di Vittorio Emiliani
Non ha reso certamente un buon servizio alla “nuova” Rai il pur navigatissimo Bruno Vespa con l’ospitata a “Prima Porta” della figlia e del nipote di Vittorio Casamonica, capo di uno clan più potenti dell’area metropolitana di Roma. Non che non dovesse averli come ospiti. Solo che bisognava fare giornalismo vero, abbandonare i toni ammiccanti e quasi mielosi usati anche in questa circostanza e chiamare persone in grado di rompere quell’idillio richiamando tutti alla cruda realtà.
Il funerale grandioso, prepotente, pacchiano come pochi al “papa” di questa numerosa famiglia che ha collezionato, lui e i suoi, processi e condanne di ogni tipo. Che la figlia parlasse del padre Vittorio con la dolcezza di “O mio babbino caro” ci sta. Bisognava però ricordare a tutti, al numeroso pubblico, circa 2 milioni di persone, che quel lusso sfarzoso e kitsch era reso possibile da un quarantennio abbondante di malaffare che il clan ha prodotto e trattato fra le periferie orientali e i Castelli.
Secondo la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) si tratta della struttura criminale più potente e radicata del Lazio il cui patrimonio viene stimato in 90 milioni di euro e con migliaio di affiliati. Settori di attività, usura, droga (a livello internazionale), racket edilizio, scommesse, riciclaggio negli stabilimenti balneari, nella ristorazione, nella società di capitale.
Tanti, a cicli, gli arresti subiti dai Casamonica in origine Sinti venuti dall’Abruzzo (i più stanziali, gestori di giostre), all’inizio degli anni ’70. Alcune loro donne, belle ed eleganti, era facile notarle in piazza del Popolo, davanti a Rosati o a Canova, ritrovi di intellettuali. Uno di loro, Romolo, è stato boxeur, campione italiano dei pesi medi, finito però anche lui nel fango dell’usura.
Fra il clan e la stessa Banda della Magliana i rapporti sono stati numerosi: il defunto “re” Vittorio recuperava crediti per quel giglio di Nicoletti cassiere della banda. Questo e altro si poteva e doveva dire e contestare a “Porta a Porta” se si voleva fare informazione e servizio pubblico. Ma v’è di più, poteva essere l’occasione per fornire un quadro oggettivo, serio, documentato della presenza nomade (in realtà sempre meno nomade) in Italia.
Si parla spesso di una vera e propria “invasione” zingara in Italia. Falso: da noi sono molti di meno che in Grecia, in Francia o in Spagna, sui 120-150mila, chiamati ancora nomadi quando il 70 per cento ormai risulta stabilizzato o lo è sempre stato (i già citati Sinti, ad esempio). Sono comunque lo 0,75 per cento della popolazione italiana. Metà di loro ha passaporto italiano e per lo più sono cittadini europei fuggiti dalle guerre balcaniche. La scelta di ospitarli in campi nomadi per lo più indecenti ha accresciuto la loro emarginazione che l’Onu ci rimprovera fin dagli anni ’90. Appena il 6 per cento di loro arriva ad un diploma scolastico contro il 67 per cento della media europea. La metà appena dei ragazzi viene mandata alla scuola dell’obbligo.
Il Comune di Roma ha speso per i campi nomadi, tanto squallidi quanto oggetto di speculazioni criminali (Mafia Capitale), ben 24 milioni di euro nel solo 2013. Risorse da riconvertire in social housing, per meglio integrare questa popolazione. Come chiedono da tempo gli esponenti più colti e illuminati della comunità, per esempio Nazzareno Guarnieri, il primo Rom diplomato, nel 1971, presidente della Federazione dei Romanì e che è stato anche maestro elementare sperimentando – come ha raccontato alla brava e competente Bianca Stancanelli autrice del libro “La vergogna e la fortuna. Storia di Rom” (Marsilio) – la emarginazione delle classi Lacio Drom, dai pessimi risultati. Guarnieri incita i Rom a lasciare i campi nomadi, a tirarsi fuori anche da soli “da quella dannazione”. Ma bisogna anche aiutarli ad uscirne, a entrare fra la gente. Trasmissioni come questa di Vespa non fanno opinione in senso costruttivo. Anzi. Indignano e confondono le idee.