Messaggio più recente

L’ “Espressionismo” di Giovanni Camboni, nella pittura e nella vita

di Piero Murineddu

Sulla strada per la Marina di Sorso (SS), alla fine del secondo rettilineo svolto a sinistra.  Bellisara,  Lu Buschaggiu e finalmente arrivo ad Agliasthreddhu.

In mezzo al suo curatissimo frutteto, Il mio amico Giovanni mi appare in tutto il suo splendore “campagnolo”, specialmente con quegli stivali di gomma anche se siamo in piena estate.

Sai cos’è, Piè…….è che sono allergico ad una misteriosa pianta spontanea che neanche i medici ci hanno capito niente. L’altro giorno avevo le gambe così……“.

Tranquillo, gli stivali di  gomma vanno benissimo. Certo però, il vedersi un cane davanti, che seppur di non grossissima taglia, sempre cane è, nero per giunta……..

Buono..buono…da bravo, su…..Embè, ma questo cane non si può legare?”

Cippo….Cippooooooo……sta buono Cippo…..non vedi che Piero è un amico?

Niente, non c’è proprio verso di farsi legare la bestioloncella. Mi azzardo ad accarezzarlo. Morsi non ne ricevo e la cosa mi rassicura un po’.

Ma sai che hai una bellissima casa, Giovà…..” 

“Diciamo che non è male. L’aveva costruita mio padre ed io negli ultimi tempi avevo fatto fare qualche piccola migliorìa...buona parte del mio tempo amo trascorrerlo qui…”.

IMG_20170719_111622

Giovanni Camboni da non molto  tempo è  mio dirimpettaio, in paese, su in quella via che circonda quell’orrenda ed enorme costruzione nella quale, tra infinite tonnellate di cemento armato, vive umanità di diversa provenienza, quali cinesi, turisti estivi  “per caso” o per volontà, nuove coppie di sposini, parrucchieri che danno appuntamento nelle ore più impensate, sala di ricevimenti  che quando c’è musica ti fa tremare i muri di casa,venditori di acqua&sapone e cianfrusaglie varie che per farsi rifornire arriva un camion talmente grosso che ti devi spostare ogni volta la tua macchinetta per permettere ad altre di passare.

Mi “vince” qualche annetto Giovanni, per cui è possibile che la mancanza di coetaneità non abbia agevolato una grande frequentazione. Fratello di un’amica di gioventù con la quale è rimasto grande affetto, pur non essendoci neanche con lei un vedersi continuo. Non so se a voi capita. Ci sono degli amici che anche se son anni e anni che non vedi, basta incontrarsi che sembra ci si è visti il giorno prima. Un grande dono questo particolare tipo d’amicizia. Con Giovanni la cosa è leggermente diversa. Si è instaurato quel particolare rapporto di reciproca stima grazie alla quale non c’è imbarazzo alcuno nell’affrontare qualsiasi eventuale conversazione, e come ho detto, anche se da giovani non ci si è frequentati.

GIOVANNI0001

La grande passione di Giovanni? Almeno fino a poco tempo fa, quella di spargere colori nelle tele, cercando attraverso di essi di esprimere il suo mondo interiore e le porzioni di vita rimaste nella sua memoria e filtrate dalla sua marcata sensibilità. Con molta accuratezza e con estrema attenzione ha sempre dosato e miscelato gli oli che andranno a comporre la sua visione della realtà. Una realtà “sfumata” e non definita nei suoi contorni, come spesso accade nella vita concreta. Un’arte che lo ha accompagnato praticamente da sempre.

gio 20001

“…..la scelta dei temi ora appare approfondita. L’arte per lui non è infatti un espediente per presentare cose che soddisfino il gusto estetico. Il più delle volte gli accade di lavorare in mezzo alla luce, e i toni gli si ottenebrano, e gli diventano scuri; oppure gli si velano di nebbia………Altre volte certi effetti spaziali, quando guarda la sua terra, li realizza con stupore. Allora sembra convincersi che l’arte è un fatto che si sottrae alla coscienza o alla volontà di colui che opera; un viaggio che si compie dentro di noi. Camboni è certamente un lirico. Ma è anche uno che pensa alle cose degli uomini…..”  (Enzo Espa – agosto 1978)

gio0001“….passione che diventa colore, che diventa immagine desolante e struggente della realtà. Si guardino i paesaggi dalla notevole luminosità cromatica che meritano un attento esame….”  (Vittoria Cannelles – dicembre 1975)

 

Accompagnandomi a visitare il suo rifugio di campagna, Giovanni mi porta nello studio laboratorio al  piano superiore. Colori, tavolozza, cavalletto, quadri da completare appoggiati al pavimento, schizzi, autoritratto mai portato a termine. Un ordinato disordine come ben si addice ad un  artista. Mai stato uno di quei pittori che se ne vanno in giro con tutto l’armamentario per riprodurre nel modo più realistico e “fotografico” possibile paesaggi, tramonti, scorci. Ritratti umani neanche a parlarne. Ugualmente fermare con la fotocamera un’immagine qualsiasi per poi riprodurla a casa sulla tela. Giovanni è sempre stato un pittore “casalingo”.

L’ho detto, da diversi mesi non dedica tempo alla pittura, almeno in modo continuativo. Ogni tanto prova a riprenderlo il pennello, colorando il fondo che dovrebbe ospitare ulteriori immagini. Succede però che il susseguirsi delle sue sensazioni  e sentimenti  è talmente veloce, che l’intenzione iniziale si perde, l’emozione con la quale è partito lo spargimento del primo colore si è quasi dileguata, per cui questo particolare artista non sente la spinta per portare avanti in modo vero l’opera iniziata. Per Giovanni non c’è nessun “dovere” di ultimare qualcosa d’iniziato, se non è l’emozione a muoverlo. “Vero” in questo senso.

Le parole di Giovanni esprimono meglio questo concetto:

“Guarda, Piè, in fondo mi son sentito sempre  uno spirito “ecologico”. Mi piacciono gli spazi aperti e ampi, volare sopra di essi, e i colori mi aiutano ad esprimere le sensazioni provate. Molti quadri li ho lasciati in sospeso perchè, col trascorrere del tempo, è come svanita quell’emozione  che volevo raffigurare, e quindi, riprenderla a distanza, mi sembrava una forzatura che tradiva lo spirito iniziale…

Spesso il colore di base sparso sulla tela è sul blu, e su questo Giovanni decide il movimento da dare al pennello, scegliendo i  colori successivi d’applicare.

Giovanni da sempre rifugge le convenzioni, anche quelle che caratterizzano un rapporto relazionale che limita le personali scelte su tutto ciò che riguarda la sua vita. Uno spirito veramente libero Giovanni Camboni, condizionato e limitato da quelle trasfusioni di cui periodicamente necessita. Una “canna” continuamente piegata dalle condizioni di salute, ma per niente disposta a spezzarsi.

gio 20001

“….una natura senza abbandoni, anzi profondamente serena, anche nell’uso del colore. Non indulge nei contrasti, non accentua volutamente il cromatismo anche quando il tono del racconto pittorico si fa più intenso….” (Antonio Delitala – agosto 1976)

 

gio0001“…..così il paesaggio gli diventa un fatto sentimentale, una questione di cuore, e ne è geloso. Perché non ci sono mai i giochi della riflessione delle costruzioni a freddo. C’è l’umore di chi crede nella vita, nelle cose belle della natura,anche quando chiude i confini dei suoi spazi….” (Enzo Espa – dicembre 1976)

Il termine espressionismo indica, in senso molto generale, un’arte dove prevale la deformazione di alcuni aspetti della realtà, così da accentuarne i valori emozionali ed espressivi. Al pari del termine «classico», che esprime sempre il concetto di misura ed armonia, o di «barocco», che caratterizza ogni manifestazione legata al fantasioso o all’irregolare, il termine «espressionismo» è sinonimo di deformazione.Caratteristiche più tipiche dell’espressionismo sono l’accentuazione cromatica, il tratto forte ed inciso, la drammaticità dei contenuti. Il colore steso in tonalità pure. Le immagini ottenute sempre autonome rispetto alla realtà. Il dato visibile viene reinterpretato con molta libertà, traducendo il tutto in segni colorati che creano una pittura molto decorativa”.          

Sono alcune pecularietà della pittura “espressionista“, e Giovanni vi si è inoltrato profondamente.

gio 10001

gio 20001….Amore per la natura, per la terra che ci circonda ed un grande desiderio di quiete, di pace, di tranquillità sono le prime sensazioni che provo quando mi trovo davanti agli occhi un suo quadro. L’artista racconta con estrema semplicità, direi con nostalgia, la storia di una vecchia terra dove l’economia agro pastorale, ora forse in via d’estinzione, viene travolta dalla tecnologia moderna. La ricerca pittorica è continua; il tutto viene presentato con notevole armonia cromatica; il colore che molto spesso è il verde nelle sue più svariate gradazioni, viene steso in modo delicato e pulito….” (Amedeo Chessa – ottobre 1981)

Una persona molto sensibile Giovanni. Sensibile nel senso alto del termine. Attento alla vita, sentendosene ospite grato, e questo anche se la salute non è stata per lui una compagnia continua. Attento ricercatore del suo intimo sentire  e nel contempo, capace di descriverlo, almeno con chi si trova a proprio agio.

I suoi concittadini lo ricordano quando per due decenni circa ha gestito l’edicola nella parte bassa del paese, sulla strada che conduce al mare. Anni che hanno stimolato il probabilmente introverso artista ad entrare in relazione con moltissime persone, da cui ha ricevuto tanto sicuramente, ma che in parte hanno messo a dura prova la sua resistenza fisica, togliendogli forse l’energia sufficiente da dedicare alla sua passione artistica come da lui desiderato.

Senza malizia alcuna, ho provato a stuzzicarne la reazione, chiedendogli di parlarmi del rapporto col padre, deceduto un anno prima di diventare centenario. Sappiamo che per ciascuno, l’esperienza avuta col proprio genitore è fondamentale per l’esistenza condotta e quella ancora da portare avanti. Giovanni mi dice che quando doveva esprimere il suo pensiero, l’autorità paterna, ai tempi diffusamente severa, non l’ha mai intimorito. Quelli/e di una certa età, hanno conosciuto bene la severità del genitore maschio, e spesso, per non contraddirlo, si preferiva il silenzio, spesso subìto. Ecco, Giovanni quando doveva dire la sua, non ha temuto mai di farlo, la qual cosa non sempre era ben accetta, nel suo caso da babbo Camboni, nel mio da babbo Murineddu, come generalmente da qualsiasi altro padre. Eppure, o forse proprio per questo, per Giovanni il proprio genitore è stato un fondamentale punto di riferimento e di sicurezza. Con lui il figlio si confidava, trovando sempre attento ascolto. Nelle non moltissime occasioni in cui Giovanni ha deciso di mostrare in pubblico il frutto del suo genio artistico, è possibile che babbo Giomaria abbia risentito del non essere stato coinvolto da subito in queste iniziative, e di questo forse ne risentiva. Allo stesso modo le volte che ha acquistato un’auto nuova in completa autonomia decisionale. Che Giovanni volesse dimostrare la sua capacità e libertà di movimento senza il troppo rigido “controllo” del genitore? Possibile. Ma così è stato, e indietro non si può tornare.

IMG_20170728_091538

Piacevolissima quell’oretta trascorsa in campagna col mio amico Giovanni. Certo, l’aspetto artistico. È specialmente quella la molla che mi ha spinto a volerne l’incontro. Ad un certo punto ti accorgi che l’aspetto umano nell’incontrare una persona prende il sopravvento. E a me questo va bene. Tantissimo. E’ stata cosa piacevolissima e per me veramente arricchente andare a scoprire ogni angolo del terreno che Giovanni percorre quasi giornalmente per innaffiare, zappettare, liberare le tante piante da frutto dai rami secchi, scoprirne i nidi e con rinnovata meraviglia veder dentro gli ovettini che diventeranno uccelli di diverse specie, compresa quella cornacchia che si è mangiato quel bello e grosso fico che Giovanni pregustava di papparsi lui una volta arrivato alla giusta maturazione.

“O Piè, ma lo sai che mele grosse producevano queste piante? Quest’anno il caldo eccessivo e la siccità prolungata ha rovinato quasi tutto….”

I colori che l’amico artista si è preso la pausa per spargerli nelle tele, sembra che la Natura li abbia voluti far ammirare in questa campagnetta, col contributo attivo e paziente dell’uomo che la frequenta e la cura.

IMG_20170719_102013

Abbiamo letto prima: “Nella pittura espressionistica le immagini ottenute sono sempre autonome rispetto alla realtà. Il dato visibile viene reinterpretato con molta libertà, traducendo il tutto in segni colorati che creano una pittura molto decorativa”

Da come  mi ha parlato di lui, ho l’impressione che tale tendenza artistica Giovanni l’abbia applicata principalmente nella sua vita.

Avremo ulteriori possibilità di approfondirne la conoscenza, sia dal lato artistico  e sia sopratutto dal lato umano. Lo speriamo vivamente.

21686311_788067987984480_8273547609254891662_n

Concludo con ciò che il critico Enzo Espa ebbe a scrivere di Giovanni nel lontano agosto del 1978:

“Tutte le volte che mi avvicino a lui lo faccio con devozione. Non voglio dargli la sensazione che sto salendo in cattedra. Ha tante di quelle forze che, se dovessi solo tentare, potrebbe mancarmi di stima. Perciò lo lascio lavorare, contento quando mi chiama per dirmi ciò che sta facendo. Tutto questo è una lezione per coloro che cercano le forme più facili ed accessibili all’arte. Un artista che nasce col cuore di contadino non cerca mai il successo. Cerca, nel variare delle stagioni, nella pioggia o nel vento che batte sulla sua terra, un tono di cielo, la brillantezza  dei verdi sulle piante di ulivi; o il colore della campagna. Filtrando queste cose nel suo spirito pieno di umanità. Sta vivendo nel contempo l’arte e la vita”

Come credo accada a molti artisti, di tanto in tanto e per svariati motivi ci sono momenti di stasi nella creatività. Le vicende della vita è facile che tolgano la concentrazione necessaria, o se si preferisce, l’ “ispirazione”. Se poi, come per Giovanni, si hanno patologie che accompagnano l’ intero corso dell’ esistenza, la cosa è ancora più che comprensibile.

Dopo uno di questi periodi, questa volta particolarmente lungo, Giovanni ha impresso sulla tela questi colori…

FB_IMG_1697089241214

Grazie, Giova’. Continua a svelarci e a farci dono del tuo mondo interiore che esprimi attraverso i colori impressi sulla tela.

“Cippo…..Cippoooooooooo…Ma la vuoi smettere di stare a leccare le gambe del mio amico Piero?!”

LA PASSIONE MUSICALE DI STEFANO, ZIRILLI DI COGNOME,SICILIANO ED EX POLIZIOTTO

 

di Piero Petro Murineddu

Stefano, messinese di nascita, è una vita che risiede a Sennori, almeno da quando ha conosciuto la graziosa signorinella che allora aveva appena 17 anni, Maria Macciocu. Parenti musicisti di alto livello e nel giovanottello siciliano qualche scintilla di quest’arte non poteva non attecchire. Inizialmente l’immancabile armonica a bocca, per poi passare alla tastiera elettronica. E vai a vedere che oggi, a 82 anni compiuti a marzo, quello che sicuramente è stato un aitante servitore dello Stato gli salta in testa di comprarsene una nuova di zecca! E va bè, di medio valore, ma con tanti di quei pulsantini da perderci la testa.

Drinnnnnnn………..

“Piè, mi son comprato una “pianola” nuova ma ha talmente tanti tasti e tastini che ci capisco ben poco. Non è che ci fai un salto e mi aiuti a capirne il funzionamento?”

E finalmente, dopo mesi, il salto riesco a farcelo.

“Buongiorno, Stè. E cosa pensava, che me ne fossi dimenticato?”

“Oh, eccoti qui finalmente…. ma, posso darti del tu?”

“Eccome. Anzi, facciamo così. Ti dò del tu anch’io e così siamo pari…”

“Ahahahahahahahh….troppo bene va..”

Stefano, ancora ventenne, aveva intrapreso l’attività di poliziotto, e fatto un corso di motociclista, si era ritrovato a Sassari, in verità senza che lui lo volesse, ma schizzinosi, a quelli come ai nostri tempi, non è che si poteva e si possa essere, specialmente quando ti ritrovi a dover indossare una qualsiasi divisa per vivere. Quattro anni persino come poliziotto portuale a Porto Torres. Intanto l’amore per Maria era sfociato nel matrimonio, dal quale son venuti fuori due figlie e uno maschio, Gianni, collega e amico mio. Ad un certo punto, essendo troppo forte la nostalgia, chiede il trasferimento nella sua isola, cosa che riesce ad ottenere, non ho capIto bene se con l’intercessione di qualcuno che contava. Ah, l’Italia! Certe abitudini è impossibile che cambino. La mentalità è talmente radicata nel profondo, che tentare di strapparne la mala pianta è ormai praticamente impossibile.

Non passa molto, sopraggiunto l’inevitabile disagio per la lontananza dalla famiglia rimasta a Sennori, che il poliziotto Stefano si ritrova davanti ad un colonnello per richiedere di tornare in Sardegna. Detto e praticamente già fatto. L’alto graduato prende la cornetta e chiama tal Caruso a Roma, funzionario di non si sa bene quale Ministero. Qualche qiorno dopo il giovane Stefano si ritrova abbracciato alla giovane moglie Maria, sorella di un altro Macciocu che a Sennori ha fatto il vigile urbano fino a non molti anni fa.

Dopo diversi anni a cavalcioni della moto d’ordinanza e una rovinosa caduta, Stefano continua e conclude il suo servizio nella Questura e nella Prefettura sassarese. A quarantott’anni si ritrova pensionato e via a dedicarsi alla campagna, attività che lo impegna tuttora, almeno quando gli acciacchi dell’età glielo consentono. In alternativa, con la stampella ben appoggiata all’angolo pront’all’occorrenza, il vecchio Stefano se la suonicchia con la pianola. Il risultato è quello che è, ma lui è contento….almeno fino ad oggi.

Guarda, Piè, io vorrei separare il volume dell’accompagnamento da quello del solista, ma non ho capito come fare…”

“Spostati Ste’ e fammi vedere…”

Per istinto, mi parte di fare una musichetta così, improvvisata. Un valzerino, di quelli che piacciono tanto al vecchio Stefano.

“Iiiihhhhh….caspita! Ma tu sai suonare veramente!! Ma musica hai studiato?”

“No, nessuna musica. Suono così, a orecchio, come si dice. Ma lascia stare i complimenti, perchè se senti uno che sa suonare avvèru avvèru…..”

“Ma no, tu sei molto bravo! Ma la musica leggi?”

Torra.

Ma no Stè, te l’ho detto…. suonicchio così, alla buona. La musica magari avessi avuta la possibilità di studiarla! Ma sai com’è…man mano che si va avanti nell’età si hanno rimpianti per tante cose che potevano andare diversamente…”

“No, no…tu sei bravo, molto bravo……”

La cosa poteva andar avanti così all’infinito, se la cordiale Maria non fosse intervenuta:
“E cosa posso offrirle? Un caffè a glielo preparo….”

“Ma no, Marì. Lascia stare, poi è quasi ora di pranzo…”

“Marì, ma lo sai che Piero è bravo veramente suonando la pianola….”.

A vi semmu dorra!!

“Ascolta, Ste’, faccio così. Appena posso ti porto un manuale semplice per imparare gli accordi e vedrai che in poco tempo saprai suonarti delle belle musichette che piacciono a te….”Romagna mia”,”Quel mazzolin di fiori”, “Vecchio scarpone”, “Attaccàti come l’edera” o gumenti maradizioni si giamaba….”

“No, per me è impossibile imparare a suonare come fai tu…”

“Steeeeeeeee’….ma mi ascolti o non mi ascolti !? Fidati di quello che ti sto dicendo. Abarai a vidè che belle musiche che saprai suonare…”

” Ma dici seriamente?”

“Guarda, l’importante è avere fiducia in se stessi. Tutti siamo arrivati a livelli diversi. Se uno vuole andare avanti, deve volerlo e qualche risultato prima o poi lo vedrà. Adesso vado che in macchina c’è Ciuffo che aspetta”

“Grazie. Adesso lo sai quando vieni. Entra nel cancelletto e bussa alla porta. Il campanello l’abbiamo staccato perchè i ragazzini ci suonavano anche di notte…”.

Eiè….

 

IMG_20170903_122013

Sossu. La Pinetina, fine ingloriosa di un Bene Pubblico

IMG_20170823_174433

 

di Piero Murineddu

Era il 2012, d’agosto. Da un anno l’attività era ferma, dopo dieci anni gestita dalla famiglia Becu Pireddu. Coi soldi pubblici, da una ventina d’anni circa, erano state edificate le strutture in legno, una piscina all’interno di un perimetro in blocchetti e un parco giochi, con panche e tavoli  in pietra e un bel “percorso vita”.

Dopo precedenti saccheggi e atti di meschino vandalismo, non visti e in modo del tutto vigliacco, degli idioti pensarono di accendere il cerino che nell’intera notte avrebbe creato un’irreparabile disastro. L’intervento di vigili del fuoco, protezione civile, carabinieri, dopo un lavoro massacrante,era riuscito ad impedire che il fuoco continuasse a devastare la pineta circostante.

Qualche giorno prima, precisamente il  6 agosto, l’ Istituto di vigilanza Europol Service – ricordate? Quella società che in modo irregolare (non avendo mai installato i parcometri previsti dalla gara) gestiva i parcheggi a pagamento lungo la costa, con grande incazzatura dei tattaresi –  manifestò interesse. Tutto inutile. L’affare non era per loro conveniente.

L’anno dopo, attraverso una gara d’appalto seguita ad altre precedenti andate a vuoto, probabilmente per richieste troppo esose da parte del Comune, ci fu un ulteriore tentativo di far risorgere quello che per tanto tempo ha allietato le giornate e le nottate estive di molti. L’idea di affrontarne le spese non attirò nessuna società per cui, attraverso trattativa privata, sembrava che qualcuno si apprestasse a risolvere quella che da risorsa era divenuta una grossa grana.

Conclusione? Le foto sono di sabato 19 agosto 2017 e chiunque può constatare lo stato pietoso in cui il sito è ridotto.

IMG_20170823_175252

Le uniche cose rimaste integre sono i tavoli  in pietra, contro cui il fuoco e gli imbecilli non hanno potuto fare niente. Sono lì, desolatamente inutilizzati e probabilmente nostalgici del tempo che fu.

IMG_20170823_175517

Anche il vecchio, col suo sguardo severo e rassegnato per le incapacità delle generazioni (politiche e non)  locali che si susseguono,  continua ad aspirare la sua pipa sempre fumante, e il pensiero del suo vicino rimane eternamente indecifrabile. Rimangono loro i principali testimoni dello sconquasso tutt’intorno.

IMG_20170823_175418

Dell’argomento ho avuto modo di parlarne attraverso diversi scritti e
sinceramente di spendere altre parole non ho più voglia. Venutomi in mente, qualche giorno fa vi ho voluto fare una capatina, giusto per rinnovarmi l’incazzatura per la sconfinata imbecillità da cui siamo circondati e in cui siamo immersi.
Incamminatomi sulla strada sterrata del ritorno, ho incontrato addirittura una persona che se la siede tra gli scranni del consiglio comunale. A far che non l’ho capito, ma è lì, dietro delega avuta da una “buona” parte di sorsinchi per affrontare i problemi che impediscono l’essere contenti di vivere a Sorso e cercare di migliorarne le condizioni:
“Ah, Piè, tu sei…..”
“Si…si…sono io. Ciau”.
Ho proseguito per la mia strada, con la testa china e pensierosa. Ma è meglio che certi pensieri li tenga per me.Piuttosto, ho voluto chiedere qualcosa in proposito proprio a colui che gestiva il posto quando era in piena attività, geometra in pensione e oggi appassionato creatore di cestini e di manufatti vari. Questo è quanto ha voluto dirmi, senza voler entrare troppo nei particolari per il perché e per il come lui e la famiglia avevano deciso di rinunciare ad occuparsene.
          

IL “NEMO PROPHETA IN PATRIA” È SEMPRE D’ATTUALITÀ

di G.Franco Becu Pireddu

 

Caro Piero, l’altro giorno ho letto quanto  tua moglie Giovanna ha scritto circa l’ingloriosa fine di una realtà che aveva contribuito a creare un diversivo, per bambini, giovani e anche ( o forse specialmente) per gli anziani del nostro paese e non solo, perchè in effetti era frequentata più da sassaresi e portotorresi. Il “Nemo propheta in patria” è sempre di triste attualità. Dopo che, con molto rammarico, abbiamo deciso di abbandonare, per motivi che sarebbe troppo lungo analizzare in questo contesto, ho seguito, con molto distacco, le varie fasi delle molte gare di appalto (se non ricordo male 4 o 5 ) nel vano tentativo di assegnare a qualcun altro la gestione di un’attività che, viste le onerose pretese del Comune, era diventata antieconomica. Vane sono state le tante ore impiegate e tutte le argomentazioni utilizzate per cercare di spiegare ad un ottuso dirigente, responsabile dell’ufficio tributi, che il canone richiesto e le condizioni imposte, erano troppo onerose e si rischiava che nessuno si assumesse l’impegno di portare avanti un’attività in perdita, rischiando di distruggere una ricchezza – anche in termini economici – che apparteneva a tutta la comunità. È stato tutto inutile e la fine miserabile la conosciamo tutti. Dopo la distruzione sono ripassato un paio di volte a rivedere lo scempio ma ogni volta era rinnovare l’estrema amarezza che era rimasta nel vedere distrutta una parte delle fatiche e, senza retorica, una parte della propria esistenza, famiglia compresa. Tutto qui e preferisco non andare oltre. Un caro saluto.

 

Per concludere, un video che in parte potrebbe servire a risollevare l’ umore messo a dura prova nel leggere di questa triste vicenda

VALORI AUTENTICAMENTE CRISTIANI E VALORI DELLA CULTURA EUROPEA

21015969_772903382834274_2487479921373914501_o

 

 

di Piero P. Murineddu

Richiamo alla solidarietà di Gian Mirko e l’invito di Brigaglia a porre i margini contro l’imbecillita’ imperante. D’accordissimo. Solo un modestissimo parere per il dubbio del Prof: ” Non capisco molto in che cosa i veri valori cristiani si distinguano dai veri valori della classica cultura laica europea”.
In verità, più che dubbio, quello del vecchio Manlio mi sembra un voler mettere sullo stesso piano i due ambiti, quello dei valori cristiani e quelli della cultura laica europea. Secondo me i “valori cristiani”, necessariamente bisogna distinguerli dal comportamento concreto che la Chiesa, cattolica in particolare e gerarchica ancora più in particolare, ha tenuto storicamente, e qui potremmo sbizzarrirsi elencando le nefandezze compiute. Per ” valori cristiani”, quelli autentici, come richiama Gian Mirko, bisogna tornare a ciò che quel Particolare Uomo assassinato dal Potere duemila anni fa circa, ha detto e specialmente ha fatto.
Alcuni esempi. Ha accolto tutti, specialmente gli scartati dalla società, ridando loro dignità e massimo rispetto.
Ha reagito in modo nonviolento a chi gli andava addosso, chiedendone motivo e rinunciando al biblico “occhio per occhio, dente per dente”, e questo senza passare per fesso.
Ha detto che la ricchezza non è un male in se, ma che bisogna condividerla, altrimenti se ne diventa schiavi.
Ha smascherato gli ipocriti e i benpensanti, dicendo che le prostitute e compagnia scandalosante li avrebbero preceduti nel Regno.
Non ha incoraggiato le alleanze di forze per apparire più temibili davanti ai nemici.
Ha avuto il coraggio di essere controcorrente per non sembrare per forza osannato e glorificato da chicchessia.
Ha detto, ridetto e ribadito fino alla nausea, che chi vuole essere il primo deve servire gli altri, che il potere serve unicamente per portare avanti gli altri, non se stesso…..
Altri esempi? Non c’è bisogno, eppoi sto scrivendo col telefonino e sapete che la cosa non è per niente agevole.
Tolleranza? No, non ha parlato di tolleranza, oggi tradotto in ” io ti lascio fare ciò che ti pare, ma non rompermi i c……i”. Il valore autenticamente cristiano è Accoglienza e massimo rispetto per l’altro, specialmente se diverso da me per cultura e sensibilità. Certo, per arrivare a questo, strada ne dobbiamo fare tutti ancora parecchia, e non so se neanche in letto di morte potremo dire di esserci riusciti. Ma questo è quello che ci ha indicato quell’Uomo se vogliamo tentare di essere appena appena felici in questo “passaggio” terreno.
Differenza tra valori autenticamente cristiani e valori della classica cultura laica europea? Parecchi, e molto di sostanza.

BETTOLA? BUTTIGHINU!

20993999_772435722881040_6059342100876517152_n

di Piero P. Murineddu

Bellissima questa foto, accompagnata dalla didascalia della brava Stefania Spanu. Visi sorridenti, sia che lo scatto sia avvenuto nella prima metà degli anni quaranta, quando ancora l’inaudito e terrificante conflitto mondiale imperversava, oppure che sia avvenuto negli anni postbellici della ricostruzione, delle cose e specialmente degli animi.

Bellissima per la presenza di un’ancora giovane Antonietta Frau, a cui mi lega un ricordo pieno d’affetto e di simpatia.

Bellissima per l’attività che vi si svolge, cioè la preparazione di quella fortemente inebriante bevanda ottenuta dallo scarto di bei grappoloni d’uva sussinca.

Bellissima per il riferimento alla bettola, più localmente chiamata buttighinu, legato ingiustamente solo a sbornie colossali e a mariti che picchiavano le mogli quando facevano “vinu maru”.

Lu buttighinu era il posto di svago dopo le immani fatiche di tutta la giornata trascorsa in campagna, il più delle volte massacrandosi la schiena piegati sulla zappa. Ci si rifocillava con pietanze semplici e si stava insieme, rigenerandosi anche mentalmente. Logico, qualche bicchiere di troppo poteva capitare, e forse anche spesso. Ma era lo spazio di socialità che serviva per tirare avanti. Gli odierni bar? Tutta un’altra cosa.

E INTANTO LA PINACOTECA A SORSO PUÒ ATTENDERE

20953325_771999596257986_2615034208677076156_n

di Piero P. Murineddu

Di quale edificio si tratti, i sorsesi lo sanno benissimo. Da quando il comando dei carabinieri si è trasferito, l’abbandono e il degrado è stato graduale e sotto gli occhi di tutti, trovandosi in un punto centrale del paese. L’altro giorno un’amica me ne ha attirato l’attenzione:”E’ già qualche giorno che ci passo e sempre, lì vicino al muro, ci vedo un topo ormai in avanzato stato di decompozione. Immagino che anche i gatti hanno pietà di lui per com’è ridotto….”.

È uno degli edifici storici di Sorso, e il tempo, per l’incuria umana, ne sta prendendo il sopravvento. Il vecchio Peppino Vacca, godendosi il freschetto seduto nella panchina, mi ricorda che per un periodo c’è stata la sede dei barrancelli e forse di qualche altra associazione. Ora vi abita, abusivamente e probabilmente tollerata dalle autorità locali, una famiglia che sicuramente bene non se la passa.

Un articolo ripescato dall’archivio de La Nuova, ci ha rammentato che anni fa, chiedendone il comodato d’uso all’ente proprietario, chi sedeva nei pressi dei bottoni di comando comunale, aveva l’intenzione di farne una Pinacoteca e una mostra permanente delle opere dei tanti artisti locali. Una delle tante pie intenzioni che da queste parti, chissà perché, rimangono solitamente tali.

Politici che si attivano per porre fine a tale scempio e ridare il giusto valore all’edificio? Manco l’ombra.

Mobilitazione popolare perché si richieda, a chiunque ne abbia il potere, di dare finalmente una svolta e ridare dignità al caseggiato? Campa cavallo.

Presa seria coscienza da chi di dovere che lì dentro, nelle attuali condizioni, non possono viverci dignitosamente delle persone, tanto meno se ci sono bambini? Figuriamoci.

E quindi, che di fa? Aspetto che la mia amica, tra qualche tempo mi richiami: ” Pie’, ricordi quella volta che ti dissi di quel topo che………..Eia, quella. Sai che ne ho visto altri due?”

20992803_771999632924649_6400715677489530724_n

“Il fumo sulla mia terra”, di Giampaolo Bazzoni

 

bazzoni copertina0001

LIRE MILLE

Capitolo primo

il fumo sulla mia terra 1

il fumo sulla mia terra 2il fumo sulla mia terra 3il fumo sulla mia terra 4

Capitolo secondo

il fumo sulla mia terra 5il fumo sulla mia terra 6il fumo sulla mia terra 7

Capitolo terzo

il fumo sulla mia terra 8il fumo sulla mia terra 9

Capitolo quarto

il fumo sulla mia terra 10il fumo sulla mia terra 11

Capitolo quinto

quinto 1quinto 2quinto 3

Capitolo sesto

sesto 1

sesto 2

 Capitolo settimo

settimo 1

settimo 2

settimo 4settimo 6

Capitolo ottavo

il fumo sulla mia terra 21

Capitoli  nono e decimo

il fumo sulla mia terra 22il fumo sulla mia terra 23

Capitolo undicesimo

il fumo sulla mia terra 24il fumo sulla mia terra 25il fumo sulla mia terra 26il fumo sulla mia terra 27il fumo sulla mia terra 28

Capitolo dodicesimo

il fumo sulla mia terra 29

il fumo sulla mia terra 30

Capitolo tredicesimo

il fumo sulla mia terra 31il fumo sulla mia terra 32il fumo sulla mia terra 33il fumo sulla mia terra 34

Capitolo quattordicesimo

il fumo sulla mia terra 14 -1il fumo sulla mia terra 14 2il fumo sulla mia terra 14 3

Capitolo quindicecesimo

il fumo sulla mia terra 15 1il fumo sulla mia terra 15 2

Capitolo sedicesisimo

il fumo sulla mia terra 16 1il fumo sulla mia terra 16 2

Capitolo diciasettesisimo

il fumo sulla mia terra 43il fumo sulla mia terra 44

Capitolo diciottesisimo

il fumo sulla mia terra 45

Capitolo dicianovesimo

il fumo sulla mia terra 46il fumo sulla mia terra 47

Capitolo ventesimo

il fumo sulla mia terra 48il fumo sulla mia terra 49il fumo sulla mia terra 50il fumo sulla mia terra 51

Capitolo ventunesimo

il fumo sulla mia terra 52

Capitolo ventiduesimo

il fumo sulla mia terra 53il fumo sulla mia terra 54il fumo sulla mia terra 55il fumo sulla mia terra 56

Capitolo ventitreesimo

 

il fumo sulla mia terra 57il fumo sulla mia terra 58il fumo sulla mia terra 59il fumo sulla mia terra 60il fumo sulla mia terra 61il fumo sulla mia terra 62

Ultimo capitolo

 

il fumo sulla mia terra 63

QUANDO VIVERE CON LORO ERA …CURATIVO

20953125_771389552985657_4825953686197568821_n

di Piero P. Murineddu

Ma che ricordi può avere un’ottantenne di quando gli spostamenti, se non a piedi, dovevano avvenire obbligatoriamente servendosi degli animali? E che rapporto s’instaurava tra loro, ancora in tenera età, e questi preziosissimi “mezzi” di trasporto? E che amorevole cura dovevano dedicar loro, oltre al foraggio e alla pulizia della stalla a cui solitamente provvedevano i genitori, padre sopratutto? L’animale era a tutti gli effetti un necessario e insostituibile membro della famiglia, e a lui veniva riservato un posto e un trattamento privilegiato. Il lavoro in campagna difficilmente poteva svolgersi in loro mancanza e la cui presenza con molta probabilità alleviava i duri pesi della vita, non solo quelli materiali, ma probabilmente, se non specialmente, anche quelli personali ed esistenziali.
Nei nostri tempi, ultra stressati e oltremodo stressanti, capìto finalmente che i soli farmaci non sono la bacchetta magica per il diffuso malessere del vivere, fisico o mentale ch’esso sia, è nata addirittura l’ippoterapia, e sembra che apporti benefici fino a ieri insperati. Eppoi c’è l’onoterapia, con quegli animali di “ceto” meno nobile degli equini quali sono gli asini, umili bestie (senza offesa….è così) prese a paragone di testardaggine e quindi di scarso sapere dell’essere invece umani e (spesso illusoriamente) ragionevoli. I benefici curativi, con la vicinanza di quest’ultimi, sembrerebbero addirittura superiori al più considerato cavallo.
Ah, i nostri ottantenni, i nostri cavalli, i nostri asini………

IL DIRITTO DI PARLARE E’ INTOCCABILE

 

di Piero P. Murineddu

Pochi giorni fa mi è capitato di seguire delle reazioni ad una breve lettera che un nostro concittadino ha mandato a “La Nuova”, riguardante la mancanza d’animazione nei fine settimana a Sorso, oltre quelle poche che ormai son diventate appuntamento fisso dell’estate sorsese. Nella lettera vi erano alcune proposte, specialmente sotto l’aspetto musicale e ludico.

Il senso della “conversazione” su FB era che è facile parlare, ma che bisogna prendere l’iniziativa e passare dalle parole ai fatti. Come principio concordo. Nello stesso momento non condivido questo “rimprovero” a chi ha pensato, attraverso una lettera pubblica, di far conoscere il proprio pensiero, come se il diritto di esprimere una propria opinione, e farlo pubblicamente, non esistesse più e sia segno di estrema “comodità”.

A questo punto, tra questi ” criticabili” potrebbe rientrare chi scrive queste righe, che ha il “cattivo vizio”, per certuni anche irritabile, di esprimere l’opinione riguardante diversi ambiti. La dico papale papale. Io continuerò, coi mezzi limitati a mia disposizione, a riflettere “a voce alta”, e nessuno può togliermi tale diritto. Nel contempo nessuno è obbligato a leggermi ed è anzi liberissimo di girarsi dall’altra parte. Che siano due, dieci o cinquanta interessati a conoscere il mio pensiero non è un qualcosa che mi toglie o mi agevola il sonno. Se qualcuno vuole farmi conoscere la sua opinione bene, se no avanti senza remora alcuna. Dico e non faccio? Questo lo vedo io e fa parte della mia vita privata. Il diritto di parlare e, quando possibile, di farlo pubblicamente, non lo si può negare a nessuno. Anzi, ce ne fossero…….

20953634_771299739661305_3472517939526257146_n

La mia sdraio domenicale

di Piero Murineddu

FB_IMG_1692512611792

“Sdraio” ventilata stamattina. Una brezza che è veramente un piacere passeggiarsela. E basta con quest’estate arroventata che oltre chilometri di terra e vegetazione (questa volta non solo sarda, e la cosa non mi rallegra per niente), sta bruciando anche i nostri cervelli e la capacità di pensare e giudicare obiettivamente ciò che ci succede intorno, questione immigrati per prima. Ma lasciamo stare.

Piuttosto è quella nave là in fondo che mi riporta indietro nel tempo. La qual cosa mi viene provvidenziale, se non altro per mettere da parte almeno per un po’ le brutture dei tempi che stiamo vivendo.

Ma vi ricordate quando per raggiungere il “continente” ci potevamo permettere solo le otto e più ore di navigazione, con mare calmo o talmente agitato da fartene uscir fuori persino li viddigghi? Ah, quel primo viaggio, affrontato per il sacro dovere di “servire” la Patria! La nave s’inclinava talmente e senza tregua da destra a sinistra che era una meraviglia. I ponti, la sala del bar, i corridoi delle cabine….tutto un mare di vomito. Eppoi gli altri viaggi, inizialmente col passaggio “ponte” a trascorrere la traversata sdraiato nell’angolo meno trafficato, con quella luce accesa che ti torturava fino alla mattina seguente. Questo almeno fin quando non si è messo su famiglia e acquistata la macchinetta. Allora era arrivato il tempo del “lusso”, cioè un letto in una cabina che quando andava bene non dovevi condividere con uno sconosciuto che ronfava per tutto il tempo. Ah, la Tirrenia, compagnia unica che ti monopolizzava la possibilità di raggiungere ogni tanto lu “Guntinenti”! Ma ve le ricordate, alla mattina e poco prima dello sbarco, quelle lunghe e ancora assonnate file al bar per cornetto (rigidamente confezionato in fabbrica) e cappuccino ( rigidamente in bicchiere di plastica)? E dabboi la ressa e l’impaziente pazienza, pressati come acciughe da ” compagni” di viaggio, per arrivare, finalmente liberi, sani e salvi, alla scaletta d’uscita. Aufhhhhh….era ora!! E quando dovevi trascinarti dietro la valigia o lo zainone sulle spalle, il dramma era doppio: “Scusi….oh, mi perdoni….permesso…..oh, mi scusi ancora…..”. Che tempi!
Adesso c’è l’aeroplano che neanche ti devi scomodare per fare il biglietto. T’attacchi al pici e in un attimo sei a posto. A proposito, e le agenzie di viaggio che caspita di fine hanno fatto?
Comunque sia, a me la nave manca. Almeno se doveva affondare, una nuotatina poteva ancora salvarti la vitaccia. Sull’aereo invece…… Ah, che tempi quando si viaggiava con la Tirrenia, servito e riverito da personale educato, disponibile e rigidamente …napoletano.
Buona domenica