In ricordo di Mahmoud

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Io sorridevo felice

di Mahmoud Suboh

Avevo appena compiuto un anno, me lo ricordo perché stavo facendo i miei primi passi.

Mi ricordo che tutta la famiglia mi faceva il tifo: “Che bravo, vieni, vieni altri due passi. E c’erano le braccia e gli abbracci che mi attendevano.

Io sorridevo felice, cercavo di vincere le tante coccole. Mia madre mi stringeva al suo petto e mi infilava nel suo grembo: che bello il mio angelo.

Invece i miei fratelli grandi mi facevano ruotare sopra le loro teste. Avevo paura di cadere ma ero felice. Scordavo di camminare e chiedevo di farmi nuotare ancora nel vuoto.

Era bello camminare ed io non vedevo l’ora di correre. Volevo crescere in fretta e gareggiare con i miei fratelli. Loro erano già grandi, io invece crescevo e le mie gambe si facevano forti.

Era il mese di febbraio. Fuori c’era freddo e non si poteva correre, anche perché c’era il coprifuoco. Non capivo cosa volesse dire ma non si poteva uscire di casa.

Tutta la famiglia era raffreddata. Mia madre, povera donna, doveva occuparsi di tutti, faceva respirare i miei fratelli il vapore dell’acqua. Diceva che era la cura migliore per liberarei nasi ostruiti dal moccio ed anche io lo facevo, per solidarietà con i malati ma anche perché ero grande.

Dopo un giorno anche io avevo la tosse e scottavo come un pezzo di legno ardente. Ricordo che mia madre mi teneva nel suo grembo, spalmandomi una pomata sul petto per farmi respirare. Mio padre cercava di scherzare con me: “Dai che sei grande e domani ti svegli e gareggi con il vento”.

Io stavo male. Scottavo e la tosse sempre più noiosa non mi faceva dormire nonostante il grembo dei miei.Volevo fare due passi ma non riuscivo a vedere la stanza e cadevo come una foglia spinta dal vento.

– Marito mio, non mi piace. Il bambino sta male bisogna chiamare il dottore…

– C’è ancora il coprifuoco e non si può uscire di casa. Non permetteranno neanche all’ambulanza di passare. Domani se non dovesse migliorare, andrò a chiamare il medico, a costo di perdere la pelle.

Mio padre era uscito di nascosto a chiamare il dottore. Io mi sentivo di fuoco e sognavo di giocare sulla neve. Il dottore avevo detto, ed io capivo il senso anche se avevo la febbre alta: “È grave, bisogna portarlo subito in ospedale”.

All’ambulanza era vietato passare. C’era il coprifuoco e non bisognava ammalarsi in quei giorni. I miei genitori mi portarono, stretto al petto di mia madre a proteggermi dal freddo.

– Alt…alt…dove pensate di andare?

Mio padre supplicava e mia madre singhiozzava: “Per amore di Dio, per amore del cielo, nostro figlio sta male, fateci passare, ha bisogno dell’ospedale”.

Loro ridevano e respingevano indietro a calci e pugni mio padre che aveva osato uscire di casa. Due ore di discussione. Calci e pugni e minaccia di prigione. Mia madre piangeva e trascinava via mio padre.

– È finita! Maledetti israeliani! Maledetta occupazione! Maledetti, maledetti criminali, avete ucciso il mio bambino!

Io sentivo freddo, ero diventato un pezzo di ghiaccio. Non mi colava più il naso e non avevo più la tosse.Appena a casa mia madre mi avvolse in un lenzuolo bianco. Sembravo un fagotto nel suo grembo come quando avevo la febbre e mi lamentavo dal freddo.

Tutti piangevano. I miei fratelli strillavano soffocati dalla tosse.

– Alzati, cammina, cammina…non puoi andartene…

Dicono che ero diventato un angelo, ma io volevo rimanere con loro, volevo crescere, volevo gareggiare contro il vento, volevo dormire la notte nel grembo di mia madre, volevo essere portato dai miei fratelli, su a girare nello spazio a sfiorare le stelle.

Le loro lacrime erano calde e i loro lamenti mi facevano male. Perdonatemi il dolore che vi ho provocato.

In ricordo di Mahmoudultima modifica: 2024-01-29T16:05:54+01:00da piero-murineddu
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