“La Zimbonia” e l’invito di Gianfranco Sias a recuperare un’identità che va perdendosi

di Piero Murineddu

Come qualcuno saprà, l’opera letteraria dell’indimenticato  Andrea Pilo, professore di disegno, appassionato d’arte pittorica e corrispondente di qualche giornale sportivo nazionale, non si è limitata alla produzione dei due preziosi volumi sugli “Ammenti” (Ricordi) di Sorso, da cui di tanto in tanto traggo qualche pagina per presentarla all’attenzione dei miei concittadini, giovani sopratutto. Incoraggiato dall’amico pittore Ausonio Tanda, negli anni ottanta iniziò ad elaborare l’idea di contattare diversi artisti, proponendo loro di raffigurare la “zimbonia” di Sossu, ovvero la grande cupola della prima chiesa parrocchiale del paese romangino, situato a pochi chilometri dal mare, sul golfo dell’Asinara. In 28 risposero al suo invito, e nel 1999 Andrea riuscì a dare alle stampe il volume, fatto da diverse raffigurazioni del soggetto proposto e realizzato secondo la sensibilità e tecnica di ciascuno. Ogni opera è lo stesso Pilo a recensirla.

Credo che il libro sia ancora reperibile presso l’Editrice Democratica Sarda (EDES)

 

MAGGIO 19990001

 

Interessante la presentazione fatta da un altro dei fratelli Tanda, Nicola, anch’egli amico  del curatore del libro. In questa occasione voglio tuttavia fermare l’attenzione su quanto un altro studioso sorsese, Gianfranco Sias, ha scritto a conclusione.  Diversi i passaggi del pensiero di Sias che ritengo particolarmente rilevanti. Mi preme dire solo che in quello che andiamo a leggere,  tra le righe mi pare di leggervi la richiesta e l’urgenza di recuperare un’identità che col tempo sembra venuta meno, come parrebbe venuto meno il senso di appartenenza e di solidarietà vera che va oltre le semplici e comode parole ma che son le sole capaci di far sentire uniti in dei valori comuni che portano a riconoscersi negli altri e non al contrario sfuggirli, come vari segnali indicherebbero.

 

Sul volume “La Zimbonia” ma anche sugli abitanti di Sorso

di Gianfranco Sias

Quando, alla fine del 1990, il professor Pilo mi parlò dell’intenzione, che cullava da anni, di realizzare questo lavoro. non riuscivo a capire il perché di tanta risolutezza e della altrettanta passione che lo legavano ad esso. Ad esser sinceri, pensai ad una sana componente narcisistica, in un uomo la cui passione per l’arte, e la competenza pittorica avevano una necessità psicologica di essere mostrate “al resto del mondo”, ad un ambito sociale, cioè, che non fosse la cerchia ristretta degli appassionati-amici che gli stavano accanto.

Mi sono accorto in seguito, con l’andar del tempo ed imparando a conoscerlo, di quanto fosse invece piu complessa l’operazione che aveva in animo: sia da un punto di vista strettamente personale sia per il respiro sociale che essa conteneva.

Come dice Nicola Tanda, professor Pilo è davvero istrhavaganti che lu poipu, come è davvero un vero sorsense nell’animo, di quelli di qualche generazione fa. per i quali essere sussinchi era motivo di orgoglio, un orgoglio che li legava passionalmente al paese, alle loro radici ed a tutto ciò che da queste radici cresceva, fossero esse cose o uomini. Di queste radici egli ha amaro sicuramente un uomo, a cui questo libro è dedicato, ed una cosa, la “Zimbonia” che del libro è la indiscussa protagonista. Quell’uomo, Ausonio Tanda, grande pittore e sussincu passionale, anch’egli in una intervista alla “Nuova Sardegna” del 24 febbraio 1979 affermava: “Sono di Sorso, perciò un po’ stravarante… siamo gente straordinaria”.  Ausonio è stato l’accompagnatore ed il sostenitore più convinto di quanto professor Pilo ha portato a compimento, con puntiglio, certamente per non lasciare inappagato il desiderio dell’amico e per onorarne, nel modo più appropriato, la memoria. Perché anche questo è essere sorsensi, essere legati passionalmente agli amici, quelli veri, in maniera quasi vincolata e vincolante nel rispetto e nell’affetto durante la vita ed oltre.

Quell’affetto che i sorsensi di un tempo nutrivano per il paese e ser tutto ciò che lo rappresentava: quella cupola che lo rendeva importante, che era il simbolo di un tessuto sociale un tempo forte unito ed oneroso che, purtroppo ha lasciato poche tracce nelle nuove generazioni ma è semere forte e presente in chi quel tempo ha vissuto.

Ci sono, insomma, la rappresentazione della “madre” e la presenza del “fratello” in questo libro, che non è però il frutto di sola passione ed appagamento personale, così come non è un atto civettuolo e narcisistico, come impropriamente ho pensato.  Non è solo un atto d’amore verso qualcosa e qualcuno che, sfortunatamente, non c’è più. È anche uno sforzo per ridestare uno spirito che si sta assottigliando, se non si è già assottigliato. Lo spirito di un paese, come luogo sociale, e delle persone che lo compongono.

Da studente mi sono spesso fermato a riflettere su questo paese: mi appariva – ma appare, purtroppo, ancora – senza storia, o meglio fuori da essa. Mi appariva incolto e senza interessi. senza cultura e. soprattutto, fuori da essa.

Ma non è così. Sorso ha una sua storia, forse una non piccola storia, che stiamo scoprendo oggi e che altri conoscono meglio di noi. Basta girarsi attorno e dalle “macerie emergono le tracce di un passato storicamente ricco, tutto da seguire e da scoprire ma estremamente evidente in ciò che ha lasciato: domus de janas, resti romani e medievali, tracce di antiche chiese, il palazzo baronale, la chiesa di San Pantaleo coprono un arco di tempo e di storia imponente.

Sorso ha anche una sua cultura che va riscoperta, che è materiale ed intellettuale ad un tempo: è la cultura dei sorsensi nel produrre e nel commerciare i prodotti della terra – nessuno era bravo come i nostri agricoltori nell’innestare le viti e gli ulivi; e i suoi prodotti erano tali da renderlo il centro più importante per il commercio degli ortaggi e dei legumi (ricordo ancora quando la vendita all’ingrosso dei piselli e delle fave avveniva nello spiazzo di fronte al vecchio mercato – anch’esso chiaro esempio, ormai perso, di architettura liberty – dove convenivano i commercianti di tutta la provincia) – e pochi paesi hanno dato i natali ad intellettuali ed artisti riconosciuti fuori dell’isola e che solo i giovani concittadini non conoscono. Credo che le “risorse e l’ingegno” di professor Pilo avessero anche questo traguardo, di riavvicinare, attraverso le interpretazioni pittoriche della Zimbonia, i giovani alle tradizioni del loro paese, con un’operazione culturale che coinvolgeva artisti “continentali”, sardi e sorsensi, affermati e meno affermati, come termini di paragone artistico e culturale, nel tentativo di rinverdire una tradizione che Sorso ha avuto, come “manifesto” da guardare ed introiettare da parte delle giovani generazioni e dal quale trarre insegnamento.

“La Zimbonia” e l’invito di Gianfranco Sias a recuperare un’identità che va perdendosiultima modifica: 2018-02-07T18:26:36+01:00da piero-murineddu
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