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MACOMESTIAMOBENEINSIEME

di Piero Murineddu

Ero tentato di cercare un’immagine, frequente furbata per attirare e portare a leggere almeno una parte del post, ma ho rinunciato. Chi vuole leggere lo faccia, altrimenti vada tranquillamente altrove.

Oggi uno dei miei contatti feisbuchini ha pensato di pubblicare un elenco di caratteristiche per riconoscere una setta. Prevalentemente “religiosa”, logico. L’aspetto “mistico” è sempre intrigante e fascinoso.

Credo comunque che la tendenza alla chiusura, che facilmente si trasforma in integralismo (“siamo solo noi possessori della verità”), non avvenga solo in ambito di setta religiosa nel suo stretto significato. Più avanti sono elencati 30 punti. Penso che buona parte di queste caratteristiche interessino molti gruppi che perseguono degli obiettivi, anche partiti politici. Aderire ad un impegno comune ti mette in movimento e in discussione, ti da sicurezza, senso di appartenenza….Ma il rischio rimane. Sarà per questo che ho sempre fatto resistenza per aderire a questo o a quell’altro? Possibile. La libertà di pensiero è il bene più prezioso che mi è rimasto. Dubbi tanti, ma il marciare in fila per tre non è stato mai per me.

Leggeteveli questi trenta aspetti, e vedete voi se……..

 

CARATTERISTICHE DI UNA SETTA

 

1- Esiste un’organizzazione con struttura piramidale, con una catena di comando, subordinazione e obbedienza, con regole che devono essere rispettate e messe in pratica per non incorrere in una pena o in un’ammonizione.

2- È un gruppo totalizzante, che coinvolge quasi tutta la vita del membro.

3- Il leader del gruppo ha un alone speciale o una paternità/maternità nei confronti dei membri, che vedono in lui un rapporto con il divino.

4- Intervento dei leader in tutti o in quasi tutti gli aspetti della vita dell’adepto.

5- Assenza di forme democratiche, elettive o consensuali, quanto alla realizzazione dei compiti quotidiani del gruppo, che in genere dipendono fortemente dal gruppo stesso e dai suoi leader, dal creatore del gruppo e dall’assunzione di forme e maniere per svilupparsi che bisogna accettare e portare avanti.

6- Il gruppo ha una forte impronta religiosa.

7- Radicalità nel vivere le convinzioni, la dottrina e la disciplina.

8- Si tratta di un gruppo fortemente affettivo e autosufficiente per quanto riguarda le relazioni personali, il tempo impiegato nel gruppo e a volte gli aspetti legati alla sussistenza e all’alimentazione.

9- Le relazioni interpersonali dei membri sono quasi solo con membri del proprio gruppo, e quando si verificano con persone estranee in genere è sempre presente un membro del gruppo.

10- Esiste un controllo delle relazioni personali, familiari, amicali e con qualsiasi altra persona vicina ai membri. Non è possibile vedere i genitori, i fratelli e gli altri familiari quando si desidera, ma solo quando lo permettono le regole del gruppo.

11- Controllo delle attività, dei tempi, dei luoghi e dei momenti, dall’inizio alla fine della giornata, così come delle attività, dei lavori, delle occasioni ricreative, dei pasti e delle ore di sonno.

12- I membri vivono in comuni o comunità, e spesso non possono uscire dai “recinti” del gruppo.

13- Presentano una simbologia propria, con una spiccata differenziazione dal mondo esterno.

14- I membri spesso vestono in modo simile, il che funge da distintivo rispetto all’esterno.

15- I membri ritengono di trovarsi in un gruppo in cui si manifesta e si vive la verità.

16- I membri devono aprire la propria coscienza e le proprie esperienze intime al leader del gruppo o a persone scelte dal leader o dai leader.

17- Il gruppo utilizza regolarmente momenti di confessione personale di aspetti intimi della vita del soggetto sotto la supervisione dei leader o dei superiori della struttura o del gruppo.

18- Spesso l’adepto entra nel gruppo per insoddisfazione personale, per processi di ricerca, scontento nei confronti della società, delusione, ecc., trovando nel gruppo le risposte alle sue domande intellettuali ed emotive.

19- I membri spesso presentano una totale deviazione e una forte differenza nel modo di vivere e di comportarsi prima e dopo l’ingresso nel gruppo.

20- Nel processo di captazione, per quanto detto in precedenza, l’adepto che si trova nel processo di ingresso nel gruppo cambia amicizie, comportamento, interesse per gli studi e per il lavoro, a volte abbandonandoli.

21- Spesso l’ingresso nel gruppo avviene contro e malgrado i desideri dei genitori e dei familiari dell’adepto, che a volte tentano qualsiasi cosa per ostacolare questa decisione.

22- I membri ritengono di seguire un mandato o un ordine divino nella loro adesione e permanenza nel gruppo.

23- La permanenza nel gruppo e il fatto di vivere in esso sono fortemente legati alla salvezza.

24- Proselitismo o zelo di guadagnare altri membri alla causa, e che altri facciano parte del loro gruppo.

25- Recita di mantra, invocazioni, declamazioni o recita in modo ripetitivo, abituale e regolato.

26- Controllo del sonno e dell’alimentazione, che in determinati periodi dell’anno possono essere molto scarsi a livello di ore e calorie.

27- Controllo della comunicazione interna. A volte i membri non possono parlare liberamente tra loro o possono farlo in momenti determinati, o parlare solo con alcune persone e in modo ristretto.

28- Può esserci un controllo della corrispondenza e di altri canali di comunicazione.

29- Controllo della sessualità.

30- Il gruppo controlla le finanze. Il membro deve dare parte del proprio denaro al gruppo, o dipende finanziariamente da questo, e il denaro ottenuto nei rapporti lavorativi dal membro viene gestito dal gruppo stesso.

Quando la musica……

 

di Piero Murineddu

L’atmosfera iniziale la crea la tastiera di Jon Lord. Niente di eccezionale: la mano sinistra che forma quei tre accordi portati avanti fino al termine del brano, mentre chi lavora maggiormente è la mano destra, nella tastiera leggermente più in alto.

Anche i leggeri piatti di Ian Paice contribuiscono nella giusta misura.

Ian Gillan inizialmente entra con molta discrezione, per poi far sentire i suoi acuti in tutta la loro potenza e ottave alte non facilmente raggiungibili.

Nel mezzo, è la chitarra solista di Richard Hugh Blackmore che si occupa di esprimere tutta la forza musicale del brano, con quelle dita che scorrono sapendo bene quali tasti e corde premere. Lo spazio per esprimersi la chitarra lo usa al meglio, per poi lasciare ancora che sia la voce e gli acuti di Gillan a completare.

Quando ci si ritrovava in gruppo intorno ad una chitarra, noi giovani di allora difficilmente la inserivamo nelle nostre “scalette” estemporanee, proprio per l’impossibilità concreta di arrivare alle tonalità esageratamente alte di quegli acuti. Ci si accontentava dei soliti Battisti, De Andrè, Delirium e compagnia cantante. Possibilmente in italiano. Si, qualcosa anche in inglese, comprensibilmente parecchio pasticciato e molto, mooooolto approsimativo. È anche per questo che non si dava molta importanza al significato dei testi.

Poni il caso di questa, per esempio. Chiaro riferimento alla guerra infinita nel Vietnam, quando l’America e l’Unione Sovietica si giocavano a scopa il destino dell’intera umanità. E quegli acuti di Ian Gillan era proprio lo strazio dei tanti bambini trucidati in quella lunghissima guerra che volevano esprimere. Ascoltateli ancora quegli acuti, e ascoltandoli pensate ai tanti bambini innocenti che ancora oggi continuano a morire, magari dilaniati dai moderni e micidiali ordigni, costruiti e usati per volontà sempre degli adulti.

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CHILD IN TIME
DOLCE BIMBO

Dolce bimbo nel tempo tu vedrai la linea
la linea che è tracciata tra il bene e il male
Osserva l’uomo cieco sparare al mondo
proiettili vaganti esigono un tributo.

Se sei stato cattivo – Signore, scommetto che lo sei stato
e se non sei stato colpito dal piombo vagante
farai meglio a chiudere gli occhi e chinare la testa
Aspettando il rimbalzo del proiettile.

Dolce bimbo nel tempo tu vedrai la linea
la linea che è tracciata tra il bene e il male
Osserva l’uomo cieco sparare al mondo
proiettili vaganti esigono un tributo

Se sei stato cattivo – Signore, scommetto che lo sei stato
e se non sei stato colpito dal piombo vagante
farai meglio a chiudere gli occhi e chinare la testa
Aspettando il rimbalzo del proiettile.

In memoria di Giovanni

di Piero Murineddu

Dai, ammettilo, Giovà, ti è venuto il sospetto che stessimo scordando che in questi giorni di due anni fa stavi lottando con tutte le tue forze per rinviare ancora di qualche anno il momento del Grande Passaggio. Cosa vuoi, potresti avere anche ragione. Siamo presi talmente dalla ripetitività dei giorni, che forse non pensiamo neanche, o più verosimilmente non vogliamo pensare, che per ciascuno di noi quel Momento verrà.

Certo che per te è stata dura, molto dura. Quanti momenti, quante ore della notte trascorse immaginando te in quel letto d’ospedale, completamente intubato e dipendente da macchinari che ti permettevano le principali funzioni vitali. Infermieri e medici che amorevolmente e con grande professionalità si prendevano cura di te. I tuoi amati figli Marco e Matteo insieme alle amatissime Gavina e tua mamma, il tuo affezionato fratello Antonello, i tuoi suoceri, i tuoi amici e i tanti che ti hanno voluto bene…..

Tutti fuori da quella tua stanza di sofferenza, pregando e sperando che quel calice amaro ti fosse risparmiato. Così non è stato, purtroppo. Ci manchi Giovà. Siamo distratti, lo so, ma ci manchi tanto. Non abbiamo idea in quale Misteriosa Dimensione tu possa trovarti in questo momento. Rimane tuttavia la certezza che quel legame pieno d’affetto che ci ha tenuti insieme rimarrà, e il Tempo non può far nulla per impedirlo

 

Le parole che in quel triste giorno ti dedicava mia moglie…

Carissimo Giovanni

di Giovanna Stella

Carissimo Giovanni, quest’oggi ci siamo ritrovati in tanti per darti un ultimo abbraccio e per accompagnarti verso il Grande Viaggio.

La Tua vita, come quella di tutti noi, è stata impegnativa e a volte faticosa.

Tu, uomo forte, mite e disponibile, hai sempre affrontato tutto con coraggio, meravigliando tutti per la tua invidiabile calma.

La tua fede in Dio è stata sempre in crescita, e la preghiera era diventata ormai il tuo pane quotidiano.

I tuoi occhi risplendevano quando con le parole e con i gesti manifestavi la bontà di Gesù.

Che grande dolore per il tuo distacco!

In questi undici giorni del tuo calvario, la fede di tua moglie e nostra amica Gavina ha dimostrato che possiamo abbandonarci totalmente all, Amore di Dio, qualsiasi cosa ci capiti.

Abbiamo pianto, sperato,pregato…..

L’idea che la tua possibile morte sarebbe stata
la fine di tutto quello che sei stato, ci lasciava attoniti e confusi.Ma Gesù ci ha detto che la morte è la porta che ci conduce alla Vita Vera, e noi vogliamo crederlo.

Carissimo Giovanni, ci piace considerarti un “guerriero” della luce, della pace e dell’amore di Dio.

In un modo che ancora a noi non è dato conoscere,
ma sicuramente più libero e più pieno, continuerai ad amare la tua Gavina, i tuoi Marco e Matteo…..

Continuerai ad essere presente anche in tutti noi.
Ringraziamo Dio Padre per aver conosciuto un uomo
semplice e straordinario come tu sei stato.

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Un abbraccio Giovà

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di Piero Murineddu

Dai, ammettilo Giovanni: ti è venuto il sospetto che stessimo scordando che in questi giorni di due anni fa stavi lottando con tutte le tue forze per rinviare ancora di qualche anno il momento del Grande Passaggio. Cosa vuoi, potresti avere anche ragione. Siamo presi talmente dalla ripetitività dei giorni, che forse non pensiamo neanche, o più verisimilmente non vogliamo pensare, che per ciascuno di noi quel Momento verrà.

Certo che per te è stata dura, molto dura. Quanti momenti, quante ore della notte trascorse immaginando te in quel letto d’ospedale, completamente intubato e dipendente da macchinari che ti permettevano le principali funzioni vitali. Infermieri e medici che amorevolmente e con grande professionalità si prendevano cura di te. I tuoi amati figli Marco e Matteo insieme all’amatissime Gavina e a tua mamma, il tuo affezionato fratello Antonello, i tuoi suoceri, i tuoi amici e i tanti che ti hanno voluto bene…..

Tutti fuori da quella tua stanza di sofferenza, pregando e sperando che quel calice amaro ti fosse risparmiato. Così non è stato, purtroppo. Ci manchi Giovà. Siamo distratti, lo so, ma ci manchi tanto. Non abbiamo idea in quale Misteriosa Dimensione tu possa trovarti in questo momento. Rimane tuttavia la certezza che quel legame pieno d’affetto che ci ha tenuti insieme rimarrà, e il Tempo non può far nulla per impedirlo.
Un abbraccio Giovà

La nostra Nuccia

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di Piero Murineddu

Ottantaquattro compiuti lo scorso 24 gennaio. L’ho trovata In ottima forma stamattina, andato a restituirle dei libri che mi aveva dato in prestito. Sempre un grande piacere entrare in questa casa museo di via Farina, a manu drestha azzendi. Gia il suono provocato da quell’antico battente sul largo portone mi introduce in un tempo che sembra cocciutamente essersi voluto fermare. Pavimento, scale, muri, mobili….. Anni e anni di uso che non li ha per niente cambiati. Eppoi i quadri e le sculture del grande artista qual’è stato “zio” Giuliano, come affettuosamente lo nomina Nuccia, nipote di Leonardi, il riservato artista che ha trascorso quasi l’intera sua vita a Roma.

Come sempre ormai so che succede, vado per stare dieci minuti che puntualmente diventano due ore. Domande, risposte puntuali, ricordi, racconti……

Come la vicenda della statua dell’Immacolata in bronzo posizionata nella parte che sovrasta la facciata di Santu Pantareu, realizzata coi soldi dei sorsesi da Giuliano e pensata per essere messa sopra una colonna nei pressi della stazione ferroviaria. L’artista aveva preso male la decisione di metterla invece sopra il grande orologio. Si, quello sempre fermo che ancora si vede. Il metro e sessanta centimetri della statua neanche si vedevano dalla strada. Stiamo parlando del 1950. In seguito era stato don Giovanni Manca a farla mettere nell’attuale posizione, sicuramente più visibile.

Tutto raccontato con documenti originali e foto alla mano. Una buona custode della Memoria la cara Nuccia, e non solo dello zio artista.

Anche oggi ha voluto che vedessi con quanta cura si occupa del suo giardino, sempre fiorito in tutte le stagioni. Il ferro dentro il braccio sinistro, dovuto ad una caduta che poteva costarle la vita, non le impedisce di usare ancora la sua zappetta e il seghetto che ha ben legato all’estremità di un lungo bastone. Nuccia voleva darmi parte della frittata con carciofi e cipolle frullate, il suo pranzo, ma le ho detto che non era il caso e che la prossima volta il suo caffè preparato con la massima cura lo berrò volentieri. Uno dei tanti vasettini e bottigliette pitturate da lei non ho potuto rifiutarlo, accettandolo molto volentieri: “Dallo a Giovanna e portale i miei saluti”.

 

La storica partita di “fuba” tra Sossu e Inghilterra di lu dui abriri 1944

 

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di Piero Murineddu

Nell’introduzione che Nicola Tanda, docente unversitario e direttore della Editrice Democratica Sarda (EDES), impegno portato avanti sino al suo decesso e presso la quale son stati pubblicati i due volumi “Ammenti” di Andrea Pilo, scrive  all’altro lavoro dello stesso autore, “La Zimbonia di Santu Pantareu“, a proposito di questo episodio della partita di Sossu contro (udite udite) l’Inghlterra:

“Durante la seconda guerra mondiale, anzi proprio alla fine, quando gli Alleati angloamericani erano sbarcati in Sardegna, tra le truppe di occupazione, che avevano stanza a Sorso, vi erano alcuni giocatori della squadra nazionale di calcio inglese, che erano stati mandati nelle retrovie, proprio per salvaguardare alla nazione un patrimonio così prezioso. I giovani sorsesi di allora avevano una straordinaria passione per il calcio e, nel campo “Madau” che era stato ridotto dai militari ad una specie di campo trincerato, si allenavano con loro. Non fu difficile familiarizzare e venne organizzata con i giocatori inglesi una partita, come si dice oggi, amichevole. Per dare più risalto all’avvenimento, del tutto insolito, venne fatto stampare e affiggere a Sassari, a Porto Torres, ad Alghero e dovunque fu possibile, un manifesto dove spiccava a grandi caratteri la dicitura “Incontro di calcio Sorso – Inghilterra”. Un fatto e un gesto che è rimasto memorabile, certo in qualche misura veritiero, ma non al punto di contrapporre il Sorso alla Gran Bretagna. Ma di questa sostanza un po’ enfatica, certo strafottente e un bel po’ megalomane, erano fatti gli abitanti che hanno in San Pantaleo il loro patrono”

L’intero testo di Nicola Tanda lo trovate qui:

La “Zimbonia”, l’ipagliosumini sussinca e altro

Ma v’immaginate leggere sui muri di Sassari, di Porthuddorra e di chissà inì, Sossu contro                    l ‘Inghilterra, una delle nazioni che contribuì a liberare gl’italiani che anni prima acclamavano l’Uomo della Provvidenza, dal suo governare col manganello e olio di ricino, ma messo sull’attenti  dall’altra simpaticona e feroce soldataglia mossa dai fili manovrati da quel pazzo furioso di Adolfo, l’imbianchino austriaco? Non sembrava vero a li sussinchi, megalomani per tradizione. Leggete la cronaca che ne fa ziu Andria, che addirittura era il portiere della compagine sussinca. Due soli palloni sono entrati nella sua rete. Chissà quant’iffasciaddi si è preso per non farne entrare altri. E bravo Andrea.

Guardate, sono talmente tante le cose che vorrei rilevare, che non so manco quale scegliere.

Solo una, va, e così evito anche di farla lunga, ché stamattina non ho neanche voglia.

“Per salvaguardare alla nazione un patrimonio così prezioso”, scrive Nicola, che tra l’altro era uno degli organizzatori. Lo stesso Andrea dice che erano stati mandati in Sardegna per essere lontani dal rischio di lasciarci la pelle in zona di guerra. Il riferimento è ai giocatori della nazionale inglese, “patrimomio prezioso” che bisognava salvaguardare.

Non so se avete capito dove voglio andare a parare. La mia parrebbe la solita “inutile” polemica che dei non protetti, delle persone ichisi qualsiasi che non sono nessuno, se ne può fare quel che pare. Padri di famiglia, giovanotti che hanno una vita davanti. Persone che non rappresentano nessuno. Dei numeri, delle pedine, che se cadono, saranno sostituite da altre pedine più o meno identiche. Il “patrimonio”, quello si che bisognava mettere al sicuro! E del “patrimonio” naturalmente facevano, fanno parte i generaloni, i politiconi che decidono i destini dei popoli con le loro manovre. Questo nell’ambiente militare, certamente ed innegabilmente. Ma anche nella cosiddetta società “civile” le cose non è che cambino più di tanto:

a soccombere sono sempre i meno protetti, chissà chi no so nisciunu.

Q

Da qui tutta la miserevole corsa di tanti per entrare nelle grazie del potente di turno, sia esso galantuomo o mascalzone.

Finisco. Andrea Pilo era del ’24, 13 febbraio. Son certo che starà festeggiando con gli amici di un tempo, quei giocherelloni e pizzinni pizzoni che a Sossu avevano avviato il giornale satirico “Lu Siazzu“, fermatosi al primo numero per mancanza di dinà. Avevo messo qualcosa al riguardo su questo blog, se la memoria non m’inganna. Eventualmente, ne riparlerò.

Auguri , zi’Andrì.

Non c’è bisogno di dirle di andarci piano col bicchiere, astemio com’è sempre stato.

 

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Questa la traduzione

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La buttrèa di zia Battisthina

 

di Piero Murineddu

A dire la verità, non ricordo se ho gia pubblicato questa paginetta di ziu Andria Piru. Nel caso, se ne avete voglia , ve la rileggete o fate quel che vi pare. Tenendo i due volumi di “Ammenti” sul comodino, ogni tanto li sfoglio, cosa che ho fatto ieri sera, invece di starmene ad incazzarmi davanti al Festival delle Mummie. Ed è proprio su questa che mi son soffermato, ricordando che alcune settimane fa una giovane di Sorso, avendo avviato con la madre e il fratello una salumeria a Sassari, mi chiedeva consigli su come creare quell’ambiente e quell’atmosfera delle vecchie buttrei di una volta, dove ancora avvenivano incontri “umani”, a differenza dei supermercati di oggi, dove, oltre averli studiati per benino per indurti a comprare ciò che non ti serve, il personale  raramente regala sorrisi e cordialità, stressato forse com’è dal tipo di attività e dall’obbligo di dover turnare anche nelle giornate festive. Non parliamo poi di chi sta alle casse, che stravolti da quei bip bip continui, probabilmente è tentato di prendere a schiaffoni i clienti, così, giusto per sfogarsi.

Ancora qualche negozietto resiste. Rarissimo ma qualcuno c’è. Certo non vi si trova più l’atmosfera (e la mercanzia!) di un dì, ma qualche sorrisino è ancora possibile intravederlo di tanto in tanto, cosa non da poco in questi glaciali tempi di “Grazie e arrivederci ” stampati sugli scontrini e di risposte “metalliche” e frettolose quando non riesci a trovare una vitina che chissà in quale scaffale e corsia si è andata a ficcare.

Leggiamoci la bella descrizione che ziu Andria ci fa del negozietto ch’era vicino alla casa paterna, credo la stessa dove ha abitato lui fin quando era in vita, in via Mogena a Sossu.

Magari la giovane interessata a ricostruire idealmente la vecchia buttrea può trarre spunto, anche se, e lo garantisco per esperienza diretta, la gentilezza e la giusta attenzione che ci si aspetta quando vi si entra, in quel negozietto di via Amendola a Sassari c’è gia abbondantemente.

 

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La foto l’ho scovata in Rete mentre il testo che segue è sempre tratto daAmmenti” di Andrea Pilo

 

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“La Zimbonia” e l’invito di Gianfranco Sias a recuperare un’identità che va perdendosi

di Piero Murineddu

Come qualcuno saprà, l’opera letteraria dell’indimenticato  Andrea Pilo, professore di disegno, appassionato d’arte pittorica e corrispondente di qualche giornale sportivo nazionale, non si è limitata alla produzione dei due preziosi volumi sugli “Ammenti” (Ricordi) di Sorso, da cui di tanto in tanto traggo qualche pagina per presentarla all’attenzione dei miei concittadini, giovani sopratutto. Incoraggiato dall’amico pittore Ausonio Tanda, negli anni ottanta iniziò ad elaborare l’idea di contattare diversi artisti, proponendo loro di raffigurare la “zimbonia” di Sossu, ovvero la grande cupola della prima chiesa parrocchiale del paese romangino, situato a pochi chilometri dal mare, sul golfo dell’Asinara. In 28 risposero al suo invito, e nel 1999 Andrea riuscì a dare alle stampe il volume, fatto da diverse raffigurazioni del soggetto proposto e realizzato secondo la sensibilità e tecnica di ciascuno. Ogni opera è lo stesso Pilo a recensirla.

Credo che il libro sia ancora reperibile presso l’Editrice Democratica Sarda (EDES)

 

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Interessante la presentazione fatta da un altro dei fratelli Tanda, Nicola, anch’egli amico  del curatore del libro. In questa occasione voglio tuttavia fermare l’attenzione su quanto un altro studioso sorsese, Gianfranco Sias, ha scritto a conclusione.  Diversi i passaggi del pensiero di Sias che ritengo particolarmente rilevanti. Mi preme dire solo che in quello che andiamo a leggere,  tra le righe mi pare di leggervi la richiesta e l’urgenza di recuperare un’identità che col tempo sembra venuta meno, come parrebbe venuto meno il senso di appartenenza e di solidarietà vera che va oltre le semplici e comode parole ma che son le sole capaci di far sentire uniti in dei valori comuni che portano a riconoscersi negli altri e non al contrario sfuggirli, come vari segnali indicherebbero.

 

Sul volume “La Zimbonia” ma anche sugli abitanti di Sorso

di Gianfranco Sias

Quando, alla fine del 1990, il professor Pilo mi parlò dell’intenzione, che cullava da anni, di realizzare questo lavoro. non riuscivo a capire il perché di tanta risolutezza e della altrettanta passione che lo legavano ad esso. Ad esser sinceri, pensai ad una sana componente narcisistica, in un uomo la cui passione per l’arte, e la competenza pittorica avevano una necessità psicologica di essere mostrate “al resto del mondo”, ad un ambito sociale, cioè, che non fosse la cerchia ristretta degli appassionati-amici che gli stavano accanto.

Mi sono accorto in seguito, con l’andar del tempo ed imparando a conoscerlo, di quanto fosse invece piu complessa l’operazione che aveva in animo: sia da un punto di vista strettamente personale sia per il respiro sociale che essa conteneva.

Come dice Nicola Tanda, professor Pilo è davvero istrhavaganti che lu poipu, come è davvero un vero sorsense nell’animo, di quelli di qualche generazione fa. per i quali essere sussinchi era motivo di orgoglio, un orgoglio che li legava passionalmente al paese, alle loro radici ed a tutto ciò che da queste radici cresceva, fossero esse cose o uomini. Di queste radici egli ha amaro sicuramente un uomo, a cui questo libro è dedicato, ed una cosa, la “Zimbonia” che del libro è la indiscussa protagonista. Quell’uomo, Ausonio Tanda, grande pittore e sussincu passionale, anch’egli in una intervista alla “Nuova Sardegna” del 24 febbraio 1979 affermava: “Sono di Sorso, perciò un po’ stravarante… siamo gente straordinaria”.  Ausonio è stato l’accompagnatore ed il sostenitore più convinto di quanto professor Pilo ha portato a compimento, con puntiglio, certamente per non lasciare inappagato il desiderio dell’amico e per onorarne, nel modo più appropriato, la memoria. Perché anche questo è essere sorsensi, essere legati passionalmente agli amici, quelli veri, in maniera quasi vincolata e vincolante nel rispetto e nell’affetto durante la vita ed oltre.

Quell’affetto che i sorsensi di un tempo nutrivano per il paese e ser tutto ciò che lo rappresentava: quella cupola che lo rendeva importante, che era il simbolo di un tessuto sociale un tempo forte unito ed oneroso che, purtroppo ha lasciato poche tracce nelle nuove generazioni ma è semere forte e presente in chi quel tempo ha vissuto.

Ci sono, insomma, la rappresentazione della “madre” e la presenza del “fratello” in questo libro, che non è però il frutto di sola passione ed appagamento personale, così come non è un atto civettuolo e narcisistico, come impropriamente ho pensato.  Non è solo un atto d’amore verso qualcosa e qualcuno che, sfortunatamente, non c’è più. È anche uno sforzo per ridestare uno spirito che si sta assottigliando, se non si è già assottigliato. Lo spirito di un paese, come luogo sociale, e delle persone che lo compongono.

Da studente mi sono spesso fermato a riflettere su questo paese: mi appariva – ma appare, purtroppo, ancora – senza storia, o meglio fuori da essa. Mi appariva incolto e senza interessi. senza cultura e. soprattutto, fuori da essa.

Ma non è così. Sorso ha una sua storia, forse una non piccola storia, che stiamo scoprendo oggi e che altri conoscono meglio di noi. Basta girarsi attorno e dalle “macerie emergono le tracce di un passato storicamente ricco, tutto da seguire e da scoprire ma estremamente evidente in ciò che ha lasciato: domus de janas, resti romani e medievali, tracce di antiche chiese, il palazzo baronale, la chiesa di San Pantaleo coprono un arco di tempo e di storia imponente.

Sorso ha anche una sua cultura che va riscoperta, che è materiale ed intellettuale ad un tempo: è la cultura dei sorsensi nel produrre e nel commerciare i prodotti della terra – nessuno era bravo come i nostri agricoltori nell’innestare le viti e gli ulivi; e i suoi prodotti erano tali da renderlo il centro più importante per il commercio degli ortaggi e dei legumi (ricordo ancora quando la vendita all’ingrosso dei piselli e delle fave avveniva nello spiazzo di fronte al vecchio mercato – anch’esso chiaro esempio, ormai perso, di architettura liberty – dove convenivano i commercianti di tutta la provincia) – e pochi paesi hanno dato i natali ad intellettuali ed artisti riconosciuti fuori dell’isola e che solo i giovani concittadini non conoscono. Credo che le “risorse e l’ingegno” di professor Pilo avessero anche questo traguardo, di riavvicinare, attraverso le interpretazioni pittoriche della Zimbonia, i giovani alle tradizioni del loro paese, con un’operazione culturale che coinvolgeva artisti “continentali”, sardi e sorsensi, affermati e meno affermati, come termini di paragone artistico e culturale, nel tentativo di rinverdire una tradizione che Sorso ha avuto, come “manifesto” da guardare ed introiettare da parte delle giovani generazioni e dal quale trarre insegnamento.

ALLA FINE IL CAPITAN ACHAB LA RIVINCITA L ‘HA OTTENUTA

 

di Piero Murineddu

Tanto se n’è scritto e ancor più se n’è parlato, vicino e lontano i limitati confini fisici di un lembo di spiaggia romangina che per troppo tempo ha ospitato i resti di una povera balena, ormai in via di putrefazione, che giammai avrebbe voluto attirare su di sé le attenzioni penosamente spettacolari di tante tv e scatti fotografici, oltre che mettere in evidenza le immani incapacità dei nostri politici locali di affrontare con celere buon senso un evento purtroppo ricorrente, ovvero la moria dei giganti del mare.

Un nostro giovane e bravo musicista di Sorso, Carlo di nome e Cabras di cognome, ha immaginato che il capitan Achab, personaggio del romanzo Moby Dick scritto da Herman Melvillesia, è riuscito infine a vendicarsi, anche se non per merito suo, del cetaceo per colpa del quale aveva perso la gamba. Magra soddisfazione la sua, ma intanto il Fato si è compiuto, seppur nel modo più miserevole per tutti i protagonisti, quelli immaginari del libro e quelli reali delle tonnellate di carne putrefattasi sulla spiaggia sussinca, per il cui scheletro ricostruito per la “gioia” dei turisti, gli amministratori della bisastrata Sossu si stanno gia predisponendo per staccare il biglietto. A pagamento, ovvio….. ad Achab, il vendicativo capitano, no. A lui il biglietto lo daranno gratis.

 

Scrive Carlo a presentazione del suo video:

“Tanto si è parlato della “balena spiaggiata ” nelle spiagge i Sorso,ma pochi sanno che in realtà è solo una metafora…un romanzo…che racconta dei nostri giorni in cui davanti a certe tragedie tutti si dileguano, perché nessuno vuole prendersi carico del bene, o meglio solo del proprio…e si passa di mano in mano, per poi restare lì.. abbandonati come la povera balena. Provo a raccontarvelo nel mio stile, attraverso la musica…il capitano Achab era così ossessionato dalla vendetta contro Moby Dick da sacrificare la propria stessa vita per ucciderla, pur fallendo… ma ai giorni nostri, sulle nostre spiagge forse ha trovato vendetta.”

 

Ascoltate i begli accordi prodotti dalle dita di Carlo ed i suoi melodiosi vocalizzi finali.

 

Bere acqua dal rubinetto? Eia, si si, come no….

di Piero Murineddu

Ma, Santa Madonna di Noli Me Tollere, ma da quand’è che si dice di lasciar accatastate le bottiglie di acqua nei supermercati, che tra l’ altro spaccano la schiena per trasportarle, e di bere acqua di rubinetto, quella pagata profumatamente?

Ma insomma, volete prenderci veramente tutti per il culo o cos’altro?

Ci ritenete stupidi?

Lo siamo.

Ignoranti e imbecilloti?

Idem, lo siamo eccome.

Ma voialtri siete un’immensa organizzazione a delinquere, gestori dell’acqua pubblica, amministratori, governanti di ogni specie.

Ma come, ci dite di attacccarci al rubinetto, e dieci volte si e due no ci ritroviamo l’acqua di colore sospetto e abitata da miliardi di micidiali microrganismi che bevuta dopo bevuta ci accompagnano, ben composti dentro una bara, inesorabilmente e incazzatissimi al cimitero?

Ma insomma, quest’acqua potabile volete darcela o no, come ci spetta di diritto?

E poi, questi distributori automatici di acqua a pagamento, con tanto di autorizzazione comunale, che caspiterina sono, se l’acqua di rubinetto PER LEGGE è (dovrebbe essere!!) potabile?

E queste bollette stratosferiche, a costi di acqua bevibile e sana, con minaccia che se non paghi entro la data indicata non so di quanto te la fanno pagare?

Ho in archivio un immenso elenco di parolacce, ma questa volta ci rinuncio.

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ttp://www.lastampa.it/2018/02/02/scienza/ambiente/focus/basta-bottiglie-di-plastica-bevete-acqua-del-rubinetto-6zOkXAbguSF4ggXEkSBiXO/pagina.html