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Bastiana e Antonio, una vita piena d’ amore e di battaglie comuni

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di Piero Murineddu

Le tante persone intervistate, in prevalenza anziane e molte delle quali non sono più tra noi, in un certo senso mi son rimaste tutte nel cuore. Verso di loro ho provato e continuo ancora oggi a provare un grande senso di riconoscenza per aver condiviso, attraverso il raccontarsi, i sentimenti e la vita trascorsa. Condiviso prima di tutto con me, in quel determinato momento, mostrandomi accoglienza e fiducia, e condivisa con tutti coloro che hanno avuto occasione di ascoltarli attraverso i video.Indimenticabile quel giorno in cui conobbi Bastiana Pazzola e ne registrai il racconto.

Un bellissimo fuoco nel caminetto ci aveva fatto compagnia, e il cagnolino, attentissimo a tutti i movimenti che avvenivano nella stanzetta,  non smise un attimo di “proteggere” la cara vecchina allora  novantaquatrenne, fragile nel corpo e nell’attenzione. Il tramite della figlia Maria aveva contribuito a darle sicurezza, anche se il suo spirito e semplicità di cuore si è dimostrato da subito ben disposto nei miei confronti.

Ricordo che sia io che la figlia continuavamo ad invitarla a parlare in sennorese, per aiutarla ad esprimere meglio il pensiero e i vari passaggi, ma ogni tanto tornava all’italiano, pensando magari fosse più rispettoso nei miei confronti, che sennorese non sono.

Si faceva più decisa e sicura quando recitava o cantava, con una gradevolissima voce ben intonata, poesie o preghiere apprese sicuramente negli anni della sua fanciullezza. L’ ammirazione per i suoi genitori e per il marito Antonio Tirotto era tantissima. Parlandone, il tono di voce faceva trasparire la commozione e il grande amore che aveva avuto per loro.

Per rendere maggior omaggio alla carissima Bastiana, riporto quanto in parte  “sbobinato” dal video realizzato su di lei. Al termine l’intera registrazione audiovisiva.

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Ero molto disponibile con i vecchi  che abitavano vicino a casa

di Sebastiana Pazzola

 

Mio padre Sebastiano,  dal quale presi il nome perché quando sono nata lui era partito in guerra e chissà se sarebbe tornato, faceva il potatore, mentre mia mamma Giovanna Francesca, come quasi tutte le donne del popolo andava in campagna per fare un po’ di tutto. Li ho sempre ben impressi nella mia memoria e quando capita di parlare di loro con qualcuno, la mia commozione è forte, fino alle lacrime.

Eravamo quattro fratelli: io, Giommaria, Maria Francesca e Giovanna Maria. Abitavamo nei pressi della chiesa del Rosario, in una casetta di mia nonna. Da piccola non mi ritiravo mai. Con le amiche ci facevamo comari e co siamo sempre volute bene. Giocavamo a nasconderci entrando anche nelle case degli altri, le cui porte d’ingresso rimanevano sempre aperte anche quando i proprietari uscivano per fare qualche commissione.

Ero molto disponibile con i vecchi che abitavano nei pressi dell nostra casa. Andavo nelle fontane a portar loro l’acqua, a comprare il pane e il latte. Li pettinavo pure e quando me lo chiedevano friggevo i pesci per loro. Era una cosa meravigliosa. Mi conoscevano tutti e mi volevano molto bene, e io non potevo che ricambiare. Si può dire che ho trascorso la mia giovinezza insieme alle persone anziane. Andavo anche nelle case dei ricchi per pulire.

Fin dall’infanzia ho lavorato in campagna, anche a raccogliere pietre e a fare di tutto, quasi come gli uomini. La mattina presto che era ancora buio si andava prima a sabunare a Fontana Fritta con un’istiarica, o a Sa Conza, si tornava a casa per stendere e poi ci si incamminava per andare nelle campagne a raccogliere le olive, a vendemmiare o negli orti.

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In campagna ho conosciuto mio marito, Antonio Tirotto, contadino.

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Un uomo onesto e grande lavoratore che ha lottato per ottenere più diritti per tutti. Ha fondato il partito Comunista a Sennori e per questo motivo, una volta sposati, eravamo mal visti dai ricchi e mentre le altre famiglie venivano aiutate, a noi non davano niente. Avuti due gemellini, a differenza di come faceva con gli altri attraverso L’ECA, il Comune non ci ha dato neanche il corredino. “ E a Tirotto?” – “Tirotto lascialo stare e non nominarlo nemmeno – diceva il sindaco – Lui è comunista e se ne sta’ coi comunisti” . Tuttavia io, pur essendo stata sempre religiosa e contro il parere dei preti, ho seguito sempre mio marito. Quando passavano per l’acqua santa, la nostra casa veniva sempre scartata. Ah, Tirotto!

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Uomo ricordato per la sua onestà, e questa era la nostra ricchezza. Quando si era formata la lista e si erano presentati alle elezioni, avevano preso pochissimi voti, ma iniziarono ad essere mal visti dai proprietari. Persino il prete diceva in chiesa che non bisognava frequentarli perché mangiavano addirittura i bambini. Una parente gli aveva affittato una casa per fare la sede del partito, ma era stata talmente influenzata da quello che le dicevano in chiesa, che gli aveva messo le sedie e i tavoli per strada.

La gente si faceva condizionare e veniva anche ricattata, se non addirittura minacciata. Il proprietario terriero presso il quale Antonio faceva il mezzadro si fece influenzare, e gli intimò di non presentarsi più al lavoro. Gli avrebbe pagato la giornata, ma non doveva tornarci.  Praticamente, per liberarsene, aveva sparso la voce che non gli aveva lavorato la campagna. Cosa fa mio marito? Coinvolti gli amici, di notte hanno lavorato al meglio quel terreno. L’indomani, visto il risultato, il proprietario ha dovuto rinunciare a licenziarlo.

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Grande lavoratore mio marito Antonio. La domenica andava fino a mezzogiorno in un cortile e non volendo soldi, ci davano pane, olio e qualcos’altro per la famiglia. Per sollecitare a Sennori la nascita del partito, la sezione di Sassari aveva mandato il giovane Luigi Berlinguer e mio marito è stato uno dei primi a seguirlo. Riuscito a diventare sindaco del paese, gli aveva dato l’incarico di Assessore alle finanze. Un assessore con la quinta elementare e zappatore, ma molto intelligente.

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Considerando quanto le donne di allora erano messe in secondo piano, a me il partito mi aveva dato la possibilità di parlare in un comizio nel teatro Verdi di Sassari. Antonio lo porto sempre nel mio cuore. È morto che aveva ottantadue anni, nel ’96.

La passione delle poesie l’ho ereditata da mio padre, che se le inventava sul momento. Io da piccola le ascoltavo e mi affascinavano. Sono molte quelle che ancora ricordo, anche cantandole:

A minutu a minutu passa iss’ora

a ora e ora sa die è finida

A die a die ch’essi sa chida

a chida a chida su mese ancora

A mese a mese s’annu ch’èssi fora

e annu cun annu gia termine sa vida

Custu segretu gia no l’ischi nisciunu

passe su tempu e mori d’ognunu

 

Patetico opportunismo

di Piero Murineddu

Azzeccato sodalizio artistico quello tra il signor Gaberscik e Alessantro Luporini. La loro collaborazione ha prodotto riuscitissimi brani musicali e monologhi teatrali. Poi la gestualità ed espressività di Giorgio è tutto un dire.

Ascoltando questa canzone, il pensiero mi corre spontaneamente al gabbiano Jonathan, protagonista del celebre e breve romanzo di Richard Bach.

I gabbiani non sono volatili amanti delle alte quote. Jonatan è diverso, si distingue dalla norma. Prova e riprova, riesce a raggiungere il suo obiettivo: raggiungere altezze inimmaginabili per i suoi simili.

Un grande insegnamento per noi umani, spesso ammassati e appiattiti in una ripetitività quotidiana che non lascia spazio al coraggio di osare.

In realtà ciascuno ha delle caratteristiche che gli son proprie, ma il vivere comune è come se richiedesse una omogeneità nel pensare e nell’agire, e chi si distingue rischia di essere guardato con diffidenza e a volte, forse, con malcelata invidia.

D’accordo, ci sono anche gli “eroi”, ma questo è un altro discorso.

Ansiosi di apparire normali, di non essere criticabili, di non dare nell’occhio,di non distinguersi per timore di una qualsiasi ritorsione.

Pronti a salire sul carrettone del vincitore, chiunque esso sia, ansiosi primariamente d’accaparrarsi un angolino al calduccio e possibilmente comodo, disinteressati addirittura se la meta è il Paese dei balocchi o direttamente un precipizio.

Questo in tutti gli ambiti del vivere comune.

Conformismo, certo, ma più ancora opportunismo, di quello più patetico.

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Il conformista

Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche più fascista sono sensibile e altruista, orientalista e in passato sono stato, un po’ sessantottista, da un po’ di tempo ambientalista, qualche anno fa nell’euforia mi son sentito, come un po’ tutti socialista.

Io sono un uomo nuovo, per carità lo dico in senso letterale sono progressista, al tempo stesso liberista, antirazzista e sono molto buono, sono animalista, non sono più assistenzialista, ultimamente sono un po’ controcorrente, son federalista.

Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta, il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani e quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
forse da buon opportunista si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso.

Il conformista è un uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza, il conformista s’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza, è un animale assai comune
che vive di parole da conversazione
di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori, il giorno esplode la sua festa
che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando.

il conformista, il conformista.

Io sono, un uomo nuovo e con le donne c’ho un rapporto straordinario sono femminista
son disponibile e ottimista, europeista, non alzo mai la voce, sono pacifista, ero marxista-leninista e dopo un po’ non so perché mi son trovato cattocomunista.

Il conformista non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone, il conformista aerostato evoluto che è gonfiato dall’informazione è il risultato di una specie
che vola sempre a bassa quota in superficie
poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato, vive e questo già gli basta e devo dire che oramai somiglia molto a tutti noi.

Il conformista, il conformista.

Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che si vede a prima vista sono il nuovo conformista.

Francesco d’Assisi secondo Leo da Sorso

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di Piero Murineddu

Leo Spanu, 77 anni, sussincu ma col pensiero sempre “più in là”, per esempio nella veneta Treviso al seguito del babbo dipendente statale, dove ha vissuto e fatto le ossa nel confronto coi coetanei grazie alla “cultura di strada” e dov’è ambientato il primo romanzo “ I ragazzi delle case Incis“; oppure a Brescia, città  lombarda che vede il proseguo della sua crescita e maturazione umana, quella sempre in divenire, iniziata difendendo dalla prepotenza di due bulli un compagnetto di scuola, gesto grazie al quale, oltre che avviare una nuova amicizia col ragazzino, si guadagna pure l’ammirazione e il rispetto dell’ intera classe scolastica, salvo poi perderli entrambi perché il potere, come capita, lo aveva insuperbito, rendendosi antipatico. Il tutto è narrato nel secondo volume “A Brescia non c’ è la nebbia“.

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In modo romanzato, quindi, una sorta di autobiografia di un giovanotto, eternamente inquieto perché sempre alla ricerca di se stesso. Anni vissuti in due città con tutte le problematiche che esse comportano dopo esser nato in un poco più di un villaggio quale poteva essere Sorso, mio stesso paese sardo dove viviamo entrambi,  durante la ricostruzione seguita all’ immane catastrofe materiale e umana qual’ è  stata la seconda guerra mondiale.

È da una decina di giorni circa che la casa editrice  “LuoghInteriori” ha sfornato questo suo terzo volume, e oggi, festa del Santo d’Assisi, è più che opportuno spenderne in proposito qualche riga dal momento che il nuovo volume parla proprio di Francesco.

In quest’ ultimo lavoro Leo, instancabile blogger notturno e lettore di tutto e anche di più, si butta ad immaginare l’inconsueta amicizia iniziata tra l’ ancora quattordicenne Francesco e un suo coetaneo, nati ambedue lo stesso giorno, mese e anno, ovvero 5 agosto 1182. Stessa data e stesso nome, Giovanni Battista, perché in realtà, il figlio dell’ assisano Pietro di Bernardone e di Pica de Bourlement era stato dichiarato così alla nascita,  chiamato in seguito Francesco dal babbo mercante per onorare le origini provenzali della moglie e Paese, la Francia, dove saltuariamente si recava per scambiare i suoi tessuti, attività che permetteva a lui, alla moglie, al figlio Angelo e al fratello Francesco di condurre una vita agiata, ripudiata in seguito come sappiamo per condividere in tutto e per tutto la magra esistenza dei più derelitti di tutto il circondario della cittadina collinare umbra ai piedi del Subasio, vestendo di stracci come loro e raggiunto in breve da altri giovani che volevano provare a vivere in povertà assoluta. Occorre sapere che Francesco mal accettò l’idea che i suoi seguaci vivessero in conventi, proprio per il rischio molto realistico che ciò avrebbe in un certo modo tradito la scelta di povertà e di condivisione con chi era privo del necessario per tirare avanti in modo dignitoso. Venendo all’ oggi, e sapendo di tanti conventi e seminari mezzo vuoti – come quello di Sassari, in cui qualche giorno fa mi è capitato d’ entrarci, un immenso edificio occupato da alcuni preti e ancor meno seminaristi – come non pensare che questi spazi, in buona parte inutilizzati anche per carenza di “vocazioni” (sul quale termine ci sarebbe molto da argomentare) potrebbero  dare ospitalità sia ai nuovi poveri quali sono gli immigrati, ultimi tra gli ultimi, sia ai penultimi e terzultimi, e la scelta di questi, nella società emarginante e del “si salvi chi può” che abbiamo costruito, sarebbe assai vasta, rispondendo così anche ai tanti appelli fatti in questo senso da papa Francesco, inviso a buona parte dei cattolici della Conservazione e clericale e che oggi vediamo in prima linea per evitare una guerra nucleare che metterebbe a grosso rischio la stessa sopravvivenza sulla Terra?

Tutta la narrazione de “Il Santo e l’ assassino” si svolge a cavallo tra la fine del 1100 e inizio del 1200. La strana amicizia tra Francesco e Giovanni, solo apparentemente opposti in tutto,  inizia dopo una notte che il benestante giovanissimo assisano la trascorre quasi insonne ma in “gioioso” tormento, perché con la prospettiva, l’ indomani di buon’ora,  di recarsi a Perugia senza finalmente il controllo assillante del babbo – padrone. E come si fa a non fremere all’ idea di non avere a quell’ età il fiato sul collo di un genitore che ti dice cosa fare e come farlo, cosa pensare, come muoverti, come vestirti, chi avvicinare e chi scartare…? Certo, sempre con l’ immancabile e doverosa raccomandazione della dolce mamma Pica di fare attenzione, ma finalmente LI – BE – ROOOO. Oh, che gaudio incontenibile per il ragazzo !

Arrivato in città, si ritrova ad assistere, almeno inizialmente, a una “battaglia”, ma non tra adulti armati di tutto punto pronti a scannarsi a vicenda, ma tra suoi coetanei. Quasi un gioco, ma assai pericoloso. Praticamente, come si faceva una volta anche nei piccoli paesi di provincia, una sassaiola, una delle sorsinche battaglióri (battaglie) durante le quali molti di noi vecchietti a suo tempo ci ritrovavamo spesso cu lu gabu ifasciaddu, con la testa rotta.

Al contrario di quanto mai avrebbe immaginato e fatta conoscenza col nuovo amico, Francesco si ritrova invece anche lui –  mingherlino com’ era a differenza di Giovanni, ricoperto da una seppur rozza armatura, con in una mano un sacchetto di marraggi (grosse pietre) e nell’ altra un grosso bastone – completamente coinvolto nella battaglia. In ogni caso, le munizioni non sarebbero mancate, essendone il terreno pieno. Tra gli spettatori, naturalmente quelli con le tasche piene e i vestiti di lusso seduti ben comodi in tribune con copertura in legno per evitare che “proiettili” vaganti arrivassero a colpire le loro delicate testoline, mentre l’intera plebaglia rimaneva assiepata a bordo campo, coi molto probabili rischi che ciò comportava.

Come va a finire non è il caso di svelarlo.

Un primo capitolo, questo, concepito da Leo già da una decina d’ anni, presumibilmente quando ancora, nei due volumi precedenti a questo, descriveva la sua gioventù vissuta in “Continente”, con qualche puntata nel suo paesello natale, dove rimaneva sbalordito dai suoi compaesani che facevano il loro bisogni corporali dentro un buco posto all’ ingresso delle povere abitazioni.

Buona compagnia questa d’ inizio autunno col nuovo libro di Leo Spanu, che con la vecchiaia, ma potrei anche sbagliare, vedo sempre più …addolcendosi. Se sia saggezza o rassegnazione per l’età che inesorabilmente avanza non saprei.

Come detto, Il volume, a differenza dei precedenti pubblicati con la “EDES“, Editrice Democratica Sarda, nata nei primi anni 70 a Cagliari e trasferitasi in seguito a Sassari sotto la direzione di Nicola Tanda, è pubblicato da una casa editrice relativamente giovane di Città di Castello, “LuoghInteriori“, quindi, a ben vedere, tutta roba della verde e “spirituale” Umbria.

Come sempre, i dodicesimi capitoli da cui è composto lo scorrevole volume, li leggerò senza fretta e senza affanno e magari, di tanto in tanto ci scriverò sù qualche considerazione.

Il volume è già acquistabile, e da quanto mi è dato sapere, c’ è in programma di farne la presentazione, a differenza dei primi due, proprio a Sorso, con l’ appoggio, mi auguro, della locale Biblioteca Comunale, uno dei compiti primari per cui son nati questi luoghi di propagazione letteraria e di stimolo alla lettura. Nel caso di questa intitolata allo scrittore Salvatore Farina, nativo anch’ egli di Sorso, lo stesso Spanu, durante l’amministrazione Bonfigli, aveva dato un determinante contributo, insieme ad Antonio Salis, alla sua nascita e al suo sviluppo.

La dedica autografata nel suo “A Brescia non c’è nebbia”, volume che custodisco nella mia libreria, diceva:

“A Piero Murineddu, con l’ augurio che il mondo sia più allegro di come lo racconto io. E magari migliore”

Caro Leo, alla mia non più giovanissima età allegria ne vedo poca in giro, e quella che vedo è spesso sguaiata. Sul mondo migliore poi è tutto un dire, dal momento che si sta facendo di tutto per distruggerlo. Essendo entrambi nonni, abbiamo comunque la speranza che i nostri nipoti diano una grossa mano per renderlo più vivibile per tutti, sempreché gliene sia dato il tempo.

 

Questo blog ospita diverse pagine di Leo Spanu, compreso l’ ancora  inedito

“Passo di Gavia”, un racconto inedito di Leo Spanu

 

Quella in cui parla dell’ amico e compaesano Nicola Tanda, che scrisse la prefazione a ” I ragazzi delle case Incis” e a cui, dopo la morte avvenuta nel giugno 2016, dedicò il secondo romanzo

Nicola Tanda visto da Leo

 

Un confronto indiretto sul tema mai risolto del fine vita col teologo e scrittore Vito Mancuso

Eutanasia e Vita secondo Leo Spanu e Vito Mancuso

 

Mie considerazioni sul primo romanzo

Ancora su “I ragazzi delle case INCIS” di Leo Spanu

 

…e probabilmente altro ancora che adesso non ho voglia di andare a cercare.

Il pacifico e combattivo don Giusto e la sua comunità di Rebbio

di Piero Murineddu

Qualche tempo fa riportavo in questo blog  la vicenda legata ad uno dei tanti episodi di violenta intolleranza nei confronti di chi, con generoso impegno, cerca di tradurre in fatti concreti il Messaggio di Fratellanza lasciatoci dal Maestro.

Il luogo é Rebbio, periferia di Como, dove il parroco di San Martino, Giusto Della Valle – una di quelle persone che vorrei conoscere oltre il virtuale della Rete – opera insieme alla comunitá in cui é inserito per costruire rapporti di vera vicinanza, sia al proprio interno e sia particolarmente con gli immigrati, cosa che, evidentemente e come al solito, alla diffusa fascistaglia non garba per niente.

Per chi ha voglia di leggere, si prepari in buon caffé e  si accomodi qui. Prego, ma senza fretta.

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Spinto dalla mia solita curiosità, stamattina presto scopro un articolo in cui l’ ottimo giovane giornalista Daniele Molteni parla diffusamente di quanto avviene nella comunitá di San Martino, dove persone normalissime hanno capito che se si da’ fraterna attenzione a chi patisce qualsiasi tipo di difficoltá, a beneficiarne maggiormente si é sé stessi e, attenzione, far questo non é eroismo. Se poi ci si aspetta l’ aureola e pubblico riconoscimento, beh, allora é meglio mettersi da parte e continuare a curare il proprio orticello…

Anche qui, consiglio alle amiche e amici di bandire la fretta e di leggere con attenzione quanto riportato da Daniele lo scorso gennaio:

https://www.labeula.com/2021/01/30/s-martino-rebbio-como-daniele-molteni/

Polish_20210927_060951092Ancora, se qualcuno é interessato a contattare don Giusto, prego, che il buono e mite prete non morde nessuno:

https://www.vicinidistrada.it/progetti/parrocchia-s-martino-rebbio/

E per finire, il testo della pubblica lettera che don Giusto nel 2018 indirizzò ai componenti di “Forza nuova Latio” allorché, attraverso una di quelle misere bravate da pochi spicciolettini in cui sono espertissimi,  questa genticola usa far conoscere il loro cervello purtroppo sprecato

BEATO CHI INIZIA A COSTRUIRE DA SUBITO UN REGNO DI PACE

di Giusto Della Valle

Cari signori di Forza nuova, perlomeno così vi siete designati, mi sarebbe piaciuto veniste a parlare a casa mia con tutta calma, in pieno giorno, anzichè affiggere nottetempo un vostro cartello sulla recinzione dell’oratorio di Rebbio.

Comunque, il vostro scritto notturno mi ha dato una nuova forza in due direzioni:

– innanzitutto a lottare contro il male che c’è in me – mi avete chiamato “ingiusto” – e ne sono cosciente;
– in secondo luogo mi sento onorato se voi avete identificato in me una persona della Chiesa di Como che fa politica; vi ringrazio.

La Chiesa fa politica, ha a cuore la “polis” ed i più fragili della polis. Il Regno di Dio, il cui annuncio è al cuore della vita del nostro fondatore, è Regno di Pace e di Giustizia e beati sono coloro che iniziano a costruirlo su questa terra.

Grazie quindi per avermi ricordato e confermato in questi due obiettivi su cui continuo a lavorare insieme a tantissime persone di Como.

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Sorso. Ultimo aggiornamento sulla “Pinetina” che fu

 

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di Piero Murineddu

Dopo un bel po’ che non vi rimettevo piede, ieri, sabato, ultimo giorno di settembre, mi ci sono recato per rendermi conto dello stato delle cose.

Per quanto mi è stato possibile, nel seguente link

Una capatina alla “fu” Pinetina di Sorso

ho tentato di riassumere le tante vicissitudini che hanno accompagnato la vita e, purtroppo, la morte di questo bellissimo ritrovo immerso nella pineta che per svariato tempo hanno fatto la gioia di tante famiglie coi loro bambini, copie d’ innamorati, gruppi d’anziani e comitive di amici

All’ inizio del luglio scorso, un cartello annunciava l’attesa bonifica dell’ intera zona che sembrava non voler mai arrivare, dopo che qualche appalto per il ripristino non era andato a buon fine.

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L’intervento pubblico, in realtà, era dovuto a un ultimatum delle autorità competenti, che ne avevano intimato il risanamento pena il pagamento di grosse sanzioni.

Nonostante ciò e avvicinandosi la data annunciata della fine lavori, i detriti e ciò che rimaneva delle strutture in legno andate distrutte dall’ imbecillità umana, erano ancora lì a fare mostra della loro triste presenza e creare malumore a chi si trovava a transitare. In compenso, con delle grosse motoseghe, credo gli uomini della forestale avevano accumulato tantissimo legname non ho mai capito a beneficio di quali caminetti o stufe private.

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Per tornare a ieri, non ho visto la grande quantità del prezioso legname utilissimo per riscaldare le giornate del freddo inverno che ci attende, ma in compenso anche quanta restava delle strutture bruciacchiate sono state rimosse.Rimangono ancora i basamenti in cemento, i pali in ferro, mucchietti di materiale vario e sacchi contenenti credo le parti maggiormente inquinanti in catrame. Le panche in pietra, quasi tutte integre, sono lì, in pazientissima attesa di essere usate e rallegrate dalla presenza degli umani. Per quando, andata ormai quest’ estate, si spera almeno per la prossima, o ancora meglio, per la primavera del 2024

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Con un tantino di rammarico ho constatato che non si è pensato di salvare il dipinto molto bello che ogni volta che ci andavo era un piacere vedere. Mi riferisco al vecchio amante della pipa, ziu Saivadoricu, e a Bainzeddhu, il giovane sempre mezzo depresso che gli faceva compagnia.

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Immagino la loro reazione:

Mi mi, pianu pianu vi la so fendi a cabazzi tuttu lu muntinaggiu, daboi ghi so’ sthaddi custhretti achí minazzaddi da contravvenzioni manni…

Èia, ziu Saivadori’, ma no è ancóra finidda e no hani ripittaddu li tempi indicaddi i lu carthellu…

Ogay, ogay Bainze’ (come dicono certi sorsesi “in” pa fassi toghi), ma già pudiani avvisthí li sussinchi ghi v’è sthaddu casche contrattempu pa finì li trabagli cumenti abiani dittu…

Troppu rasgioni v’ha, ziu Saivadori’. E daboi,  maradizioni chi no venghia a nisciunu ne a un fiancu ne all’ althru, già pudiani agatallu lu modu.. pa saivazzi, cazzu diaru !!

ohia, me figlio’, già ti cumprendu. Ma tu zescha di cumprindí a ghisthi amministratori. Abarani altri prioriddai più impusthanti d’affrunta’. Zèlthu si vi l’ abiani dittu a ga in Sossu dugna santa chedda a sera tardhu insisthi cun ghissi iparatori macchi… Abiani fattu più beddha frigura, l’ animari  no rischiabani di murí d’ infarto e Piero no s’era incazzaddu achí li bassa lu sonnu e tardha umbè a riscí a drummí. No basthaba lu tum tum tum di tuttu l’ isthiu mannu! So cussí forti chi l’ intindimmu vinze noi…

Rasgioni v’ha, ziu Saivadori’. A propositu: e indi caipita semmu andaddi a fini noi ?

 

Alla prossima puntata della telenovela

Marco, un amico

di Piero Murineddu

Grande sensibilità Marco, e come capita nelle ordinarie relazioni umane, in cui spesso per essere accettati ci si fa vedere forti o bisogna far di tutto per apparire tali e sicuri di sé, Marco, mio amico, non era capace di fingere, e quando si sentiva costretto a farlo soffriva non poco.

Lui era uno dei tanti che in mezzo a noi faticano a tirare avanti in questo mondo fatto troppe volte di apparenza e di sorrisi forzati. Non so altri, ma io sono testimone di quanto Marco fosse in costante ricerca di profondità, di andare oltre, d’ indagare e di capire il significato delle cose.

Siamo ancora in tempo per tentare di superare i pregiudizi, i tanti luoghi comuni che in fondo rendono sconosciuti gli uni nei confronti degli altri? Io credo di si, e in qualsiasi situazione possiamo trovarci. Basta volerlo e sforzarsi di tradurre questa volontà in atti concreti. Ciascuno sa come fare.

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15 dicembre 1962 – 1 ottobre 2022

Le ONG ” fattore di attrazione” per i migranti? Ma daaiii…!

CONTI ALLA MANO E CHE LA SI SMETTA D’INGANNARE GLI ITALIANI

di Franz Baraggino (FQ)

Sull’attività delle ong nel Mediterraneo il governo italiano è tra coloro che sostengono la teoria del cosiddetto pull-factor. In altre parole, la presenza in mare delle navi umanitarie costituisce un fattore di attrazione per i viaggi dei migranti e una variabile della quale gli stessi trafficanti tengono conto, con effetto moltiplicatore sulle partenze.

Partiamo dai numeri prendendo in considerazione i dati ufficiali del Viminale per i primi sette mesi dell’anno.

Nel 2022, quando non era in vigore il decreto Cutro che ha inasprito le regole e complicato l’attività delle ong, da gennaio a luglio sono sbarcate poco più di 47mila persone, di cui 19mila soccorse dalle autorità italiane e 6.224 dalle ong, il 15%. Le altre 22mila sono invece persone approdate autonomamente.

Nel 2023, nonostante lo stesso periodo abbia registrato oltre 68mila persone soccorse, quelle sbarcate da una nave umanitaria sono appena 3.777, il 4,24%. Con 64mila salvataggi operati dalle autorità e 24mila approdi autonomi.

A elaborare i dati ci pensa da tempo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).

Secondo le sue stime, tra il 2019 e il 2023, le partenze di migranti dal Nord Africa nei giorni in cui le ong erano al largo delle coste libiche sono state inferiori a quelle registrate nei giorni senza ong. Con 139 partenze nei giorni in cui le navi umanitarie non erano al largo della Libia e 119 partenze per le giornate con ong presenti nel tratto di mare.

Il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa e Eugenio Cusumano, ricercatore in Relazioni internazionali presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi, hanno recentemente aggiornato uno studio che analizza il periodo 2014-2020 e si basa su dati della Guardia costiera italiana e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).

I risultati indicano che gli unici fattori che influenzano le partenze sono stati le condizioni meteo e l’instabilità politica, che i ricercatori hanno valutato attraverso la produzione di petrolio in Libia.

Non esistono studi scientifici a sostegno della teoria del pull-factor. Al contrario, di recente la rivista Scientific report ha pubblicato uno studio che si è concentrato su differenti periodi tra 2011 e 2020 per analizzare i fattori che impattano sulle partenze dei migranti. “L’insieme dei risultati indica che la migrazione attraverso il Mediterraneo centrale tra il 2011 e il 2020 potrebbe essere stata guidata da fattori quali conflitti o condizioni economiche o ambientali, piuttosto che da operazioni di ricerca e salvataggio”, conclude lo studio, che precisa come le operazioni di ricerca e soccorso sono una “risposta all’aumento delle partenze dei migranti, non una causa”.

Non ultimo, va aggiunto che una parte dei soccorsi operati quest’anno dalle ong sono stati richiesti dalle autorità italiane, compresi casi di salvataggi multipli nonostante il decreto Cutro del governo li vieti, pena ripercussioni che possono arrivare, come è accaduto più volte, al fermo della nave.

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Impossibile per me non far memoria della bella amicizia che mi ha legato e continuerà per sempre a legarmi a Pina

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di Piero Murineddu

Quel lontano giorno d’ inizio autunno di nove anni fa, era di Mercoledì, il mio sguardo venne attratto dalla foto su un annuncio funebre murario. Si trattava di un’amica che non vedevo da un po’ di tempo. Era oltre un decennio che aveva deciso di andare a vivere nella vicina città, dopo che da Valledoria era rientrata a vivere coi due genitori già anziani. Man mano, il mio istintivo sconcerto aveva lasciato il posto alla memoria, nello sforzo di trovare suoi ricordi.

In qualche occasione l’avevo visitata nelle due case dove a Sassari aveva abitato. La gioia dell’incontro era stata ogni volta reciproca, e nonostante la non più assidua frequentazione, ci parlavamo con naturale confidenza e totale apertura d’animo.

La conoscenza risaliva a diversi anni prima, quando eravamo accomunati dall’interesse ad approfondire specialmente argomenti “spirituali” ed erano tanti i punti che ci sorprendevano in questa quasi perfetta sintonia. Ho sempre constatato in lei una particolare sensibilità verso le persone che fanno fatica, probabilmente perchè anche lei questa fatica di vivere la sperimentava sulla propria pelle. Proprio per questo poneva attenzione alle situazioni di disagio in cui s’imbatteva, cercando di dare il suo sostegno sempre senza invadenza e con rispettosa discrezione.

Era stata sempre esageratamente intransigente, con gli altri ma specialmente con se stessa. Una volta l’avevo incontrata durante una delle mie visite agli anziani ospiti dell’ospizio di San Pietro, a Sassari. Usufruiva di  un’assunzione temporanea. Avevo visto di persona la grande cura e delicatezza che usava nei confronti di quelle persone bisognose di tutto, non mancando di condividermi la pena e la rabbia delle volte in cui altri con usavano lo stesso rispetto. Per quanto le era possibile, in lei vi era lo sforzo e la preoccupazione di riequilibrare quegli atteggiamenti che riteneva ingiusti.

Nella sua attività di assistenza domiciliare a persone invalidi, le era difficile riuscire a trovare spazi e momenti da dedicare a se stessa, sia per la sua illimitata disponibilità, ma  anche perchè probabilmente gli altri non consideravano le sue esigenze.

Sempre alla ricerca di esperienze “forti” che rispondessero adeguatamente al suo continuo bisogno di “Infinito”. Com’ è naturale, anche quello d’incontrare persone vere e affidabili.

Qualche anno precedente si era imbattuta nella “Casa della povera gente” di Spello (PG), fondata nel 1970 da Maddalena, una donna che aveva deciso di essere concretamente sorella di chiunque si sarebbe presentato alla sua porta per cercare aiuto.

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“Sarai gomito a gomito con il fratello che non crede e vive una fede diversa. Capiterà di avere vicino casi tristi della vita ma anche gente bellissima che non porta nessuna etichetta ma è più ricca di te in spirito e verità”. 

Con queste parole, Maddalena si rivolgeva alle persone disposte a collaborare con lei e per un periodo anche la mia amica rimase affascinata da questa possibilità, rimanendovi prr dare il proprio apporto d’accoglienza.

Sempre, per quanto ho avuto la fortuna di conoscerla e frequentarla, questo spirito di attenzione al prossimo, con inevitabili limiti,  l’ ha sempre tradotto in opere concrete.

Di Spello aveva respirato anche  i dolci profumi delle “Colline della Speranza”, comunità di Piccoli Fratelli fondata da Carlo Carretto. Pure questo mi accomunava a lei.

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Di primo mattino, l’ indomani di quel triste mercoledì, l’avevo rivista nella camera mortuaria dell’ospedale, e nonostante i segni della caduta conseguente al malore che gli aveva strappato la vita, l’espressione del viso mi era sembrata serena. Rientrando nella stanzetta, vi trovai  un signore assorto nel renderle omaggio. Dietro mia richiesta, mi disse di essere Franco Manunta, il prete che al tempo guidava la parrocchia frequentata dall’amica in tutti quegli anni di residenza a Sassari. Con naturalezza, sentimmo il bisogno reciproco di scambiarci notizie riguardanti la defunta, forse per alleggerire e condividere la tristezza per questo inaspettato ed improvviso evento.

Ciò che mi raccontò degli anni che l’avevano vista presente nelle varie attività parrocchiali, trovarono perfetto riscontro su come l’avevo conosciuta:

sensibilità e l’apertura d’animo

dedizione alle necessità altrui

semplicità

ingenuità con la quale coltivava i suoi rapporti

improvvise “fughe”

la non improbabile fragilità emotiva.

 

Con Franco ci salutammo dopo aver recitato  un “Padre Nostro” con la sicura partecipazione della nostra reciproca amica, una di noi e simile a tanti di noi.

Durante la Messa esequiale del pomeriggio, nella sua semplicissima e umanissima omelia, lo stesso Franco cercò di focalizzare alcuni aspetti dei tredici anni vissuti dalla comune amica nella sua parrocchia. Disse che da subito aveva manifestato la sua disponibilità ed era rimasto colpito dal fatto che a nessuno dicesse di no. Una persona curiosa e anche ironica. A volte manifestava la sua gioia attraverso un vistoso abbigliamento. Nonostante il suo vissuto fosse costellato di ferite, non si era mai lasciata vincere e cercava sempre motivi nuovi per ributtarsi nella vita con l’animo aperto alla speranza. S’appassionava di ogni cosa e bastava una carezza per renderla contenta. Gli confidava che a volte si sentiva usata, ma riusciva a superare l’istintivo e normale rancore. Probabilmente, le tante delusioni, ed una antica in modo particolare,  avevano costruito una sorta di corazza difensiva. Certo, una donna fragile, ma nel contempo, con la sua sensibilità, una donna forte e coraggiosa nell’affrontare le piccole tragedie, sue e altrui. Inutilmente le si diceva di frenare la sua continua disponibilità, aveva continuato a raccontare il prete.

Ricordo che nella stessa Messa il Salmo veniva intercalato da un ritornello in cui si parla di Angeli messi da Dio per sostenere il nostro cammino. Probabilmente l’amica defunta voleva essere tale per gli “affaticati” che le capitava d’incontrare. A volte, qualcuno di questi si è aggrappato con troppa irruenza, facendo sbilanciare Pina con le sue fragili ali. Nonostante la grande fatica, riusciva tuttavia a riprendere il volo con rinnovata fiducia nel prossimo e nella vita.

Strappata da una morte improvvisa, vive sempre con Te“, ha recitato nell’orazione finale don Franco, e i presenti, me compreso, salutammo la carissima e indimenticabile Pina con questa certezza.

Bah, bah…a vi semmu!

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di Piero Murineddu

Hai saputo dell’operazione del carabinieri che ha fatto finire in manette 31 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso? In gattabuia vi è finita anche una ex assessora regionale, passata a suo tempo dal PD al centro destra perché convertita dal verbo di Solinas Christian, a sua volta uomo di fiducia del Bullotto Nazionale. A proposito, si vocifera che il grassoccio presidente sardo è stato “sotto protezione” a motivo di minacce ricevute. Ma non protetto dalle regolari forze dell’ ordine, ma dalla stessa associazione a delinquere. E non solo. Anche nell’ elezione del Magnifico Rettore dell’ Università di Sassari ci sarebbe lo zampone malavitoso associato. Naturalmente, a dire dei soliti avvocati conosciuti come “Purchécisiadaguadagnare”, tutti si sentono con l’ animaccia candidissima e il cervello tranquillo che papapaparapá.

Va bene, tutti innocenti, almeno sin quando non viene provata la loro colpevolezza. In ogni caso, vuoi vedere che è la volta che i carabinieri mi diventano simpatici? Aspettiamo e seguiamo il proseguo della vicenda.

Sbirciare il sito https://www.sardiniapost.it/ può aiutarti al riguardo per rimanere aggiornato

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/27/inchiesta-sul-mondo-di-mezzo-in-sardegna-31-arresti-ex-assessora-in-carcere-per-associazione-mafiosa-tra-gli-indagati-il-presidente-nazionale-anpal/7305448/

I soldi o il Santo,sempre lì siamo !

Pagine, fatti e commenti ispirati dal volume

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Prima puntata

I SOLDI, MEGLIO SE SOLDONI? MMMMM….CHE PROFUMO ATTRAENTE EMANANO !

di Piero Murineddu

Tutt’ altro che divoratore di libri sono, vuoi per la scarsa vista o per altri motivi che sono solamente miei. Né inizio 5, 6, 7 tutt’ insieme e colloco ciascuno nel posto più adatto dove trovo l’ atmosfera giusta per proseguirne la lettura. Si, anche lì.

Diciamo che la fretta non fa più parte della mia vita, e forse questo è uno dei frutti.

Ho appena letto qualche pagina de “Il Santo”: nomi, date, luoghi e fatti riportati dettagliatamente.

Per esempio, ricordi Mike Occhiammalianti, quello che invitava, come da copione, a stare sempre allegri? Per tanto, secondo me troppo tempo stipendiato dalla Rai, cioè soldi di mia mamma e mio babbo, per condurre quiz di cui lui mai avrebbe potuto saputo dare risposta stando dalla parte dei concorrenti, che a loro volta guadagnavano senza fatica soldi di mia mamma e di mio babbo, che per mandare avanti la loro numerosa famiglia trascorrevano tutto il giorno a triburá (faticare per i continentali).

Nel 1977 ebbe un colloquio col già palazzinaro in procinto di diventare Sua Emittenza.

Ecco la parte del volume di 530 pagine che riporta l’ assunzione (del signor LasciaoRaddoppia&Rischiatutto, non di Maria Vergine):

“In autunno strappa Mike Bongiorno alla Rai e lo porta a Telemilano 58, in procinto di passare dal cavo all’etere, con un contratto da favola. «Alla Rai – racconterà Mike – in un anno mi davano più o meno 26 milioni di lire lorde. Silvio mi guarda e improvvisamente mi fa:

– Io avrei pensato a seicento.

Chiedo io:

– Seicento che?

– E lui:

– Milioni, ovviamente.

Ero così incredulo che gli chiesi ancora:

– Oddio, per quanti anni di contratto?

– Mi fa:

– Per un solo anno, ovvio. Ma poi potrai arrotondare con le televendite e con gli sponsor..

È pronta così l’ operazione Canale5”

Capito quello di “Allegria, Allegria” ? Ovvio! No?

Alla prossima, sempreché ne abbia voglia e mi rimanga tempo dal far quel che mi aggrada, ma lentamente, moooolto lentamente !

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Second puntata

“È UN MERCANTE DI TAPPETI, UNA FACCIA DI BRONZO DA NON CREDERE”

di Piero Murineddu

In mezzo alla catasta di libri che tengo sul comodino ormai sul punto di crollare per il peso, la scorsa notte alle 3,14 allungando il braccio, la manina è capitata sul mattone fatto di pagine scritte, quelle che ripercorrono la non esaltante esistenza in vita di Lui, il Santo(si, maiuscolo, per LA carità, come dice sempre il saggio Enzo Bianchi). Giusto due paginette, quelle riportate sotto, e via, a cercare di riprendere quel sogno lasciato in sospeso che mi vedeva 17enne, intento a saltare da un albero all’altro tipo Tarzan, il re della giungla.

L’ argomento è più o meno simile a quello della prima puntata, pubblicata lo scorso 30 agosto: la convinzione che i soldi possono comprare tutto, comprese le persone. Si, lo so, in moltissimi, quelli facilmente …in vendita, hanno dimostrato che in effetti corrisponde al vero, ma Luigi, il protagonista del fatto narrato, l’ha clamorosamente smentita questa cosa qua. Te la propongo integralmente, senza toccare una virgola. L’ autore, come sai, è quell’ altipaticone di Marco, direttore de “Il Fatto Quotidiano”. Prego….

QUEL CONTENZIOSO INASPETTATO

È un Natale movimentato, quello del 1986, per il Cavaliere. Su vari fronti.

Da più di un anno, oltre a tutti i guai che ha, lo angustia un contenzioso con un vecchio e grande intellettuale torinese: Luigi Firpo. Docente universitario di Storia delle dottrine politiche, fra i massimi esperti di cultura rinascimentale, polemista e moralista su La Stampa con la seguitissima rubrica “Cattivi pensieri”, Firpo l’ha beccato a copiare come uno scolaretto somaro e lo tiene sulle spine dall’estate precedente, quando la vicenda ha avuto inizio.

Firpo se ne sta in poltrona nella sua villa sulla collina torinese con la moglie Laura. Fa zapping in tv. Su Canale 5 una graziosa signorina intervista il padrone e ne magnifica le numerose virtù, fra cui lo sterminato bagaglio culturale: «Lei è anche un grande studioso dei classici…». Il Cavaliere si schermisce: «Ma no, non dica così…». E lei: «Sì, invece, non faccia il modesto. Lei, dottore, ha appena pubblicato un’edizione pregiata dell’Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino…». E lui: «Beh, in effetti il latino non lo conosciamo tutti, bisogna tradurlo…».

Firpo drizza le antenne. Anche perché ha da poco tradotto e commentato un’edizione dell’Utopia per l’editore Guida di Napoli. L’intervistatrice attacca a leggere la prefazione firmata dal Cavaliere. Dopo le prime due frasi, l’anziano studioso fa un salto sul divano: «Ma quella prefazione è la mia! È tutta copiata! Ma chi è questo signore? Ma come si permette?»

L’episodio mi verrà raccontato vent’anni dopo da Laura Salvetti, la vedova di Firpo, quando Berlusconi in una delle sue tele-esternazioni elettorali si descriverà in terza persona come un «presidente del Consiglio che si è nutrito di ottime letture e ha un curriculum di studi rilevantissimo».

Ecco il suo ricordo: «Quando Firpo scoprì in tv che Berlusconi aveva copiato la sua versione dell’Utopia, si attaccò subito al telefono per avere quel libro. Gli risposero che era un’edizione privata, in pochi esemplari, riservata all’entourage del Cavaliere. Ma lui, tramite l’associazione milanese degli Amici di Thomas More, riuscì a procurarsi una copia in visione. La sfogliò e sbottò: “Non è un plagio, è peggio! Quello ha copiato non solo interi brani della mia prefazione, ma anche la mia traduzione integrale dal latino, mettendoci la sua firma. Non ha cambiato nemmeno le virgole!”».

Così il professore prende carta e penna e scrive a Berlusconi, intimando di ritirare subito tutte le copie e annunciando che sporgerà denuncia. Qualche giorno dopo squilla il telefono di casa. È Berlusconi che cerca scuse puerili per placare l’ira dell’austero cattedratico. Il quale, sbollita la furia, si diverte a giocare al gatto col topo, minacciando di mettere in piazza tutto e trascinarlo in tribunale.

«Berlusconi — ricorda la moglie – incolpò subito una collaboratrice, che a suo dire aveva copiato prefazione e traduzione a sua insaputa. E implorò Firpo di soprassedere, pur precisando di non poter ritirare le mille copie già stampate e regalate ad amici e collaboratori. Firpo, capito il personaggio, cominciò a divertirsi alle sue spalle. Lo teneva sulla corda con la causa giudiziaria. E Berlusconi continuava a telefonare un giorno sì e un giorno no, con una fifa nera. Pregava di risparmiarlo, piagnucolava che uno scandalo l’avrebbe rovinato. Mio marito passava mezze ore al telefono col Cavaliere, e alla fine correva a raccontarmele, fra l’indignato e il divertito: “Sapessi quante barzellette conosce quel Berlusconi. È un mercante di tappeti,una faccia di bronzo da non credere, sembra di essere in una televendita” »

Il tira e molla si trascina per mesi. Anche con uno scambio di lettere, custodite negli archivi della Fondazione Firpo. E un biglietto autografo indirizzato alla signora, che l’ha conservato:

«Accompagnava un doppio regalo per Natale, credo del 1986. Nel frattempo Berlusconi aveva pubblicato un’edizione riveduta e corretta dell’ Utopia, senza più la prefazione copiata e con la traduzione di Firpo regolarmente citata. Ma Firpo seguitava a fare l’offeso, ripeteva che la cosa era grave e la stava ancora valutando con gli avvocati. Un giorno lo invitarono a Canale 5 per parlare del Papa e si ritrovò Berlusconi dietro le quinte che gli porgeva una busta con del denaro, “per il suo disturbo e l’onore che ci fa”. Naturalmente la rifiutò. Poi a Natale arrivò un corriere da Segrate con un bouquet di orchidee che non entrava neppure dalla porta e un pacco: dentro c’era una valigetta ventiquattr’ore in coccodrillo con le cifre LF in oro». Il biglietto d’accompagnamento è intestato Silvio Berlusconi, datato «Natale 1986» (ma l’ultima cifra è uno scarabocchio) e scritto a penna:

«Molti cordiali auguri ed a presto… Spero! Silvio Berlusconi». Poi una frase aggiunta a biro: «Per carità non mi rovini!!!». Ma Firpo continua il suo perfido gioco: «Rispedì la borsa a Berlusconi, con un biglietto beffardo: “Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma gli oggetti di lusso non mi si confanno: sono un vecchio professore abituato a girare con una borsa sdrucita a cui sono molto affezionato. Quanto ai fiori, la prego anche a nome di mia moglie Laura di non inviarcene più: per noi, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi… Non lo sentimmo mai più».

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(*)
Sempre doveroso ricordare (ah, la cronica smemoratezza!) la Disobbedienza moooolto Civile attuata da quel galantuomo qual’ è prof Tomaso Montanari in occasione di…..Si, di quell’ esibizione lagrimosa, più o meno falsa, di massa