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Tangibili incentivi per invogliare alla partecipazione

 

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di Piero Murineddu

Interessantissima questa iniziativa che arriva da Orotelli, un piccolo comune di poco più di 2000 abitanti non lontano da Nuoro. Un modo molto concreto e “gratificante” per invogliare la gente a curare il proprio territorio. Non male neanche l’idea di far curare il verde pubblico a cittadini volontari in cambio di sgravi fiscali. Quest’altra notizia è di qualche tempo fa, e starebbe prendendo forma a Sassari, e si spera, anche a Sossu, Sennari, Porthudorra e ovunque ci sia ancora voglia di partecipare attivamente per migliorare la convivenza. Naturalmente bisognerebbe  organizzare il tutto con intelligenza e lungimiranza. Riuscendo ad avviare tale iniziativa, potrebbe essere l’inizio di un diverso rapporto fra cittadini e istituzioni, quello che da troppo tempo è stato mortificato e non incoraggiato dai politici, ovvero quella

            partecipazione attiva alle decisioni

              che riguardano la vita collettiva,

compreso il “Bilancio partecipato” (decidere le priorità col coinvolgimento della cittadinanza), aspetto fondamentale di una Democrazia Partecipativa che, generalmente, continua a rimanere una chimera, al di là dei miserevoli blablabla dei politici che ogni tanto si sentono risuonare nelle aule consiliari o in qualche pietosa dichiarazione pubblica.

Se fate attenzione, ogni tanto si viene a sapere della nascita di comitati spontanei che decidono di attrezzarsi per pulire spiagge, pinete, piazze e spazi degradati. Con questo spirito, oltre che per abbattere gli alti “muri” tra vicinato, sempre a Sassari sono nati due condomini solidali. E’  un chiaro segno di volontà di essere attivi, nel  “fare” e nell’  “essere“. Comunque, oltre che per richiamare alla necessità di rispettare                   l ‘ambiente in cui si vive, sicuramente lo si fa’ anche per suonare la sveglia all’Ente pubblico, spesso negligente su quelli che sono i suoi compiti.

Quindi, armati di zappetta, cesoie, rastrello e carriola, a curare la porzione di verde pubblico o altro spazio assegnato, risparmiando qualcosa che permetterebbe di adempiere alle scadenze mensili con maggiore tranquillità. Concretizzandosi l’idea, magari migliora la responsabilità verso la Cosa Pubblica. E’ possibile anche la nascita di qualche problemuccio, tipo il far dispetti a quell’antipaticone che cura quel pezzo di giardino pubblico e chissà cos’altro, e considerando la famosa gravidanza continua della mamma degli incalcolabili imbecilli, bisogna considerare anche questo aspetto. Ripeto, la cosa è da vedere con attenzione, prevedendone il più possibile gli sviluppi.

Se la cosa venisse realizzata a Sorso, sarebbe un passo avanti considerevole, visto l’abissale distacco di chi amministra e il più delle volte silenti amministrati.Nella cittadina romangina si ha ormai la sensazione che chi ha accesso alla stanzina dei bottoni lo faccia per tirare a campà,senza voglia e senza alcun entusiasmo, probabilmente a causa anche del persistente vuoto delle casse comunali, che non permetterebbe ldi adempiere puntualmente agli impegni presi. Di oggi è la notizia che l’Amministrazione comunale si è arresa all’ultimatum imposto dalla Regione per rinunciare ad un assessore. Lo si è fatto a denti stretti, per non essere commissariati. In confidenza vi dico  che  speravo nell’arrivo del Commissario (ma mi raccomando che rimanga tra noi: conosciamo la permalosità di lor signorincelli, e non vorrei che mi bloccassero …..gli avanzamenti di carriera). Non la vedevo un’onta, ma una speranza di uscir fuori da questa avvilente stagnazione. Ma comunque, se proprio non si ha il coraggio di buttare la spugna, sarebbe un atto di grande dignità iniziare finalmente un’opera di attivo coinvolgimento della popolazione, sia per migliorarci il posto dove viviamo e sia sopratutto per crescere tutti culturalmente e con vero senso civico. Così facendo, chi sta’ amministrando in questi scarsi produttivi anni la non più ridente cittadina romangina, lascerebbe  uno dei pochi ricordi positivi di sé ai posteri.

 

manifesto elettorale sbeffeggiato (5)

 

Così Francesco riabilita la Chiesa del dissenso

francesco

di Paolo Rodari

 

 

L’ultimo è Timothy Radcliff, nominato sabato scorso consultore del dicastero di Giustizia e pace. Teologo controverso, nel 2011 il suo nome venne depennato dalla lista dei discorsi ufficiali all’assemblea di Caritas Internationalis. Le sue posizioni in favore dell’abolizione del celibato sacerdotale e aperte sul tema dell’omosessualità non piacevano oltre il Tevere, dove la censura dell’ex Sant’Uffizio era tenuta in buon esercizio. La sua “riabilitazione”, invece, dice di un papato che non vuole porre museruole, e che sa attendere anche da alcuni dei teologi cosiddetti “del dissenso” contributi decisivi per l’esercizio di una vera sinodalità.

Contributi che trovano spazio anche sull’ Osservatore Romano, che tre giorni fa ha messo in pagina un testo di Jon Sobrino edito da Emi. Gesuita basco emigrato nel Salvador, celebre teologo della liberazione, qualche anno fa ha visto le sue tesi bollate dal Vaticano come «erronee e pericolose». E a nulla valse un articolo in sua difesa di Víctor Manuel Fernández, rettore della Pontificia Università Cattolica di Argentina, osteggiato in curia romana proprio per la sua difesa di Sobrino, ma riabilitato da Francesco con l’elevazione al rango di arcivescovo.


Prima di Sobrino, Gustavo Gutiérrez. Il teologo peruviano fondatore di quella teologia della liberazione che nei precedenti pontificati era sinonimo di connivenza col marxismo, una settimana fa era fra i relatori alla conferenza di presentazione dell’assemblea della Caritas aperta poi da Francesco. Già due anni fa Gutiérrez venne ricevuto dal Papa in segno di un’amicizia che anche Ratzinger non mancò di mostrargli: nel 1996, in un incontro con i vertici dell’episcopato latino-americano, l’allora cardinale prefetto della Dottrina delle Fede ebbe parole di elogio nei suoi confronti.


I segnali di apertura di Francesco verso alcune teologie controverse ci sono fin dall’inizio del suo pontificato. Da subito egli ha sbloccato la causa di beatificazione di Oscar Romero, sul quale la recente biografia di Roberto Morozzo della Rocca apre scenari inaspettati: di nemici, Romero, ne aveva molti, alcuni fra i sui confratelli vescovi, altri in Vaticano fra prelati ossessionati dal suo presunto filo marxismo e invidiosi dei suoi successi di popolo. Ma fra questi nemici non si possono annoverare i Papi della sua difficile epopea: Paolo VI e Giovanni Paolo II. Francesco ha autorizzato anche l’apertura del processo diocesano del vescovo de La Rioja (Argentina), monsignor Enrique Angelelli, ucciso dai militari argentini il 4 agosto 1976. E, insieme, è arrivata l’apertura del processo diocesano per la beatificazione di Dom Hélder Câmara, il vescovo «delle favelas». Romero, Angelelli, Câmara: uccisi perché cristiani ma, insieme, osteggiati da una Roma curiale conservatrice e a tratti miope.

(La Repubblica 22 maggio 2015)

Voglio un’umanesimo della compassione

andreoli  di Vittorino Andreoli

 

 

Voglio vivere in un umanesimo che contenga la compassione.


Voglio sostenere ed essere parte di una cultura che ponga la compassione come legame centrale.

Voglio che si attivi e si promuova una memoria del dolore dell’altro, per combattere l’indifferenza e la finzione di una felicità attaccata all’ultima invenzione del lusso.

Voglio che l’uomo senta il dolore di un altro uomo, senza pregiudizi, perché il dolore è lo stesso e certi dolori sono inutili.

Voglio che chi spende tutto per l’inutile si ricordi di chi non può spendere nulla nemmeno per l’essenziale, e scopra che forse quanto noi stiamo sprecando è necessario ad altri.


Questo nuovo umanesimo riattiverebbe il piacere dell’aiuto, non del fare l’elemosina che serve solo a puntualizzare la differenza e dare prova di grandezza o del diritto a vivere nel benessere mentre l’altro, a cui si danno le briciole, ha il dovere di fare il poveretto.


Si riscoprirebbe la bellezza del dono, che è prima di tutto offerta di se stessi, metaforicamente espressa da un oggetto pieno di noi.


Si riscoprirebbe la grandezza dell’ospitalità, che vuol dire stare insieme per conoscere l’altro con la curiosità che l’altro abbia qualcosa da dare, proprio perché diverso.

La diversità come arricchimento, non come fonte di sospetto e di esclusione.
Domina invece il «mio», chiuso dentro mura o filo spinato e circondato da mine anti-diverso. Il diverso come ladro – e si dimentica che quel diverso diventa ladro perché è stato escluso.


La nostra non è una società della compassione, del sentire il dolore e la gioia dell’altro, ma una società del volontariato, di chi concede a ore servigi a basso prezzo, con indosso i guanti della prevenzione e il terrore di una contaminazione immaginaria. Il mondo è pieno di preclusioni e di odio, compensati da un volontariato operato, per lo più, da genie che si annoia e che non ha nulla da fare e allora va a vedere lo spettacolo della povertà (…).


Voglio far parte di un umanesimo senza volontari, dove tutti siano disposti ad aiutare l’altro. Dove il bisogno non serva a dare soddisfazione ai volontari, handicappati di diversa natura. Dove tutti siano allo stesso momento bisognosi di essere aiutati e desiderosi di aiutare, e non esista la categoria di chi da e quella di chi riceve (…).


Voglio armarmi di bontà e debellare l’indifferenza: per cogliere il dolore dell’altro: se non sai cosa mi fa soffrire, come fai a dire che mi ami?; per cogliere il dolore dell’altro come inutile, ingiusto, intollerabile ed evitabile; per sentire il dolore dell’altro come un imperativo a fare qualcosa per allevarlo o eliminarlo; per aver voglia di compassione: asciugare le lacrime di chi si è incontrato e soffre; per amare la compassione come hanno fatto sempre gli uomini veramente grandi e quelli che avevano le parvenze degli dei.

(tratto da “Capire il dolore, di V.Andreoli)

Il dolce canto di Maria Nicoletta

luigi e nicoletta

 

di Giovanna Stella

Un particolare canto mi accompagna fin dagli anni adolescenziali, quando a Sennori, all’interno di un gruppo ecclesiale, si cercava di trovare valori forti coi quali giocare la nostra vita. Un canto musicalmente semplice. La voce dell’autrice, Adriana Mascagni, la ricordo non particolarmente graziata, eppure il cantare insieme quelle parole piene di significato dava anche alla melodia una  particolare bellezza:

Povera voce di un uomo che non c’è
la nostra voce se non ha più un perché:
deve gridare, deve implorare
che il respiro della vita non abbia fine.

Poi deve cantare perché la vita c’è,
tutta la vita chiede l’eternità;
non può morire, non può finire
la nostra voce che la vita chiede all’ Amor.

Non è povera voce di un uomo che non c’è,
la nostra voce canta con un perché.

 

Cara Nicoletta, io credo che la tua vita questo “perchè”  l’abbia sempre avuto, e sicuramente, ora che hai varcato il Grande Confine, gioisci già della sua conferma. Da sempre ti preparavi ad intraprendere il Mistero, definito “Casa del Padre” nel manifesto che ha annunciato il tuo Passaggio.

Ti ho sempre conosciuta tenacemente abitata dalla presenza rassicurante del Cristo. Lo cercavi e lo trovavi nelle frenetiche attività a cui ti dedicavi. Gli indifesi, coloro che si pongono o che vengono forzatamente relegati negli ultimi e spesso nascosti posti, erano quelli che attiravano la tua compagnia consolatrice. La tua vita è stata un continuo offrirti agli altri, mettendo le tue sofferenze in secondo piano.

La tua attività d’insegnante l’hai vissuta sempre con passione. Delicata e fantasiosa coi tanti bambini che hai incontrato e che hai amato. Non ti bastavano le tue innumerevoli parole ed esempi concreti per cantare la vita e le lodi al Signore.  Ti piaceva cantare e scherzare, ma a volte dai tuoi occhi trapelava l’inevitabile fatica di vivere. In particolari momenti mi confidavi quella solitudine che solo chi trova vera accoglienza e ascolto riesce  a condividere. Non esitavi nell’asciugare il tuo bel viso solcato da calde e liberatorie lacrime. Con infinita fiducia ti riaffidavi alle Mani Paterne e Materne di Dio.

Ti ho vista fragile come tutte le mamme che sopravvivono alla morte prematura di un figlio. Il doloroso distacco  l’hai serbato gelosamente nel tuo intimo, con la fiduciosa certezza di ritrovarlo. E’ finalmente arrivato il giorno per gioire della Sua Tenera Pace, con Carlo e con tutti i tuoi cari. Con amore libero e completo, continuerai a sostenere  Stefania, Fabrizio,Luigi e tutte le persone che hai momentaneamente lasciato.

Grazie per l’esempio che ci hai lasciato,  carissima Nicoletta.

La difesa nonviolenta non è una pia utopia

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tratto da serenoregis.org

 

La ricerca per la pace e la promozione della Difesa Popolare Nonviolenta costituiscono l’elemento più caratterizzante delle attività istituzionali del Centro Studi, in una prospettiva di continuità e sviluppo dell’opera pionieristica del suo fondatore, Domenico Sereno Regis, in favore dell’obiezione di coscienza e contro l’installazione di missili sul territorio nazionale.

L’idea di pace che vi soggiace prevede non solo l’assenza di guerre e/o di conflitti armati, ma anche la giustizia sociale (poiché non vi è pace senza giustizia), il rispetto per l’ambiente e le generazioni future, l’attenzione e l’ascolto dell’altro – dal livello intrapersonale (gli aspetti difficilmente accettabili di sé), a quello interpersonale, sociale e macrosociale (le culture diverse).

Il raggiungimento di questi propositi potrà certo avvenire solo nel lungo periodo e richiederà, per essere effettivo, sia una grande partecipazione politica (il “potere di tutti” di cui parlava il fondatore del Movimento Nonviolento, Aldo Capitini), sia un modo di procedere reversibile in caso di errore, il che – necessariamente – esclude l’uso della violenza. Più in particolare, il conflitto viene considerato come un aspetto ineludibile della vita, e viene stimolata la ricerca di una sua trasformazione creativa, nella quale tutte le parti interessate siano coinvolte nell’elaborazione di soluzioni da cui ciascuna tragga vantaggi tali da escludere un’escalation della violenza. Quest’ultima può essere tanto diretta, quanto strutturale, culturale e/o psicologica, e nei suoi singoli aspetti o nella loro combinazione va a colpire i bisogni umani fondamentali, tra cui la stessa possibilità di sopravvivenza di milioni di persone ogni anno.

L’estrema complessità, globalità e urgenza di questi problemi rende indispensabile un’accurata impostazione della ricerca teoretica, della raccolta della documentazione, della divulgazione e della progettazione degli interventi diretti sul territorio. Sin dalla sua fondazione, il Centro Studi ha provveduto a sviluppare una fitta rete di contatti con enti nazionali ed internazionali operanti nel settore, quali l’International Peace Research Association, l’Italian Peace Research Institute (di cui gestisce la segreteria e cura la redazione della Newsletter), il Mouvement pour une Action Nonviolente (MAN), la Transnational Foundation for Peace and Future Research (TFF), il Movimento Nonviolento (MN), il Movimento Internazionale per la Riconciliazione, il coordinamento internazionale Nonviolent Peace Force, numerosi musei per la pace, la rete internazionale di peace-researchers TRANSCEND ed ha preso parte alla fondazione del Centro Interateneo di Studi per la Pace. Grazie a queste collaborazioni è stato possibile realizzare numerosi seminari e conferenze – rivolti ora ad un pubblico specialistico, ora ad un pubblico più vasto – tra cui si segnalano l’Osservatorio Internazionale su violenza e nonviolenza (con cadenza annuale), i cicli di incontri Come valutare le riforme costituzionali: potere, giustizia e nonviolenza e Politica e violenza, nonviolenza e politica (1997), Lotte nonviolente nel Kossovo, con mostra fotografica, e Conflitto, violenza e nonviolenza: il contributo della psicologia, della psicoanalisi e della psichiatria (1998), Attività delle Peace Brigades International, Il diritto e la guerra, Aspetti strutturali del rapporto tra stato e guerra e il corso di aggiornamento per docenti Il Novecento: un secolo tra violenza e nonviolenza (1999), Trasformazione nonviolenta dei conflitti: l’approccio Maggiore/minore (2001), Dalla “risoluzione” alla trasformazione nonviolenta dei conflitti: il metodo TRANSCEND e Obiezione di coscienza in Israele (2002), Iraq: una guerra annunciata (2003). Quanto alla raccolta di documentazione, si è provveduto a mantener viva la memoria storica grazie al recupero di importanti fondi archivistici di privati e di movimenti pacifisti e nonviolenti attivi in Italia, mentre la Biblioteca, la videoteca e l’emeroteca del Centro Studi vengono continuamente aggiornate, tenendo anche conto, nella scelta dei testi, dell’attività seminariale e convegnistica che viene svolta anno per anno. In particolare i convegni internazionali si propongono non solo di favorire l’aggiornamento di studiosi/e sui più recenti risultati della ricerca per la pace, ma anche di sensibilizzare un più vasto pubblico e le autorità locali sul successo di azioni di intermediazione nonviolenta organizzate dal basso, al fine di dimostrare la perseguibilità – con budget decisamente inferiori a quelli attualmente destinati alle spese militari – di politiche di difesa difensiva e di operazioni di peace-keeping, peace-building e peace-making. Tra i maggiori convegni recentemente organizzati, si segnalano Difesa Popolare Nonviolenta e Protezione Civile (1998), Il conflitto è politica, non guerra (1999), La nonviolenza nella ricerca, nell’educazione e nell’azione: temi e ambiti della ricerca per la pace in Italia e nel mondo (2001), Globalizzazioni, terrorismi e guerre: le alternative della nonviolenza (2002), Forze nonviolente di pace (2003), nonché Epistemologia, Ecologia, Estetica: il contributo di Gregory Bateson alla ricerca per la pace e all’educazione.

Angelino, l’irrimovibile impoltronato quasi invisibile

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di Massimo Gramellini

Nel volgere di poche ore, l’opposizione ha chiesto le dimissioni di Alfano due volte e per motivi opposti. Prima perché avrebbe lasciato entrare in Italia un giovane marocchino senza accorgersi che era un terrorista dell’Isis. E poi perché lo avrebbe messo in galera nonostante fosse improbabile che si trattasse di un terrorista dell’Isis. Alfano ovviamente non ha fatto una piega. Ci è abituato. Da anni non passa giorno senza che qualcuno non chieda le sue dimissioni. Anch’io, nel mio piccolo, le ho reclamate in un paio di occasioni: la vicenda Shalabayeva e il divieto ai prefetti di trascrivere i matrimoni gay. Ma tutti ricorderete la faccia abbastanza spaventosa di Salvini mentre intima la cacciata del ministro dopo i disordini del primo maggio all’Expo, la devastazione di piazza di Spagna da parte dei tifosi olandesi, i ritardi nei soccorsi agli alluvionati di Genova e qualsiasi altra calamità naturale o umana abbia attraversato questo martoriato Paese.

Come il Malaussène della saga di Pennac, Alfano sembra disegnato apposta per il ruolo di capro espiatorio. Un capretto, più che altro. Poco ingombrante ma inamovibile, anche se sempre in discussione. Di Renzi le opposizioni (e parte della maggioranza) dicono le peggio cose, eppure nessuno si sogna di chiederne le dimissioni. E’ lui semmai che ogni tanto le minaccia, ovviamente per finta. Alfano invece non finge: è sinceramente attaccato a una poltrona che occupa però con impalpabile discrezione. Al punto che, il giorno in cui si dimettesse davvero, nessuno se ne accorgerebbe e tutti continueremmo a chiedere le sue dimissioni.

ANDEDDI A FAVV’AMMAZZA’, ovvero Pietosa Arroganza Clericale

Invito a scorrere con attenzione questa conversazione telefonica. Per renderla leggibile, cliccarci sopra.

 

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        ANDEDDI A FAVV’AMMAZZA’

 

di Piero Murineddu

 

Prima di arrivare a Cagliari, Giuseppe Mani è stato capo di tutti i cappellani militari, con diritto ai gradi di Generale. Per nove anni ha retto la Chiesa del capoluogo sardo, e in seguito è stato anche presidente della Conferenza Episcopale dell’isola.  Evidentemente, questo vecchio vescovo ormai in pensione, è un tipetto poco diplomatico e molto diretto. Diciamo al limite dell’istintivo. Se dessimo retta alla fondatezza degli influssi zodiacali, essendo il Nostro venuto alla luce il 21 giugno, ha fatto appena in tempo a superare l’irrequietezza dei Gemelli per abbracciare l’irascibilità del Cancro, ma lo scetticismo verso queste influenze delle stelle nella vita individuale è ammissibile. Ma poi, se si vuole assolutamente leggere l’oroscopo prima di mettere il naso fuori casa, chi se ne impipa:ognuno è libero di agire come meglio gli aggrada, di vivere secondo raziocinio o di consultare gli astri.

Tra gli episodi che hanno caratterizzato la  permanenza  dell’Illustrissimo Reverendo in Sardegna, precisamente nel 2007, dopo aver disposto il trasferimento del parroco di Sant’Eulalia di allora, in un incontro coi parrocchiani contrariati della decisione, affermò piccato: “Non vorrei che pensaste che voi amate la Chiesa e il Vescovo la odia, che voi siete intelligenti e io un cretino che fa le scelte. Levatevelo di testa, questo nella Chiesa non vige; questa non è Chiesa, questa è baracca!” Le cronache raccontano che andò via accompagnato dai fischi.  Un uomo abituato a dare ordini dunque, e gli ordini, perdinci, guai a discuterli, e non solo in ambito militare. E’ possibile che il caratterinonientemale  abbia sempre accompagnato l’  “uomo di Dio”, e si sa, con l’avanzare dell’età certi aspetti della persona si accentuano. Dunque, interpellato per telefono dal giovane giornalista impertinente, il vecchio prete ha perso la (poca) pazienza e ha mandato lui, i colleghi e il proprietario del giornale a “morì ammazzati” (nel posto dove vivo io si dice più modestamente a fass’ammazzà), non facendo mancare l’invito finale d’ordinanza di lodare Gesù Cristo. E va bè,che sarà mai…..di persone sanguigne e facilmente infiammabili il mondo è strapieno, e anche le gerarchie ecclesiastiche non sono esenti.  Il fatto è che la reazione è stata causata da lecitissime domande poste dall’intimorito giornalista (timore dal trovarsi ad interloquire con un monsignorone, tra l’altro addirittura  Generale), il quale non ha avuto neanche il tempo di rispondere il “Sempre sia lodato” finale d’ordinanza. Ognuno dia al fatto il giudizio che crede.

Voglio piuttosto soffermarmi sul seguito del poco gentile augurio:”Non voglio vedere il mio nome sul giornale, altrimenti do ordine ad un gruppo di gente di non comprare l’Unione per una settimana”. Oh caspiterina, proprio un vero Generale! Sembra che anche quando era a Cagliari abbia attuato questa – come chiamarla – minaccia, ritorsione, vendetta o, più poeticamente, boicottaggio. Nel caso di quest’ultima possibilità, sarebbe una forma di lotta nonviolenta, ma – e di questo chiedo scusa –  non propendo a pensare che l’illustre Mani sia un seguace di Gandhi o di Luther King. Credo invece che la minaccia del vecchio prete sia frutto dell’antica arroganza clericale che ha portato molti ad allontanarsi – grazie a Dio- da una certa Chiesa, che per secoli ha abusato del potere non solo spirituale sulle anime per tenere sottomesse le persone e condizionarne le vite. Anche grazie all’azione dell’attuale Papa, il Messaggio originale evangelico sta’ ritornando faticosamente in primo piano, nonostante le molte resistenze all’interno della stessa Chiesa (gerarchie, preti e molti laici). Ho fiducia che questa vicenda del mica tanto reverendissimo Mani sia uno degli ultimi colpi di coda di un clericalismo da sempre combattuto dallo stesso Gesù Cristo. Ma comunque, Egli è venuto a salvare i peccatori e, a differenza di quella umana, la Giustizia divina  guarda nel profondo. Se lo si vuole, nessuno è esentato dall’intraprendere un cammino di conversione, anche i gerarchi della Chiesa. Pentimento e Ripararazione, quindi: il vecchio arcivescovo si tolga i pesanti gradi di Generale, riconosca il suo sbaglio, chieda scusa a chi ha offeso e collabori, per quanto può, a svelare  tutte le turpitudini che hanno scandalizzato i piccoli e i grandi. Così sia

Regina e Chris: la svolta della loro vita

catrambone

 di Emanuele Lauria

La “nave della solidarietà” ha incrociato davanti alla statua della Madonna della lettera intorno alle 13. E, di lì a poco, ha lasciato sulla banchina Marconi il suo carico di vite scampate alle onde: 405 migranti, prevalentemente eritrei, soccorsi il 14 maggio su un barcone di legno a 30 miglia dalle coste libiche, fra Tripoli e il confine ovest della Tunisia. Lo sbarco ha sancito numeri da record della missione filantropica di Regina e Christopher Catrambone, lei calabrese e lui statunitense di origine calabrese, che hanno messo su un’organizzazione denominata Moas (Migrant offshore aid station) con lo scopo di cercare e trarre in salvo gli extracomunitari in fuga verso l’Europa.
La Moas, che ha sede a Malta, è l’unica associazione privata che si occupa in modo strutturale del recupero dei naufraghi nel Mediterraneo. Ha ripreso l’attività da pochi giorni e dal 5 maggio, il giorno di un primo sbarco a Pozzallo, a ieri ha salvato oltre 1.400 persone., fra cui 211 donne e 106 bambini. Sono numeri che con orgoglio vanta Cristopher Catrambone, giunto a Messina a bordo della nave Phoenix. Negli occhi ancora il terrore dei migranti durante le operazioni di soccorso: «Il nostro equipaggio – racconta Catrambone sul profilo Twitter dell’organizzazione – non aveva mai visto nulla di simile. Questa gente veniva su dalla stiva della barca in un flusso infinito di umanità. Alcuni, fra i migranti, ci hanno raccontato storie terribili di persecuzione e fuga. Queste persone non hanno la libertà, non hanno nulla».
La Phoenix è una nave da 40 metri, con un personale di venti fra medici e soccorritori, dotata di una pista su cui decollano e atterrano due droni che supportano le ricerche in mare. È una sorta di ambulanza del Mediterraneo che, in raccordo con le autorità, coadiuva i mezzi “ufficiali”. L’idea, ai coniugi Catrambone, nacque nell’estate del 2013, durante una vacanza in barca nel Mediterraneo, alla vista di una giacca a pelo d’acqua al largo di Lampedusa. Da allora, 3mila salvataggi “privati” l’anno scorso, oltre 1.400 già quest’anno. L’ultimo approdo della missione ieri a Messina. Con la benedizione della Madonna della lettera.

regina

 

Leggiamo il racconto di Regina

Reggio Calabria, qualche anno addietro.
“È lì che conobbi Chris. Lui aveva deciso di ritrovare le sue radici, dopo essere stato costretto ad abbandonare New Orleans a causa dell’uragano Katrina. Venne a vivere a Reggio, vicino a casa mia, e non lontano dalla provincia di Catanzaro che il suo bisnonno aveva lasciato per l’America nel secolo scorso. Il problema dell’emigrazione, per noi meridionali, è sentito perché fa parte della nostra storia “.

Cosa vi ha spinto a occuparvi di quest’altro, più tragico, fenomeno migratorio?
“Nell’estate del 2013 eravamo in vacanza nel Mediterraneo. Lasciammo Lampedusa con una barca a motore presa in affitto, proprio alla vigilia della storica visita di papa Francesco. Sulla rotta verso Tunisi, la rotta delle stragi, vidi a pelo d’acqua una giacca beige, probabilmente appartenuta a qualche poveretto morto in mare. Quell’immagine cambiò tutto. Decidemmo di fare qualcosa, di dare un contributo per affrontare questa tragedia. Avevamo dei soldi da parte, invece di acquistare una casa decidemmo di comprare una nave. Una nave che finora ha salvato 4.400 persone. Una spesa ben ripagata”.

Quanto vi è costata sinora questa missione?
“Otto milioni di dollari l’anno scorso. Nel 2014 abbiamo finanziato l’operazione con le nostre risorse, non ci sembrava giusto chiedere un aiuto solo sulla base di un’idea. A ottobre, chiusa la prima campagna con un bilancio di 3 mila persone soccorse, abbiamo aperto una sottoscrizione. Che finora ha fruttato circa 100 mila euro, oltre ai 180 mila euro donati da un imprenditore tedesco. Ahimè, siamo lontani dal target prefissato per questa seconda parte dell’attività appena cominciata, che dovrebbe concludersi a ottobre (tre milioni circa, ndr). Temiamo di non farcela”.

C’è chi, sul web, commenta la vostra iniziativa chiedendovi polemicamente di ospitarli a casa, i naufraghi raccolti in mare.
“Cosa significa casa mia? Casa mia, come la casa di questa gente che fugge per necessità, è il mondo. Non c’è un’umanità di serie A e di serie B. Io non sapevo cosa fosse l’orrore prima di quest’esperienza. Ho visto persone stipate come sardine nella stanza dei motori, senza aria, in mezzo ai loro stessi bisogni. Le foto non volevamo neppure pubblicarle, se l’abbiamo fatto è anche per svegliare le coscienze”.

Qual è il vostro rapporto con le forze ufficiali in azione nel Mediterraneo?
“Non c’è alcuna carta scritta. Noi ci siamo proposti e, in raccordo con le autorità, interveniamo su richiesta per fornire una sorta di pronto soccorso: grazie agli operatori di Medici senza frontiere facciamo uno screening sanitario dei migranti salvati, diamo loro da mangiare, li vestiamo. Poi, teoricamente, dovremmo trasbordarli su altre navi. Ma in soli quindici giorni, quest’anno, ben tre volte li abbiamo portati direttamente noi nei porti siciliani”.

Sembra che grazie alle immagini fatte dai droni che voi usate per scopi socio-umanitari siano stati catturati alcuni scafisti.
“Questo non mi risulta, anzi mi sembra difficile. Abbiamo fornito agli investigatori foto fatte da lontano. Comunque: se è andata così, meglio”.

Non è sconfortante il fatto che dei ricchi benefattori debbano supplire all’azione dell’Europa?
“C’è molta enfasi attorno a una circostanza che non dovrebbe stupire: noi, da cittadini, aiutiamo lo Stato, gli Stati. A me, personalmente, fa più rabbia che l’Italia venga lasciata sola dagli altri Paesi a gestire l’emergenza, ad accogliere questi che possiamo chiamare rifugiati, prima che immigrati. Detto ciò, noi non siamo miliardari, ma filantropi, ovvero persone che hanno dei beni e li mettono a disposizione di altri. Potevamo investire in altri settori, l’abbiamo fatto nella solidarietà”.

In due settimane avete già sottratto alle onde la metà delle persone salvate l’anno scorso. Ci può essere sollievo, non gioia davanti alla dimensione del problema.
“La questione centrale sono le politiche sull’immigrazione: noi l’anno scorso abbiamo collaborato con Mare Nostrum. Operazione che si è chiusa ma non è stata rimpiazzata. E certo non si può sostituire con la nostra nave e con il nostro equipaggio di venti persone a bordo. Perché, sia chiaro, Triton è un’altra cosa, è un programma di controllo delle frontiere. E da solo non è sufficiente”.

Dietro ogni profugo c’è un mercante d’armi

di Jan Oberg

jan oberg

Gli stati membri dell’Unione Europea stanno cercando di apparire come se stessero facendo qualcosa di serio per occuparsi della povera gente colpita da catastrofe, in fuga dalle zone di guerra verso l’Europa nelle condizioni più rischiose e inumane. A parte la mancanza di umanesimo e compassione e la cinica intenzione di mantenere il fattore ”deterrenza”, altre caratteristiche circondano questi tragici eventi.

In vari resoconti mediatici e dichiarazioni politiche il termine ”profugo” viene sempre più sostituito da “migrante” – difficilmente una pura coincidenza dato che il numero di profughi, sfollati in ambito nazionale e richiedenti asilo ha superato i 50 milioni di confratelli umani a livello mondiale l’anno scorso.

 

Migranti e profughi

Un migrante, per l’ONU, è una persona impegnata nella ricerca di un’attività remunerativa in uno stato di cui non è cittadino/a (originario). Un profugo è una persona del tutto diversa che si trova fuori dal proprio paese [originario] per aver patito (o temuto) persecuzione indotta da razza, religione, nazionalità, od opinione politica; perché membro di una categoria sociale di persone perseguitata; o perché in fuga da una guerra. Un profugo ha il diritto di cercare asilo e non dovrà essere penalizzato per il proprio ingresso o soggiorno illegale.

 

In cerca di una vita migliore” ?

Vi si aggiunga il fraseggio ormai molto ripetuto ma fuorviante per cui questi profughi arrivano “in cerca di una vita migliore” in Europa – formulazione molto eurocentrica che fa il gioco di coloro che dicono che questa gente viene qui solo per rubarci il lavoro e approfittare dei nostri sistemi previdenziali – come se la loro vita fosse già buona ma la volessero migliore.

È semplicemente assurdo. Il punto è non verso che cosa fuggano ma da che cosa. I profughi stanno scappando da qualche versione d’inferno. Questi profughi su battelli se ne scappano verso un altro continente senza scarpe, denaro o averi perché la loro vita è insopportabile e non hanno proprio speranza. I profughi non sono cercatori di felicità.

Usare ”migranti” anziché ”profughi” distoglie la nostra attenzione da ciò cui essi sfuggono, dalla nostra stessa complicità in tutto ciò e riduce la nostra responsabilità nel proteggerli.

 

La guerra, l’elefante nella stanza che non dobbiamo vedere

Poiché per lo più questi profughi provengono da zone dove gli interventi militari occidentali e le esportazioni di armi hanno miseramente fallito il loro scopo dichiarato ufficialmente e causato solo più problemi.

No, c’è una spiegazione molto migliore: “Dietro ogni profugo c’è un mercante d’armi”. Qui cito liberamente il sostenitore di diritti umani e umanista svedese Peter Nobel, ex-capo della Croce Rossa svedese, allorché era presidente del Consiglio d’amministrazione di TFF (Transnational Foundation for Peace and Future Research). Non è da rendersi alla lettera – si fugge anche, per dire, da catastrofi naturali e malsviluppo causato dai modelli sfruttatori delle attività economiche occidentali.

Un’altra ragione è che qui si tratta di un caso classico in cui sarebbe appropriato un autentico intervento umanitario. Tuttavia, dal primo intervento “umanitario” in Jugoslavia, questo concetto è stato usato solo per legittimare operazioni militari. E i dirigenti UE riconoscono di non poter trattare il problema dei profughi sui barconi con gli F16.

Come per tanti altri problemi di questi anni, c’è un rifiuto psico-politico del fatto che il militarismo occidentale è la causa singola più importante dei problemi che abbiamo di fronte:

Odio e terrorismo contro l’Occidente (per esempio l’ISIS) è un problema causato in modo predominante dall’invasione, occupazione e (mal)amministrazione a guida USA dell’Iraq. I temi dell’ Iraq e del nucleare iraniano sono stati causati in primo luogo dall’esserci armi nucleari e pochi intenzionati a mantenerne il monopolio negando agli altri lo stesso privilegio.

La ragione singola più importante dietro la dissoluzione di vari stati – la Libia, per dirne uno – è il tentativo di risolvere problemi economici e democratici strutturali con mezzi militari. Inoltre, il lento ma sicuro indebolimento dell’Occidente, il relativo declino economico USA in particolare, è causato in gran parte dai costi delle sue guerre (fallite), delle sue basi militari estere e dalla complementare carenza di legittimità agli occhi di sempre più milioni di persone al mondo.

Non abbiamo ancora – ovunque – un decente dibattito pubblico sugli effetti negativi di virtualmente tutte le guerre.

 

Il denaro da solo non risolve i problemi

Ora, guardiamo quel che l’UE fa effettivamente: tiene un incontro – d’alto livello politico ma di basso livello intellettuale ed etico.

I suoi capi sostengono di assumere sia rapide iniziative sia responsabilità. In realtà, esibiscono una tipica disfunzione programmatica occidentale: per risolvere un problema, si stanziano altri soldi ma non si discute la diagnosi – le cause sottostanti al problema – o un cambiamento d’atteggiamento e di etica. Non esercitano autocritica, destrezza di governo ed esemplarità morale. Si sanano i sintomi senza possibilità di imparare qualche lezione ed evitare la successiva catastrofe causata dai soliti motivi di sempre.

 

Civiltà: e se invece …?

Immaginiamo che i dirigenti UE avessero invece dichiarato qualcosa del genere:

”Ci siamo resi conto che il numero di profughi è in aumento principalmente per il commercio d’armi e le guerre, e quindi investiremo nell’identificazione precoce dei conflitti e prevenzione della violenza, nella formazione di esperti in questi campi, nell’utilizzo di accorti mezzi civili fra cui il dialogo, la mediazione e i negoziati; e porremo sempre più embarghi agli armamenti invece di intensificare le forniture d’armi a queste e a future aree di conflitto.”

I capi della “comunità” internazionale” che tacciono in merito, fra l’altro, all’aggressione a guida arabo-saudita allo Yemen e non hanno mai formulato autocritiche di sorta a proposito di catastrofi “pacificatorie” denominate Iraq, Libia e Siria, opportunamente non congiungono mai i puntini: Le nostre guerre e l’affarismo armiero sono causa essenziale del rimbalzo di questi problemi a boomerang in forma di profughi, terrorismo e crisi economica.

L’umanità ha detto addio alla schiavitù, alla monarchia assoluta, al cannibalismo e, in via di principio, al lavoro infantile. Per risolvere, o almeno ridurre, il problema montante dei profughi, dovremmo cominciare a discutere come aumentare la civiltà umana criminalizzando il commercio di armi e abolendo la guerra – come dichiarato nel Preambolo alla Carta ONU.

Ma ci sono tabù su tali idee di buon senso in tutti i paesi che si considerano civili rispetto ai paesi moralmente fiacchi e incivili che essi distruggono, uno dopo l’altro.

27 aprile 2015

MUNTINAGGI PERPETUI

muntinaggiu di l'abaddoggiu

 

di Piero Murineddu

Li sussinchi più anzianotti non avranno difficoltà a riconoscere il luogo illustrato nella foto, una delle tante discariche che circondavano la Sorso di una volta. Sono passati tanti anni, eppure qualcosa non è cambiato da allora.Vedete quel cancello a sinistra? Ebbene, ancora oggi, se andate a guardarci dentro, le cose sono più o meno rimaste immutate, nel senso che lu muntinaggiu che vedete, oltre il muro è rimasto tale. Un Monumento Chiuso,simbolo della frequente incapacità delle persone di mettersi d’accordo. In questo caso, le parti contreaenti mancati sono gli eredi dell’antica fabbrica di conserve e qualche rappresentante dell’Amministrazione civica che in questi lunghi anni ha tentato (inutilmente) di acquisirne la proprietà per realizzarci una qualsiasi cosa. Non se ne fatto niente, e come appunto spesso succede, a tutt’oggi la cosa continua a far bella mostra di sé a chiunque si affaccia al muraglione dietro la Biblioteca Comunale. La zona è sicuramente a rischio di queste terrificanti alluvioni che capitano, in questi anni ma anche in quei tempi là,e infatti la fabbrica era stata distrutta da uno di questi eventi,ma possibile che non si riesca a trovare una soluzione a questo sconcio? E’ Possibile. Comunque, gli unici che beneficiano di questa situazione vergognosamente di stallo, sono i numerosi mici e micioni che vi abitano, a volte in una innaturale  e pacifica convivenza con cuccioli e cuccioloni. Allegramente miao miao e bau bau , e noialtri umani tiriamo a campà.