di Pier Giorgio Pinna
C’è chi pone il problema della tempistica sui nuovi guai giudiziari per il presidente della Regione:
non sulla gravità delle imputazioni.
non sul silenzio di troppi media – soprattutto sardi – quando le stesse accuse per la prima volta vennero mosse anni fa;
non sulle omesse risposte di allora;
non sul fatto che quelle contestazioni non siano le uniche ma solo le ultime;
non sullo sfascio della sanità pubblica;
non sui passaporti anticovid Made in Capoterra;
non sui trasporti in tilt e la continuità territoriale a pezzi;
non sui generali (e miserevoli) fallimenti del centrodestra nel suo complesso.
In definitiva: niente, o quasi, viene rimarcato su una delle più penose giunte della storia autonomistica.
Al contrario appaiono tranquilli, anche in una situazione così allarmante, moltissimi politici e commentatori. Quelli che continuano a discutere solo di governabilità ante e post voto, di minimi accordi e di intese destinate a durare lo spazio di giorni.
E intanto quasi mai si parla di come i nodi storici di una Sardegna in agonia possano essere sciolti.
Nulla di nulla, pure da questo punto di vista, con poche eccezioni.
Non c’è da restare sorpresi, del resto. E nemmeno da meravigliarsi per la paura di cantare fuori dal coro prevalente.
È vero: alla vigilia dell’apertura delle urne è caduta l’ultima foglia di fico. Ma diciamocelo con franchezza: se fosse stato rieletto, magari a furor di popolo, che cosa avrebbe potuto fare Solinas di peggio rispetto a quello che ha già prodotto in questi cinque anni?