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Partecipazione di Sorso a “Monumenti Chiusi”

 

di Piero Murineddu

Il quotidiano locale  oggi ci fa sapere che la cittadina di Sennori è stata inserita nel prossimo programma di “Monumenti Aperti”, l’annuale rassegna nazionale di  maggio per far conoscere al pubblico siti di particolare importanza e bellezza.  L’autore dell’articolo è sussincu. Credo che oltre divulgare notizie e avvenimenti del suo (e mio) paese, dalla direzione del giornale sia stato incaricato anche di informare sulla vicinissima località, leggermente più a monte. L’idea che circola, specialmente in chi governa Sossu e in coloro che hanno voluto che governassero, è che il taglio che dà alle notizie danneggi l’immagine del territorio. Fino a poco tempo fa, addirittura nel Sito istituzionale era presente un pseudo sondaggio in cui si chiedeva se la cattiva (!) informazione locale nuoccia o meno, e il riferimento era evidentemente a ciò che di Sorso si veniva a sapere attraverso le pagine de La Nuova Sardegna.

ne ho parlato in

http://pieromurineddu.myblog.it/2014/07/19/sorso-uso-spregiudicato-del-sito-comunale/

In generale, sappiamo benissimo che chi momentaneamente è investito del compito di amministrare la Cosa Pubblica,  mal sopporta che il suo agire venga disturbato da chicchessia, e se la voce è appena appena dissenziente, ancora peggio. Tale reazione è prova che si continua a non capire e a non accettare la doverosa azione di pungolo che ha la Stampa. Ma se così non fosse, il suo compito verrebbe tradito. A malapena stiamo uscendo da un troppo lungo periodo in cui chi governava il Paese aveva capito l’importanza fondamentale che ricopre l’Informazione, ed infatti  di buona parte era padrone (e continua ad esserlo), usandola spregiudicatamente per ottenere consenso e per manganellare il nemico di turno. Abbiamo assistito ad un penoso e sfacciato leccaculismo continuo, cosa che ha assicurato e consolidato nel tempo la (per molti versi) vergognosa azione dell’ex Cavaliere oggi appiedato. Ecco, certi governanti è così che vorrebbero chi fa informazione,  lamentata come disinformazione quando non accondiscendente.

Per tornare alla questione, io credo che il nostro corrispondente locale non sia avvezzo a riverenze verso l’MGC (Momentaneo Governo Comunale), e che cerchi di fare il suo mestiere il più onestamente possibile. Ogni tanto – grazie a Dio! – fa trasparire il suo pensiero, ma, suvvia, non è la fine del mondo. Monumenti Aperti, quindi. Nella stessa pagina veniamo  aggiornati sullo stato pietoso in cui versa “La Billellera”, il monumento per eccellenza di Sorso, privato delle doverose cure e ai più inaccessibile  da tempo immemorabile. Anche su questo argomento ho parlato a lungo,

vedi la pagina e le seguenti su

http://pieromurineddu.myblog.it/2013/10/29/billellera-1-parole-fatti/

 

Già allora denunciavo il fatto che l’associazione a cui in modo irregolare ne era stata affidata la gestione non adempisse agli impegni presi, specialmente nel rendere usufruibile al pubblico il sito. A causa della devastante alluvione dello scorso anno, attualmente le cose sono peggiorate di molto, coi due grossi lucchetti d’ingresso sempre ben chiusi. Anche se qualcuno lo scorso gennaio ne ha giulivamente “cinguettato” la prossima apertura, ad oggi tutto desolatamente tace

https://twitter.com/cittadinu/status/555718006329049088

 

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Possibilità che in futuro Sorso possa rientrare nella programmazione di “Monumenti Aperti”? Difficile, almeno a tempi brevi, o perlomeno fino a quando gli attuali governanti continueranno a “starci vicini finchè non mancherà loro il respiro“, come letto dai resoconti del solito corrispondente “partigiano”. Non so se questa affermazione sia una promessa o una minaccia. Certo, almeno per me, la prospettiva non mi fa stare per niente tranquillo. Intanto gli alti livelli del MGC annunciano in queste ore l’intenzione di far scendere il proprio “popolo” in piazza contro il malgoverno regionale, in quanto colpevole. Colpevole di che cosa?   Un pochetto di tutto, diciamo:

della litoranea interrotta, del forzato ritorno a casa dei lavoratori della “Romangia Servizi”, dei parchi iniziati e ancora non completati, dello sconcio del  Lido Iride e del pagamento dei parcheggi al mare senza alcun servizio, della “Pinetina” costruita con soldi pubblici e completamente abbandonata e degradata, della scacciata della famiglia Rom che in terra romangina voleva dare un futuro ai propri figli, della mancata valorizzazione delle proprie eccellenze culturali, artistiche e letterarie, della pineta sommersa dai rifiuti, dell’abbandono dei siti archeologici, della chiusura della Ludoteca – Centro di Aggregazione – Centro Anziani, delle strade urbane piene di buche, della mancanza di un adeguato spazio musico-teatrale, dell’assenza nelle scuole degli Amministratori per un dialogo necessario con i ragazzi…… Oops, scusate per quest’ultima: mi stavo facendo prendere dal …..sentimentalismo!

Comunque, “scendere in piazza” contro i colpevoli, che naturalmente sono sempre gli altri, fa vedere che si è vivi, attivi e partecipi.

 

In molti c’è la convinzione – ed io sono tra questi – che Sorso meriterebbe di essere conosciuta, sopratutto per i tanti personaggi che le hanno dato onore. Ma purtroppo, questo è un argomento che continua a riguardare un futuro che  non arriva mai.

Per adesso, invece, rientrerebbe a pieno titolo in un’eventuale rassegna di “Monumenti Chiusi“, siano essi fatti di pietra o di cuore, sangue e cervello.

Rom, Sinti,Camminanti.Lettera dell’esclusione scritta nel 2015

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 di Pino Petruzzelli  (regista, autore e attore)

 

Fa male dover leggere le parole scritte nella lettera che segue. Ragazzi che non hanno fatto nulla di male e che a causa della stupidità e dell’ignoranza di alcuni, sono costretti a giustificare la propria appartenenza alla minoranza rom. Il pregiudizio che accompagna i rom non è fondato sul nulla perché, come ogni pregiudizio, ha una base di verità. E’ realtà che alcuni rom rubino. Il problema però risiede nell’estendere il reato a tutta una comunità. Se si pensa che tutti i rom rubino bisogna essere consci di pensarla come i nazisti. Sì, come i nazisti. E assumersi la responsabilità del proprio pensiero.

La stupidità, nel senso di mancanza di umanità, cerca di prendere il sopravvento, ma questo non ci deve spaventare. Anzi deve esortarci a tenere duro per continuare a credere nella vita attraverso l’azione propositiva. Agire per il bene nostro e di chi verrà. Agire anche per il bene di xenofobi e razzisti. Perché sono gli xenofobi e i razzisti la parte debole di questa società. Sono i poveri che vengono messi contro altri poveri. A xenofobi e razzisti non è dato nemmeno essere consci della loro posizione in questa società. Gli è permesso solo di lottare contro altri esclusi, contro altri dimenticati. Tutto qui. Una lotta che non porterà loro alcun beneficio, ma che permetterà al potente che li domina, anzi, che ci domina, di portare avanti i propri piani senza alcun disturbo.

L’unica soluzione possibile è quella di unirci e portare avanti insieme una politica volta a un’umana convivenza. Lottare insieme per tentare di risolvere il problema che hanno i reietti della società. Insieme, come ci ricordano i ragazzi firmatari della lettera seguente, si può almeno provare a pensare misure di inclusione e non di esclusione.
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Siamo un gruppo di ragazze e ragazzi, Rom e Sinti. Alcuni di noi sono italiani, altri provengono da vari paesi europei, altri ancora sono nati in Italia ma di fatto sono sempre stranieri grazie all’accoglienza burocratica del nostro paese.

Tutti noi crediamo nell’onestà, nella giustizia, nei diritti e nei doveri di ogni essere umano; noi ci stiamo impegnando e formando come attivisti per dare voce al nostro popolo, fin ora rimasto legato e imbavagliato.

Vogliamo esprimervi una sensazione che viviamo da troppo tempo, forse da sempre,, la sensazione si chiama PAURA. Messaggi diretti o indiretti che sostanzialmente dicono: “i Rom e i Sinti rubano, sono TUTTI delinquenti, vogliono vivere ai margini della società in baracche fatiscenti, non vogliono lavorare e nessuno di loro vuole studiare, ecc.”

Bene, mettendoci nei panni di chi non sa niente di questo antichissimo popolo, inizieremmo a crederci e inizieremmo a non volerli più nella nostra Italia. E se fossimo BAMBINI, che cosa impareremmo? Sicuramente, con un germoglio di odio nel cuore così potente e annaffiato bene tutti i giorni, da grande non solo odieremmo i Rom e i Sinti, ma saremo pronti a ucciderli, non per cattiveria ma per difenderci e per difendere la “Nostra” Italia dai cattivi e sporchi Rom e Sinti.

Il nostro pensiero va a tutti quei bambini che direttamente o indirettamente assimilano concetti senza alcun filtro, tramite i vari talk show, programmi d’intrattenimento e tg, che quotidianamente accompagnano alcuni momenti della giornata dei nostri figli.

LA PAURA è che questi ragazzi, e alcune persone per bene, gradualmente assimilino questi gravi concetti e che da un semplice pregiudizio cresca nel cuore della gente L’ODIO. Questo è un fatto grave, che non deve succedere, sarebbe da irresponsabili non fermarlo.

Quindi chiediamo a tutti i professionisti della comunicazione, di non macchiarsi di questa grave colpa, di non essere complici e artefici dell’istigazione all’ODIO, della PAURA e della distanza tra la gente.

Chiediamo di non essere usati dai vari politici nelle loro finte campagne elettorali, ma chiediamo a loro di agire insieme a “noi” Rom e Sinti per politiche di VERA inclusione sociale compartecipata.

Chiediamo di non essere usati dai vari giornalisti di turno scatenatori di ODIO e PAURA, per fare audience o vendere qualche copia in più.

Chiediamo a tutti i professionisti della comunicazione di ascoltare noi Rom e Sinti, perché abbiamo molte storie da raccontare sulla magnifica cultura millenaria del nostro popolo, così come sulle difficoltà che quotidianamente affrontiamo, nonostante non arrivino mai sulle prime pagine dei giornali.

Chiediamo di discutere con noi i perché di certe realtà e chiediamo di far emergere le fallimentari politiche di ghettizzazione subite da nostro popolo, molte delle quali emerse negli ultimi tempi.

Vostro è l’Onore e il Dovere di raccontare i fatti, voi siete coloro che danno gli strumenti alle masse per capire e agire. Siate portatori di giustizia sociale. Date voce anche alle positività e alle tantissime storie di normalità, oscurate dall’ e nell’ODIO mediatico.

Chiediamo verità.

Chiediamo dignità.

Per il nostro popolo.

Con questa lettera chiediamo ufficialmente il vostro IMPEGNO per fare luce e dare voce al nostro popolo, noi vi offriamo il nostro. Insieme possiamo e dobbiamo scrivere una nuova pagina. Grazie.

03/02/15    

                                                                              

Lebbiati Fiorello Miguel, sinto, rom, 33 anni, Capannori (Lucca), italiano
Lebbiati Joselito, rom, sinto, 32 anni, S. Alessio (Lucca), italiano
Cavazza Damiano, sinto, Nave Lucca, 32 anni, italiano
Lacatus  Lacramioara Gladiola , rom, 21 anni, Roma, rumena
Nedzad Husovic, rom, 24 anni, Roma, nato in Italia ma senza cittadinanza
Raggi Serena, sinta, 26 anni, Bologna, italiana
Barbetta Dolores, rom, 29 anni, Melfi, italiana
Nikolic Ivana, rom, 23 anni, Torino, serba e croata
Dobreva  Sead, rom, 32 anni, Rovigo, serbo
Milanovic Sabrina, rom  25 anni, San Nicolo D’Arcidano (OR)
Salkanovic Pamela,rom 17 anni, nata a Roma, ma senza cittadinanza

Sorso – Il parco di via Europa: sopratutto…”azèa”

 

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di Piero Murineddu

Quindici anni or sono, al tempo in cui con mia moglie cercavamo un nido familiare definitivo, avevamo tentato di trovare una casetta in campagna, col desiderio di condurre una vita il più possibile rilassata e al contatto con la natura, ma non trovandone nessuna appropriata alle nostre esigenze,ci eravamo imbattuti in una cooperativa  che voleva edificare nella zona superiore di via Europa a Sorso, l’attuale via Brig. Spanu. Il gruppo di persone si era dato il nome “Feeling”, che come ben si sa, è un termine carico di significato, specialmente quando si ha un’età piena di aspettative verso la vita e verso gli altri, e in questo caso, ben disposti a costruire relazioni di buon vicinato. Anche se nell’aria c’era già un poco gradevole sentore, non immaginavo proprio di dover vivere gli anni della mia vecchiaia in mezzo al ghota di quel partito tricolore  che stava già s-governando l’Italia e si apprestava di lì a poco a mettere le mani anche su Sossu. Figuriamoci le relazioni di “buon vicinato”! Comunque, bando alle mie solite divagazioni, e torniamo al tema.

Le case a schiera dovevano nascere a ferro di cavallo, e nel mezzo, al posto di quella mostruosa costruzione commerciale attualmente frequentata più da cinesi che da sussinchi, sorgeva ancora un bello e naturale spazio che si sperava nel futuro potesse dare allegria ai bambini e agli adulti che vi si affacciavano, e non tristezza come avviene di fatto, costretti a subirne la bruttezza appena metti il naso fuori. Infatti, dopo poco che vi ci eravamo stabiliti, un brutto giorno vediamo che tutta la zona viene recintata. Ci siamo resi subito conto che le aspettative di buon senso sono rimaste deluse, per cui, via ai lunghi e terrificanti lavori di scavo che per tanto tempo hanno messo a dura prova la stabilità dei nostri nervi. Purtroppo&menomale, il nostro “pacifismo” e l’essere persone per bene ci ha impedito di organizzarci e di procurarci il materiale esplodente necessario per far saltare quegli escavatori, il cui movimento delle benne faceva tremare il terreno e i muri delle case. La “civiltà” di noialtri abitanti delle case circostanti ci ha portati a subìre tacitamente quella continua e violenta arroganza edilizia. Ancora una volta, Muddi&Cagliaddi&Rassegnati a far ingrassare il “padrone” di turno, che sia speculatore edilizio o politicante parolaio, come ormai d’abitudine succede a Sorso. Purtroppissimo, sembra che il forte carattere dei sussinchi, in antichità mai disposti a sottostare ad angherie e soprusi, sia da invasori esterni sia da padroni interni, è rimasto ormai un antichissimo ricordo del trapassato remoto che più remoto non si può. Ci sarebbe molto da dire su questo, ma lo rinvi a future considerazioni, tempo e cervello permettendo.

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Anni dopo, in quell’altro grande spiazzo oltre la strada, dopo voci che indicavano nascita di pubblica piscina e chissà quale altra struttura di servizio alla collettività, ecco che viene annunciata la realizzazione di un parco, e questo entro un paietto appena di mesi. Nell’occasione, l’Amministrazione annunciò che voleva mantenere alta l’attenzione verso i piccoli e verso le loro esigenze, credendo che il gioco sia un valore fondamentale nella formazione delle nuove generazioni” ( Morghen, sindaco). Correva l’anno 2012.

I lavori per la nascita per lo spazio verde attrezzato sono andati avanti con infinite interruzioni. Nel frattempo ci sono state alluvioni, levitazione di costi, malumori con ditte appaltatrici…. Oggi, se si sorvola l’allegro paesotto romangino, una delle ultime roccaforti dell’ormai decadente impero elettorale berlusconiano, appare una vasta area di verde si, ma prevalentemente  di quel verde…..spontaneo.

 
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Personalmente, iniziando ad accusare tutti i malanni dell’età che avanza e non avendo voglia di fare la passerella serale nel Viale dell’Ipertensione che conduce alla Marina, ho già predisposto magliettinapantaloncinoscarpettine, compreso qualche muscoletto posticcio da applicare alle gambette e ai braccini, per non sfigurare troppo davanti a questi giovanottoni tatuati e supermuscolosi e giovanottine dalle forme anatomiche perfette&invitanti.

Iniziare ad alzarmi di mattina presto e fare jogging tra quei dolci vialetti. Iiiiihhhh, che bella e atletica prospettiva! Ad oggi, però, vedo che questo sogno continua a rimanere puro desiderio.

 

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Quando rientro a casa a notte inoltrata, vedo la “selva oscura” illuminata da tenue luci che proiettano in aria non figure di piante ornamentali e fiorite e attrezzature per i giochi dei bambini, ma piantine infestanti, di gaggaranzu sopratutto. Avvicinatomi l’altro giorno per constatarne l’ “avanzamento” dei lavori, oltre i detriti sparsi ovunque, piantine miseramente piegate e col sostegno rotto, piccole palme soffocate da “erbacce”, vi ho trovato anche qualcuno che si riforniva anche di bietole selvatiche (azèa), di quelle veramente saporite, e se la vista non mi ha ingannato, nella busta aveva anche un mazzetto d’iparamu. Non ho fatto altrettanto perchè la visita è stata veloce e non vedevo l’ora di sistemare nello stomaco quella buonissima pasta in forno ai carciofi preparata dalla mia generosa mugliera, ma assicuro che ce ne umbè ( d’azèa intendo), e per chi capisce qualcosa della medicina naturale, sicuramente proliferano anche piante selvatiche medicamentose, che se conosciute e usate in modo appropriato, possono giovare alla salute e far risparmiare anche parecchi dinà per i farmaci.

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Leggo sul quotidiano locale che il sindaco di Sassari, probabilmente inviso dai sussinchi amministratori e da alcuni colleghi del suo stesso partito, ha proposto “forti riduzioni della Tasi per tutti i cittadini che dimostrino, con atti concreti e documentabili, di promuovere iniziative per la cura del verde pubblico”. Considerando che ultimamente nel capoluogo di provincia stanno riprendendo vita i vecchi Comitati di Quartiere, più partecipati e meno politicizzati di quelli che c’erano una volta, è facile prevedere che la proposta sarà presa seriamente in considerazione. Molto più difficile che ciò si realizzi in un paese come Sorso, dove il senso di comunità e di partecipazione è purtroppo ridotto vicinissimo allo zero e dove si aspetta che sia l’operatore ecologico a togliere la piantina infestante che è riuscita a crescere nel pezzo di asfalto davanti alla propria abitazione.

Che volete che vi dica, aspettiamo e speriamo nell’intelligenza sveglia e agguerrita delle nuove generazioni, tutte ben studiate, diplomate&laureate, semprechè si decidano a togliere gli auricolari e smettano di digitare forsennatamente nei telefonini super moderni, guardandosi finalmente intorno senza limitarsi a piangersi addosso. Purtroppo, difficilmente ci sarà l’apporto dei tanti eccellenti giovani che stanno dandosi da fare per costruire il loro dignitoso futuro lontano il più possibile dalla loro ingrata terra natìa. Si, rimangono qui quelli ben protetti che pian pianino stanno trovando sistemazione grazie all’intercessione dei politici locali e che magari si stanno preparando ( Diononceladia….Dio!) per essere la futura classe dirigente che regolarizzerà la vita dei sussinchi, ma rimane  la speranza del risveglio di quel che è rimasto dei  discendenti di quei sussinchi “macchi” che ebbero la forza e l’orgoglio di assaltare l’antico palazzo baronale e far scappare a gambe levate il Padrone Arraffone.

Per tornare alla selva “spontanea” di via Europa a Sossu, vi auguro una buona passeggiata, e mi raccomando: lasciate qualche piantina d’azèa anche per gli altri.

 

Le foto son state fatte col telefonino il 29 marzo 2015

 

Dio non vuole nessuna sofferenza

L’oncologo recensisce il libro del teologo Hans Küng
di Umberto Veronesi
Ho sempre seguito con interesse e attenzione l’evoluzione di Hans Küng come esempio di fervente cattolico che ha il coraggio di esprimere un pensiero laico, come fa anche in questo libro. All’inizio del suo percorso, quando era sacerdote a Roma, ha abbracciato la teologia di Karl Barth, cioè la teologia dialettica o della crisi. Barth crede che Dio si sia allontanato dall’uomo e abbia riversato la sua divinità in Cristo, che a sua volta, con il sacrificio della croce, l’ha riversata nell’uomo. Küng si è poi successivamente spinto oltre Barth per esprimere le sue obiezioni alla Chiesa, che si possono ricondurre a tre anti-dogmi principali:
– Il papa non è infallibile: è un uomo, sebbene con responsabilità molto complesse, e come tutti gli uomini può sbagliare. Solo Dio è infallibile.
– La madonna non è una divinità e non è stato corretto da parte della Chiesa divinizzarla tramite un processo di santificazione concluso con il dogma dell’assunzione in cielo del 1950.
– L’esistenza umana va vissuta in base al principio della responsabilità della vita: Dio ci dona la vita, e con questo atto ci dà l’incarico di esserne responsabili, dunque di disporne liberamente . Questo principio va contro il concetto di sacralità della vita, che decreta invece che la vita è dono e proprietà di Dio, che imperscrutabilmente ne dispone.
Su questo terza coraggiosa obiezione antidogmatica si basa il libro Morire felici? perché se l’uomo è responsabile della sua vita, lo è anche della fine, perché vita e morte sono inscindibilmente parte dello stesso ciclo. Dunque noi siamo liberi di scegliere quando morire, per essere felici, vale a dire in pace e in armonia con noi stessi. Va detto che per Küng la libertà di morire non è una novità. Nel 1995 scrisse con Walter Jens Della dignità di morire: la difesa della libera scelta , quando già aveva scritto le sue 20 tesi sull’eutanasia. E’ molto interessante il fatto che Küng si rifiuti di utilizzare il termine «eutanasia», ampiamente equivocato a causa del nazismo, e preferisca usare «Sterbehilfe», ausilio alla morte. Anche io ho sempre pensato che, benché la parola coniata da Francis Bacon sia molto bella perché contiene la radice greca «eu», cioè buono o dolce (unita a Tanatos che significa morte), è culturalmente importante trovare un’altra definizione che superi la vergogna dei campi di concentramento, dove eutanasia era sinonimo di decimazione. Ciò che è nuovo in questo libro è il racconto degli eventi che hanno avvicinato Küng allo Sterbehilfe. Il primo è la tragica morte del fratello Georg. Küng racconta che alla sua prima messa a Roma, appena ordinato, assistette gran parte della famiglia, ma non il fratello, a causa di un improvviso svenimento. Quel mancamento era il sintomo di un cancro del cervello che, dopo un anno di atroci sofferenze vissute in piena lucidità, fece apparire la morte come un sollievo. La riflessione di Küng fu allora: è possibile che Dio abbia voluto questa sofferenza? E’ possibile che Dio abbia voluto proprio questa morte? La sua fede vacillò e rimase a lungo attaccata ad un filo sottile, finché accettò il principio che la volontà di Dio è imperscrutabile e dunque noi uomini non possiamo sapere cosa egli vuole per ognuno di noi.
Il secondo episodio fu la morte nel 2013 di quel Walter Jens con cui scrisse il libro. Il paradosso che lo colpì fu che il suo carissimo amico morì in una situazione paradossalmente opposta a quella di Georg, perché nel 2005 gli fu diagnosticato il morbo di Alzheimer, che gli fece perdere gradualmente la lucidità, senza causare grandi sofferenze fisiche. Ma per Walter la percezione dello strazio della mente è stato doloroso come lo strazio del corpo. La riflessione su queste due esperienza ha indotto Kung a concludere che lo Sterbehilfe in alcuni casi è comprensibile, anzi doveroso. Per questo Küng si è iscritto a Exit, nella coscienza che aiutare a morire è un intervento molto difficile, che deve essere riservato a persone serie e preparate, come appunto quelle che appartengono all’associazione svizzera.
Leggendo le sue pagine sofferte mi sono reso conto dello sforzo intellettuale del teologo che mantiene intatta la sua fede cattolica, pur contestandone un dogma fondamentale, come appunto la sacralità della vita. Come esprime nell’intervista a Anne Will, che il libro riporta, Küng ritiene che la religiosità debba essere illuminata per essere buona e che la areligiosità illuminata sia altrettanto buona. L’essenziale è che l’uomo emani una luce, intesa come forza positiva. Questa posizione va nella direzione del dialogo fra scienza e fede e fra fedi diverse aprendo il dibattito sul fine vita a un ventaglio di questioni etiche e umane che ci toccano tutti da vicino, credenti e non credenti.(La Stampa 28 marzo)

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​Hans Küng “Morire felici? Lasciare la vita senza paura”, Rizzoli 2015

​ Hans Küng (nato nel 1928) è il più celebre teologo del dissenso cattolico su temi che vanno dall’infallibilità del papa al ministero femminile. Dietro questa riflessione sull’eutanasia, tema quantomai attuale dopo la nuova legge in Francia sul fine vita, c’è anche il dolore per la morte del fratello Georg, ucciso a 23 anni da un tumore al cervello. Tra gli ultimi suoi libri usciti in Italia (con Rizzoli), «Salviamo la Chiesa», «Essere cristiani», «Tornare a Gesù».

 

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di Piero Murineddu

Ormai questa vicenda del parco sussincu di via Europa sembra divantata un argomento da barzelletta. Ne ho  accennato in

http://pieromurineddu.myblog.it/2013/11/29/sorso-giardini-via-europa/

Qualcuno sa che abito lì a due passi. Al tempo in cui cercavamo con mia moglie un nido familiare, avevamo tentato di trovare una casetta in campagna, ma non trovandone nessuna appropriata alle nostre esigenze, ci eravamo imbattuti in questa cooperativa “Feeling”, quando ancora lì nel mezzo, al posto di quella mostruosa costruzione commerciale, soggetta nel tempo a speculazione continua da parte del proprietario, sorgeva ancora un bello e naturale spazio che si sperava nel futuro potesse dare allegria ai bambini e agli adulti che vi si affacciavano. Le aspettative di buon senso sono andate deluse (naturalmente!) e quindi via ai lunghi e terrifficanti lavori di scavo che per tanto tempo hanno messo a dura prova la stabilità dei nostri nervi. Il nostro “pacifismo” ci ha impedito anche di organizzarci e di procurarci il materiale esplodente necessario per far saltare quegli escavatori il cui movimento delle benne facevano tremare il terreno e i muri delle case. Che volete, esseri civili siamo!

Ad un certo punto, in quell’altro grande spiazzo oltre la strada, dopo voci che indicavano nascita di piscina e chissà quale altra struttura di servizio alla collettività, ecco che viene annunciata la nascita di un parco, con tanto di spazio destinato anche agli amici a quattro zampe per scorrazzarvi liberamente. La cosa sembrava potesse essere definita in qualche mese, almeno secondo gli annunci ufficiali delle autorità. Questo nel 2012. Di mezzo ci sono stati alluvioni, costi lievitati, malumori con ditte assegnatarie e altre marasorthi. Oggi, se si dà un’occhiatina mentre con l’elicottero sorvoli l’allegro paesotto romangino, una delle ultime roccaforti dell’impero berlusconiano rimasto, appare una vasta area verde, delimitata da una staccionata in legno che non ci vuole molto a prevederne tutta la sua precarietà. Personalmente, iniziando ad accusare tutti i malanni dell’età che avanza e non avendo voglia di fare la passerella serale nel Viale dell’Ipertensione che conduce alla Marina, ho gia predisposto la magliettinapantaloncinoscarpettine, compreso qualche muscoletto posticcio da applicare alle gambette e ai braccini per non fare troppa brutta figura, per iniziare ad alzarmi di mattina presto e fare jogging tra quei dolci vialetti. Ad oggi, però, vedo che questo  desiderio continua a rimanere semplice desiderio, e se volete, anche …..pio. Quando rientro a casa a notte inoltrata, vedo il sito illuminato da luci che stagliano in aria non le figure di piante ornamentali e fiorite, ma piantine infestanti,  di gagaranzu sopratutto. Nella mia  “ispezione ” domenicale vi ho trovato anche qualcuno che si riforniva anche di “azèa” (bietole) selvatiche, di quelle veramente saporite. Non ho fatto altrettanto perchè la visita è stata veloce e non vedevo l’ora di sistemare nello stomaco quella buonissima pasta in forno ai carciofi preparata dalla generosa mugliera, ma vi assicuro che ce ne umbè, e per gli intenditori, sicuramente proliferano anche piante selvatiche medicamentose, che se conosciute e usate in modo appropriato, possono fare degna concorrenza alla vicina farmacia, guadagnando in salute e  risparmiando parecchi dinà.

Il Cuore di MARIA CATERINA batterà per sempre

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di Piero Murineddu

Per l’antica amicizia che mi lega a Tonino Secchi, ultimogenito e unico maschio del secondo matrimonio di tiu Giuanne (7/3/1909 – 25/5/1997)  con Nicolina Branca (10/1/1924 – 3/5/2000), da giovanissimo frequentavo spesso quella casa sennorese di via Garibaldi, nella zona alta de Sa Conza. Prima che anch’io cedessi alla comodità del mezzo motorizzato, era sempre una faticaccia arrivarci, ricompensata però dall’immancabile succo di frutta di mamma Nicolina (rigidamente a temperatura ambiente), che preferivo al bicchiere di “Romangia” o birretta che tiu Giuanne non mancava di offrirmi.

In quegli anni giovanili con Tonino ci era capitato di fare insieme qualche anno di esperienza comunitaria, e fu anche questo il motivo che spinse ciascun membro della sua famiglia ad affezionarsi e abituarsi alle mie assidue visite. Oltre che essere considerato il secondo figlio maschio, da Giovannina, Elena e Gavinuccia ero considerato e trattato da fratello. Tuttavia, l’affetto da parte di Maria Caterina, da sempre chiamata solamente col primo nome, lo sentivo più marcato. Considerando la sua grande sensibilità, a suo modo probabilmente ha voluto sempre mostrarmi gratitudine per l’amicizia che avevo col suo amato fratello. Negli anni futuri, questo affetto l’ha allargato a mia moglie Giovanna e ai nostri due figli, Giuseppe e Marta. Aveva avuto nei nostri confronti sempre il desiderio di rendersi utile. Vista la sua grande competenza nel lavorare con l’uncinetto, con molto entusiasmo aveva creato le bomboniere per il nostro matrimonio, dedicandovi intere giornate d’impegno e sopratutto amorevole lavoro manuale. 

La cara Maria è stata sempre appesantita da problemi di salute, che ne hanno sicuramente condizionato la vita e probabilmente impedito anche la realizzazione di una famiglia tutta sua. Venuti a mancare i genitori, le sorelle l’hanno sempre accolta nelle rispettive famiglie, ed il rapporto che la “zietta” costruiva coi propri nipoti è stato sempre forte e pieno di attenzioni reciproche. Tonino, trovandosi a vivere fuori per l’attività svolta, quando possibile ha fatto rientro in paese per stare coi propri familiari, ed in modo particolare per stare vicino alla sua amata sorella.

L’altra notte, Maria si è addormentata definitivamente, ponendo così fine al suo faticoso cammino terreno. E’ certo però che il suo semplice e grande Cuore non smetterà di battere, in un modo nuovo e diverso che sfugge alla nostra comprensione umana ma che sicuramente provocherà quelle Onde d’amore che aiuteranno chi l’ha conosciuta e voluta bene a conservare di lei un dolce e vivo ricordo.

Per me Maria era un prezioso gioiello e ringrazio il Signore per averla posta accanto alla mia vita“.

Con queste parole Tonino ha salutato la sorella al termine delle esequie. Un semplice e nello stesso momento grande riconoscimento dato alla cara Maria, a riprova che nessuna esistenza è inutile se serve ad arricchire questo mondo di qualche seme che possa contribuire a renderlo migliore e più umano.

 

 

Sorso: Concessione edilizia n° 48 del 25 luglio 2013

Concessione edilizia numero 48 del 25 luglio 2013:

Ristrutturazione e ampliamento di un fabbricato

  ai sensi del Piano Casa

 

Relazione dei vigili:

Nel progetto non si fa esplicito riferimento a demolizioni integrali,

 ma si prevedono solo opere di adeguamento”

 

L’interessato, committente dell’immobile (=proprietario), e anche

1.Consigliere Regionale

2.Vicepresidente del Consiglio Regionale

3.componente della Commissione (regionale) Urbanistica e Ambiente

4. Capo gruppo di Maggioranza del Comune di Sorso

 

afferma che è

tutto in regola

 

tutto in regola

 

rasgioni v'ha

mia perplessità:

Ma che succede a SORSO, chiamata “Sossu” dagli indigeni e “Sosso” dai vicini sennoresi, quarto comune della provincia (Sassari) per numero d’abitanti, all’interno dei suoi 67,1 chilometri quadrati di superficie, situata nella regione Romangia che si affacia nel Golfo dell’Asinara, nel nord ovest della Sardegna (Italy)?

 

 

 

Accademia Militare, Gabriele D’Annunzio e quei suicidi

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Una mostra su Gabriele D’Annunzio ospitata dall’Accademia militare tra le più antiche al mondo, quella di Modena, offre lo spunto per parlare di disobbedienza e antimilitarismo.

 

di Rossella Famiglietti

Nell’epoca del Grande Conformismo, dove tutti i movimenti di militari occidentali in giro per il mondo sono “missioni di pace” o virtuose “esportazioni di democrazia”, vale ancora la pena chiedersi il senso e il valore di un’educazione militare. Cosa spinge, oggi, un ragazzo o una ragazza a scegliere la via della cieca obbedienza del soldato? A rispondere ci aiuta anche un insospettabile Gabriele D’Annunzio, in mostra a Modena, in una delle accademie militari più antiche al mondo.

Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle della sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso, ogni battaglia significherà per te la sconfitta.
Sun Tzu, L’arte della guerra (VI sec a. C.)

 

Andare a conoscere il “nemico”. Ecco quello che succede ad un antimilitarista quando entra nell’Accademia militare di Modena, con la scusa di visitare la mostra, aperta tra dicembre e febbraio 2015, dedicata a Gabriele D’Annunzio soldato. I cimeli delle avventure militari del Vate, l’immaginifico, il soldato della Grande Guerra sono in prestito infatti alla storica Accademia che si fregia del motto “Preparo alle glorie d’Italia i nuovi eroi”.

L’ingresso dell’Accademia è solenne: lapidi alla memoria e fuochi perpetui.
Oltre il portone centrale si accede, infatti, al Lapidario con incisi su marmo i nomi dei 7811 Ufficiali, ex allievi, caduti nelle guerre per l’Unità, l’Indipendenza e la Liberazione. Il sabato pomeriggio è facile imbattersi nei cadetti in libera uscita per le vie del centro, oppure a colloquio con i loro familiari in visita in salottini a cui è vietato l’ingresso agli estranei. Vietato ai visitatori è il passaggio attraverso il Cortile d’Onore del Palazzo ducale che ospita l’Accademia e, in occasione della mostra, la sorveglianza è strettissima. Quando Francesco I d’Este arrivava a cavallo nel grande cortile, tutta la corte e la cittadinanza erano pronti ad acclamarlo e a vederlo salire a cavallo lo Scalone d’onore, almeno così vuole la leggenda. Da quando, nel 1861, il Palazzo è diventato zona militare, la cittadinanza si è vista privata di questo spazio.

 

Pronti ad agire, in ogni situazione, in Patria e all’estero

«L’Accademia Militare ti prepara per diventare Ufficiale dell’Esercito Italiano e un comandante di uomini. Oltre ad un percorso di formazione completo ed avvincente, l’Accademia Militare ti permette di apprendere tutto ciò di cui hai bisogno per essere pronto ad agire in ogni situazione, in Patria e all’estero», così recita il sito dell’Esercito italiano-Ministero della difesa alla voce “Arruolamenti”.

Due sono le domande che balzano alla mente. La prima: cosa possa spingere oggi un ragazzo o una ragazza a scegliere la via della cieca obbedienza che impone il codice militare. La seconda: come sia stato possibile assimilare il più sfrenato amante del piacere e della disobbedienza di inizio Novecento a un baluardo di ordine e disciplina.

Come risposta alla prima domanda, probabilmente, resta ancora valida quella che diede involontariamente Federico II di Prussia, campione di militarismo: «se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle mie file».

In questo palazzo, il più antico istituto di formazione militare al mondo, direttamente legato all’Accademia militare di Savoia, fondata il 1º gennaio del 1678 per volontà di Carlo Emanuele II e della reggente Maria Giovanna di Savoia Nemours, sono passati 116.000 allievi, sei Presidenti del Consiglio e trentuno ministri, oltre a Vittorio Emanuele III, Umberto II di Savoia Re d’Italia, Edmondo de Amicis, Giovanni Agnelli, Armando Diaz, Luigi Cadorna, Pietro Badoglio, Francesco Baracca, uomo di culto per le sue imprese aviatorie spericolate sotto il marchio del cavallino rampante, recentemente omaggiato nel museo dell’Accademia con l’esposizione di uno degli aerei da lui pilotati nel primo conflitto mondiale.

Ingoiare lacrime in silenzio

Questi uomini hanno appreso l’arte del comando, e conseguito una Laurea, tra le altre, in Scienze Strategiche, Ingegneria o Medicina e Chirurgia, sottoponendosi ad un addestramento il più possibile realistico, come spiega il prof. Marco Costa, docente di Psicologia generale dell’Università di Bologna e dell’Accademia, nel suo “Psicologia militare. Il mestiere delle armi” (2002). Gli allievi devono sentire l’odore della guerra, devono percepire lo stesso e identico pericolo, solo così saranno il generale che tutti sognano di essere: quello con le truppe disposte a morire per lui.

Non tutti riescono a tenere testa al duro addestramento: bisogna imparare ad «ingoiare lacrime in silenzio», come ricorda il motto di “Mamma” Accademia. Il periodo più difficile è quello iniziale, quando gli allievi sono solo “aspiranti” e i superiori mettono alla prova la loro motivazione, come si legge nella sentita rievocazione del generale Chiavarelli, conservata sul giornale on line “Pagine di difesa”:

«Si era aspiranti allievi, un qualcosa d’indefinito, materia informe da sbatacchiare, maltrattare, strapazzare dalla mattina alla sera per testare se la voglia di fare l’ufficiale era reale, ponderata, convinta ed eliminare i tiepidi e i deboli. Eravamo assolutamente certi che tutti ce l’avessero con noi e manifestassero il loro livore urlandoci contro dalle sei del mattino fino al momento di coricarci. Ogni spostamento andava fatto di corsa e sembrava che un sadico avesse fatto in modo che le lezioni e gli addestramenti fossero sempre dalla parte opposta a quella in cui ci trovavamo. Di continuo, plotoni di centometristi affannati, sudati, puzzolenti, si incrociavano per scale e corridoi gridando “Tenere la destra! Tenere la destra!” Chi non lo avesse fatto sarebbe stato inesorabilmente travolto».

 

I suicidi in Accademia

L’Accademia militare di Modena ha registrato negli ultimi anni cinque suicidi. L’ultimo, del 24 gennaio 2012, riguarda non un cadetto ma un dipendente civile in servizio presso il Palazzo Ducale. Il primo suicidio risale al 1996, quando il cadetto napoletano ventenne Pierpaolo Signudi, dopo essersi svegliato alle 6.30 e aver messo in ordine la stanza, ha atteso l’uscita dei suoi compagni per buttarsi, in divisa, dal quarto piano. Cento giorni dopo sarebbe diventato sottotenente dei carabinieri. A distanza di soli sei mesi, il 28 novembre dello stesso anno, il diciannovenne ennese Luigi Chirdo, indossata la divisa, si è lanciato dalla finestra del bagno per schiantarsi, dopo un volo di quindici metri, nel Cortile delle Colonne. Luigi ha lasciato una lunga lettera in cui chiede perdono ai genitori che lo volevano in divisa, dichiarandosi un fallito. “La vita militare l’ha affrontata volentieri”, dichiara il Professore Aragona, preside del Liceo scientifico frequentato dal ragazzo, alle pagine de L’Unità, “per fare un piacere ai genitori che ci tenevano molto. Forse si è scontrato con una realtà troppo dura”. Come se non bastasse la preoccupazione scatenata da queste morti, enorme scandalo hanno suscitato le dichiarazioni dell’allora comandante dell’Accademia, generale Bruno Loi.

«Non ci serve chi è in lotta con se stesso, per loro non c’è futuro nell’esercito», ha dichiarato il generale nel corso nella conferenza stampa seguita ai due suicidi e ha poi aggiunto: «è un periodo nefasto per la nostra società. Questi ragazzi sembrano incapaci di far fronte agli impegni, davanti al primo problema si mettono a piangere». A queste parole fredde e distaccate hanno risposto con una lettera gli ex compagni di scuola del cadetto, come rivela l’archivio storico del Corriere della sera: «non si può essere sempre un generale» e ancora «lui era, come tutti noi, in lotta con se stesso». Gli alti comandi non hanno ceduto alle provocazioni sul presunto cinismo del militare e hanno ciecamente difeso le sue posizioni, ribadendo l’estrema durezza della vita militare, a cui spesso, secondo loro, i giovani si votano con superficialità, magari per puro interesse economico. Queste dichiarazioni ricordano le parole del generale Cadorna, di cui pure si celebrano le gesta nella mostra sulla prima guerra mondiale, all’indomani della disfatta di Caporetto. Oggi gli storici sono concordi nell’attribuire gran parte delle colpe ad una strategia spietata ed anacronistica del generale, oltre che ad una serie di ritardi e ambiguità nei comandi, eppure nel bollettino di guerra emanato il 28 ottobre 1917, il generale scarica tutte le colpe del disastro sulle truppe «vilmente ritiratisi senza combattere» o «ignominiosamente arresesi al nemico».

Il 12 maggio 2000 Francesco Antuono, militare di leva, l’ha fatta finita sui binari della Stazione di Modena lanciandosi contro il Pendolino diretto a Milano. Poi ancora nel 2003, quando il 26 gennaio un altro diciannovenne, Roberto Ciampa, decide di uccidersi buttandosi dal quarto piano e solo pochi mesi dopo, a marzo, il suo coetaneo Ermir Haxhiaj, figlio di un colonnello albanese, si impicca in bagno con una catena. Qualcuno ha parlato di frustrazione e di episodi al limite tra goliardia e nonnismo. Sono queste le ipotesi emerse dalle inchieste, senza considerare la condanna del 2012 a un anno e otto mesi di reclusione ai danni di un docente riconosciuto colpevole di abusi sessuali, perpetrati nove anni prima nei confronti di due cadetti, con la promessa di facilitazioni agli esami.

Spending review? Non per i militari

Entrare all’Accademia militare di Modena è impossibile o quantomeno difficilissimo, come rimpallano i forum degli aspiranti ufficiali. Nessuno fa cenno a timori di natura psicologica o a eventuali contrasti interiori, anzi quanto maggiori risultano le difficoltà di ingresso in questo glorioso olimpo, maggiore risulta, a quanto pare, l’autostima, la fierezza e la motivazione ad andare avanti. L’aspirazione a far parte di un ordine privilegiato è, oggi più che mai, purissima. Il riconoscimento si misura dall’ammirazione di madri e fidanzate, dallo stipendio percepito di 900 euro al mese per i primi due anni e di 1.600 euro dal terzo anno, con incrementi in base al grado, impensabile oggi per qualsiasi studente di quell’età, e dal rinnovato vigore dello spirito militarista che pervade la società italiana. Basti pensare all’incremento delle spese militari del 2015, in barba alle politiche di austerity. All’interno del budget del Ministero per lo sviluppo economico, sono stati, infatti, stanziati 2 miliardi 800 milioni (200 milioni in più rispetto all’anno scorso) solo per i caccia Eurofighter, le fregate Fremm e il programma di blindati Vbm.

D’Annunzio, l’eroe e il ribelle

Questo lusso militare avrebbe sicuramente ottenuto l’approvazione di Gabriele D’Annunzio, che del lusso ha fatto uno stile di vita e che l’Accademia militare ha deciso di celebrare come un simbolo di ineccepibile inflessibilità guerriera.

Quando si arruola volontario nella Grande Guerra, l’autore de “Il Piacere”, ha ormai 52 anni e un passato alle spalle di vita spericolata, amori appassionati e controversi, ambiguità politica e letteraria, un carico di debiti frutto di una vita “opera d’arte” vissuta al di sopra delle proprie possibilità, che lo costringe ad un esilio forzato in Francia per mettersi in fuga dai creditori. In Italia, nel fatidico, e non ancora completamente chiaro, periodo che intercorre tra lo scoppio della guerra, il mutamento di alleanze e la stipula del Patto segreto che porterà il Paese a girare le spalle ad Austria e Germania e a schierarsi con Francia e Inghilterra, abbagliato dalla riconquista delle terre irredente e dall’esaltazione della guerra in nome della Nazione, D’Annunzio ha il fondamentale ruolo di agitatore sociale in favore dell’intervento, insieme con Benito Mussolini e altri intellettuali interventisti. La mobilitazione delle masse e l’invenzione di una comunicazione politica violentemente emotiva hanno il potere di cambiare il corso della storia. Sono i giorni del maggio radioso quando, in aperta sfida con l’opinione dominante ai più alti vertici dello Stato italiano, nell’ ”Arringa al popolo di Roma in tumulto”, D’Annunzio annuncia solennemente «Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane. Se considerato è come crimine l’incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo».

Per D’Annunzio è finalmente il momento di incarnare il Superuomo, abilmente mutuato da Nietzsche a suo uso e consumo, già protagonista dei suoi romanzi: è il momento dell’azione, dove azione sta per sfida alla morte e all’autorità. «Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori», scrive ne Le vergini delle rocce, e ancora «abolisci ogni divieto; procedi sicuro e libero. Non avere mai sollecitudine se non di vivere. Il tuo fato non potrà compiersi se non nella profusione della vita». Laddove la psicologia militare esalta lo spirito di corpo e addestra gli allievi alla compattezza, alla marcia all’unisono, all’omologazione della postura, del viso e, persino, dello sguardo – “Una acies“, una sola schiera, pronunciano a gran voce i cadetti in marcia come se fossero uno solo – D’Annunzio risponde con l’azione spettacolare del singolo, anche a costo di disobbedire agli ordini dei superiori. Il Superuomo non fa gioco di squadra; è, per definizione, guida ispiratrice del gruppo ed è per questo che il suo compito primario è dare spettacolo di sé: «Sono e rimango individualista ad oltranza. Un individualista feroce», dice in un’intervista a Prezzolini.

Le azioni di guerra più celebrate del soldato D’Annunzio, di cui alcuni cimeli sono stati esposti all’Accademia militare, sono irriverenti e provocatorie. Nella Beffa di Buccari, lancia un messaggio di sfida che celebra i marinai d’Italia, «che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile». Alla realizzazione del famosissimo Volo su Vienna (9 agosto 1918), ideato fin dal 1915, si oppongono i vari Comandi che reputano impossibile un volo di mille Km, di cui 800 su territorio nemico e con apparecchi ancora primitivi. Poi, fra tutte, la conquista di Fiume in opposizione alla “vittoria mutilata dell’Italia”, anticipata da un articolo intitolato “Disobbedisco” contro il capo del Governo Francesco Saverio Nitti, in cui si legge: «Ci fu chi credette ch’io fossi per dire: “Obbedisco”. Il verbo è vecchio, se bene garibaldino; e i tempi sono mutati, se bene sembri che siamo in utile regresso verso il 1910 o giù di lì. Lasciamo le parole storiche ai libri scolastici approvati dai “superiori”. Dissi invece, a voce chiara, a testa alta: “Disobbedisco”».

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Da un punto di vista antimilitarista anche questo cialtrone egocentrico, che mai ha accettato di sottoporsi alle rigidità dell’addestramento militare, che mai ha dimostrato interesse per un compenso o un privilegio che non provenisse dalla propria conclamata presunzione di eccezionalità culturale e artistica, si rivela degno di rispetto nel suo gioioso anticonformismo, in opposizione a un mondo grigio fatto di divieti esaltati dal luccichio di mura solenni, ma pur sempre mura di una prigione.

“Il nemico ci ascolta”?

L’unico modo per cercare risposte che un antimilitarista non è in grado di dare, è la caccia al cadetto, scattata nel fine settimana. Il sabato e la domenica pomeriggio è facile incontrarli per le strade di Modena. Presso un negozio di forniture militari accanto all’Accademia, una cadetta fa shopping. Di fronte alla semplice domanda sul modo in cui si svolge la sua vita militare, risponde che loro non sono autorizzati a parlare di tali argomenti. Che i loro superiori preferiscono che le cose dell’Accademia restino in Accademia. Facciamo altri tentativi. Ma la risposta è sempre la stessa: il silenzio.

E non è dunque dato sapere con precisione che cosa accada fra le mura della zona militare, né che cosa spinga un giovane a fare una scelta di vita di questo tipo. Quanto possa costare l’asprezza dell’addestramento. Che sensazione si provi davanti alle urla di comando dei superiori. Che segreti abbia portato con sé chi non ce l’ha fatta. E soprattutto, se a questi giovani non sia mai venuta voglia di disobbedire, se sappiano davvero chi è stato Gabriele D’Annunzio.

Articolo tratto da

http://www.conversomag.com/la-vocazione-del-soldato/

 

 

 

 

 

Libertà di pensiero e di come divulgarlo

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di Piero Murineddu

Eh si, è proprio necessario che ogni tanto faccia chiarezza sulla mia libertà, ed in questo caso, libertà di espressione. Mi riferisco alla pagina FB  “Sorso e Sennori – Banca della Memoria”

https://www.facebook.com/pages/Sorso-e-Sennori-Banca-della-Memoria/295878337203450?fref=photo

ma questa volta non tanto per incoraggiare chiunque lo desideri ad arricchirla col proprio contributo, cosa ribadita a più riprese, quanto all’uso “improprio” che ogni tanto mi concedo, caricandovi post la cui pubblicazione ritengo utile e che all’apparenza sembrerebbe “tradire” le finalità di questo spazio.

Lo spunto me lo dà il rilievo fattomi da un  amico virtuale che ancora non ho avuto il piacere di conoscere in carne, ossa e sopratutto pensiero. Lo ha fatto a proposito del mio commento riguardo alle recenti dimissioni del ministro Lupi, che potete trovare sulla mia pagina personale    https://www.facebook.com/piero.murineddu

Nel suo intervento, mi diceva che tale argomento non c’entra niente con lo spirito della Banca, e che così facendo si usa queso spazio come “civetta” per fare politica. Probabilmente questo giudizio, particolarmente severo, trova d’accordo diversi di voi che stanno leggendo, ma vado un po’ a spiegare le mie motivazioni.

Dopo aver tolto il post ( come solitamente faccio), tramite comunicazione privata mi sono premurato di far capire all’interessato che, ritenendo la politica un ambito molto importante della nostra convivenza, ogni tanto mi concedo un’eccezione alla regola, specialmente quando sento di divulgare opinioni, mie o di altri, che riguardano la stretta attualità. Il far “Memoria” comprende anche considerare l’evoluzione (o involuzione) che realizziamo ai nostri giorni, con la nostra faticosa partecipazione o, al contrario, col comodo disinteresse.

Difficile mettere il limite tra politica e ciò che politica non è. Ma attenzione, politica non nel senso di particolare partito di appartenenza, ma politica come visione e giudizio della vita circostante. Ecco, diciamo che ogni tanto sento la necessità di farla questa benedetta eccezione, e francamente non penso di tradire le motivazioni che mi hanno spinto a creare e curare questa pagina. Non mi sento ( e non voglio essere) un freddo “tecnico” che si prende semplicemente la briga di cercare materiale – più o meno bene – per tenere viva la Memoria locale. Diciamo che questo è il mio maggiore impegno, ma, e lo ripeto, non solo.

Come già detto, questi post “estranei”  li lascio per qualche giorno, per poi eliminarli. Ho rassicurato l’ “amico” che non ho creato questa pagina come “civetta”, esclusivamente come scusa per divulgare  il mio pensiero, sottolineando che quest’accusa la ritengo offensiva e ingenerosa nei miei confronti. E dopo, non credo di avere particolari capacità di condizionare chicchessia facendo trasparire il mio pensare riguardo a taluni argomenti, sia perchè credo nell’intelligenza e libertà di chi legge, e sia perchè la circolazione delle idee la ritengo cosa positiva.

La “Banca della Memoria” non è frutto di una conduzione collegiale di diversi soggetti che si son dati delle regole ben precise sul come operare. Se arriva questa tappa, ben venga. Diciamo che per adesso sono solo io che mi dò delle regole, usando esclusivamente il buon senso e la buona fede, e questa buona fede, nel senso di onestà intellettuale, ci tengo a sottolinearla.

Nella sua risposta, l’interlocutore mi è parso convinto, e di questo lo ringrazio, invitandolo a non avere esclusivamente un atteggiamento di “gendarme” dell’ortodossia su ciò che c’entra o meno con la Memoria, ma a dare un contributo – come ho detto su – perchè la nostra Memoria Collettiva rimanga viva e ……desta.

Sorso e i suoi emigrati – NATALINO PINNA, archeologo per passione

NATA

 

Presentazione di Piero Murineddu

E’ una vita che non vedo Lino, quel ragazzo che ricordo sempre sorridente e disponibilissimo per le necessità spicciole che possono esserci giornalmente in una parrocchia, quella di San Pantaleo a Sorso, che anch’io frequentavo per attività varie di animazione. Lui, più che  in attività di gruppo, lo vedevo impegnato nei prepararativi per le funzioni religiose, funerali e matrimoni specialmente, srotolando e arrotolando quel lungo tappeto che dall’ingresso portava fino al presbiterio. Qualche giorno prima della Domenica delle Palme era completamente preso dal preparare rametti d’ulivo,  crocette semplici e quelle più elaborate, ricavate dalla parte tenera della palma. Contattatolo per raccontare la sua vita di emigrato, tra l’altro mi dice che il quarto di secolo trascorso dalla sua partenza ha cambiato di molto il volto di Sorso, dove periodicamente vi fa’ ritorno. Mi parla degli oliveti dove amava  trascorrere la  fanciullezza  che hanno lasciato il posto ad una quantità enorme di abitazioni, case molto carine che stanno continuando a sorgere  negli ultimi tempi, ma anche di palazzoni con una architettura non sempre di buon gusto. Rimane piacevolmente impressionato dalle nuove strutture pubbliche sorte nel suo quartiere e un tantino perplesso dal numero sempre crescente di rotatorie. Mi dice dei nuovi spazi verdi a cui però non sempre vengono date le necessarie cure ed è contrariato che siano privi di attrezzature per il gioco dei bambini. E’ informato che la disoccupazione ancora oggi è sempre una piaga molto dolorosa e sa di molti altri giovani concittadini costretti  a cercare in altri luoghi la realizzazione delle loro aspettative. Per lui, l’entrare in contatto con altre realtà, lo ha aiutato ad allargare la mente e si è sicuramente arricchito dal punto di vista umano, ma il fatto di averlo dovuto fare forzatamente, è come avere una ferita che difficilmente riesce ad emarginarsi. Il suo racconto va a toccare anche alcuni aspetti poco piacevoli della sua vita familiare, ed è anche per questo che sento di dovergli un particolare ringraziamento per la semplicità e sincerità con la quale ne parla.

 

 

NATALINO

 

                                                            “Avvidezzi e bona furthuna”

 

      Testimonianza raccolta ed elaborata da  Piero Murineddu

 

 

 Gli inizi burrascosi in terra germanica

Il 27 febbraio del 1991, insieme alla mia ragazza, partimmo nel nord della Germania, in una località ad una quarantina di chilometri da Amburgo, nella Lubecca Heide.  Vi eravamo stati convocati per lavorare nella gelateria di un italiano. Purtroppo dopo non molto tempo, il rapporto col datore di lavoro, che tra l’altro non ci aveva messo in regola con l’assicurazione, si deteriorò, per cui ci trovammo costretti ad andare via. Trasferitici nel quartiere multi etnico di Wihlemsburg di Amburgo, ci ritrovammo a coabitare con altri colleghi di un nuovo lavoro. Intanto nacquero delle incomprensioni con la mia ragazza, per cui, di comune accordo, decidemmo di lasciarci. Tramite la conoscenza con alcuni tedeschi conosciuti a Roma, dal 7 luglio dello stesso anno  iniziai a lavorare presso una nuova gelateria a Trier, 800 Km da Amburgo. In seguito, in una gastronomia della stessa città. Mi ritrovai a vivere nel mezzo della Renania Palatinato, antica terra celtica, ricca di siti preistorici. La cosa non mi dispiaceva affatto, considerando l’antica passione di cui andrò a parlarvi.

 

Nascita dei figli Giona Vittorio,Fabienne Gavina e, in seguito, Elisabetta

Qui conobbi la donna che mi diede due figli: Giona Vittorio, nato nel ’93, e Fabienne Gavina, venuta al mondo tre anni dopo. Anche il matrimonio entrò in crisi e la separazione fu inevitabile. Entrato nell’ambito dell’acciaierie, ebbi l’opportunità di fare un Corso di integrazione per stranieri, molto diffusi in Germania. Vi appresi la lingua e conseguii la qualifica di metalmeccanico, cosa che mi permise per ben sette anni di lavorare  in una fabbrica. Nel 1999 cambiai ancora lavoro. In questa nuova attività la produzione andava ottimamente, cosa che portò il proprietario a regalare ai suoi dipendenti un viaggio in Turchia, spesati di tutto. Qui conobbi quella che sarebbe diventata la mia seconda moglie. Dal nuovo e purtroppo ancora travagliato matrimonio, nacque Elisabetta. Attualmente mia figlia vive con me, mentre la mamma non manca di venire a trovarla  ogni fine settimana.

 

L’anno della grande alluvione  che mi vide nascere

Ogni tanto mi ritorna in mente l’ “avvidezzi e bona furthuna” augurato dai miei genitori in lacrime, mentre partivo in nave da Porto Torres. Ed è proprio delle mie origini sussinche che ora voglio parlare.

Lino, col quale da sempre vengo chiamato, deriva da Natalino, ed essendo nato l’indomani del Natale 1967, è stato quasi d’obbligo impormi tale nome per mia madre Gavina Soddu, originaria di Sedini dove vi nacque nel ’41, e mio padre Vittorio Pinna, nato  nel ’37 in pieno regime fascista, nel paese minerario di Carbonia, chiamata ancor prima Mussolinia in onore del suo fondatore. I primi anni di matrimonio, i miei li vissero in campagna, per poi trasferirsi in paese. Nell’anno della mia nascita, il 18 settembre, dalle 13,45 alle 16 sulla Romangia si abbattè un violento nubifragio che oltre causare disastri immani nelle coltivazioni e ingentissimi danni nelle case e nelle strade, a Sorso causò la morte di una persona. A seguito dell’evento, nella zona periferica verso la Marina vennero costruite nuove case popolari, e nel 1970 alla mia famiglia ne fù assegnata una.

 

Passione non tanto per la scuola, quanto per la Storia
Pur avendo vissuto la scuola con molta fatica, la Storia però mi piaceva, e probabilmente è stato questo il motivo che mi ha fatto diventare un appassionato di archeologia. Gioivo nell’esplorare le campagne di Sorso alla ricerca di  segni dell’antichità, e a forza di portare a casa fossili, alla fine mia madre mi ha creato uno spazio per conservarli e mostrarli  anche con orgoglio alle persone che venivano a farci visita. Avevo raccolto gasteropodi, echinodermi e crostacei di ogni tipo. Vista la mia insistenza, la professoressa di Matematica si fece convincere a portare l’intera classe nella località Cantaparittu per raccogliere i numerosi fossili che vi si trovavano. Fu un gran bel giorno quello. Nei giorni precedenti avevo preparato per bene il terreno, fatica ripagata nel vedere tutti soddisfatti. In quell’occasione mi ero veramente reso utile all’intera scolaresca.

 

Lavoretti in parrocchia dietro piccolo compenso

Anche per la spinta della grande sensibilità religiosa di mia madre, venuta a mancare nel gennaio 2014 e a cui fece seguito dopo non molto anche la morte di mio padre,ammalato da tempo, buona parte degli anni giovanili li ho trascorsi cercando di rendermi utile nella parrocchia sorsese di San Pantaleo. La mia frequenza era talmente assidua che il parroco, don Giovanni Manca, decise di ripagarmi ogni tanto con un piccolo stipendietto. Diventai l’ombra del sacrestano, zio Antonino Petretto, col quale, oltre che sentirlo come padre per i 45 anni d’età che ci separavano, instaurai anche un bellissimo rapporto di amicizia. Essendo lui maestro muratore, diverse volte gli ho fatto da manovale. Alle nostre feste di famiglia, lui era sempre invitato.

 

Barman presso la famiglia Camboni e conoscenza con la Sovrintendente alle Belle Arti

Prima della decisione di partire in Germania, dove tuttora risiedo, ho fatto le stagioni – così si diceva – in Costa Smeralda. Il mestiere di barman l’ho però appreso  dalla famiglia Camboni alla Marina e in altri esercizi. Nel 1985 ho  lavorato nel  “Canguro”, gestito allora da Giuseppe Berzonzi, dopo di chè partii a La Spezia per fare il Servizio di Leva presso La Marina. Al rientro ho lavorato in campagna e ancora in Costa. E proprio a Poltu Cuaddu ho avuto occasione di conoscere Marilena Dander, Sovrintendente alle Belle Arti e direttrice del Museo “Sanna” di Sassari. Rimase interessata dal mio parlarle delle ricchezze artistiche presenti a Sorso e da troppo tempo trascurate. A fine stagione insieme ad altri venne  in paese insieme ad altri esperti del settore. Furono estremamente colpiti dallo stato di degrado in cui versava in modo particolare  l’antico  Crocifisso conservato nella Chiesa di Santa Croce, completamente invaso dai tarli. Nella chiesetta di Sant’Anna vi erano statuette all’interno di nicchie, anche queste in pessime condizioni. Nell’occasione furono visitate anche  le chiese di “Convento” e dei Cappuccini. La Dander si attivò per indire una gara d’appalto  per il restauro dell’altare ligneo e del prezioso Crocifisso. Purtroppo se ne persero le tracce e dovettero intervenire i carabinieri per recuperarli.

 

Quella volta che trovai due antichi teschi umani

Per la  passione di girovagare per le campagne alla ricerca di asparagi selvatici, nei pressi delle domus de janas in località Budduleddu, un giorno trovai un’antica sepoltura con due teschi umani. Tramite l’intervento dei carabinieri, vennero coinvolti i responsabili del museo archeologico sassarese. Avviate le ricerche, fu portata alla luce la più antica tomba del periodo post nuragico e i numerosi cocci di ceramica rinvenuti contribuirono a ricostruirne l’epoca.

 

Oggi

Per tornare all’oggi,oltre l’impegno di padre, continuo a coltivare quella  passione per l’archeologia, per conto del Museo di Treveri. Svolgo anche il corrispondente per il Consolato Generale Italiano per Francoorte sul Meno e in aggiunta dò un apporto volontario a favore degli stranieri a Trier. I miei figli sono ben integrati nella società tedesca. Fabienne, dopo aver fatto opera di volontariato presso un ospedale,  in questo periodo  svolge apprendistato presso una Cancelleria di avvocati. Il maggiore, Giona, oltre il volontario tra i vigili del fuoco, lavora in una fabbrica che produce componenti di macchine. La piccola Elisabetta frequenta la terza elementare ed ha una grande passione per il ballo, coltivata nel club che ogni anno organizza il carnevale nella città dove abitiamo, Trier Ehrang.

 

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