Messaggio più recente

Io sto con Mimmo 23

PRIMA CHE IL CATACLISMA GIUDIZIARIO SI ABBATTESSE SU
M I M M O   L U C A N O

di Davide Mamone (giugno 2017)

Polish_20230907_232007120

Era il primo luglio 1998. Al fianco della Statale 106 pochi ragazzi sulla spiaggia in attesa dell’alba videro arrivare una nave. Prima piccola, in lontananza. Poi più grande, in avvicinamento. Al suo interno circa trecento persone, di origini curde, partite dalla Turchia e dall’Iraq verso l’Italia alla ricerca di un futuro migliore. Come tante altre. Davanti a loro una terra che conoscevano, ma solo per aver letto il nome su una cartina geografica.

Se Riace, circa 2.000 anime nella Calabria ionica, è considerata in tutto il mondo, un modello nella gestione del fenomeno dell’immigrazione, lo deve in particolar modo a quel giorno, allo sbarco da cui tutto ebbe inizio. E anche a Domenico Lucano, un sindaco che ha sempre considerato l’arrivo del diverso come risorsa e non come scarto e che, qualche mese dopo la notte dello sbarco, anche se ancora non nelle vesti di primo cittadino, ha deciso di avviare un progetto sociale destinato a cambiare il volto del piccolo paese della Locride: Città Futura.

Dalla spiaggia che accolse i trecento profughi curdi nell’estate del 1998, al centro storico di Riace ci sono circa sette chilometri. Nel mezzo, la provinciale 93, tutta curve, piante verdi e rocce bianche. Risalendo la strada, il panorama vista mare è splendido. Ma a catturare l’attenzione di chi si avvicina al borgo sono due cartelli, poco distanti l’uno con l’altro. Il primo viola, il secondo rosso. Una sola, la scritta che li caratterizza: “Riace, paese dell’accoglienza”. E dei colori.

Lasciando la macchina nel parcheggio del centro storico, infatti, si nota subito un anfiteatro arcobaleno, divenuto, insieme, centro ricreativo, parco attrezzato per bambini e sede dell’iniziativa Riace in festival, in programma ogni anno nel mese di luglio. L’anfiteatro è il biglietto da visita di un paese dall’atmosfera serena e dai ritmi pacati, caratterizzato da vicoli, scorci, stradine e cartelli. Come quello affisso nella piazza principale, che ricorda le venti nazionalità presenti nei confini riacesi: dall’Etiopia all’Eritrea, dal Ghana al Mali, dall’Afghanistan al Pakistan. E poi ancora Libia, Turchia, Tunisia e molti altri.

Addentrandosi tra i vicoli, un murales azzurro con la scritta “Dove vanno le nuvole?” dà accesso al Villaggio Globale, una porzione di città che rappresenta il cuore pulsante del progetto sociale, promosso nel corso degli anni da Città Futura. Tra le vie di questo piccolo “paese nel paese” si concentrano i laboratori che coinvolgono cittadini italiani e cittadini immigrati, senza distinzione di razza e nazionalità. Rame e vetro, ricamato e legno, cioccolato e altri alimenti: sono tante le botteghe che hanno ridato vita al centro storico, permettendo il nascere di nuove amicizie, di nuovi rapporti professionali, di percorsi formativi comuni. Non lontano dall’entrata del Villaggio Globale, una giovane coppia di nord-africani cammina lungo una stradina con il figlioletto nel passeggino. Di fronte a loro c’è Palazzo Pinnarò, sede dell’associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi, ucciso a Palermo da Cosa Nostra nel settembre del 1993, per il suo impegno contro la criminalità organizzata.

“Aiutandoli, ci aiutiamo”. È sempre stato questo il mantra di Domenico Lucano, sindaco di Riace da due mandati, protagonista del progetto sociale fin dal primo giorno. È stato lui a gettare le basi per la nascita dell’associazione, assieme a un gruppo di fedelissimi, e ad alimentarla con idee e impegno. La riqualificazione di case abbandonate ha permesso un insediamento decoroso per i profughi. L’utilizzo dei fondi pubblici, invece, ha portato alla nascita di laboratori e progetti e di nuove forme di welfare mix, capaci di coinvolgere in prima persona anche i privati.

A Riace, i cittadini immigrati utilizzano il “pocket money” giornaliero attraverso una moneta complementare, che permette loro di far spese esclusivamente dai commercianti riacesi, e al commercio di Riace di sopravvivere alla crisi economica. I benefici sono per tutti. Il progetto sociale proposto dal sindaco Lucano ha dato speranza non solo a chi da immigrato è arrivato a Riace, ma anche a Riace stessa. Segnato da grossi problemi demografici sia negli anni ’80 sia negli anni ’90, il destino del borgo era segnato: senza l’arrivo dei nuovi cittadini del mondo, si sarebbe trasformato in un paese fantasma.

Oggi, invece, Riace è più viva che mai. Ed è considerata un esempio, anche al di fuori dei confini riacesi. Il regista tedesco Wim Wenders ha girato un cortometraggio in 3D sul modello-Riace, intitolato La voce. Quando Wenders è tornato in Germania per presentare il suo lavoro, ha descritto il paese della Locride come un luogo in cui “cadono muri ancora più importanti di quello abbattuto 27 anni fa a Berlino”. Mentre il sindaco Domenico Lucano, che di quel cortometraggio era stato protagonista, lo scorso marzo ha ricevuto a Dresda il Premio per la Pace, grazie all’esperienza del suo Comune come modello di integrazione e accoglienza.

A Riace, infatti, tradizioni italiane e culture straniere si intrecciano tra le vie della città, dove anziani e immigrati convivono senza frizioni. C’è chi lavora nei laboratori e chi si occupa della raccolta differenziata. Chi lavora nelle spiagge di Riace Marina e chi a Riace alta. Oggi, nel centro storico vivono quasi 500 profughi e gli immigrati rappresentano nel complesso un terzo della popolazione totale: qualcuno resta, qualcuno va via dopo un periodo trascorso in paese, alla ricerca di una seconda vita. Tutti, però, vengono coinvolti nella vita della comunità.

“Non so se il modello riacese sia replicabile altrove, ma so che da noi ha funzionato. Oggi, nonostante le mille difficoltà, il nostro è tornato a essere un posto felice in cui vivere”. Lo ripete spesso, il sindaco Domenico Lucano. Quella calda notte nel 1998, del resto, ci aveva creduto prima di tutti.

Io sto con Mimmo 23

PRIMA CHE IL CATACLISMA GIUDIZIARIO SI ABBATTESSE SU
M I M M O   L U C A N O

di Davide Mamone (giugno 2017)

Polish_20230907_232007120

Era il primo luglio 1998. Al fianco della Statale 106 pochi ragazzi sulla spiaggia in attesa dell’alba videro arrivare una nave. Prima piccola, in lontananza. Poi più grande, in avvicinamento. Al suo interno circa trecento persone, di origini curde, partite dalla Turchia e dall’Iraq verso l’Italia alla ricerca di un futuro migliore. Come tante altre. Davanti a loro una terra che conoscevano, ma solo per aver letto il nome su una cartina geografica.

Se Riace, circa 2.000 anime nella Calabria ionica, è considerata in tutto il mondo, un modello nella gestione del fenomeno dell’immigrazione, lo deve in particolar modo a quel giorno, allo sbarco da cui tutto ebbe inizio. E anche a Domenico Lucano, un sindaco che ha sempre considerato l’arrivo del diverso come risorsa e non come scarto e che, qualche mese dopo la notte dello sbarco, anche se ancora non nelle vesti di primo cittadino, ha deciso di avviare un progetto sociale destinato a cambiare il volto del piccolo paese della Locride: Città Futura.

Dalla spiaggia che accolse i trecento profughi curdi nell’estate del 1998, al centro storico di Riace ci sono circa sette chilometri. Nel mezzo, la provinciale 93, tutta curve, piante verdi e rocce bianche. Risalendo la strada, il panorama vista mare è splendido. Ma a catturare l’attenzione di chi si avvicina al borgo sono due cartelli, poco distanti l’uno con l’altro. Il primo viola, il secondo rosso. Una sola, la scritta che li caratterizza: “Riace, paese dell’accoglienza”. E dei colori.

Lasciando la macchina nel parcheggio del centro storico, infatti, si nota subito un anfiteatro arcobaleno, divenuto, insieme, centro ricreativo, parco attrezzato per bambini e sede dell’iniziativa Riace in festival, in programma ogni anno nel mese di luglio. L’anfiteatro è il biglietto da visita di un paese dall’atmosfera serena e dai ritmi pacati, caratterizzato da vicoli, scorci, stradine e cartelli. Come quello affisso nella piazza principale, che ricorda le venti nazionalità presenti nei confini riacesi: dall’Etiopia all’Eritrea, dal Ghana al Mali, dall’Afghanistan al Pakistan. E poi ancora Libia, Turchia, Tunisia e molti altri.

Addentrandosi tra i vicoli, un murales azzurro con la scritta “Dove vanno le nuvole?” dà accesso al Villaggio Globale, una porzione di città che rappresenta il cuore pulsante del progetto sociale, promosso nel corso degli anni da Città Futura. Tra le vie di questo piccolo “paese nel paese” si concentrano i laboratori che coinvolgono cittadini italiani e cittadini immigrati, senza distinzione di razza e nazionalità. Rame e vetro, ricamato e legno, cioccolato e altri alimenti: sono tante le botteghe che hanno ridato vita al centro storico, permettendo il nascere di nuove amicizie, di nuovi rapporti professionali, di percorsi formativi comuni. Non lontano dall’entrata del Villaggio Globale, una giovane coppia di nord-africani cammina lungo una stradina con il figlioletto nel passeggino. Di fronte a loro c’è Palazzo Pinnarò, sede dell’associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi, ucciso a Palermo da Cosa Nostra nel settembre del 1993, per il suo impegno contro la criminalità organizzata.

“Aiutandoli, ci aiutiamo”. È sempre stato questo il mantra di Domenico Lucano, sindaco di Riace da due mandati, protagonista del progetto sociale fin dal primo giorno. È stato lui a gettare le basi per la nascita dell’associazione, assieme a un gruppo di fedelissimi, e ad alimentarla con idee e impegno. La riqualificazione di case abbandonate ha permesso un insediamento decoroso per i profughi. L’utilizzo dei fondi pubblici, invece, ha portato alla nascita di laboratori e progetti e di nuove forme di welfare mix, capaci di coinvolgere in prima persona anche i privati.

A Riace, i cittadini immigrati utilizzano il “pocket money” giornaliero attraverso una moneta complementare, che permette loro di far spese esclusivamente dai commercianti riacesi, e al commercio di Riace di sopravvivere alla crisi economica. I benefici sono per tutti. Il progetto sociale proposto dal sindaco Lucano ha dato speranza non solo a chi da immigrato è arrivato a Riace, ma anche a Riace stessa. Segnato da grossi problemi demografici sia negli anni ’80 sia negli anni ’90, il destino del borgo era segnato: senza l’arrivo dei nuovi cittadini del mondo, si sarebbe trasformato in un paese fantasma.

Oggi, invece, Riace è più viva che mai. Ed è considerata un esempio, anche al di fuori dei confini riacesi. Il regista tedesco Wim Wenders ha girato un cortometraggio in 3D sul modello-Riace, intitolato La voce. Quando Wenders è tornato in Germania per presentare il suo lavoro, ha descritto il paese della Locride come un luogo in cui “cadono muri ancora più importanti di quello abbattuto 27 anni fa a Berlino”. Mentre il sindaco Domenico Lucano, che di quel cortometraggio era stato protagonista, lo scorso marzo ha ricevuto a Dresda il Premio per la Pace, grazie all’esperienza del suo Comune come modello di integrazione e accoglienza.

A Riace, infatti, tradizioni italiane e culture straniere si intrecciano tra le vie della città, dove anziani e immigrati convivono senza frizioni. C’è chi lavora nei laboratori e chi si occupa della raccolta differenziata. Chi lavora nelle spiagge di Riace Marina e chi a Riace alta. Oggi, nel centro storico vivono quasi 500 profughi e gli immigrati rappresentano nel complesso un terzo della popolazione totale: qualcuno resta, qualcuno va via dopo un periodo trascorso in paese, alla ricerca di una seconda vita. Tutti, però, vengono coinvolti nella vita della comunità.

“Non so se il modello riacese sia replicabile altrove, ma so che da noi ha funzionato. Oggi, nonostante le mille difficoltà, il nostro è tornato a essere un posto felice in cui vivere”. Lo ripete spesso, il sindaco Domenico Lucano. Quella calda notte nel 1998, del resto, ci aveva creduto prima di tutti.

Decreto Baby gang: ennesima prova dell’ incompetenza di questo governo. E poi, la situazione nelle carceri…

da “antigone.it
Abbassare l’età di chi entra in carcere non è la soluzione. Così come non lo è mai la reazione repressiva. Chiunque ha a che fare coi ragazzi sa che LE RESPONSABILITÀ VANNO ESTESE AGLI ADULTI E ALLA SOCIETÀ. Punire un ragazzo non è mai la risposta, specie a quell’età.

Il sistema della giustizia minorile italiana è un sistema che funziona, dove la detenzione negli istituti di pena è dal 1988 sempre più residua. Se qualche provvedimento deve essere intrapreso in tal senso, questo deva andare verso una modifica del sistema sanzionatorio prevedendo pene diversificate per i minori e non abbassando l’età in cui un minore può entrare in carcere o solo con interventi delegati alla polizia.

SERVONO EDUCATORI e non questori per occuparsi di ragazzi nei luoghi a rischio. Servono investimenti sociali e culturali nelle periferie urbane e in tutti quei luoghi dove i contesti economici e sociali sono difficili e non lasciano grande spazio a percorsi diversi da quelli che possono portare alla commissione di reati. Serve la LOTTA ALLA DISPERSIONE SCOLASTICA, che non può passare dal carcere per i genitori.

Anche se autori di reato, si parla di ragazzi in un’età cruciale del loro sviluppo, che HANNO BISOGNO DI UN PERCORSO EDUCATIVO E NON PUNITIVO, che spesso arrivano da contesti sociali ed economici diffusi.

Pensare al carcere come soluzione dei problemi della criminalità significa invece ancora una volta scaricare sul sistema penale la responsabilità dei vuoti che lo Stato lascia in tutti gli altri ambiti. Un problema enorme quando si parla di adulti, DRAMMATICO QUANDO SI PARLA SE NE DISCUTE PER I MINORI.

Se si vuole fare un buon servizio a questi ragazzi e alla società dove questi sono cresciuti e torneranno sarebbe utile, invece, pensare ad un sistema dei reati e delle pene differente da quello in vigore per gli adulti, a maggior ragione constatando che il vigente il codice Rocco non soddisfa minimamente il principio, sancito nella Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989, del superiore interesse del minore.

L’articolo 27 della Costituzione assegna alla pena una funzione rieducativa e pone limiti all’esercizio del potere di punire allo scopo di evitare trattamenti contrari al senso di umanità. Principi che, per essere adattati a ragazzi e ragazze, richiedono una diversa elencazione di reati e un ben più VARIO PLURALISMO SANZIONATORIO, con reati che potrebbe essere depenalizzati, trattati civilmente al di fuori del diritto penale o affidandosi alla giustizia riparativa.

LA PUNIZIONE NON È MAI UN DETERRENTE. Non lo è con gli adulti, ancor meno lo è con i bambini e i ragazzi, con i quali lo sforzo da fare dovrebbe essere quello di prenderli, capirli, stargli accanto, non sbatterli in cella sperando che così imparino la lezione.

A proposito, cosa sappiamo di quella parte di società rinchiusa nelle carceri?

122108838-0fff7d9f-cac2-4dca-8f41-1eb8c733cb41

di Piero Murineddu

Dalle pene inflitte al reo durante il lungo Medio Evo a discrezione e umore del sovrano al “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, dall’ Art 27 della Costituzione che ogni tanto qualche furbastro vorrebbe cambiare all’ influenza della politichetta sulla Magistratura di questi tempacci.

Nessuno studio e lettura di libroni o noiose conferenza, ma solamente ascoltare questi volontari di ANTIGONE che, autorizzati, vanno a ficcare il nasino, gli occhi e l’ intelligenza dentro quegli edifici che dovrebbero essere luoghi e tempi NON PER PUNIRE delinquenti incalliti ma PER RIEDUCARE persone umane che hanno sbagliato.

Io sto con Mimmo 22

INTANTO, NEL VILLAGGIO GLOBALE DI

M I M M O   L U C A N O

di Alessandra Pellegrini De Luca e Antonio Russo (il post.it)

FB_IMG_1694149442165
Lo scorso 26 ottobre è ripreso il processo d’appello contro Domenico Lucano, l’ex sindaco di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Lucano è il principale imputato: era stato condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di carcere, il 30 settembre 2021, perché giudicato colpevole di una serie di reati compiuti nella gestione dei celebri progetti di accoglienza dei migranti che aveva realizzato nella sua città, raccontati in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà.

La requisitoria davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria, dopo una commentata riapertura dell’istruttoria dibattimentale, si è conclusa con una richiesta di condanna a 10 anni e 5 mesi di reclusione per Lucano: pena inferiore rispetto a quella stabilita dal Tribunale di Locri nel primo grado di giudizio, ma giudicata comunque da molti sproporzionata rispetto ad accuse che sono state estesamente criticate e considerate pretestuose.

A Lucano, sindaco dal 2004 al 2018, viene contestato di aver aggirato le leggi che regolano l’ingresso e il soggiorno in Italia, di aver commesso una serie di irregolarità nella rendicontazione delle spese e nell’affidamento di servizi pubblici relativi ai progetti di accoglienza, e di aver strumentalizzato l’integrazione degli stranieri per realizzare investimenti illeciti utilizzando soldi pubblici avanzati da quei progetti. I reati di cui è accusato sono associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio.

Con la vicenda giudiziaria in corso Riace si è svuotata e molti dei migranti che ci vivevano sono stati portati via. Ma nell’ultimo anno sono arrivate alcune famiglie dall’Afghanistan in fuga dal regime dei talebani, e l’accoglienza nel borgo è lentamente ripartita grazie a una serie di donazioni che, in mancanza di altre forme di finanziamento legate ai progetti di accoglienza, stanno permettendo a chi ci vive di abitarci e lavorare.

Da settembre 2019 lo stesso cartello non è più presente all’ingresso del borgo, dove era stato montato nel 2007 da Lucano durante il primo dei suoi tre mandati consecutivi. Su iniziativa dell’amministrazione guidata dal sindaco di centrodestra Angelo Trifoli, sostenuto dalla Lega alle elezioni e in carica da maggio 2019, è stato sostituito da un cartello con la dicitura: «Il paese dei santi medici e martiri Cosimo e Damiano», installato in occasione del 350° anniversario del trasporto da Roma delle reliquie dei due santi patroni della città.

Riace ha oggi una popolazione di circa 1.890 abitanti, in larga parte residenti della marina, la parte bassa del paese attraversata dalla statale. Erano circa 2.345 a dicembre 2016, durante uno dei periodi più intensi di sbarchi degli ultimi anni.

All’epoca circa 500 migranti erano ospitati nel «Villaggio globale», l’area del borgo in cui ancora oggi le famiglie di profughi arrivate negli ultimi mesi e altri migranti – per un totale di circa 40 persone, per la maggior parte bambini – abitano le case abbandonate del centro storico, recuperate e messe in affitto nell’ambito delle iniziative portate avanti dalla precedente amministrazione comunale.

Una mappa disegnata e posta all’ingresso del villaggio indica dove si trovano i vari laboratori artigianali, le botteghe e le altre attività sparse nel borgo e sviluppate negli anni grazie al lavoro dell’associazione Città Futura: attività a cui, prima dell’avvio delle vicende giudiziarie relative alla gestione dell’accoglienza, lavoravano in totale nel centro storico circa 80 persone, tra migranti e abitanti di Riace. Nonostante il blocco dei finanziamenti che ne avevano reso possibile l’apertura, alcuni laboratori sono attivi ancora oggi, o stanno cercando di riaprire dopo un periodo di interruzione delle attività.

«L’accoglienza a Riace non si è mai interrotta», ha detto Mimmo Lucano, che oggi vive a Riace e continua informalmente a lavorare con i migranti e gli abitanti del borgo impegnati nelle botteghe e nei laboratori ancora aperti.

Una delle iniziative attive è la BOTTEGA DEL RICAMO“I ricami di Herat” (dal nome dell’omonima città afghana): fu aperta 13 anni fa e poi di nuovo nel 2019, dopo una chiusura temporanea. Durante la pandemia fabbricò mascherine in tessuto e le distribuì gratuitamente agli abitanti del centro storico. «Era quel momento in cui non se ne trovavano da nessuna parte», ha raccontato una delle riacesi che oggi lavorano nella bottega insieme ad alcune delle migranti rimaste in paese.

Altre persone arrivate dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Eritrea e da altri paesi, e che si sono nel frattempo trasferite in altre città d’Italia o d’Europa, avevano lavorato in quella stessa bottega, nel LABORATORIO TESSILE, nella BOTTEGA DEL CIOCCOLATO e in ALTRI LABORATORI, insegnando in alcuni casi tecniche di artigianato sconosciute alle persone del paese.

Caterina, una delle due donne riacesi che si occupano della bottega, ha detto che fu proprio grazie all’avvio di questa attività nell’ambito del cosiddetto “modello Riace” che iniziò a lavorare: prima era sempre stata una casalinga. Non è l’unica esperienza simile a Riace, e l’impressione è che il sostegno di cui gode Lucano nel borgo sia legato anche alle opportunità che il suo modello di accoglienza ha creato per molti abitanti locali.

È Lucano stesso a ribadire che il suo obiettivo era costruire un modello di accoglienza da cui potessero trarre beneficio sia i migranti che le persone che abitavano già la città.

Il lavoro delle persone impegnate oggi nelle varie attività di accoglienza e integrazione ancora presenti a Riace, regolato da un contratto e scaduto lo scorso dicembre, è reso possibile da tutte le donazioni arrivate a Riace da dopo la condanna di Lucano.

In due stanze di un antico palazzo nobiliare, sede dell’ASSOCIAZIONE CITTÀ FUTURA e dichiarato di interesse storico e artistico, alcune persone nate e cresciute a Riace lavorano nel DOPOSCUOLA per i bambini delle famiglie di profughi, solitamente suddivisi in classi multilingue da 12, e di corsi di alfabetizzazione e di italiano per gli adulti. Una delle insegnanti, Roberta, ha 25 anni e studia scienze per la cooperazione e lo sviluppo all’Università della Calabria, a Cosenza. Vorrebbe rimanere a Riace anche dopo la laurea magistrale, ha detto, e come lei altri giovani del paese variamente interessati alla gestione e valorizzazione del patrimonio sociale, culturale e storico del territorio.

Un altro ragazzo di Riace è poi tra le persone che si stanno occupando delle pratiche burocratiche e delle autorizzazioni necessarie per riaprire il FRANTOIO SOCIALE, un’attività sviluppata nel centro storico in anni recenti utilizzando un locale dismesso. Tra il 2019 e il 2020, prima dell’inizio della pandemia, il frantoio aveva impiegato in totale circa dieci persone, tra quelle impegnate nella raccolta e quelle ai macchinari.

A Riace è rimasto attivo anche l’AMBULATORIO SANITARIO fondato e gestito dall’associazione Jimuel, presieduta dal dottore Isidoro Napoli. Nell’ambulatorio prestano servizio (in questo caso volontario) la cardiologa Emmida Multari, la ginecologa Sandra Commisso e il pediatra Roberto Trunfio. A fruirne sono non soltanto i migranti che arrivano a Riace – spesso donne in gravidanza, o anziani in condizioni di fragilità aggravate dai lunghi viaggi sostenuti – ma anche persone del paese che hanno difficoltà a raggiungere strutture più distanti: «L’ambulatorio di Jimuel è un esempio di come a Riace l’accoglienza abbia portato a creare un servizio di cui usufruiscono tutti», ha spiegato Napoli.

Le difficoltà più recenti dell’ambulatorio sono state determinate dalla necessità di ristrutturare e rendere agibile la struttura in cui si trova attualmente, un antico edificio nella parte più alta del borgo, dopo la richiesta presentata dall’attuale amministrazione comunale di liberare la sede precedente, più vicina al municipio e alla piazza centrale.

La FATTORIA DIDATTICA è invece una delle parti di Riace poste sotto sequestro nel 2019 e non più riaperta da allora. È un’area che si trova nella valle dietro il borgo, vicina a un’antica sorgente da cui le persone trasportavano l’acqua, prima che arrivasse nelle case a partire dagli anni Ottanta. Attraverso lavori iniziati nei primi anni Dieci del Duemila, l’area fu recuperata rimuovendo i rifiuti presenti e costruendo orti, vasche per la raccolta dell’acqua, piccoli casotti per gli attrezzi e stalle per gli animali.

Per un breve periodo, negli anni in cui il centro storico era popolato da un maggior numero di migranti rispetto a oggi, alcuni asini allevati nella fattoria furono utilizzati per la raccolta differenziata porta a porta nelle strette vie del borgo, recuperando un’usanza un tempo molto diffusa. La stalla inizialmente destinata agli asini è tra le strutture della fattoria poste sotto sequestro perché considerate abusive e sprovviste dei certificati di idoneità abitativa.

Nel corso del 2022 Riace si è lievemente ripopolata grazie ad alcune famiglie di profughi afghani arrivate con un corridoio umanitario gestito da una serie di associazioni, tra cui la stessa Jimuel. Come altre iniziative in corso a Riace da dopo l’inizio del processo, anche questa è il risultato di uno sforzo collettivo di organizzazioni e persone che raccontano di credere nel valore del modello di accoglienza locale e di non volerne vedere la fine.

L’iniziativa che ha portato all’arrivo dei migranti afghani a Riace si chiama Corridoio Kabul Roma Riace e ha coinvolto oltre a Jimuel una serie di altre associazioni tra cui la Comunità cristiana di base di San Paolo di Roma e quella La Porta di Verona, l’Associazione Cittadinanza e Minoranze di Roma, l’Associazione Una Città Non Basta di Marino (provincia di Roma), col sostegno anche della Caritas e della Comunità di Sant’Egidio.

Tutto è partito dalla Comunità cristiana di base di San Paolo di Roma: Antonella Garofalo, membro della comunità, ha raccontato che dopo la conquista talebana di Kabul, la capitale dell’Afghanistan, alcuni afghani di Roma avevano chiesto aiuto alla Comunità per far espatriare dei loro parenti dal paese. La Comunità si era messa allora in contatto con le altre associazioni per coordinarsi per ottenere e pagare i visti d’ingresso temporanei per i migranti all’ambasciata italiana di Islamabad, in Pakistan, dove nel frattempo erano arrivate le famiglie, «di cui ci siamo assunti tutte le responsabilità», ha detto Napoli di Jimuel.

Le famiglie afghane che vivono a Riace oggi sono quattro. Tutte beneficiano del prezioso lavoro da mediatore linguistico di Alì, trentacinquenne abitante afghano di Riace, arrivato via mare e accolto in paese nel 2015 dopo un viaggio a piedi durato circa 4 mesi, attraverso Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. Oggi aiuta i migranti afghani a orientarsi nel nuovo contesto.

Tra questi c’è Mohammed Shafiq Tawfiq: ha 36 anni e vive a Riace da circa un mese col resto della famiglia, tra cui il figlio piccolo e la madre anziana. Nella piazzetta assolata del Villaggio globale racconta di essere fuggito dall’Afghanistan per il timore di ritorsioni contro la parte più istruita della popolazione. Lui, che dice di aver lavorato come reporter e in università sia pubbliche che private afghane, è peraltro un hazara, etnia a lungo perseguitata nel paese e soprattutto dai talebani.

Insieme a lui c’è anche Anisa Habibzada, una pittrice afghana di 39 anni che prima di fuggire dal paese insegnava pittura all’università di Herat. Dall’Afghanistan Habibzada ha portato con sé alcune delle sue tele, che tiene conservate nell’atrio di un bilocale del borgo: ritraggono donne afghane che danzano, suonano strumenti musicali e scattano foto con l’iPhone, tra le altre cose.

I migranti che vivono a Riace hanno ripreso a lavorare insieme agli abitanti del luogo: con numeri e dimensioni molto ridotte, fanno tutto ciò che ha reso celebre nel mondo il cosiddetto “modello Riace”. I fondi per pagare tutto questo, compreso l’affitto degli appartamenti, non arrivano però più dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria, che come confermato dal nuovo sindaco Trifoli sono ancora sospesi, ma dalle donazioni. A Riace è rimasta prima di tutto una «splendida rete di solidarietà», ha commentato Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento europeo oltre che attivista molto vicina a Riace e a Mimmo Lucano.

I fondi più consistenti sono quelli che Lucano chiama il “fondo Manconi”, cioè i fondi raccolti dall’associazione A Buon Diritto, fondata e presieduta dall’ex senatore Luigi Manconi (PD) attraverso una sottoscrizione aperta e pubblica iniziata lo scorso luglio, conclusa il 31 ottobre e che aveva come obiettivo la raccolta di 100mila euro. «Grazie a questi fondi riusciamo a pagare le borse lavoro, gli stipendi degli insegnanti del doposcuola e contiamo di poter andare avanti ancora un anno», ha detto Mimmo Lucano. «Sono mezzi molto ridotti rispetto a quelli che avevamo in passato, ma ci stanno permettendo di non far morire questo progetto», ha aggiunto.

Oltre al fondo Manconi ci sono anche le donazioni dell’iniziativa Diamo Luce a Riace, ideata e gestita da Fabio Zanotti, che fa parte del consiglio d’amministrazione della cooperativa bolognese Camilla, per pagare le bollette della luce delle abitazioni in cui vivono i migranti, delle botteghe e degli edifici del Villaggio globale. La raccolta fondi è ancora aperta: «con le donazioni continuative – da 10 euro o più al mese – stiamo riuscendo a raccogliere mediamente circa un migliaio di euro al mese: il nostro obiettivo è riuscire a continuare a pagare le bollette nonostante gli aumenti dei prezzi, e idealmente anche riuscire a pagare qualche affitto», ha detto Zanotti.

Sia la precaria ripartenza attuale delle attività di accoglienza che i raccontati successi passati del modello riguardano sostanzialmente la sola parte superiore del comune. Come per altri paesi costieri limitrofi del reggino, c’è una certa distanza – circa 7 chilometri di strada – tra il centro storico di Riace e la parte bassa del paese, la «marina», attraversata dalla statale jonica. La percezione descritta da diversi abitanti e indirettamente confermata dai risultati delle elezioni comunali più recenti, vinte nel 2019 dal candidato di centrodestra e attuale sindaco di Riace Trifoli, è che i sentimenti di approvazione e riconoscenza per il lavoro svolto dalla precedente amministrazione e da Lucano siano oggi prevalentemente concentrati nel centro storico.

Questi sentimenti sembrano invece meno diffusi a Riace marina, la parte più abitata del paese e quella più turistica, in cui sono presenti anche diverse seconde case di proprietari non residenti. E riflettono una divisione dell’elettorato che a Riace esiste da sempre e sicuramente da prima di Lucano, ha detto il gestore di un locale sulla costa. Una delle ipotesi formulate da alcuni residenti è che il centro storico sia la parte del paese che più ha beneficiato, sia sul piano urbanistico e architettonico che su quello sociale, degli effetti positivi legati al processo di integrazione dei migranti nella realtà locale.

Ci sono però tentativi di esperimenti simili a quello di Riace superiore in altri borghi vicini: il più citato dai locali è quello di Camini, piccolo comune vicinissimo a Riace, dove insieme al sindaco Pino Alfarano l’associazione Jungi Mundu ha dato vita a un esperimento di accoglienza sullo stesso modello. E in generale, come ha raccontato la dottoressa Multari, questo stesso approccio umanitario alla questione dell’integrazione dei migranti è considerato non un’eccezione ma parte della cultura storica di molti paesi della zona, da Badolato a Caulonia ad altri lungo la costa jonica calabrese.

Nella MENSA SOCIALE del Villaggio globale di Riace, Lucano racconta di come il processo in corso non abbia cambiato il modo in cui lui vede e vive Riace. Nel borgo capita di vederlo indaffarato a montare una porta di calcio per i bambini che giocano nella piazzetta, trasportare alla mensa sociale una busta di uova fresche raccolte nel pollaio, spostarsi qua e là per svolgere commissioni. «Farò politica locale finché vivo: il rapporto diretto con la comunità è ciò che mi appaga e che mi dà senso di esistere», dice.

Benché si dica abbattuto e amareggiato dall’esito del processo di primo grado, per cui si aspettava una piena assoluzione, Lucano sostiene di essere rimasto favorevolmente colpito dalle moltissime manifestazioni di solidarietà nei suoi confronti, così come dall’arrivo delle donazioni grazie a cui tutto va provvisoriamente avanti: «chissà come finirà questa storia, almeno non l’abbiamo fatta morire».

Io sto con Mimmo 21

TANTA GENTE LOTTA PER DIFENDERE LE IDEE DI
M I M M O   L U C A N O

di Angela Giuffrida

FB_IMG_1694026422609

Caro Mimmo,
non si puo’ essere insensibili all’ ingiustizia di cui sei vittima, umanamente, eticamente, politicamente.

Hai dimostrato al mondo che soltanto la solidarietà condivisa può risolvere i problemi, hai dimostrato al mondo che i soldi non sono tutto nella vita.

Il prezzo che paghi per tutto ciò é enorme e sicuramente il fatto di sapere che siamo tanti a pensarla come é una consolazione relativa.

Il modello di società che tu hai creato ci incoraggia a continuare a sperare e a credere che “insieme ” si può fare tanto.

Faccio parte di un collettivo qui in Francia che si occupa di migranti e so come é difficile per loro trovare condizioni di vita decenti.

In ogni nostra manifestazione, abbiamo proiettato il film “un Paese di Calabria” e speriamo di potere proiettare il film “il volo”.

Parliamo di te e della tua azione e continueremo a farlo.

Resisti. Tanta gente lotta per te e per difendere le tue idee.

Tutti bugiardi, secondo Dória o Doría

FB_IMG_1693926928549

di Piero Murineddu

Tutti, tutti, ma tutti bugiardoni secondo lu duttori sassaresu, strappato alla Medicina perché convertito alla politicanza da quel simpaticone dell’ Odiatore Incallito ex Padano e oggi Ministro Prezzemolo che in tutti gli ambiti vorrebbe imporre la sua volontà.

Il Doria Carlo barbuto, chiamato nel 2022 da quell’ altro panzuto simpaticone, tal Solinas Christian, tristemente e rovinosamente guida (cieca) dell’ Isola, a dirigere la Sanità come assessore “tecnico”, cioè che se ne dovrebbe intendere.

Bugiarda la consigliera dell’ opposizione Manca che si è permessa di fare un video in cui…Eja,se ne hai voglia, leggi il seguente comunicato pubblicato a nostre spese sul sito della Regione

( copia e incolla)
https://www.regione.sardegna.it/notizie/sanita-l-assessore-doria-dalla-consigliera-manca-falsita-per-abbattimento-liste-d-attesa-stanziati-8-milioni-per-il-2023

Ora bugiardi anche quelli della Radiologia oncologica che invitano i pazienti a fare il viaggio della speranza in Continente o dove caspita vogliono.

Lui, il Dória o Doría, che fa? Minaccia di mettere in mano tutto alla Procura, ecco cosa fa. Tutto, tutto, tutto. Ma…tutto cosa? Ah, le prove che gli altri sono bugiardi.

Dato che ci sei, Dória o Doría, mettigli in mano anche l’ impegnativa fattami dal mio amico medico Domenico per fare una TAC e il CUP mi ha dato l’ appuntamento tra non so più quando, e considerando che sono in (vana?) attesa a Sassari di un ulteriore intervento all’ occhio da sempre malandato (per cui in precedenza son stato costretto a recarmi in alt’Italia per un intervento) e quindi con comprensibili difficoltà visive, in quella data lontana per la TAC dovrò anche recarmi nella parte opposta dell’ isola. Spero di trovare un buon autista che mi accompagni. Diversamente che faccio, mi metto un piccolo mutuo per pagare il taxi?

Hai preso nota, dottor professor onorevol Doria o Doría?

Grazie, Carlo, tu sei che sei comprensivo, sincero e affidabile!

Polish_20230905_171507427

A Sassari, persone e voci contro la guerra

FB_IMG_1693927244953

Parole, canti, immagini, performance, balli, denunce e informazione contro la guerra.

Le voci contro la guerra che animeranno PIAZZA DEL COMUNE, proprio davanti a palazzo Ducale, VENERDÌ 8 SETTEMBRE A PARTIRE DALLE 17, saranno davvero tante e plurali, ma unite da un medesimo filo rosso: il rifiuto della guerra come risoluzione delle controversie internazionali e la denuncia della militarizzazione della Sardegna che, come noto, ospita i tre poligoni militari più importanti d’Europa e il 64% delle servitù militari di tutto lo Stato italiano.

“OGHES CONTRA SA GHERRA” è un evento che mira ad una SOLLEVAZIONE DI COSCIENZE tramite arte e informazione sul tema della guerra e delle sue ripercussioni sulla Sardegna.

Durante tutto il corso dell’evento, agli interventi politici si affiancheranno

– esibizioni musicali
– letture
– reading teatrali
– presentazioni di opere d’arte.

Tra i numerosi artisti presenti

– il rapper Bakis Beks
– lo scrittore Filippo Kalomenidis
– i pittori Riccardo Camboni e Pastorello
– il collettivo letterario Clip
– il Poetry Slam
– la compagnia teatrale Canta Cronache.

La manifestazione, promossa da

– ASSOCIAZIONE DOMO DE TOTUS
– FRONTE DELLA GIOVENTÙ COMUNISTA
– MOVIMENTO ASSOCIATIVO DEGLI         STUDENTI

ha già raccolto l’adesione e il contributo di numerosi movimenti contrari alla guerra, provenienti da tutta la Sardegna, tra le quali

– Emergency
– Rifondazione Comunista
– Comitato “Fermiamo la guerra!- Sassari”
– A Foras
– Potere al Popolo
– Cobas scuola Sardegna
– Rossomori
– Associazione Punta Giglio Libera
– Gambia Society in Sardinia
– Unione degli Universitari.

Ospiti molto attesi saranno i sulcitani del Comitato Stop RWM che da anni si battono per la chiusura della fabbrica tedesca che, direttamente da Domusnovas, rifornisce di bombe e munizioni cruenti teatri di guerra, come per esempio quello relativo al conflitto in Yemen, dove le organizzazioni internazionali hanno documentato stragi di bambini e civili.

Al fianco di artisti e pacifisti storici, in prima linea saranno i giovani: «lo scopo di questa manifestazione», sostiene Fabrizio Cossu, 21 anni, presidente dell’associazione Domo de Totus, «è quello di unire le forze per lottare contro i tanti costi sociali e economici imposti alla popolazione sarda tra occupazione militare, carovita e devastazione ambientale».

Anche gli studenti prendono posizioni preparandosi a riempire di contenuti civili l’anno scolastico ormai alle porte: «le nostre scuole cadono letteralmente a pezzi – incalza Emanuele Santona, 20 anni, esponente del Movimento studentesco, in Sardegna quest’anno il Governo ha chiuso decine di autonomie per risparmiare e il precariato cronico degli insegnanti deprime il diritto allo studio. Però le spese militari crescono a vista d’occhio trasversalmente ai governi che si avvicendano. CAMBIARE ROTTA È NECESSARIO!»

*Testo a cura degli organizzatori

Io sto con Mimmo 20

SOSTEGNO PIENO A

M I M M O   L U C A N O

di Lorenzo Abate (17 Febbraio 2023)

FB_IMG_1693927869029

 

Gentile signor Lucano, sono un giovane architetto di una cittadina del nord est veneto di nome Bassano del Grappa.

Ho seguito da lontano tutte le vicende che lo hanno visto coinvolto, sia quelle positive che negative.

Volevo dirle che sono pienamente con lei. Il modello di inclusione sociale che è riuscito a creare è stata e potrebbe continuare a essere una vera e propria svolta non solo per la rigenerazione dei centri storici abbandonati del sud Italia, ma anche per le aree marginali e di periferia di qualsiasi città Italiana.

A questo proposito sto iniziando ad occuparmi di un progetto di rigenerazione urbana nella città di Verona e mi piacerebbe molto avere un confronto tramite videochiamata intanto, per conoscerla e discutere sul modello e le sue potenzialità.

Mi è dispiaciuto molto per quello che ha subito e sta subendo tuttora. Questo desiderio di confrontarmi con lei è il mio modo per dirle che credo nel modello Riace, voglio esportarlo adattandolo ad altri contesti per non rendere vano il suo sforzo. Questo nella speranza di essere a mio modo di ispirazione per altri come lei lo è stato per me.

La ringrazio molto per l’attenzione. Mi faccia sapere se sarà possibile. Un abbraccio

Io sto con Mimmo 19

UNA DELLE IDEE PIÙ BRILLANTI E CREATIVE DI ACCOGLIENZA QUELLA DI

M I M M O   L U C A N O

 

di Luca Maria Negro (ottobre 2021)

Queste non sono buone giornate per chi crede nelle politiche dell’accoglienza e dell’integrazione.La severissima condanna inflitta all’ex sindaco di Riace rischia di essere un giudizio sull’esperienza che per anni è stata condotta in questo piccolo comune calabrese, nel quale é stato possibile realizzare un modello di integrazione che è stato apprezzato in tutta Europa. Questa esperienza non è sotto processo e non è stata condannata. Al contrario, crediamo che meriti di essere ripresa e valorizzata, come peraltro accade in altri comuni della stessa Calabria.

I prossimi livelli di giudizio decideranno se confermare la sentenza e la misura della condanna ma quello che non possiamo accettare è un giudizio sommario e vendicativo su quella che resta una delle idee più brillanti e più creative nel campo dell’accoglienza: attivare le energie di un intero paese, un piccolo paese del Sud, per rigenerarlo e dargli una nuova vita nella prospettiva di una società che accoglie e integra.

Polish_20230904_074431951

Video e testimonianza sull’ accoglienza a Riace…