La Vita Piena di Arrigo Chieregatti

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di Ilaria Venturi       (bologna.repubblica.it)

“È sempre stato un viaggio verso l’ignoto, ma è stato possibile perché ci siamo incontrati e non ci siamo lasciati mai soli” ricordava Arrigo Chieregatti al suo 50° di sacerdozio.

Il prete che preferiva gli ultimi ai primi ha concluso il suo viaggio, anche se questa espressione non gli sarebbe piaciuta “perché è solo un passaggio all’altra riva del sé”, ripeteva, “dove potremmo incontrarci tutti senza differenze, là dove dio ci aspetta”.

Con lui se ne va un pezzo di storia della città e della chiesa bolognese, della sua anima conciliare, se ne va un maestro, un amico per i tanti che lo hanno conosciuto, per le centinaia di coppie che ha sposato, per i bambini battezzati diventati adulti, per chi ha accompagnato nella malattia e nel dolore, per i suoi studenti, per chi era in cerca di senso.

Arrigo Chieregatti non era solo il parroco a Pioppe di Salvaro, da 30 anni, esiliato in Appennino da una chiesa clericale che non lo capiva nel suo essere profetico. Era psicologo, monaco, pedagogista, attivista, professore universitario, era pranoterapeuta, cooperante, eremita. Un compagno di strada. Nel volume “Sulla strada della vita, ancora e sempre” che amici e parrocchiani gli hanno dedicato pochi mesi fa per i suoi 90 anni Matteo Zuppi scrive: “Se non mi lascio attrarre dal silenzio mai sarò in grado di ascoltarne la voce. Arrigo ha accettato questa sfida e l’ha vinta, come testimoniano i tanti frutti che ha donato nella sua vita”.

Il mistero, la ricerca del sacro, lì dove don Arrigo rompeva gli steccati della religione. Indicando la necessità di cambiare le rotte, l’esigenza di trasformare modi di pensare e stili di vita.

Studi classici, il seminario a Bologna, l’esperienza dei preti-operai in Francia nel 1959: comincia così il cammino di Arrigo prete. Nel 1962 monsignor Luigi Bettazzi lo vuole assistente diocesano della Fuci, successivamente Dossetti gli consiglia di prendere la strada dello studio, si laurea in Teologia a Milano, insegna Psicologia in seminario dal 1964 al 1968, poi si specializza in Psicologia religiosa a Lovanio.

Nel ’68 Arrigo condivide l’esperienza dell’abbé Pierre e delle comunità di Emmaus: far vivere i poveri con i rifiuti dei ricchi, una strada che si trasformò due anni dopo in dubbio (“mi chiedevo se era possibile e giusto”), un interrogativo che lo riportò a Bologna. Solo, dentro una chiesa che mal tollerava il suo agire “secondo la legge dell’amore e non dell’obbedienza”. Il “comunista”, quello che ospitava ex preti nella sua casa, l’originale dai lunghi capelli. Anni in cui don Arrigo lavora nei laboratori per disabili con don Saverio Aquilano, segue la direzione della rivista Jesus Caritas, organizza i viaggi in Algeria e, dunque, il deserto con Carlo Carretto, dove scrive il suo primo libro “Sulla strada” e dove impara “l’autonomia dall’autorità, la responsabilità, l’abbandono, il saper guardare il tempo che passa”.

Arrigo psicologo incontra lo psichiatra Franco Basaglia che lo volle in Veneto “perché qui sono ossessionati dal peccato”, lavora come psicoterapeuta presso l’Ausl, segue il Centro medico sociale per adulti psicotici gravi.

E ancora, dalla parte degli ultimi nel mondo. Ad Hanoi, in Vietnam, si occupa di bambini di strada, è responsabile di progetti europei di cooperazione in Cambogia e Laos, partecipa al Gruppo di Lugano, osservatorio sugli effetti della globalizzazione, con Bruno Amoroso, edita l’edizione italiana della rivista Interculture con l’associazione Dialoghi.

L’incontro con l’Oriente lo porta in India, suo il rapporto strettissimo con il benedettino Henri Le Saux, protagonista del dialogo tra Cristianesimo e Induismo, profonda è l’amicizia con il teologo e filosofo Raimon Panikkar. Una storia, la sua, che si racconta anche attraverso le amicizie con Arturo Paoli e con Bede Griffiths, altro grande interprete della sintesi tra Occidente e Oriente.

Il dialogo tra culture, l’incontro tra religioni, la meditazione: il tutto portato tra i monti dell’appennino, a Malfolle, nell’ashram della Trasfigurazione che ha fondato e guidato insieme a Luisa Bussandri.

E chi lo fermava, quel don che a Pioppe insegnava religione alla materna – ha formato schiere di educatori sulla scuola modello don Milani – portava i bambini del catechismo e i genitori in moschea, al campo nomadi, dagli ortodossi e dagli ebrei. Arrigo e i tanti viaggi dove era più che una guida, in Israele, Cina, Africa, sul monte Sinai all’alba del Duemila, a Varanasi, altra alba sul Gange, tra gli ultimi degli ultimi.

“Non sorprende – scrive il teologo Paolo Trianni – che nell’ambito di una stessa riflessione potesse citare san Tommaso e Ivan Illich”. La sua biblioteca è immensa, specchio della sua cultura. Ha scritto libri di commento ai testi sacri, letture spirituali, saggi, articoli. Indagava la dimensione del sacro attraverso i simboli, recuperava nella liturgia la potenza del rito, nei mistici e nei poeti individuava la chiave ermeneutica per leggere il mondo, predicare il Vangelo (le parabole e la loro poetica interpretazione), per capire la vita e la morte. Le sue omelie, che arrivavano ai singoli, che scardinavano alibi e comode certezze, sono raccolte in più volumi, l’ultimo s’intitola “Per amore, solo per amore”. La cifra del suo cammino e della sua fede.

Era in marcia a Sarajevo quando la città era assediata e sotto le bombe. “Smilitarizzare le culture”, scriveva. E non faceva sconti: “Non possiamo chiamarci fuori dalle decisioni dei nostri governi, non è vero che i nostri governanti hanno deciso la guerra senza di noi, sapevamo tutti che la nostra ricchezza vive sul commercio di armi, che l’Italia le produce: abbiamo mosso un dito? Non possiamo solo protestare o scandalizzarci quando bombardano. Che cosa credevamo, che tenessero lì le armi da vedere?”

“Dialoghi tra culture e popoli. Un uomo di pace – scrive la sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi – Nei momenti più bui il conforto più potente è stato il suo, unico nella capacità di sostenere il male altrui. Ciao immenso Arrigo”. Ricorda l’amico Alessandro Alberani: “Era la sua umanità e disponibilità il segno più grande: aveva per tutti una parola di conforto”. Il sindaco Matteo Lepore esprime il cordoglio della città ai famigliari, il fratello e il nipote, e alla chiesa bolognese: “Bologna perde una persona di grande umanità e valore da cui ha imparato molto”. E frate Benito Fusco lo saluta così: “È andato nel respiro di Dio”.

Il prete “apripista”, lo ricorda Matteo Zuppi, e per questo scomodo alle coscienze di tutti, il prete che ha anticipato la chiesa in uscita di Papa Francesco, comunque già oltre. “Un realista sognatore, un chiacchierone silenzioso – lo definì Canevaro – un radicato nomade, un digiunatore buona forchetta, un burlone serio, un impaziente che sa attendere”. Capace di vivere gli opposti e di accogliere, sempre, “perché non c’è un unico modello di fede, di speranza, non c’è un unico modo di amare”.

Condividere, era il suo invito costante, per portare a ridere chi piange, per non lasciare solo o indietro nessuno, per giocare con la vita, “come fa Dio con noi, perché questo significa amare”. E per accettare di “essere conquistati dalla verità”, per inseguire bellezza e visioni. Nell’incontro con l’altro. Senza insegnare, don Arrigo Chieregatti ha insegnato e indicato a tanti una strada. Da percorrere, “se vuoi, se vorrai” sussurrava. Con quel sorriso, dolcissimo, che mancherà.

Il “doveroso” bisogno d’incontrare e confrontarsi con l’ altro

Un’ intervista con la videocamera posizionata male ma con parole di grande saggezza 

 

La Vita Piena di Arrigo Chieregattiultima modifica: 2024-01-16T05:00:23+01:00da piero-murineddu
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