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Aiutiamoci a diventare più umani

di Piero Murineddu

E se mi stuprano, che c… faccio se mi stuprano”. È questo il disperato grido dell’anziana signora di Treviso alla notizia che “quelli che stanno per arrivare sono neri”. Malignamente pensando, più che disperato, per la signora il grido credo sia …sperato, ma questa è un’altra storia.(vedi nota alla fine)

Quindi, più che una questione d’emergenza, l’arrivo dei profughi si sta’ giorno per giorno confermando un fatto ineluttabile, nel senso che ci piaccia o meno, dobbiamo farci i conti. Lassù nel nord, mentre ipocritamente il governatore lombardo Maroni teme che l’emergenza (torra “emergenza”!) emigrazione rischia di provocare un crescendo di tensioni che culmineranno con disordini sociali che “si vorrebbero evitare”, più spudoratamente ( e sinceramente, per quanto non so fino a che punto  tal individuo si meriti la valenza positiva che ha il termine sincero) il capo del suo partito , Matteo il Nordico, “è in attesa di una reazione da parte della gente”.

Leggendo le cronache di questi giorni,  le rivolte da parte dei residenti, terrorizzati dall’arrivo dell’ “uomo nero” si stanno già verificando, e come era prevedibile, queste rivoltine sono incoraggiate e alimentate dai megafoni dell’estrema Destra e di CasaPound, che sfacciatamente e senza problemi mostrano tutto il loro tradizionale razzismo: “Noi i profughi testuale – non li vogliamo!” . Capito? Non gli immigrati, che possono essere motivati dalle più disparate ragioni, ma i profughi, e sappiamo che il profugo è colui che è costretto a fuggire perchè la sua libertà e la vita stessa sono messi a reale rischio. Cioè, mentre nel diffuso atteggiamento di respingimento di buona(!) parte degli italiani ci sarebbe questa barzelletta che vengono a rubarci il lavoro, contagiarci chissà quali malattie, farci saltare in aria e quant’altro, questi giovini guerrieri rasati e di nero vestiti, dicono chiaramente che loro i profughi non li vogliono e stop.

 

CasaPound. Conoscete i gentili et impegnati giovini aderenti a quest’Associazione di Promozione Sociale che prende il nome dal poeta e saggista americano Ezra Pound, grande ammiratore e sostenitore del fu Dux italiano e che dichiarato incapace, fu detenuto in un manicomio giudiziario per ben tredici anni? Non li conoscete? Tranquilli, potete benissimo sopravvivere ugualmente.

L’altro giorno ho letto un trafiletto di giornale in cui si faceva sapere che il gruppo di Sassari di questa brava gente, ha ripulito il Sacrario militare del locale cimitero. Anzi, ve lo faccio proprio leggere.Eccovelo:

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Letto avete? Bravi.Notato il finale? “Hanno reso grande l’Italia”. Mah, questa “grandezza” sarebbe tutta da verificare, e specialmente ricordare che i nostri soldati, più che eroi, la maggior parte di loro erano poveri ragazzi ingannati e mandati inconsapevolmente a morire, mentre i generali, come sempre, se ne stavano ben riparati sulla “collinetta” a dirigere le operazioni. Se l’armata vinceva una battaglia, era naturalmente il generale che vinceva. Gli onori erano a lui, mentre  le “pedine” armate venivano gratificati con una porzione in più di liquore e di sigarette. Certo, gli avi a cui i giovini casapoundini s’ispirano, i gerarchi fascisti cioè, avevano tentato di allargare il loro impero ( impero!) anche in Africa, provocando vigliaccamente morti e distruzioni inaudite, ma sappiamo com’è andata a finire.

Comunque, ieri mattina, venerdì, andato a Sassari per affaracci miei, e avendo un po’ di tempo a disposizione, mi sono recato  al cimitero per vedere questo “Sacrario” che non conoscevo. All’entrata, fuori dalla chiesa noto un pretino che spazza il piazzale. “Oibhò – penso – costui dev’essere senz’altro un buon prete, di quelli che non hanno fatto carriera”. Un addetto mi indica dove andare. Non è distante dall’entrata principale, a destra in fondo.  Arrivato, scopro subito che è un bello spazio a sè, con qualche panchina e ancora, nonostante il passaggio dei giovini di cui parla il trafiletto, parecchia erba secca, compresi rifiuti sparsi qua e la. Un fresco posto riposante e silenzioso dove, se mi capiterà, farò ritorno con un buon libro. Magari sui tanti eroi della nonviolenza.  Eccovi alcune immagini:

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In ognuno dei piccoli loculi c’è il nome del milite, preceduto da “solo”

In qualcuno c’è la scritta “ignoto”

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Vi ho trascorso una mezz’oretta buona, e scorrendo i nomi, davanti a ciascuno ripetevo l’invocazione “aiutaci a diventare più umani….aiutaci a diventare più umani….“. Ho come avuto una particolare comunicazione con ognuno di loro, immaginandomene la vita che fino ad allora aveva condotto, la ragazza lasciata in paese, la foto che teneva custodita gelosamente nel taschino della divisa, i progetti  dovuti interrompere contro la propria volontà, l’odio  necessariamente represso verso il sergente o il caporal maggiore, il forte senso di colpa per quel nemico, un proprio simile, a cui il giorno prima aveva dovuto infilzare la baionetta in una lotta corpo a corpo, le parole della mamma nell’ultima lettera ricevuta e che non riusciva più a ritrovare, le frequenti conversazioni notturne con quel timido commilitone del sud col quale aveva legato……..

 

Ad un certo punto, nel piazzaletto esterno, vedo la statua di un soldato chino davanti alla bandiera:

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E’ un’immagine che ai giovini casapoundini avrà sicuramente riacceso l’amor patrio e il ” mi è soave morir per la Madre Patria”, cosa che li ha incoraggiati sicuramente a ripulire con cura il posto e poter così strombazzare pubblicamente il loro disinteressato et umile gesto. A me è venuto semplicemente di ripetere con più forza “aiutateci a diventare più umani….aiutateci a diventare più umani…, e nel mentre ripensare a tutta quella povera gente che sta’ continuamente approdando alle nostre coste, disposti e capaci realmente, loro si, ad

aiutarci a diventare più umani

 

Ci sarebbero ancora tanti particolari da raccontare, come la chiacchierata col pretino che all’entrata stava spazzando il piazzale e il suo giudizio sui confratelli di carriera, la visita alla tomba del vecchio parroco di Sorso deceduto qualche tempo e che tutto sommato non era malaccio, specialmente se confrontato con altri preti più giovani di età ma non di mentalità, ed altro ancora, ma preferisco concludere qui, invitandoci reciprocamente ad

aiutarci a diventare più umani

 

nota

Mi dice mia moglie che l’inizio di queste considerazioni non l’è piaciuto. E’ vero, ammetto di aver esagerato. Quando ho letto la notizia sul giornale, ho pensato alla canzone di Fabrizio De Andrè “Il gorilla”, là dove dice

bah , sospirò pensando la vecchia 
ch’io fossi ancora desiderata 
sarebbe cosa alquanto strana 
e più che altro non sperata

Se non ne conoscete il contesto, parla di un grosso gorilla, che riuscito a liberarsi dalla gabbia e avendo una fame sessuale arretrata, si diresse verso un giudice ed una vecchia signora. Ecco, la frase cantata  è della vecchia signora, mentre la scelta del gorillone sappiamo che andò sul giudice.

Chiedo scusa se ho turbato qualcuno. Assolutamente non volevo mancare di rispetto verso l’interessata, ci mancherebbe. Ho aperto così, giusto per sdrammatizzare ciò che purtroppo sappiamo quanto è drammatico.

 

A volte capita…a volte

 

di Piero Murineddu

Riassumo la vicenda. Ogni giorno, al rientro a casa dopo il lavoro, mi ritrovo a percorrere l’ultimo tratto in salita (e alle 14 sotto il sole cocente estivo), impossibilitato a rinfrescarmi all’ombra della siepe fatta di alti oleandri, in quanto il marciapiede pubblico è occupato dai rami frondosi che occupano lo stesso. Quindi, una siepe privata che occupa indebitamente il suolo pubblico.

Ecco la foto

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Che faccio? Attraverso il mio miseriuccio blog rendo partecipi della cosa i miei pochi lettori, con un tono che va dallo scherzoso al …disperato.  Se ne avete voglia, andatevelo a rileggere

http://pieromurineddu.myblog.it/2015/06/23/dire-quel-saliscendi-mi-ha-sfiancato/

 

Passano le settimane e non succede niente. Ieri, strastufato e stramaledettamente accaldato, scrivo all’intera Giunta, ai vigili e ai carabinieri la seguente email:

Buongiorno. In via G.Spanu a Sorso, il marciapiede a sinistra nel tratto discendente è ricoperto dai rami di piante di proprietà privata, impedendone la percorribilità ai cittadini. L’illecito va avanti da diverso tempo, senza che chi di dovere provveda. Mi consta che la stessa strada è percorsa giornalmente da qualche amministratore comunale che nella via abita, e fino a poco tempo fa, da un altro politico di “grado” superiore. Nonostante ciò, nessuno finora è intervenuto. Visto il palese abuso del proprietario e l’inadempienza da parte delle autorità preposte a far rispettare le leggi, mi aspetto che venga posto rimedio quanto prima. Diversamente, e mio malgrado, mi vedrò costretto a ricorrere all’autorità giudiziaria.   Cordialmente     Piero Murineddu

Oggi, al rientro da una mattinata di cui a breve vi racconterò, mentre mi stò magnazzando una fresca e succosa pesca, sento ripetutamente suonare il campanello di casa. “Eh, foramari…..e che stà, andando a fuoco il mostruoso edificio che ho davanti?” Riempito immediatamente un secchiello da mare per contribuire allo spegnimento, apro la porta  e c’è invece mia mugliera: “Guarda, Piè,guarda…”, mi dice tutta trafelata.   “E ghi marannu pò assè suzzessu?!” – mi chiedo. Sporgo la testa e vedo che un operaio è intento a potare gli oleandri dai loro frondosi rami.
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Oh, caspita, la cosa ha funzionato. A volte capita…a volte.

Andato a controllare la posta, vi trovo la seguente email dell’assessore competente:
Gent.mo Sig. Murineddu,Ringraziandola per la dettagliata segnalazione e tralasciando comunque gli aspetti legati alle consuetudini di soggetti terzi da lei rappresentate, le comunico che in data 16 Luglio ho effettuato sopralluogo finalizzato alla verifica della situazione da lei segnalata. Appurata l’inadempienza da parte del proprietario del fabbricato, ho informato lo stesso sulla necessità di un intervento urgente finalizzato al ripristino delle normali condizioni che verrà effettuato nei prossimi giorni. Sarà mia cura monitorare l’intervento ed informarla al termine delle operazioni. La ringrazio nuovamente. Gianni Tilocca
A mia volta ho risposto:
Buongiorno Gianni. Non ci sarà bisogno “d’informarmi al termine delle operazioni”, in quanto vedo direttamente che l’operaio incaricato sta’  provvedendo. Ti ringrazio per l’immediato interessamento. Ah, ce ne fossero amministratori così solerti !  Un “caldo” saluto. Piero
Più tardi trovo anche la risposta di lu sindaggu di Sossu:
“La sua segnalazione è stata presa in carico dagli uffici competenti”
Lo so, estremamente formale e glaciale come risposta, ma con questo caldo ci sta’.
E poi qualcuno va spargendo in giro la malignità che io ce l’avrei contro  la colorazione politica di questa Amministrazione…ce l’avrei! Ma daaaaai !! Certo, non è che abbia grandi simpatie, ma qui si tratta di far prevalere la legalità, non di sparlare di ghissu e di  ghiss’altrhu. Come vedete, se un cittadino fa una segnalazione e c’è una risposta da chi di dovere, è tutto a posto…è tutto. Diciamo piuttosto che in precedenza, e in diverse occasioni, ho provato ad avere un atteggiamento attivo e partecipe. La risposta è stata un assoluto silenzio, la qual cosa mi ha confermato progressivamente che grazieaddio non faccio parte di quell’  “esercito” lì. Che l’aria stia cambiando? Aspettiamo a dirlo, e intanto spero di non dover mandare altre volte la stessa email. Magari, visto che la cosa ha funzionato, la manderò per altri motivi che, e lo dico molto seriamente, non mancano e temo non mancheranno. Se qualcun’altro facesse altrettanto, forse le cose andrebbero meglio. Che dite?
Conclusioni? Fate voi, e state al fresco che sta’ facendo molto caldo

 

 

 

13 luglio a Sennori: un modo nuovo e diverso di fare Cultura

 

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di Piero Murineddu

Una serata speciale quella di ieri sera trascorsa a Sennori, il paese della Romangia che sempre più si sta’ dimostrando ricca di eventi culturali. Dopo il divertentissimo spettacolo teatrale portato in scena qualche giorno fa presso il Centro Culturale ad opera della debuttante compagnia locale guidata dal partenopeo Germano Basile (e che sicuramente in seguito non mancherà di stupire la capacità di ben recitare – e la massiccia dose di autoironia – che possono avere persone che tutto avremmo immaginato, meno che “da grandi” potessero fare gli attori), ecco il seguito di un progetto voluto per onorare e far conoscere l’elevata ed elevante poetica di Antonio Pazzola, Giuliano Branca e Francesco Dedola.

Col Progetto, curato e portato avanti da un gruppo di volenterosi che alla persona di Giuseppe Murineddu fanno riferimento e trovano stimolo, ieri si è sperimentata una nuova forma di aggregare le persone in una fresca sera estiva. Anzi, non so se per chi legge è nuova.Per me lo è sicuramente, oltre che provocarmi una certa attrattiva.

L’insolito palcoscenico, compresa la rispettiva platea, è stato lo slargo poco prima d’immettersi nella stradetta che conduce alla storica fontana delle Conce.

La serata speciale per quanto mi riguarda è incominciata già prima dell’Evento di cui vi andrò a parlare tra poco. La mia amica Pina mi ha portato a magnà le susine  nella  campagnetta di sua proprietà, proprio davanti allo splendido lavatoio posizionato sotto una maestosa massa rocciosa. Con noi vi era la sua confinante, anche lei fortunatissima ad avere un pezzetto di terreno “terrazzato” con un panorama ed una tranquillità che ti verrebbe voglia di costruirti la tua casettina (naturalmente senza quella stramaledetta ed invadente tivù!), e di non spostarti mai più da lì. Il camminamento ci ha condotti verso una capanna naturale, ricoperta di roccia ed arredata con semplici manufatti di legno, posto che darebbe sicura e rinnovata ispirazione al più sterile e demotivato poeta.  In effetti le susine non mancavano, ma un assaggio simbolico è stato per me più che sufficiente, con l’impegno di ritornarci per cogliere meglio sia il gusto di questo squisito frutto, e sia sopratutto la bellezza del luogo.

Ma torniamo all’Evento. Problemi tecnici e probabilmente l’attesa di altro pubblico, ha fatto slittare leggermente l’orario d’inizio, ma tutto si è svolto poi in modo molto informale e quasi familiare. Qualcuno, avvicinato personalmente, con una punta di scetticismo mi dice che difficilmente l’iniziativa avrà un seguito, visto il mancato pubblico delle grandi occasioni. La cosa non mi trova per niente d’accordo, in quanto giudico le iniziative in base alla qualità  più che alla quantità e alla grandiosità, e quello a cui di lì a poco ho assistito, qualità ne aveva eccome. In teoria, più la cosa è di qualità e più le masse accorrono, ma non sempre è così. Non importa neanche il vedere sempre le stesse facce. Giustamente partecipano coloro che sono interessati, e in un gruppo ristretto, è più facile intessere relazioni, cosa più importante dell’essere affogati in una marea di gente fracassona e falsamente disinibita. Per me queste piccole iniziative locali, diciamo di quartiere, sono il futuro di uno stare insieme più vero e ravvicinato.

Giuseppe ha interpretato bene il ruolo di conduttore, presentando in modo sintetico le  tre figure che si voleva onorare. Antonio, Giuliano e Francesco.

Il primo, poeta improvvisatore la cui fama – come racconta lo stesso Giuseppe – è arrivata nella lontana Masua, quando tempo fa, entrato con la propria famigliola in un negozietto per un panino e fatto sapere di provenire da Sennori, la negoziante ha collegato per istinto il paese romangino con “Pischeganu”, nomignolo col quale era conosciuto il grande Pazzola. Dei tre è l’unico che ha messo su famiglia.

E poi Giuliano, portato in braccio dalla mamma fin quando non ha dovuto servirsi di una carrozzina per il resto dei suoi giorni, e Francesco, i cui numerosi versi hanno probabilmente tratto principale ispirazione dall’esperienza di emigrato in Germania. Le loro poesie, a differenza di Antoninu, le scrivevano, l’elaboravano  e sono state raccolte in alcuni volumi. Tutti e tre figli di mamma Poesia  – come si è sentito – ma ciascuno ha espresso questa figliolanza nel modo a lui più congeniale.

Oltre lo stesso coordinatore della serata, la voce per alcuni testi del Dedola sono state prestate da Gianfranca Dettori e Giannina Saba.

Maria Fenu e Adriana Pinna hanno recitato i versi del Pazzola, mentre una delle figlie, Pacicheddha, con particolare partecipazione emotiva ha voluto ripetere “A mama“, che sicuramente conosce a memoria.

La poesia “Camminende cun sa rughe” di  Giuliano (“Bilianu”) è stata interpretata con intensa immedesimazione, dovuta anche all’infermità con la quale è costretta a convivere, da Pina Fara, l’amica delle susine di cui dicevo prima, e da Giovanna Sechi. Ulteriore spazio è stato dedicato a chi tra i presenti ha creduto opportuno comunicare qualcosa riguardo al tema che ha riunito il manipolo di persone, andandosi man mano ad ingrossare con lo scorrere del tempo.

Nel mentre i problemi tecnici son stati risolti, scoprendo anche che le foto ed il filmato predisposti potevano essere proiettati benissimo anche direttamente sul largo muro. L’incerta laboriosità iniziale nel tentare di stendere un lenzuolo calato dalla finestra allo scopo, è servita tuttavia a far brontolare il giovane e simpatico Manuel, mentre in Salvatore Calvia, mia personale ed efficiente guida dell’Evento e fruttivendolo della zona, ha “provocato” ulteriore adrenalina (parole sue) dovuta all’importanza ed alla piacevolezza di ciò che si stava per avviare. Sotto la palma a cui ero appoggiato (e provvidenzialmente riparato dall’umidità della sera), mi son trovato piacevolmente accompagnato da Giovanni Delogu e Daniel Leal, quest’ultimo argentino e immigrato a Sennori un anno fa circa, entrambi componenti del gruppo teatrale che dicevo all’inizio e il cui divertimento provocatomi continua ad allietare l’ancor fresco ricordo. Di loro avrò in seguito occasione di parlare.

Per finire, riporto un testo che Michele Soggia, il “confratello” del vino, di tante altre cose e  da tutti conosciuto, ha scritto in occasione della perdita di tre persone care. Una riflessione sul  mistero della morte.

 

Un soffio di vento mescola d’improvviso le foglie del tuo mosaico

La calma della vita, la fretta della morte

Non puoi sapere, e chiedi

Le risposte ci sono

Ma non le puoi sentire

Un soffio di vento ti porta sollievo

una voce amica lenisce la pena

Lo sai che è un mistero ma in lingua straniera

un soffio di vento che porta risposte,

un arcobaleno,un volo d’uccello

Aspetti il tramonto su rocce salate

il viaggio continua un po’ calmo, un po’ mosso riscende,

risale un po’ giallo,un po’ rosso

Colori d’estate in un cielo poi nero

Mi faccio domande

Continua il mistero.

                                       

Miali, “ Li Caldani” 15 martu 2015

L’Amachina Piccolina Domenicale del 12 luglio 2015

 

 

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di Piero Murineddu

Come, il noto giornalista, satirista (nel senso di satirico),opinionista, autore ecc ecc (pardon, e anche….comunista) Michele Serra si può permettere (chissà quanti soldini gli danno!) di starsene bello sdraiato sulla sua “Amaca” in ogni giorno dell’anno a scrivere i suoi commenti spesso condivisibili (ma non sempre, per Bacco o per chi volete voi) su “La Rebubblica”, ed io non mi ci posso sdraiare una volta almeno ogni tanto? Non sono alla sua altezza, s’intende, ed è per questo che la mia saltuaria rubrichetta me la intitolo più modestamente “amachina piccolina”. Domenicale, giusto perchè non ci puoi stare stravaccato ogni dì, in quanto io, per guadagnarmi quel sufficienteinsufficiente stipendietto mensile che mi passa lo Stato, compresi dunque voi pochi che mi leggete, giornalmente mi devo recare in quel comodo ufficio dove dall’entrata all’uscita devo respirare quella benedetta aria “condizionata” che quando esco fuori mi …crepa. E infatti, questi in giorni sono affetto da un’antipatica laringite, per cui ho dovuto rinunciare a portare la mogliettina al mare, ma non a fare la capatina in campagna, giusto per leggicchiare La Nuova e dare un pò d’acqua a quelle sempre assettate piante.

La seconda e terza pagina sono occupate da questa storia del progressivo spopolamento dell’entroterra sardo. La perenne necessità di cercare altrove di che da vivere e l’attrattiva delle nostre orrende città, producono evidentemente i loro frutti. Come rimedio, gli amministratori pubblici di questi sperduti paeselli stanno pensando di svendere le abitazioni vuote. Per quanto mi riguarda, la cosa m’interesserebbe. Seguitemi. Ormai manca poco al pensionamento, e poniamo il caso che Domine Iddio non mi vorrà subito al Suo cospetto per chiedermi conto della vita che mi ha donato, e così potermi invitare ad alloggiare per sempre in quella Casona là abitata da anime poco pie. Mi state seguendo? Al pensionamento, dopo aver usato le magre entrate prevalentemente per pagare il mutuo della casa, ormai ci siamo. Appena possibile e resi  indipendenti (finalmente!) i figlioli, vendiamo e ci compriamo una piccola casetta là, al centro dell’Isola, in uno di quei paesetti a rischio estinzione. Per il ripopolamento, considerata l’età, non è che possa essere granchè utile. Però una soluzione ci sarebbe. Posso proporre di seguirci ad una coppia di giovani Rom e una doppia degli innumerevoli profughi che stanno arrivando. Sicuramente loro non avrebbero problemi di riproduzione, ed in più, si darebbe un valido apporto per costruire quella preziosa multiculturalità che solitamente (e stupidamente) si tende a respingere. Vedremo gli sviluppi.

Oggi il giornale riprende la notizia della giovinetta diciottenne con la sua gravidanza criptica, nel senso che, a sua insaputa, per ben nove mesi nel suo utero si è formato un nuovo esserino umano. E’ possibile, dicono gli esperti. Una volta ogni 2500 casi. Lunga e felice vita ad entrambi.

Il giovane turista che ha provocato la morte di un operaio in un incidente stradale presso la nostra vicina “Marritza” ammette la sua responsabilità: “Nell’incrocio ho guardato a destra e sinistra, ma non ho visto niente”. Certo, quell’incrocio potrebbe essere sostituito da una delle innumerevoli rotatorie che ormai stanno sorgendo dappertutto, ma secondo me quelle povere palme incolpate di togliere la visuale non hanno colpa alcuna.Sempre con chi non si può difendere se la prendono!

Purtroppo l’uomo 44enne che non ha rispettato il regolamento durante la discesa di quell’impressionante scivolo d’acqua presso il “Water Paradise” è deceduto dopo una settimana di rianimazione. Del suo passaggio terreno rimangono i suoi organi e sicuramente l’esempio della sua generosità.

Leggo la notizia dei funerali di quella povera ragazzina dilaniata dall’elica dello yacht guidato dall’amico di suo padre. L’omelia del prete ha richiamato la necessità del silenzio in certe drammatiche occasioni luttuose, ma l’esempio perverso dei filmati televisivi non smette mai di colpire, per cui alla fine è scattato “un lunghissimo applauso che sembrava non finire mai” (sic).

Voglio volutamente sorvolare sull’attentato dinamitardo al Consolato italiano in Egitto da parte di questo sedicente Stato Islamico che, da quando è nato, il buon Maometto si sta’ rivoltando nella tomba. Purtroppo, non mancheranno altre occasioni per parlarne.

Passo quindi ad un’altra notizia più leggera e più ottimista, anche per seguire il consiglio della cara Rita di Chieri  che, per tentare d’iniziare la giornata di buon umore, riporta un breve scritto di  Grenville Kleise (“Il buon umore è un tonico per la mente e per il corpo. È il miglior antidoto per l’ansia e la depressione……). Leggo che a Macomer, cittadina nel nuorese, l’amministrazione pubblica ha avviato una forma di baratto, diminuendo le tasse ai cittadini che si rendono utili per curare i Beni Pubblici. A quanto pare la cosa funziona già altrove (Quartu, Maracalagonis, Sardara) e a Terralba il governo locale ha ceduto dei tubi inutili (ma evidentemente utili a qualcun altro) in cambio di piante d’ulivo da mettere a dimora nella piazza della biblioteca. Caspita! Come preannunciato, anche a Sassari sta’ per attuarsi la possibilità offerta ai contribuenti di risparmiare rendendosi utili. Dai dai, che forse stiamo imboccando la strada giusta.

E a Sorso, la cittadina dove vivo io? In questo senso, e purtroppo in tanti altri, tutto tace. Allora voglio iniziare io.

 

Prima proposta

Ho già parlato di quel marciapiede ingombro dalle frondose magnolie che m’impediscono di fare rientro a casa dopo il lavoro un pochettino rinfrescato. Ebbene,mi offro di potarle io quelle stramaled….scusate, strabenedette piante, e in cambio il proprietario, che possiede anche un noto ristorante nella periferia verso Sassari, mi offre due pranzi, a me, mia moglie, i miei due figli, la fidanzata del primogenito  e mia suocera. Ad una sola condizione. Che in quell’occasione non sia presente nessun politico locale che se n’è infischiato altamente di far rispettare la legge in proposito. Che dice il sig. P?

Seconda proposta

Nella campagnetta ho qualche problemino idraulico che io non ci capisco un … tubo. Ri-ebbene, a chi si offre di porre rimedio, dò la possibilità di partecipare ad una arrostita (io porto la verdura e lui il resto), e in più, alla prossima maturazione dei fichi, gli dò la possibilità di coglierne quanto vuole per farsi la provvista invernale di garigga (fichi secchi). Chi ci stà? Fatemi sapere….fatemi.

Ci sarebbe altro, ma credo basti, anche perchè la telefonata con la cara Irene di Alghero, che nonostante sia momentaneamente inferma continua a spendersi in favore dell’umanità sofferente, e la gradita visita del mio amico ultranovantenne Giovanni Agostino di Sennori, che nonostante l’età continua a guidare la sua pandetta rossa, mi hanno preso un pò di tempo.

Allora, aspetto  riscontro per le due proposte. Intanto trascorrete bene ciò che resta di questa domenica.

 

 

Boh boh….tutto pieno di zingari e negri è in giro”. “Eia – fa’ l’altro – tra poco l’aria sarà irrespirabile”.

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migranti

 

di Piero Murineddu

Eppure, quando mi capita sotto mano, questa rivista “Acqua&Sapone” la trovo spesso piena di sintetiche e utili notizie e spunti interessanti, come questa che riguarda l’immigrazione come sostegno   alla nostra economia. Usa un linguaggio  a portata di tutti, è gratuita e me la ritrovo proprio di fronte a casa mia, nuova e leggermente patinata.

Ancora “questione immigrati”, dunque, e più precisamente, a differenza dell’emigrazione italiana in America e altrove degli anni passati,motivata più che altro dal cercare “fortuna”, nel senso di un legittimo benessere economico a cui ha diritto ogni essere umano, gli emigranti che oggi approdano alle nostre coste nel modo che sappiamo, una buona parte di loro sono profughi, e chi legge spero conosca il significato della parola.

Interessantissima la proposta fatta da Guido Piovano e che ho ospitato in questo stesso blog, personale spazio di comunicazione varia che nessuno è obbligato a sbirciarci dentro se non gli garba:

“E se  il lavoro che non c’è decidessimo di crealo? E se l’Italia diventasse nuovamente da nord a sud tutta un grande cantiere per risanare il territorio ferito, restituire dignità abitativa alle sfortunate vittime sopravvissute ai disastri del passato, prevenire i disastri futuri? Parlo di un grande piano nazionale pubblico, col concorso di Regioni e privati. Parlo di una seria programmazione con numeri certi sugli interventi da promuovere, con numeri certi sulle persone da accogliere e occupare, parlo di un patto per il territorio al quale far lavorare immigrati e italiani. Non solo mano d’opera, anche tecnici, ingegneri, geologi e, perché no, insegnanti …” dice Piovano. E “Senza contare tutti i borghi abbandonati che potrebbero essere riportati a nuova vita, tutte le terre incolte, che potrebbero essere rese produttive per le comunità di paese o di quartiere ecc ecc..”, continua la mia amica analista dei moti della società contemporanea Rita Clemente, poetessa di Chieri.

Bisogna fare i conti però con la poco lungimiranza dei nostri politici, che invece di vedere certe opportunità come risorse, le si continua a vedere come problema, di difficile se non impossibile soluzione.

Eppoi ci siamo noi, individui e “gente”, con le nostre paure che ci rendono insicuri e diffidenti, e quindi spesso rabbiosi e respingenti.

Lo so, la nostra società è composta da persone con diversissime sensibilità e metri di giudizio, ma che pena sentire il vicino sull’autobus, che privo di  argomenti per conversare col suo dirimpettaio, ne esce fuori con la solita frasetta, che se non è razzista  almeno cretinetta lo è un po’:  ” Boh boh….tutto pieno di zingari e negri è in giro“. “Eia – fa’ l’altro – tra poco l’aria sarà irrespirabile”. Per me che ce li avevo vicini, l’aria era veramente nauseabonda, con quell’odore di sudore arretrato che usciva dalle loro ascelle e sicuramente anche dalle parti intime. Italianissimi doc. Difficile intervenire in queste situazioni con un timido “ma no…vedete…”. In giro c’è poca disponibilità al dialogo, e certe posizioni hanno radici profonde che arrivano sino alla parte più negativa e disumana dell’individuo, per cui ognuno continui a bearsi con i propri “giudizi” e le proprie visioni della vita.

M’interrompo, altrimenti i pochi che leggono queste righe, iniziano a sbuffare.

Buona giornata

 

IMMIGRAZIONE: CHE FARE? Pensare l’utopia e guardare al reale

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Il dramma del Mediterraneo e un Paese che cade a pezzi

di Guido Piovano

La tragica realtà del Mediterraneo col suo carico di morti è sotto gli occhi di tutti e non è il caso di raccontarne ancora. Sul piano ITALIA/UE presentato come un grande passo avanti dal governo italiano ma mal digerito dall’Unione Europea, mi limito a due sole considerazioni, non mie: la prima, di Philip Luther di Amnesty International: “Non è più possibile chiudere gli occhi e limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre rotte alternative e sicure. Altrimenti condanneremo a morte migliaia e migliaia di rifugiati, ma questo avverrà lontano dai casti occhi degli europei e dai media“; la seconda, di padre Alex Zanotelli, missionario Comboniano: “Dobbiamo chiedere alla UE e all’Italia di imporre un embargo sulla vendita di armi ai ‘signori della guerra’ in Libia. Ma la UE dovrà poi concordare con l’Egitto e la Tunisia l’apertura di corridoi umanitari per permettere ai rifugiati di arrivare in Europa. Questa sì sarebbe una vera soluzione per i profughi e segnerebbe la sconfitta degli scafisti e delle organizzazioni criminali“.

Alla ricerca di una alternativa al piano, che mentre scrivo è tutt’altro che avviato, mi preme riflettere sulla parola accoglienza nel tentativo di restituirle senso e profondità. Non c’è accoglienza senza ospitalità, cibo, lavoro, in una parola, dignità. Non è accoglienza ammassare per mesi e mesi persone in campi profughi spesso fatiscenti. Con questo non voglio però ignorare i tanti esempi di sacrificio e generosità della nostra gente del sud.

Sento già le obiezioni: ma il lavoro non c’è, neppure per noi italiani!

Andiamo con ordine e partiamo un po’ da lontano: siamo negli anni ’50, l’Italia è uscita distrutta dalla guerra, il boom degli anni ’60 è ancora lontano, ma esiste già nella testa di qualche utopico pioniere dello sviluppo che decide per la seconda Unità d’Italia, collegando da nord a sud la penisola: nasce l’autostrada del sole. Il lavoro che non c’era lo si crea, l’Italia senza soldi li trova e diventa tutta un cantiere. Prende corpo il boom degli anni che seguiranno.

Direte: cosa c’entra tutto questo? C’entra.

Vengo all’oggi. Viviamo tre grandi emergenze (solo tre?): l’emigrazione attraverso il Mediterraneo, la realtà di un Paese dove ormai bastano quattro gocce d’acqua per provocare frane, smottamenti, alluvioni, disastri ambientali vari e, terzo, la crisi economica con la sua mancanza di lavoro. Il nostro è un Paese dove l’emergenza territorio è al centro dell’attenzione mediatica solo a disastri avvenuti e per breve tempo, dove chi ha la sfortuna (ma non è solo sfortuna!) di capitarci dentro rischia di vivere decenni in case di fortuna (o sfortuna!) e dove si lucra sia sull’immigrazione sia sulla ricostruzione, per non parlare della durata dei “dopo terremoti” (L’Aquila insegna)!

E di nuovo: cosa c’entra tutto questo. C’entra.

E se anche questa volta il lavoro che non c’è decidessimo di crealo? E se l’Italia diventasse nuovamente da nord a sud tutta un grande cantiere per risanare il territorio ferito, restituire dignità abitativa alle sfortunate vittime sopravvissute ai disastri del passato, prevenire i disastri futuri? Parlo di un grande piano nazionale pubblico, col concorso di Regioni e privati. Parlo di una seria programmazione con numeri certi sugli interventi da promuovere, con numeri certi sulle persone da accogliere e occupare, parlo di un patto per il territorio al quale far lavorare immigrati e italiani. Non solo mano d’opera, anche tecnici, ingegneri, geologi e, perché no, insegnanti … Butto lì: casa (per chi ne è sprovvisto), vitto (almeno all’inizio) e 500 euro/mese. Si favorisce lo sviluppo e si risparmia sugli interventi di emergenza futuri.

Se mi rendo conto? Certo che sì. Questa proposta (?) disegna un Paese diverso, dove all’accoglienza buonista e un po’ pelosa, si sostituisce una nuova integrazione con parità di diritti e di doveri, in direzione di una società, una scuola, un mondo del lavoro multirazziali, dove l’immigrazione non sia più soltanto un problema, ma una risorsa su cui scommettere. Un Paese che non veda negli appalti sempre e solo l’occasione per soddisfare la fame di corrotti e affaristi. La politica è in grado di garantire su questo punto? Non abbiamo sempre detto che siamo ormai un Paese per vecchi? Ebbene, è ora di guardare al futuro con nuove forze e se vengono da fuori che male c’è? Gli Stati Uniti hanno i migliori centri di ricerca del mondo, ma nei loro laboratori gli americani sono davvero pochi!

Siamo pronti? Lo vogliamo davvero? Dobbiamo rispondere con concretezza e guardare dentro a questi interrogativi, sapendo che su questa strada i problemi non mancheranno di certo.

E’ utopico? Io, mi chiedo se ci sia qualcuno al governo o nel Paese in grado di pensare l’utopia e di scommetterci. Di pensare un futuro che oggi non si vede, di fare come gli utopici pionieri degli anni ’50.

Sorso – La “Bandiera Blu 2015” dello scorso 6 luglio: còri meu garu garu*……..

bandiera     Colore dell’acqua del 6 luglio 2015, dalla “Riviera” al IV Pettine

 

 

di Piero Murineddu

Anche oggi leggo che una porzione della nostra lunga spiaggia è interdetta alla balneazione per la presenza di quei maledetti enterococchi intestinali ed escherichia coli. Residui di merda, insomma, prevalentemente umana.  Ah, che bei tempi quando i nostri nonni si tuffavano nelle rinfrescanti e pulite acque. Lo so, oggi inquinamento industriale, fogne che scaricano in mare…Ma che, oltre queste nefaste conseguenze della vita moderna, in quei tempo là si cagava di meno? Mah…..

Proprio non si può dire che Piero sia un grande amante del mare. Piero io, intendo.  O meglio, lo stare lì ore e ore sotto il sole a prendermi la tintarella non fa proprio  per me.  Però, ogni tanto, Madonna Santissima,  la benedetta consorte bisogna pur accontentarla. Ed allora via. Lunedì sera, il 6 mi sembra, indossati i bermuda alla Fantozzi e oleatemi i bicipidi e i tricipidi deciso mi sono. L’intenzione era di fermarci alla Marina, ma la ricerca di un parcheggio libero ci ha condotti fino alla cosiddetta “Riviera di Sorso”, svoltando a destra nell’incrocio con la Buddi Buddi.

Nonostante  le diciannove (7) erano già trascorse, la gente indugiava a rimanere in spiaggia, per cui, oltrepassato il camminamento in legno che chissà quant’è che non sente l’inebriante odore dell’impregnante, percorriamo col solito armamentario un bel tratto di spiaggia, zigzagando tra gli spiaggianti prima di piazzare l’ombrellone. Pur non essendo partito con l’intenzione di farlo il tufettino, la particolare calura della giornata ti costringeva quasi, anche se le nostre spiagge sono frequentabili più che altro   per praticare …l’elioterapia (!)

Appena faccio per avvicinarmi alla battigia, però, la voglia mi passa improvvisamente. Il colore dell’acqua, non solo non richiama lontanamente  quel blu di cui va blaterando la famosa ed incredibile “bandiera” assegnata da qualcuno che era evidentemente in cerca di far scherzi, ma è di uno strano e ripugnante colore, un giallognolo  tra il piscio puzzolentemente stantìo e lo schifo più schifoso. E’ possibile che quella vegetazione che prende il nome dal  dio del mare, dai locali chiamata semplicemente “paglia marina”, abbia la sua responsabilità. In quale misura non mi è dato saperlo.

Rassegnatoetincazzatello, non mi rimane che stravaccarmi nella sdraio comprata con pochi euro e iniziare la lettura di quei racconti estivi pubblicati l’altr’anno dal giovanotto, tra l’altro batterista jazz,  Flavio Soriga. Ricordi adolescenziali di furtive letture di giornalacci ultrazozzi, con enormi  e sempre turgidi (ma a ga!) peni instancabili  “prendiprendiprendi” e rispettive vagine insaziabili “ancora..ancora…ancora…” ( ancora!? Ma gosa boi!? E baaaastaaaaa!!).

Chiedo scusa, ma la licenziosità non è mia, ma è solo una minima parte prodotta dal Soriga scrittore di Uta. L’argomento inaspettato mi prende alla sprovvista, per cui appoggiati occhiali e volumetto “incandescente” sul petto, reclino la testa e socchiudo gli occhi.

La piacevole intenzione di pennichellare viene interrotta improvvisamente ma delicatamente  da mia moglie: “Piè, vai più in là che l’acqua è pulita”.

A fatica mi alzo dalla non tanto comoda sdraio (comprata con pochi euro) e, fiducioso nell’indicazione datami dalla cara consorte,  metto in moto i muscoletti delle gambette e mi avvìo fiducioso verso l’agognat’acqua cristallina.

 

Incontri da spiaggia “elioterapica”

“Scusi – chiedo ad un basso e tarchiato signorotto baffuto – a che punto inizia l’acqua pulita?”  “Acqua pulita? Io ho già fatto un bel tratto, ma è sempre così luridazozza. Una vergogna è!”

Dopo un’altra bellamicatanto scalza scarpinata, intravedo un gran culone femminile, oltre il quale sporge la sagoma di un maschietto (anche lui baffuto) che comprensibilmente non se ne sta’ con le mani in mano. Ma cosa ancora più attraente, poco più in là il mio sguardo viene colpito da quello che sembrerebbe un residuo bellico. Nel bel mezzo della spiaggia? Impossibile, mi dico. Avvicinatomi per mettere a fuoco la vista che scarseggia sempre più, vedo che è una vecchia bombola di gas, completamente ricoperta da uno spessissimo strato di ruggine.  Ohibò! Tiriamo innanzi, del resto la “Bandiera Blu” non è mica qui.

Purtroppo, man mano che procedo e le gambe diventano sempre più pesanti da trascinarmi dietro, il colorito dell’acqua non cambia. E non solo,ogni tanto affiorano pezzi colorati di plastica, buste e addirittura una mutanda maschile coi segni indelebili di una polluzione notturna. Ma comunque, mi consolo, la “Bandiera Blu” non è mica qui.

La forza di andare avanti me la dà la vista poco in là di un albero, ben piantato tra la spiaggia e la vegetazione, completamente fiorito di “ciòccura marina”. Centinaia e centinaia di conchiglie penzolanti dai rami. Evito di avvicinarmi, in quanto la sua ombra è occupata da una desnuda donzella straniera, e non vorrei che fraintendesse le intenzioni di un quasi sessantenne, per cui mi limito a guardare da lontano e …….non toccare.

Procedendo, m’incappo in un ambulante senegalese, più nero del Berlusca d’Arcore quando era arrabbiato coi magistrati comunisti, coi giornalisti che non erano nel suo libro paga, coi suoi fedelissimi  che lo hanno progressivamente abbandonato (meno male che qualche scagnozzetto gli è ancora rimasto a lustrargli le scarpe) e sopratutto arrabbiato con quel grosso  e bavoso  baubau del vicino che gli spaventa sempre il suo dolce e delicato Dudù. Scusate la citazione, ma torniamo al senegalese.”Scusa, da dove arrivi?” –  gli chiedo –  “Da Santa Teresa”. Alla faccia. “No, intendo adesso, in questa spiaggia. Hai notato se il mare più in là è così sporco?” . “Si, si…tutto sporco così…”. E va bè: la “Bandiera Blu” sarà più in là.

Dopo ulteriore scalza scarpinata (oia le gambe…), arrivo a quello che sembrerebbe la funtumadda (famosa)  spiaggetta per i cani, dove finalmente vedo un viso sorridente tra i tanti incontrati finora: quello di un simpatico bastardino che indugia nel venirmi dietro. “Pussa via…..“, gli dico, minacciandogli un calcione. Evidentemente percepisce il tono forse un pò  sgarbato, per cui assume un’espressione impaurita e scappa via a gambe levate.

Ed ecco che non molto distante intravedo sventolante l’ancor più funtumadda (famosa) Bandiera Blu. Scusate il maiuscolo, ma la cosa è veramente importante è. Ma poco prima di arrivare in loco, incrocio due baldi turistelli  arrivati da chissà dove che parlano tra loro in modo concitato, molto gesticolante e con espressioni poco turistiche. Proprio in quel momento mi squilla il telefonino. Dall’altro capo c’è il mio caro figliolo col suo solito “o ba…’ ” . Colgo l’occasione al balzo per chiedere a lui, che se non poliglotta sicuramente qualcosetta più di quell’ignorantone di suo padre riesce a capire, che caspita potrebbero voler dire quelle poche parole che gli riporto e specialmente le dure espressioni della faccia. “O ba‘ ” – mi risponde prontamente – “stanno maledicendo il momento in cui hanno deciso di trascorrere le vacanze dalle perre di Sossu (a Sorso e dintorni), convinti dalla pubblicità ( probabilmente un tantino ingannatrice) legata alla molto funtumadda(famosa) Bandiera Blu 2015.”

Finalmente i miei piedi distrutti e attaccati alle gambe che paiono due pezzi di legno,si posano sulla spiaggia del IV Pettine, di Blu bandierata. Lo schifosissimo color verdognolo continua ad essere tale. Mi avvicino alla “Bandiera” per leggere il cartello che la giustifica. “Il bagnino è presente dalle ore alle ore – L’Associazione dà questo prestigioso riconoscimento alle spiagge che……. – Si consiglia di recarsi in spiaggia con mezzi ecologici, tipo la bici……, e via fantasticando. All’interno di una piccola struttura, mi sembra in legno, vi sono tre wc. Apertone uno, faccio l’incredibile scoperta che c’è addirittura la carta igienica. Bene bene. Per arrivare al baretto, il vecchio asfalto è ricoperto dalla sabbia, ma non si può pretendere tutto. Piuttosto quel nero catrame di cui è ricoperta una parete esterna dello stesso non è poi così “balneare e vacanziero”, ma anche qui non si può pretendere tutto. Gli ormai pochi bagnanti in procinto di levare le tende sono belli abbronzati, cosa che mi fa ricordare – è bene ribadirlo – che le nostre spiagge, come indicano i numerosi cartelli disseminati ovunque, sono ottime per la terapia del sole. Eh si..

Presa la strada del ritorno, incontro qualcuno che si ostina a lanciare la sua lenza, che non ci sarebbe molto di strano se il suo amo portasse su qualche  mutandone,  preziosa invenzione per la vecchiaia, appesantito dagli stagionati residui fecali che neanche il mare è riuscito a staccare.

All’altezza della Beach Dog (senza costumino, beati loro) vedo in lontananza il bastardino dal colore di cane che fugge,  caìcaìando disperatamente ( e dai… non fare così, che non volevo morderti mica….).

Arrivo all’altezza dell’albero di conchiglie fiorito, arricchito dalla presenza di un’altra giovine turistella desnudata. Questa volta mi faccio coraggio e mi avvicino per toccarle ….le conchiglie. Si, è proprio “cioccura marina”.  A centinaia e penzoloni. Un’opera d’arte. L’estere fanciulle non mi degnano di uno sguardo, giustamente. Altrettanto non faccio io con loro.

All’altezza di uno striscione retto da due pali indicante la presenza di un ristorante, mi avvicino per capire cos’è quella baracchetta lì. Caspita, tre docce, di cui una funzionante. Benino benino.

Salto altri particolari (oh quanti…) e faccio ritorno all’impoltronata moglie, intenta nelle solite e lunghe telefonate. Sudato fradicio, vorrei farlo veramente il famoso tuffettino, ma ancor il verdognolo e disgustoso colorito dell’acqua mi fa desistere.

 

In conclusione mi chiedo:

1. Sono venuto nell’unico giorno  in cui il mare non era cristallino, come solitamente lo è? Possibile

2.Sarà quell’invidiosone del sindaco di Sennori che, non avendo il suo territorio uno sbocco al mare, ha organizzato delle sofisticate correnti che fanno concentrare la sporcizia di tutto il Golfo proprio dove la competenza ricade sul Sindaggu di Sossu? Possibile. E poi, con tutti quei finanziamenti regionali che riesce ad ottenere, è ancora più possibile che abbia potuto farlo, il “maledetto” gelosone&invidiosone Robertino!

3. Sarà anche che il giorno io avevo li birighitti particolarmente girati, stufo di continuare a dover percorrere la salitina che mi porta a casa dopo il lavoro sul rovente asfalto, perchè il marciapiede è ancora invaso dalle straboccanti magnolie che il proprietario del Mostro Edilizio Commerciale di via Europa non si decide a potare, “protetto” dalla silenziosa indifferenza dei nostri cari amministratori sussinchi? Non possibile. Quel giorno infatti avevo un’insolito buon umore, che raramente mi capita, costretto a vedere e subìre tutte le colpevoli zozzure che ci combinano i nostri “cari leaders”, vicini o lontani che essi siano.

 

 note

* “Cori meu garu garu” – rafforzativo di “cori meu garu”, letteralmente “cuore mio caro”. Tipica espressione della Sorso che fu, e in parte, che è ancora. Usata in modo dispregiativo dai vicini sassaresi o sennoresi per rimarcare il luogo di provenienza dell’interlocutore occasionale.  Il suo significato varia dal tono con cui si pronuncia. Può esprimere paura, perplessità, stupore, meraviglia….. Perchè l’ho usata nel titolo? Fate voi ….fate

Il triste destino del Lido Iride? Nessuno ne ha colpa, naturalmente….

iride 4

 

di Piero Murineddu

Avete letto la Nuova di oggi? Noo? Peggio per voi, e ogni tanto sborsateli questi benedetti uneuroeventi che non v’impoverisce,per la miseriaccia spilorcia ! Anche perchè questa volta non ve lo riporto l’articolo di cui vado parlando. Se poi non ce l’avete fatta a comprarla  perchè siete partiti prestissimo  e pensate di rimanere fino a notte fonda con la vostra barchetta in alto mare insieme alla fidanzatina, domani andate ad elemosinarla in uno degli innumerevoli bar (che intanto sono gli unici posti rimasti dove gli umani si ritrovano). La troverete magari leggermente sputacchiata e con qualche macchiolina di caffè o di birra, ma sicuramente ve la presteranno volentieri, prima di usarla per accendersi il barbecue in campagna o per la carta igienica che manca proprio al momento opportuno.

Vi troverete un’intera pagina dove, oltre la notizia sul congresso dei Testimoni di Geova “macheognunocredaciòchepiùgliaggrada” e la notizuola sul torneo di mariglia in un parco sassarese, il nostro corrispondente sussincu, rinforzato da un’altra giornalista, Daniela di nome (che non ci va mica giù leggera), ci racconta la tragicommedia del Lido Iride, quel tempio del divertimento estivo nato nell’estate di ben 64 anni.

Per noi bagnanti basterebbe un chiosco coi servizi igienici, giornali e poter comprare una gazzosa fresca”. No, le sigarette no, che oltre farvi parecchio male alla salute, quando finite di fumazzarvele, la nascondete di soppiatto e vigliaccamente sotto la sabbia, da sempre allergica al fumo ma a voi accaniti del ciuccio cancerogeno non ve ne sbatte lontanamente.

Alla fine, vista l’incapacità dei politici (sono loro che decidono, e quindi, eventualmente, sono colpevoli delle malefatte e dell’ inadempienze, anche se mai lo riconoscerannodi avere almeno una minima parte dell’intelligenza  di quell’Oreste Pieroni, il sindaco sassarese a cui va il merito di aver reso vivibile Platamona, l’unica cosa  sensata da fare è spendere questi benedetti 500 euro per abbattere tutto, pulire e lasciare la larga spiaggia (SIC!…. no, non nel senso di Sito di Interesse Comunitario, ma “sic” come espressione di desolante rassegnazione).

Mi dice il non più giovanissimo Giampietro (che nella piscina del lido si bagnava il culettino), che ai tempi, proprio lì c’era il confine tra il comune di Sorso e quello di Sassari. Praticamente, se allungavi la gamba eri già nell’altro comune. A quanto pare le di allora diatribette territoriali, oggi son rimaste più o meno invariate, e ciò che è rimasto della povera signora Iride, con le braccia incrociate ed il volto corrucciato, sono anni ed anni che aspetta pazientemente di sapere di quale morte dovrà morire.

Ho parlato su di desolante rassegnazione per dover spendere quei grossi 500 mila  euro per risanare il tutto, cifra che sarebbe potuta servire per fornire realmente di servizi questo benedetto mare che, seppur di bandierina blu fornito, continua a far pena proprio per mancanza di alcun servizio, salvo qualcosetta qua e là, eccezione che fa la famosa regola.

Tutto giù, allora, e  sussinchi e sassaresi a fare comunella nella spaziosissima spiaggia, per giustamente sparlare di questi piccoli politicanti che ci ritroviamo. Se penso che  sono loro a decidere riguardo la nostra vita quotidiana e sopratutto riguardo alle nostre tasche, mi viene da piangere mi viene.

 

Cinque anni fa ero entrato a far visita a questo luogo, spettrale si ma rallegrato da diversi dipinti. Ve lo ripropongo. E se le scritte son troppo veloci, non ci vuole molto a bloccare l’immagine, leggere e riavviare.

Alla prossima

 

https://www.youtube.com/watch?v=sOyMyCmWOcQ

“Nel caso morissi prima io – diceva Ferrante alla moglie – dovrà essere ugualmente una festa

piero capula

 

piero capula

 

di Piero Murineddu

Ieri pomeriggio, il freschetto creatomi in campagna mi stava trattenendo dal rispettare l’impegno preso con mia moglie di partecipare al funerale del “Ferrante” di Castelsardo, Piero Capula. Riuscito a far violenza alla mia comodità, dopo una bella doccia rinfrescante siamo riusciti tuttavia a metterci in viaggio.

Arrivati a Lu Bagnu, poco prima di Castelsardo, lungo il marciapiede della via principale, vediamo seduti al fresco o a passeggio vari profughi che qui hanno ricevuto ospitalità e buona accoglienza. Credo che gli abitanti di questa sempre più popolosa frazione, seppur le case dei vacanzieri siano tante, abbiano conservato un forte senso comunitario e di appartenenza, cosa che li porta a solidarizzare con queste popolazioni che sempre più si mettono in viaggio per sfuggire i tanti pericoli e i tanti aspetti di vita disumana che si lasciano alle spalle nei loro Paesi, africani o di altrove.

Fermatici per chiedere indicazioni come raggiungere la chiesa, dopo un signore che ci risponde con molta cordialità, un altro motorizzato, di sua iniziativa c’invita a seguirlo. Del resto, la maggior parte della gente in movimento, era proprio lì che si stava recando. Arriviamo una buona mezzoretta prima dell’inizio e l’interno del luogo di culto, inaugurato appena l’anno scorso, è già stracolmo. I tantissimi ventagli cercano di supplire disperatamente all’ insufficiente ricambio dì aria. In alto ci sono si delle piccole finestre, ma è possibile che non siano state predisposte per l’eventuale apertura. Che nostalgia delle vecchie chiese di una volta, con quelle grosse mura che ti facevano arrivare all’estasi “spirituale”senza sforzarti più di tanto. Trovato posto vicino al’ingresso, improvvisamente una leggera e provvidenziale brezza da’ ai presenti un insperato sollievo. E’ possibile che sia stato direttamente lo Spirito Santo ( si sà, Lui “soffia”dove e quando vuole!), ma anche il generoso e continuo sventolìo di due signore accanto, mi aiuta a partecipare meglio al rito funebre.

L’arrivo del feretro viene accolto dal canto  “Più presso a te, Signor“, il cui testo originario è stato scritto nel 1841 da Sarah Flower Adams su musica del compositore americano Lowell Mason. Si dice che l’orchestra l’abbia suonata mentre il  transatlantico  “Titanic” mentre il 15 aprile del 1912 stava affondando. Idea azzeccatissima per accompagnare l’ultimo viaggio terreno di questo 63enne corallaro Espansivo, Gioviale, Socievole e Generoso, come al termine della Messa ha scandito il direttore del coro (e credo parroco), citando l’articolo apparso  su La Nuova il giorno dopo la tragedia.

L’omelia dell’anziano don Usai richiama il rosso del corallo, colore che rimanda al grande amore che sicuramente Piero aveva per la vita, per la moglie Pietrina, la figlia Bianca, gli amici e, non per ultimo, per il mare dove ha trascorso buona parte della sua esistenza.

Sui versi ritmati di “La Guerra di Piero”, la famosa canzone antimilitarista di De Andrè, un suo amico d’infanzia gli ha dedicato una struggente “La Pace di Piero”, in cui ha rimarcato che probabilmente, le continue immersioni marine erano un voler cercare l’essenza di sè stesso e della vita stessa. Uguale concetto espresso dalla figlia Bianca, la quale rimpiange già le amorevoli indicazioni che il padre non le faceva mancare, comprese le necessarie correzioni, così  mal sopportate da un’adolescente che spesso presume che finalmente può farne a meno. Non conosco la giovane ragazza, ma anch’io ho una figlia della stessa età, per cui so di cosa parlo. “Diceva babbo che più che coraggio a fare quel particolare lavoro, per lui sarebbe stato coraggioso il non farlo”.   Ferrante e le profondità marine erano diventate un tuttuno, per cui giorno per giorno Piero non faceva altro che realizzare sè stesso attraverso la sua insostituibile passione.

Personalmente ho vissuto l’intera serata come l’opportunità che un intero popolo si è dato per festeggiare uno dei suoi membri migliori, quella festa che la moglie Pietrina ha chiarito ai presenti: “Nel caso morissi prima io – le diceva Piero – dovrà essere ugualmente una festa”.

E’ vero – come ha detto al termine don Giuseppe – tutta quella gente, fatta d’individui con le più disparate sensibilità ed esperienze, ieri sera è stata spinta dalla Simpatia,dalla Stima e dall’Affetto  provati per quell’uomo che, in un periodo della sua vita e per motivi probabilmente non “religiosi” in senso stretto, ha sentito il bisogno di percorrere il Cammino di Santiago di Compostela. Trenta giorni e notti di cammino volutamente solitario, lui abituato alla compagnia di chiunque capitava d’incontrare, il più delle volte rallegrata dalle sue battute e dal suo buon umore. In quel mese, chissà quali e quanti sentimenti avranno riempito  il cervello ed il cuore di Piero Capula.

Durante il percorso in auto per raggiungere il cimitero di Castelsardo, ho visto molti profughi fermi e a testa china, partecipi anche loro del grande dolore che stavano vivendo non solo i familiari, ma tutte le persone che avevano conosciuto, e anche coloro che non avevano avuto la fortuna di conoscerlo (ed io sono tra loro), il protagonista della “bella serata”.

Significatamente, il percorso a piedi, durante il quale gli amici si davano il cambio per portare a spalle l’ultimo corallaro di Castelsardo, ha preso avvio dalla piazza principale del paese, dove tutti solitamente s’incontrano e creano relazioni. Per le condoglianze personali ai familiari, mia moglie Giovanna è riuscita a abbracciare le due donne di Ferrante, la moglie e la figlia, dicendo loro che una strana forza ci aveva portati a partecipare al non disperato lutto che stavano vivendo. “Venite  quando volete – le è stato risposto – la nostra casa è sempre aperta per tutti“.

Tutt’intorno, le persone si salutavano e si abbracciavano.

Ferrante di Castelsardo ed il suo ritorno a Casa

 CASTELSARDO COPERTINA FERRANTE

“Il mio desiderio è morire in mare”

di Piero Murineddu

Era espansivo,gioviale,socievole e generoso. Con la sua famiglia si occupava del sostegno a distanza di diversi bambini in difficoltà nei Paesi africani e nel’Est Europeo. Amava i bambini e insegnava loro i segreti dell’apnea. Nonostante l’età non rinunciava alle immersioni”.(Donatella Sini)

E l’ultima immersione è quella che l’ha trattenuto per sempre. Non ho conosciuto questo sessantatreenne castellanese che da 40anni godeva di quei silenziosi e sicuramente stupendi paesaggi sottomarini in diverse parti del mondo, alla ricerca di quel durissimo “scheletro calcareo”, ricercato come materiale per la costruzione di gioielli, qual’è il rosso corallo.

La lettura delle notizie legate alla sua morte, in questi giorni me lo sta’ facendo apprezzare oltremodo, con un leggero rimpianto di non averlo potuto conoscere in vita, di non aver visto la sua atletica stazza e di non aver goduto dei suoi avventurosi racconti.

Stamattina mi son trovato con mio cognato Giorgio – il Fara sennorese ed artista, ed in quest’ultimi mesi sopratutto, nonno dell’incantevole Adele – e ricordando i grandi (mica tanto) festeggiamenti per il suo 63° compleanno, gli ho chiesto se avesse mai incontrato Piero Capula.

– “Ferrante? – mi risponde d’impeto – Sono più di quarant’anni che ci conoscevamo ed eravamo amici veramente”.

Per chi non conoscesse il mio cognato artista, sappia che è un simpaticone e allegrone, ma che a volte si fa prendere dall’entusiasmo e qualcosetta è portato ad esagerarla. Sentendolo però parlare, credo senza dubbio alcuno che questa volta dice le cose come realmente son state.

Nel ’73, mi sembra, ci siamo presentati entrambi all’OPT (Officine di Porto Torres) per un colloquio di lavoro. Eravamo freschi di diploma professionale, e a quei tempi per chi usciva da queste scuole, il lavoro era si può dire assicurato”. Piero, da tutti conosciuto “Ferrante” per la sua passione calcistica e in onore  dell’Ugo Ferrante della Fiorentina che giocava con una fascia in testa per fermare i capelli che teneva spesso lunghi (vedi nota in fondo alla pagina), era tornitore mentre Giorgio congegnatore meccanico. Erano freschissimi di diploma,si è detto, un anno o due appena, e le grandi imprese automobilistiche quali la Fiat, la Marelli, l’Alfa Romeo e compagnia sferragliante, facevano a gara per assicurarsi i migliori studenti nella loro produzione. La “Petrolchimica” faceva altrettanto, anche se il tramite di qualche “conoscenza” era utile anche allora.

Il colloquio in vista dell’assunzione avvenne nell’Ufficio Personale,presso la mensa dell’Eni. Entrati uno alla volta, ci trovammo davanti ad una commissione schierata a semicerchio, e ciascuno ti affibbiava una domanda per capire di quale pasta eri fatto. Il fumare o meno, aveva un’importanza rilevante”.

Veramente la sigaretta toglieva parecchi punti, col rischio di essere scartati in men che non si dica.Mi sembra sensato, il fumatore è alquanto spompato e conseguentemente …..poco produttivo. Comunque, il giorno dopo i candidati si presentarono per la visita medica nell’ambulatorio del lavoro, nell’incrocio di Viale Italia a Sassari. La conoscenza con Ferrante avvenne il giorno prima, in attesa del colloquio, e qui in attesa del medico che certificasse la loro sana e robusta costituzione, i due approfondirono la reciproca conoscenza. “Speriamo che ci prendano – ebbe a dire il castellanese – ma comunque, nel caso contrario non me ne faccio un dramma. A me piace il mare, e il mare può dar da vivere benissimo”. Dopo le prove pratiche, avvenute direttamente in officina, i due – manco a dirlo -vennero “arruolati e inquadrati”.

Da lì iniziarono a vedersi praticamente ogni giorno,sia perchè il pulman proveniente da Castelsardo prelevava – e continua a prelevare ancora oggi (anche se in misura molto, ma molto inferiore!) – i lavoratori, e immancabilmente il Giorgio e il Ferrante occupavano due posti vicini in fondo, e sia perchè alla sera, nella pausa mangereccia, i due nuovi amici si scambiavano il contenuto dei tegamini contenenti ben poca roba. La conversazione era sempre allegra e le battute abbondavano (anche per riprendersi dal continuo armeggiare con torni e via dicendo).

Al tempo, i giovinotti, probabilmente in cerca di – scusando il termine – “pelo” ( ahia…l’ho detto) che non fosse del paese proprio, usavano spostarsi con le prime Diane6 o 4cavalli, e naturalmente anche il Ferrante bazzicava “le vasche” di Sossu, ovvero lo stare avanti e indietro nella “passeggiata” della stazione. Era proprio qui che gli amici castellanesi e sussinchi facevano comunella.

Mio cognato la femmina (mia sorella) se l’aveva già cuccata, ma ugualmente ricambiava la visita dell’amico nel porto di Castelsardo, dove Ferrante era orgoglioso di far vedere come sapeva usare bene “lu rizzagliu”, la rete che, tenuta in un certo modo sulla spalla e data la giusta forza, dalla riva veniva lanciata e fatta roteare, calandosi sulle acque e creando una non male circonferenza.

Il lavoro negli impianti portotorresi a Ferrante non piaceva granchè, per cui, appena libero, si buttava a capofitto nella sua più grande passione, quella del mare, appunto. E nel mare ha trovato compimento la sua infaticabile vita. Dice qualcuno che è qui che l’umanità ha trovato origine, dal mare. Se così è, Ferrante non ha fatto altro che ….tornare a Casa.

Sentite condoglianze alla famiglia per la dolorosissima perdita.

giomaria pinna

Di seguito riporto due bellissimi ricordi di persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e probabilmente frequentarlo.

Ve li condivido con piacere.

FERRANTE SUB

TUO PADRE GIACE…..

Tuo padre giace a più di nove metri di profondità.
Le sue ossa sono diventate corallo;
I suoi occhi ora sono perle.
Non c’é in lui parte alcuna
che non si trasformi per opera del mare
In qualcosa di ricco e di meraviglioso
Le ninfe del mare di continuo suonano per lui:
Ding-dong. (William Shakespeare)

Con queste parole voglio ricordare quello che per me è sempre stato un eroe, una leggenda, un gigante buono. Ferrante mi ha sempre fatto sorridere con le sue battute, con le sue domande e con le sue affermazioni.Era una persona semplice, e anzi ancora lo sarà, perchè anche se ora non ci sei più ci penseremo noi a ricordarti. Ti prometto che da oggi mi immergerò portandomi giù anche la tua passione per quello che è il nostro mondo, il nostro grandissimo mondo che solo noi conosciamo bene. Ciao Piero, e non dimenticarti della promessa che mi hai fatto.. quando sarà il mio turno, mi dovrai insegnare ad usare le bombole.Grazie di tutto. (Giommaria Pinna)

FERRANTE

ECCOLI QUA I TUOI AMICI

Eccoli qua, i tuoi amici, quelli di più antica data ma anche quelli che ti hanno conosciuto solo da qualche anno. L’ultima volta che ci siamo trovati tutti insieme, in macchina, uno di loro, seduto nel sedile posteriore, disse:Amici, finalmente ancora tutti qui, insieme, pronti per una nuova avventura!” mentre stavamo andando a Cala Serraina, per cena. Tu, con modi umili e amabili ti sei girato e, pacato e riservato come sempre, ci hai rivelato il tuo discreto sorriso, buono e rassicurante sotto quei baffetti così curati. Tu che non amavi la ribalta, che non cercavi i riflettori nonostante il tuo lavoro ti portasse spesso agli onori della cronaca italiana per le tue imprese subacque e di pesca al corallo fatte con grande passione e rispetto per il mare. 
Tu, che preferivi la concretezza dell’agire alla vacuità delle parole di qualcuno di noi che tu con graffiante ironia definivi “Filosofo” . Qualcuno di noi si divertiva a imitare il tuo portamento davvero singolare: camminavi sempre silenzioso, in punta di piedi, strascicandoli un po’, quasi un americano danaroso, un po’ Yankee. Qualcuno di noi ti chiamava Pedro de Campos y Burgos, per i tuoi modi da gran signore, sempre raffinati e misurati. Davvero un Gran Signore, lì, nel cuore.
Eri sempre un po’ distratto, spesso silenzioso, asociale ti definivamo talvolta: tuttavia, forte dell’esempio di uno di noi sempre molto chiassoso ed estroverso, ti lasciavi andare a battute che erano davvero esilaranti e sempre più spesso ti divertivi a misurarti con questo lato umoristico del tuo carattere. Non potremo più dimenticarci del tuo sguardo, dolce e introspettivo, che riusciva in un attimo a cogliere i disagi dei tuoi interlocutori, e la tua silenziosa risposta fatta di sguardi pacati e riservati. 
E’ un momento in cui le parole faticano a venir fuori e lasciano spazio ad un silenzioso urlo di straziante dolore. Te ne sei andato il giorno del tu 63esimo compleanno: è crudele a volte il destino! Hai lasciato la tua adorata figlia Bianca appena diciottenne dicendole che avevi svolto il tuo dovere di padre e che poi te ne potevi anche andare: ma non è certo così che avresti voluto andartene… ma partendo con tua moglie Pietrina verso le spiagge calde e dorate dell’Africa! Ora loro gridano di rabbia, perché sanno che una dura prova della vita le attende e non sanno se ce la faranno. Una rabbia impotente verso quelle maledette leggi della pesca al corallo che ti hanno obbligato ad andare sempre più in profondità per pescare qualcosa! Certo ti consola il pensiero che sono circondate da amici sinceri su cui loro potranno per sempre fare affidamento. Ma non basta! Perché sai che dovranno fare parte della strada da sole. Come hai fatto tu, quando decidesti di percorrere da solo il Cammino di Santiago e come facevi sempre quando, solo, t’immergevi nella profondità del mare. Come ora, quel cammino che dalla profondità del mare ti ha condotto al tetto del mondo dal quale si vede tutto.
Quell’ultimo pezzetto di cammino che va fatto da soli. (Rita Bordot)

FERRANTE 2 L'UNIONE

 

nota

Ugo Ferrante, quindi  https://it.wikipedia.org/wiki/Ugo_Ferrante    e non Marco come erroneamente pensavo. Ci ha pensato cortesemente il fratello di Piero a correggermi, Antonio Giuseppe, che ringrazio. È la riprova che chi si sforza di portare avanti un blog non è affatto un tuttologo, ci mancherebbe, ma solamente uno che crede nel valore della comunicazione, anche attraverso questo nuovo modo. O almeno, io ci credo.