 decapitazioni nei primi cinque otto mesi del 2015, sui crimini di guerra commessi dalla coalizione a guida saudita intervenuta nella crisi dello Yemen e sulla persecuzione ai danni di altri oppositori non violenti e difensori dei diritti umani l’esigenza di “tenersi stretto” un alleato importante in un’area geopolitica complicata, un simbolo di quello che viene caparbiamente definito “islam moderato”, un partner utile contro le minacce del terrorismo, un florido mercato per vendita di armi. Pazienza che la sua “moderazione” e la sua “utilità” siano smentite dai fatti.
Dal 17 settembre, i post di Raif Badawi saranno disponibili al pubblico italiano grazie all’editore Chiarelettere, col volume “1000 frustrate per la libertà “
La moglie Ensaf Haidar mostra una foto col marito Raif coi loro tre figli Terad, Najwai e Miriyam
«Vi prego, aiutatemi a salvare mio marito. La mia voce da sola non basta, ma tutti insieme possiamo farcela».
Questo l’appello di Ensaf Haidar, la moglie di Raif.
Col suo blog, il marito offriva spunti di riflessione sulla politica e sulla religione, sostenendo la necessità di riforme nel proprio paese. Le autorità iniziarono a considerarlo un personaggio scomodo, e per Raif nel 2008 iniziarono i primi problemi con la giustizia. Da quel momento, l’uomo decise di far fuggire all’estero sua moglie e i loro tre bambini, che si recarono prima in Egitto e successivamente in Libano, per poi ottenere asilo politico in Canada.
Per firmare in favore della sua liberazione:
https://appelli.amnesty.it/raif-badawi/
In qust’altro link, i crimini commessi dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita ai danni della poplazione dello Yemen:
http://www.amnesty.it/Yemen-in-un-rapporto-di-Amnesty-International-le-prove-dei-crimini-di-guerra-nel-sud-del-paese