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Francescone e il suo carcadè contro il bruciore di stomaco

di Piero Murineddu

“Com’erano i rapporti con tuo padre’” chiede l’intervistatore. “Poca roba. Era un tipo taciturno. Era stato in un campo di concentramento ma di questo preferiva non parlarne. Non è mai venuto ad un mio concerto, e del mio successo se n’è sempre fregato”. E’ un passaggio dell’intervista che Guccini ha rilasciato nei giorni scorsi ad un giornalista di “Repubblica”. Settantasett’anni lo scorso 14 giugno, lo stesso giorno in cui è nato il “Che”, che Francesco ha cantato in almeno due suoi brani.

E’ il primo dell’anno quest’oggi. Siamo a metà mattina e dalla strada non sale nessun rumore. Dopo il mio atteso caffè, “corretto” con un piccolo frammento di cioccolato, son sceso a pulire la stufa alla mia vecchia suocera e le ho scaldato il latte. Tutto fatto con la massima calma e cura.

I cani. Si, loro pretendevano la mia attenzione, ma voglia di dedicarmi a loro neanche a parlarne. Una carezza a ciascuno è stata più che sufficiente.

Ieri sera tardi son stato molto bene. Oltre le mie musiche rilassanti, mi ha fatto piacevolissima compagnia leggere due interviste che il vecchio Guccio ha rilasciato a distanza di dieci anni una dall’altra. Festeggiamenti di fine anno? No, non sono il tipo. Una volta non era cosa rara che fossi io stesso ad organizzarli, in campagna o in qualche casa privata. Ora vi sono anche queste attrazioni di grandi nomi che riempiono le fredde piazze serali di San Silvestro, ma, appunto specialmente per il freddo, non sono cose che mi attirano. Una volta ci ho provato, ma per la sguaiata e festaiola calca umana son stato costretto a far visita all’ambulanza soccorritrice, per cui…….

Non è più tempo per me  fare  cose per costrizione e non ho da rispondere a nessuno di certe mie scelte, per quanto possano apparire “strambe” a certuni molto perfettini e ben integrati nel vivere sociale.  Con mia moglie Giovanna abbiamo raggiunto un equilibrio anche in questo. Lei e nostra  figlia da amici per festeggiare, con buona pace per tutti.

Dicevo delle due interviste al vecchio e caro Francesco. Diciasette anni che vive in un paesetto tra gli Appennini. Di prendere in mano  chitarra in mano manco a parlarne, dopo averlo fatto, con passione e fruttuosamente, per un’intera vita. Ora scrive con l’obiettivo di mettere insieme dei libri, l’impegno che lo assorbe maggiormente. Leggere è parecchio che non lo fa, a parte qualche quotidiano che gli porta giù dal basso un vecchio amico d’infanzia che legge  – pensate un po’ – “Il Giornale“. A proposito, chissà se è ancora vivo e se continuano a far finta di bisticciare……

Quel bruciore allo stomaco lo disturba, ma cerca si attenuarlo con una tisana di carcadè, che sembra faccia effetto. Lo immagino impoltronato davanti al caminetto con la fiamma bella viva, accarezzando l’affezionato e discreto gatto, rispondendo alle telefonate degli amici e col taccuino vicino, pronto ad annotare qualche concetto che gli viene in mente e che potrebbe sviluppare meglio al momento opportuno.

Poca roba” il rapporto col babbo, come leggerete nell’intervista dei giorni scorsi. Più affettuosa la madre, come capita il più delle volte, ma anche a lei, del successo del figlio non è che importasse granchè. Mentre i suoi concerti iniziavano ad attirare folle di tutte le età, ai genitori sicuramente importava molto di più vedere il proprio figliolone sereno, in salute e possibilmente felice. Quello che alla fine interessa. E noi genitori lo sappiamo bene, almeno quelli che  in prima persona hanno praticato e  considerato  certi valori più importanti ed essenziali.

Tanti passaggi di queste due interviste che mi fanno sentire Francesco ancora più vicino di quanto l’ho sempre sentito attraverso ciò che ha cantato. Leggile con attenzione. Sono certo che ne trarrai giovamento. Intanto per questo nuovo anno che si avvia ti auguro principalmente buona salute fisica. E anche mentale. Non è cosa semplice oggi riuscire a conservare uno stabile  e sano equilibrio, con  la violenza e l’aggressività nei rapporti che stanno rischiando di prevalere sul rispetto e la fiducia che si deve al prossimo, e di conseguenza a se stessi.

Buon anno, di pace e di lotta

 

ps Bisogna che ricordi di procurarmi questo carcadè……..

 

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«Bisogna resistere alle tentazioni inutili e dispersive, al degrado, allo svuotamento”

intervista di Antonio Gnoli  per “La Repubblica” del 31 dicembre 2017

Gli ultimi fuochi sono quelli che bruciano più lentamente.
Ricordo a Francesco Guccini un paio di nostri incontri persi nel passato. Ha l’aria svagata. E bruciori di stomaco che attenua con il carcadè: «Bevanda coloniale», ironizza. Come il chinotto, aggiungo. Siamo in cucina. Nella sua casa. A Pavana. Siamo alla fine di una storia. «Dove ci siamo visti?», chiede. Gli cito le occasioni e i luoghi. «Ah», fa lui e accarezza il gatto con svogliata tenerezza. È cortese, un po’ assente: «Sono tre mesi che non fumo e dieci anni che non leggo», dice trattenendo
un’imprecazione. Pavana mi sembra lo sputo di un angelo tra due ali di Appennini.

Perché hai scelto di ritirarti a vivere qui?

«È l’ultimo luogo della mia resistenza: un paese che è stato infanzia e sogno, durezza e forza. Mi sembrava appropriato sceglierlo come il punto di approdo di tutta una vita».

Parli di resistenza, ma in che senso?

«Bisogna resistere: alle tentazioni inutili e dispersive; al degrado; allo svuotamento. Ma non sono qui per espiare, sono qui per testimoniare che è ancora possibile scegliersi una vita a misura».

Il rapporto con il paese com’è?

«Direi buono: nessun assillo, nessuna pretesa di eleggermi a gloria locale. Un tempo, all’inizio del Novecento, qui vivevano settemila persone, ne sono rimaste poco meno di millecinquecento. Il paese si è svuotato. Pochi giovani. Pochi sogni. Poche prospettive. Un tempo qui venivano a villeggiare. Oggi la gente si vergogna di posti così. La cosa più desolante è il fiume qui sotto. Era pieno di vita; ma oggi non ci va più nessuno. Ma lui se ne frega e continua a scorrere lento. C’è solo un airone cinerino che ogni tanto vola a pelo e poi si pianta in mezzo. Impalato nell’acqua, come un assurdo segnale di tristezza».

Sei nato a Pavana?

«No, i miei nonni ci vivevano. Sono nato a Modena. L’estate venivamo qui a villeggiare. A Modena sono rimasto fino a vent’anni. Nel 1960 ci trasferimmo a Bologna. Mio padre che era impiegato alle poste approfittò di un’offerta di lavoro. E portò la famiglia con sé».

Come erano i rapporti con tuo padre?

«Poca roba. Era stato in un campo di concentramento a Ravensbrück vicino ad Amburgo. Non amava parlarne. Seppi in seguito che con lui c’erano stati Giovanni Guareschi e Gian Enrico Tedeschi. Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo».

Anche la vita del cantante?

«Mi ha sorpreso quando accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Io non l’ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo».

Anche tua madre stessa linea di comportamento?

«Meno drastica. Lei una volta venne a sentirmi cantare. Mi esibivo a Porretta Terme, a pochi chilometri da qui. Nessun commento, nessuna emozione».

Quando hai cominciato a cantare?

«Mi pare nel 1964, o giù di lì. Fu il mio primo contratto di centomila lire al mese. Ora mi viene in mente l’unico commento di mio padre: quanto durerà? Sai, era un uomo abituato a dare del voi a mia nonna. La mia musica non era il suo mondo».

 

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Da Guccini, incontro con il militante della musica

 

di Maurizio Corte    da “Bresciaoggi.it” del 3 ottobre 2010

Pavana è una manciata di case arroccate su un tornante della statale Porrettana. Frazione del Comune di Sambuca, provincia di Pistoia. Appennino a metà strada tra Bologna e Firenze. Un chilometro prima dell’abitato, sulla sinistra, si apre una stradina schiacciata tra i castagni e un muretto in pietra: porta a fondo valle, dove scorre il torrente Limentra. Accanto c’è il vecchio mulino della famiglia Guccini, il Mulino di Chiccon, oggi riconvertito a bed and breakfast.

Proseguendo sulla Porrettana, al civico 86 oltre un cancello verde, c’è un viottolo che scende al cortile di una casa in pietra, grande, squadrata. Francesco Guccini, scrittore e cantautore, da 10 anni vive rintanato qui. Ha lasciato la casa di Bologna, in via Paolo Fabbri 43, ed è tornato alle radici: sui monti dell’infanzia e nella casa dei bisnonni tra castagni, torrenti e prati d’erba spagna.

Dentro casa, mobili in legno semplici. Sul tavolo della cucina libri, riviste e vecchi numeri di Tex Willer. Sul lato, un frigorifero stile anni Cinquanta. Sul fondo un grande camino in pietra, con sopra una foto in bianco e nero di un concerto, anni Settanta o giù di lì. Dalla cappa, vecchie pentole in rame. Sparpagliati intorno, gli oggetti del vivere montanaro quotidiano. L’unica traccia di modernità, un televisore Lcd.

Tra uno squillo e l’altro del telefono, Guccini dà udienza all’insistenza della gatta Paolina (“è una trovatella”). L’umore? Appannato da un pomeriggio bigio e nebbioso. Ancora velato dalla scomparsa dell’inseparabile Renzo Fantini, amico fraterno prima ancora che manager e factotum.

Il calendario srotola le sue scadenze: il 2010 per il cantautore modenese ha scandito i 70 rintocchi. Guccini ha compiuto gli anni il 14 giugno, lo stesso giorno di Che Guevara. “Invecchiare? Una grande rottura di palle”, sorride accendendosi una Marlboro Light. “D’altra parte, invecchiare è l’unico modo per non morire giovani. Se avessi trent’anni di meno sarei più felice, tutto sommato. Bisogna accontentarsi di quello che si ha. Mi ritrovo ancora a lavorare. Avrei voluto andare in pensione trent’anni fa. E invece sono ancora qua a salire sul palco per fare concerti”.

Il Guccini bambino sarebbe stato fiero del Guccini maturo, ancora acclamato nei concerti e scrittore con un suo pubblico? “Da bambino non ci pensavo mica. Ma neanche a vent’anni o a trenta. Non avevo idea, ad esempio, che avrei fatto il cantautore. Assolutamente. Volevo fare lo scrittore. Ma neanche lì avevo un progetto preciso. Era un’immagine vaga. Siccome sono sempre stato molto realistico, pensavo di fare l’insegnante. O il giornalista, mestiere che per un certo tempo ho fatto”.

E invece eccolo “burattinaio di parole”, come si definisce in una canzone. Oggi le giornate sono meno ritmate dal suono della chitarra e sempre più scandite dalla lettura e dalla scrittura. “A Pavana la sera non c’è niente da fare, non si tira tardi”, racconta. “Gli amici sono invecchiati e qualcuno se n’è andato. Non si fa notte fonda, ma mi alzo tardi lo stesso. Poi al pomeriggio, lavoro: scrivo, leggo, ho questo nuovo giallo con Loriano Macchiavelli. Diciamo che amo più mettermi a leggere, che a suonare. Quand’ero a Bologna, tutte le sere si era a far baracca con la chitarra. Era un’atmosfera diversa”.

A Bologna, per dirla con i versi dedicati a Guccini da Roberto Vecchioni, “la rabbia la scandiva soltanto la Locomotiva”, la canzone sull’anarchico ferroviere. Una canzone che Guccini ripropone alla fine di ogni concerto, e che fu il manifesto di una generazione di contestatori. Poi anche a Guccini ebbe una contestazione. Una soltanto: “Ricordo che fu a Verona, nel 1976, dove dovevo fare tre serate. A un concerto al Teatro Laboratorio c’era gente che voleva entrare e non c’era posto. Così, la sera dopo, mi affrontarono lanciando del pattume, fuori del teatro. Io avanzai verso di loro, i contestatori indietreggiarono e insomma finì tutto lì”.

Erano gli anni dell’Avvelenata, delle invettive contro i colleghi cantautori “eletta schiera”. Oggi sono un ricordo le serate bolognesi all’osteria delle Dame, il tempio del folk e del rock, dove si potevano incontrare Claudio Lolli, Lucio Dalla, Deborah Kooperman. Ma cosa rimane di quelle frequentazioni? “Ultimamente ho avuto contatti con Ligabue e con Zucchero. Ci siamo visti di recente, sono venuti qua su a trovarmi. E sono stato al compleanno di Ligabue a Reggio”.

Ma c’è qualche legame che ha sconfitto i decenni. Il telefono trilla di nuovo. “Ohé, Sergio”, il sorriso di Guccini finalmente si apre. “Ma a Firenze piove o c’è il sole? Come ti va?… Tiri avanti?… Lo so, non è un bel momento. Hai intenzione di andare da qualche parte?… No, guarda neanch’io”. La telefonata termina. “Ciao, caro Sergione”. “Era Sergio Staino”; spiega Guccini, “compie gli anni sei giorni prima di me. Anche lui è del ’40”.

Sul tavolo della cucina spunta una copia di Radici, album “pietra miliare” della canzone d’autore italiana, datato 1972. In copertina la foto sgranata degli “avi”, con la bisnonna di Guccini, Maria, sorella della bisnonna di Enzo Biagi. Vien da chiedersi: ma questa costante ricerca delle radici c’entra qualcosa con certe posizioni della Lega? “Beh, è un po’ diverso. Il mio non è campanilismo”, risponde Guccini. “Io cercavo le radici in un momento in cui tutti volevano fare tabula rasa di tutto. Sono legato a questo posto dove vivo, a questo paese, ma rabbrividisco quando sento dire che ci sono troppi extracomunitari. Ma perché? Noi siamo stati i primi extracomunitari del mondo occidentale. Qui a Pavana non c’era nessuna famiglia che in casa non avesse avuto qualche emigrato: Stati Uniti, Francia, Svizzera, Belgio, Germania. E poi: insegnare il dialetto a scuola? Ma quale dialetto? Io ho fatto il vocabolario di dialetto pavanese. Ho tradotto dal latino al dialetto pavanese tre commedie di Plauto. Quindi sono affezionato a certe cose, ma mai mi verrebbe in testa di insegnare il dialetto a scuola. Ma quale dialetto? Come si fa? È talmente volatile”.

Ma quassù nel cuore dell’Appennino giungono gli echi del mondo? “Leggo i giornali”, dice Guccini, “ho un amico che ogni giorno va all’edicola, da qua dista un chilometro e io non ho la macchina. Compera per sé Il Giornale, e per me La Repubblica, Il Fatto e L’Unità. Discutiamo, facciamo finta di bisticciare. Ma siamo amici d’infanzia. La situazione oggi in Italia? Non mi rende certo felice. C’è una crisi profonda, anche morale. Non succede niente, per il momento non se ne va fuori. Ma la speranza è l’ultima a morire. Si tira avanti. Staremo a vedere che succede. Per il momento aspetto che torni la buona stagione”.

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Di seguito, due video dove Francesco parla di papa Bergoglio e di un frate da lui conosciuto. E’ sempre un vero piacere ascoltarlo.

Anna Demuro e la sua passione civile

Premessa

di Piero Murineddu

Anna Demuro buona parte dei miei concittadini la conoscono. Un’ “accudidda”, originaria di Calangianus, sposatasi a Sorso dove ha fatto la maestra elementare. Artista a tutto campo, poetessa e anche scrittrice la timida (apparentemente) Anna.

Solo da poco gli amministratori pubblici si sono accorti del suo valore e, con delibera ufficiale, si son “degnati” di accettare (finalmente!) delle pitture di grandi dimensioni che Anna ha voluto donare alla popolazione. Per chi desidera godere della loro visione, sono esposte permanentemente nei locali del Palazzo Baronale.

Non è trascorso molto tempo da quando Anna ha presentato pubblicamente uno dei suoi libri, “Un quadrato di sole”, scritto quando il marito Nino Canu era gravemente infermo, immaginando con lui un dialogo che riportasse a galla il loro vissuto insieme, specialmente giovanile.

Da questo volume riporto una paginetta, da dove traspare tutta la passione civica, l’attenzione ed il giudizio di Anna per le vicende nazionali, di quegli anni (il lavoro è del 2012) e degli attuali.

Riconoscere i riferimenti non è cosa difficile, anche perché ancora oggi, all’inizio del 2018, ci ritroviamo con la prospettiva (e il rischio) di essere governati da quelle stesse persone.

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Nella foto, due giovani Anna e il marito Nino

La pacifica rivoluzione contro l’ abuso di potere

di Anna Demuro

La giornata odierna, 25 marzo, è eccezionale; passerà alla Storia come la “pacifica rivoluzione” contro l’abuso di potere che vuole cancellare dal pubblico servizio i programmi dell’informazione e del dissenso.

I fatti di guerra che raccontano i libri della scuola, ricordi? Sembrano tanto lontani dal nostro quotidiano, e invece no. La prevaricazione, l’insulto e il vilipendio alimentano lo scontro sempre in atto, che si combatte sui media ormai da troppo tempo, impregnando di veleno la vita democratica.

C’è ancora chi non ha imparato nulla da secoli di storia e sotto l’abito borghese cela stivali e pantaloni grigio-verde come i vecchi boia d’altri tempi. Cambia la divisa, l’uomo no. Il despota di turno ama far mostra di sé e frena il tempo per ripescare gli anni già vissuti e sempre in forma offrirsi alla platea. Il nuovo imbonitore degli schermi, vendendo sproloqui a tutto campo, incanta le masse popolari e impingua il proprio ventre togliendo il pane a chi lotta per averlo. Incoraggia l’ottimismo sfoggiando sorrisi a trentasei, e quelli che sperano di diventare come lui, si prodigano senza pudore in stomachevoli applausi a scena aperta.

Con sfacciata tracotanza e l’indice puntato, il moderno dittatore in doppio petto fomenta l’odio e incita allo scontro, confonde le menti con i suoi proclami e fa il tiro al bersaglio con i dissidenti. Nei lussuosi palazzi del potere ama sfoggiare la sua “virilità” insieme alle bandane, gonfiando le fi la del “partito dell’amore”.

Intanto l’Italia diventa l’ultimo cantiere dove gli operai depongono gli attrezzi; nei cortei sfilano i giovani defraudati del futuro e i tetti delle fabbriche in disuso raccontano di presenze disperate. Sbandierano striscioni i nuovi licenziati e gridano aiuto le famiglie senza tetto, franano i costoni mai messi in sicurezza ed esondano i fiumi senza più canali. Le incompiute che durano trent’anni si aggiungono alle nuove che già perdono i pezzi.

Le sole cose che funzionano sono tangenti e regalie di qualsiasi “colore”, che non conoscono crisi di mercato. L’etica è un concetto d’altri tempi che fa sorridere le “cricche”, sempre in attesa di alluvioni, terremoti e grandi eventi.

Ma cosa dico! Sono tutte calunnie, complotti e castelli di carta costruiti solo per invidia. Come si può pensare che uomini di tale levatura…? E tu come la pensi? Tranquillo, conosco la risposta. Il nuovo paladino della libertà è talmente generoso che ha voluto allargare lo “scudo” anche ai suoi ministri e fare il ponte sullo Stretto per accorciare le distanze…

Ma la cosa più straordinaria, che non ha confronti, è la solenne promessa di debellare il cancro entro tre anni, senza bisogno di fondi alla ricerca. Che vogliamo di più? Penso che tu daresti man forte alla mi a rabbia, se potessi farlo; mi servirebbe, credimi, mi servirebbe tanto, così invocherei l’ira dei giusti insieme a te.

Non c’erano i numeri, non c’erano…

 

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“Scrivi qualcosa su questa foto”, mi chiede facebook. E che cosa scrivo: che sono amareggiato? Che sono allibito? Che sono infinitamente incazzato? Che mi sono confermato sulla meschinità di buona parte dei politici e dei loro giochetti? “Ma no…ma guarda che i minori godono gia dei diritti…..”. Ma andate tutti a fare in c……… andate !!!!

Il “non impressionatevi…..” di don Tonino Bello

Non ho cercato questo video stasera. Me lo son ritrovato casualmente, ammesso che di caso si possa parlare. Grande commozione nell’ascoltare il carissimo e indimenticabile vescovo don Tonino Bello, sicuramente non molto tempo prima che la malattia prendesse definitivamente sopravvento su di lui, introducendolo alla Gioia Senza Fine. Parla, mi sembra di capire, a dei seminaristi che si preparano al sacerdozio, ma è come se parlasse a ciascuno di noi, in qualsiasi stato ci troviamo.
Se decidi di ascoltarlo, fallo fino in fondo, cercando di cogliere tutta la passione che quest’uomo ha avuto per la vita, sentito la vicinanza di un Dio compagno di viaggio e la straordinaria tenerezza che ha sperimentato verso qualsiasi creatura. (P.Muri.)

https://www.youtube.com/watch?v=PuKFpAIT96M&feature=share

Il canto natalizio di Andrea Parodi

In questo video, Andrea canta insieme a bambini che credo siano suoi e dei due amici musicisti. Adesso canterà in eterno insieme a bambini dai più svariati colori di pelle e di luoghi che li hanno visti nascere, compresi i troppi che sono annegati nel Mediterraneo cercando di raggiungere una terra accogliente e sopratutto dei cuori palpitanti di tenerezza e capaci di com-passione, diventati ormai così rari. (P.Muri.)

https://www.youtube.com/watch?v=xeqyT6l2o2s&app=desktop

PACE? NEL POSSIBILE……

 

“Il vero senso della pace è il riconoscimento che c’è un prossimo, cui dobbiamo voler bene, e che se non gli vogliamo bene, l’abbiamo già ucciso dentro di noi” ( don Primo Mazzolari)

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Conosciamo la radicalità di don Primo, che poi non è molto diversa da quella del suo e, per quanto riusciamo, del nostro Maestro. Constatare tuttavia che in certe situazioni non è possibile camminare fianco a fianco, non vuol dire non voler bene all’altro. Per chi ha fede, si può continuare a pregare per lui ed essere disponibile nel caso che abbia bisogno di aiuto; non sparlare di lui con altri; se lo accetta, non rifiutargli il saluto e, se non si viene fraintesi, neanche un sorriso……Se altro non è possibile, inutile macerarsi in inutili sensi di colpa. Dove non arrivo io, arriverà qualcun altro. (P.Muri.)

IL CHIODO FISSO DI SOCCI ANTONIO

Se ne avete la forza e sopportate la puzza di carogna (verso il modo di fare giornalismo, intendo), aprite questa pagina di “Libero” e leggete l’articolo. Dopo ci spendo qualche considerazione.

http://www.liberoquotidiano.it/news/opinioni/13293777/vaticano-omelia-di-natale-papa-francesco-antonio-socci-ossessione-immigrati.html

“È veramente ossessionato! Anche nell’omelia di questo Natale il comiziante peronista obamiano invece di parlare di Gesù Cristo, parla dei migranti. Solo e sempre politica! Gli hanno ordinato di martellare su questo punto e lui da cinque anni bombarda quotidianamente”.(A.So.)

 

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di Piero Murineddu

Quindi, secondo il signor Antonio, a Papa Francesco gli avrebbero ordinato di fissarsi coi migranti e lui, obbedientemente, eseguirebbe.

Ditemi voi se questa non è chiara dimostrazione di odio verso l’attuale Papa, tra l’altro da lui definito ignorante, da parte di questo ortodossissimo giornalista cattolico, che ha trovato occupazione in un giornale come “Libero”, la qual cosa è in perfetta sintonia con la dichiarata guerra verso il capo della Chiesa, combattuta con tutte le armi possibili e con una virulenza inaudita da persone e gruppi allergici ai cambiamenti e abituati ad una visione di Chiesa come Potere religioso, quello più incisivo, nelle coscienze sopratutto.

E pensare che per CL, il movimento in cui Socci si è formato, obbedire all’autorità corrispondeva una volta ad obbedire a Cristo, così almeno si diceva, ad iniziare dal fondatore Luigi Giussani. Vescovi e Papa, verrebbe da intendere, anche se per loro, prassi normale è “obbedire” principalmente, se non esclusivamente, alle varie scale gerarchiche all’interno del Movimento, per cui il responsabile locale di fatto è più ascoltato del vescovo della loro diocesi. Se l’autorità ufficiale (vescovo e adesso anche il Papa) dice e fa cose che coincidono col “nostro” pensiero, bene (quello del Movimento, perché chi si distingue è visto con sospetto e “rompe” la comunione), altrimenti, senza farmi troppi scrupoli, gli dichiaro apertamente guerra, arrivando ad affermare che tradisce il messaggio evangelico, che rinnega la Tradizione, che vuole far crollare il millenario edificio ecclesiale e che addirittura obbedisce a degli ordini dati non si sa bene da chi.

Anto’, toglitelo dalla testa questo chiodo fisso e cerca di dormire sonni tranquilli. Non sarai tu né chi sta dietro di te che impediranno ai tantissimi, cattolici, di altre religioni o di nessuna religione, di vedere in Giorgio Bergoglio e nella sua fatica di rendere visibile il volto misericordioso del Dio fattoci conoscere da Gesù Cristo, una speranza per il mondo che tende all’autodistruzione.
Buon Natale anche a te

A PROPOSITO DI TRAVAGLIO CHE SI VORREBBE CANDIDARE ALLA GUIDA DEL M5s

 

di Piero Murineddu

Dirige un giornale che più filogrillino non si può, ma ieri ha firmato un editoriale in cui strigliava Luigi Di Maio. Il direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio, non gliele ha mandate a dire al candidato premier M5s e ha spiegato ai suoi lettori cosa sta sbagliando nella sua inarrestabile scalata al governo“.

Hai letto? Bene. È quanto scrive una giornalista, tale Tagliaferri, su “Il Giornale”, quotidiano maionetta di cui si conosce chi muove i fili. Secondo costei, e quindi secondo il suo direttore, così scrivendo, Travaglio, l’ “antipaticissimo” direttore de “Il Fatto Quotidiano”, si candiderebbe come leader del M5s.

A scanso di equivoci, non sono “grillino” e non sono fan né di Travaglio né di chicchessia, ma mi illudo di saper riconoscere l’ipocrisia e lo squallido farfugliare di chi stravolge volutamente la realtà, dei fatti e delle intenzioni. Questi specialisti della disinformazione, abituati a servire il padrone, non possono capire che un vero giornalista libero, in questo caso Travaglio, può permettersi di scrivere ciò che pensa, sempre e davanti a chiunque, anche se al destinatario, Di Maio in questo caso,appartenente ad uno schieramento che (presumibilmente) sente più vicino di altri, può creare fastidio. Travaglio ha sempre detto che considera il suo fare giornalismo come pungolo, e se le sue considerazioni riguardano la politica, con l’obiettivo che il politico migliori il suo operato.
Ma lo dico ancora una volta: certi pseudo giornalisti questo non lo potranno mai capire, abituati come sono ad obbedire a chi assicura loro la pagnotta e possibilmente anche il companatico.

ps
Ma guarda se a quest’ora e all’anti vigilia di Natale, devo mettermi a fare il difensore di Travaglio, che in verità lo sa far benissimo da sé.

A mia figlia Marta nel giorno del suo compleanno

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In mezzo a tante foto sorridenti e piene di vita, come sei in realtà, ho scelto questa non attualissima in cui sembri leggermente imbronciata e probabilmente pensierosa.

Ti chiedo scusa, ma la vedo più attinente all’impegno che hai intrapreso da qualche tempo, facendo il tirocinio pre laurea in una realtà dove giornalmente entri in contatto con tante situazioni di disagio che molti patiscono.

Davanti alle sofferenze altrui c’è poco da stare allegri, specialmente in questo mondo dove stiamo alimentando sempre più indifferenza e paure verso il diverso, spesso immotivate.

Sono certo che, con la grande sensibilità che hai, sei molto attenta a ciascuna persona che stai incontrando e che manifesta il suo bisogno d’aiuto e le sue tante fatiche.

Ti auguro di conservarla e di accrescerla sempre più questa attenzione piena di delicatezza, non perdendo mai la serenità d’animo e il sorriso sincero che ti hanno sempre accompagnata e che spero sempre ti accompagneranno nella tua vita, che spero lunga e in salute, e per quanto ti sarà possibile, sempre col tuo splendido sorriso.

Ti amo, figlia mia carissima, insieme a mamma  Giovanna.

Un post scriptum di particolare valore

 

Il più delle volte, noi genitori non siamo capaci di esprimere i profondi e forse insondabili sentimenti che proviamo verso altri esseri umani che, con l’aiuto di Dio, abbiamo donato alla vita. Ci proviamo, ma spesso non riusciamo ad andare oltre semplici balbettii. La Poesia è sicuramente più capace di affrontare tale impresa.

Ed è proprio ad un vero poeta che stamattina ho chiesto aiuto.
Già la risposta che ha dato alla mia richiesta è impregnata di poesia:

Grazie a te per la discreta e delicata confidenza, Piero. Ti confesso che ho provato una genuina empatia leggendo il tuo messaggio per la tua perla. Per cui scriverò (appunto nello specchio dell’empatia) ciò che mi hai chiesto. Perché la poesia deve sempre avere autenticità, e l’occasione un punto di leva che risuoni dentro il cuore la sua verità. Grazie Piero, il tuo è un testo autentico di amicizia. Lo apprezzo. Ci lavoro in giornata

.
Quello che segue è il frutto della sua fatica di queste ore.Scritta per sua figlia di due anni meno della mia, ma col pensiero rivolto a Marta e a tutti i nostri amati figli.
Sincera e impagabile gratitudine verso Gabriele

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A MIA FIGLIA

di Gabriele Via

Impariamo piano
come gesti di mestieri
così antichi e quotidiani
questa
tanto diversa
appartenenza,
nata
dalla più profonda
intima
prossima umanità.

Il sentimento
il ricordo
la tenerezza
la cura
la speranza
tutto il bene
e la vitalità.

Iniziamo ad una maniera
ma poi -ricordi?-
dovremo traversare
questa stagione di bolina:
l’unico modo di andare
più veloce del vento
con la sua stessa forza
nella sua stessa tempesta
navigarci contro
la vita come la vita
in uno squaderno diagonale
di diversa velatura.

Non mi farò legare
al robusto albero di maestro,
non canterò
come Orfeo
meglio delle sirene.
Terrò gli occhi aperti nella notte:
le mie lacrime
tanto simili al mare
e il mare alla vita:
perché la vita è sempre tutta
è solo tutta.
Il mistero della sua forza
è questo nascere
di vita alla vita.
Vita in faccia alla vita
totalità particolare
senza sinonimo.
Urlo di vento
nella freschezza umida
del primo giorno.
Ho iniziato ad essere tuo padre
quando tu iniziasti ad essere mia figlia.
Il mio essere figlio
si è protratto
fino al genitore
che sono diventato
nel tuo volere nascere,
un genitore appena nato
fragile come bocciolo dischiuso:
il neonato che nessuno vede
è il padre.
Ed ora che sei donna
la mia fragilità,
davanti allo sgomento del mare
immenso
insonne
insondabile
abissale
forse a me non più navigabile,
chiederebbe una storia da ascoltare
una filastrocca da filare
e diventare se mai
il contenuto di un abbraccio
che riceviamo donando
in questo lentissimo
imparare
i piccoli gesti
del rischio
di amare.