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Ricordi indelebili di una drammatica esperienza nel Cile del golpe militare

Premessa

Riporto quanto scrivevo nel maggio 2014 sulla pagina FB che tempo fa decisi di aprire e curare per tentare di dare un piccolo contributo al recupero della Memoria storica del posto dove vivo, al nord ovest della Sardegna:

Lettere dal Cile”, pubblicato nel 1977, raccoglie la fitta corrispondenza che Tore Ruzzu e Giuseppe Murineddu tennero con le loro rispettive comunità, Ittiri e Sennori, durante la loro permanenza di due anni in Cile, Paese dove decisero di andare per fare un’esperienza di Missione come preti e coincisa col colpo di stato dell’esercito, guidato da Augusto Pinochet. L’evento causò la morte e la sparizione d’innumerevoli innocenti.La stretta vicinanza alle problematiche della gente fu la causa dell’arresto e del conseguente imprigionamento dei due sacerdoti sardi, accusati falsamente di essere fiancheggiatori dei “terroristi”. Grazie all’intervento della diplomazia vaticana, furono in seguito liberati e fatti rimpatriare. Inevitabilmente, la particolare esperienza fatta era destinata a segnare profondamente e per sempre i due. Tore continua a “fare” il prete, mentre il mio amico Giuseppe diversi anni fa scelse di portare avanti da laico il suo impegno civile, fortemente coinvolto per la costruzione di una società Pacifica e Giusta.

Di seguito, riprendendo in parte alcuni passaggi, approfondisco l’ argomento, ripensando anche a un incontro pubblico che Giuseppe e Tore ebbero qualche anno prima di quanto vado a scrivere, in occasione della visita di alcuni loro amici venuti dal Cile.

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Segni indelebili

di Piero Murineddu

Non vi preoccupate se piangiamo”

È con questa raccomandazione che l’amico Giuseppe aveva avviato l’incontro quella sera di maggio di alcuni anni fa nella sala consiliare di Sennori per riportare a galla fatti drammatici di cui vado a raccontare e avvenuti nel lontano 1973, quando il feroce golpe di Augusto Pinochet aveva spaccato in tutti i sensi il Paese sudamericano.

Tore, attualmente parroco nonostante l’ età avanzata, diceva che vi erano arrivati quasi casualmente, ma che erano stati ben accolti dalla gente del posto, compresi i tanti italiani che lí erano emigrati.

Da subito la collaborazione stretta col vescovo – che viveva in una casetta poverissima in mezzo alla sua gente e sicuramente non in un quartiere “alto” – non mancò, ed è proprio tramite lui che i due preti sardi avevano imparato  a vivere realmente col popolo, amandolo e condividendone il quotidiano.

Dopo tanto tempo, qualche anno fa i due amici preti hanno fatto visita a quei luoghi da cui son stati segnati per sempre.

Donna Rachele, madre delle due sorelle ospiti per qualche giorno a Sennori, era ancora viva, seppur gravemente inferma. Non aveva avuto difficoltà a riconoscere immediatamente quelli che al tempo erano due giovanotti mossi dallo spirito del Concilio, quel significativo evento che aveva tentato di liberare la Chiesa dal troppo vecchiume che l’appesantiva e che, purtroppo, continua ad appesantire anche oggi, nonostante l’amorosa fatica di Francesco.

La proiezione d’immagini accompagnate dalla malinconica voce di Violeta Parra aveva aiutato i cinque, compreso il marito di una delle sorelle, a ripercorrere momenti salienti del tempo, collegandoli al Cile di oggi.

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Particolare commozione nel ricordare don Lucio, prete operaio fatto fuori dalla ferocia del regime.

La foto del fiume che bagna Santiago da’ lo spunto per ricordare i tanti oppositori – prelevati vigliaccamente (atteggiamento tipico dei regimi fascisti) durante i coprifuoco notturni – che in quelle acque son stati buttati dopo essere stati brutalmente torturati ed assassinati.

Tore trascorreva mattinate raccogliendo dati, per poi recarsi col vescovo nelle caserme per denunciare le continue e numerose scomparse di persone inermi ed innocenti.

Per Giuseppe la macchina fotografica, usata di nascosto, era il modo per documentare quanto avveniva e poterlo in seguito raccontare. Aveva ricordato ai presenti che per poter partire subì un processo, dove fu difeso dall’avvocato più in vista di Sennori, Giorgio Spanu. Nell’ attività svolta nel paesino sardo, aveva contribuito ad organizzare uno sciopero, e l’iniziativa – “fuori schema” in quanto un prete “si deve” occupare esclusivamente di cose spirituali – gli aveva procurato non poche difficoltà per ottenere l’autorizzazione alla partenza.

Alcune foto, montate egregiamente e presentate all’attenzione dei convenuti, ricordarono quella sera la venuta a Sennori tra il ’76 e’ 77 di don Fernando, amico fraterno dei due, preoccupato di far sapere che Giuseppe e Tore erano stati imprigionati ingiustamente ed espulsi prima che anche loro seguissero la triste sorte di tantissimi cileni.

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A distanza di tempo, ho deciso di riprendere in mano questo volume, probabilmente stimolato da un recente viaggio che Giovanna, la figlia di uno dei due preti che nel frattempo si era sposato, ha fatto proprio nel Paese dove il proprio genitore Giuseppe aveva vissuto quella drammatica vicenda di tanti anni prima.

Man mano, riporterò in questa pagina alcuni passaggi di queste lettere che provocheranno in me particolare interesse e che, sempre dal mio punto di vista, trovo molto attuali.

Anno 1973. Ventotto giorni di navigazione per raggiungere il Cile, dove Giuseppe Murineddu e Salvatore Ruzzu si stavano recando, per desiderio proprio ma anche per mandato vescovile della Diocesi di Sassari, per svolgere una missione pastorale. Durante la lunga attraversata, vari sono stati gli incontri, da coloro che erano in viaggio per motivi turistici ad altri alla ricerca di esistenze migliori di quelle che avevano lasciato.Di seguito uno stralcio di una delle lettere spedite da Giuseppe.

NON TUTTI CAPISCONO, SPECIALMENTE SE NON VOGLIONO

di Giuseppe Murineddu

Carissimi amici e conoscenti di Sennori,
(…..) parlavo, una sera, appoggiato al ponte della nave di fronte all’Oceano, con un sudamericano nero, che viaggiava con la sua famiglia. Mi ha detto che viaggiava in nave italiana perchè gli italiani non sono razzisti. Ho pensato a quanti sardi emigrati a Milano vivono in baracche senza servizi sociali perchè sono sardi, a quanti di voi fanno sempre i manovali perchè non hanno titoli di studio o “impegni”, ad un quasi monsignore italiano trentino (col quale abbiamo vissuto per 20 giorni a tavola in nave) e che tutto pieno di pietà o di Dio (!) diceva: “Poverini questi negri, non sanno far niente, non vogliono lavorare, proprio come voi sardi, che se non vengono i continentali in Sardegna ad aiutarvi con i loro capitali e con le loro tecniche, sareste ancora indietro di 30 anni……“. Io ho cercato di difendere e spiegare, però non tutti capiscono, specialmente se non vogliono (…..)

 

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Allora come credo ancora oggi, i giovani preti che lo desideravano, avevano possibilità di trascorrere qualche anno in terra cosiddetta  “di Missione”, generalmente Africa e Asia. Per i due sacerdoti si era invece creata l’occasione di fare questa esperienza in America Latina, e nel loro specifico proprio in Cile, precisamente a Copiapò, una città situata nella parte settentrionale del Paese, ai bordi del deserto di Atacama.  Giuseppe e Salvatore si sentivano vicini e mandati dalla  Diocesi della quale si sentivano rappresentanti, quella di Sassari.  A leggere queste lettere, credo che quello che dice oggi papa Francesco non  sia dissimile da ciò che state per leggere, tratto da una lettera di Tore, come dagli amici è conosciuto Salvatore, attualmente parroco nel suo paese natìo, Thiesi.. Una fede vera deve necessariamente coinvolgere e cambiare la vita concreta delle persone, altrimenti diventa una “droga” auto consolatoria. (Pi.Mu.)

È ASSOLUTAMENTE NECESSARIO FORMARSI DELLE IDEE

di Tore Ruzzu

Carissimi, (…) è sopratutto qui in Cile che mi sto convincendo sempre di più che certe realtà degli uomini, certe situazioni di miseria, di ingiustizia, di sottosviluppo in cui vive la maggior parte dell’umanità non si cambiano con l’elemosina dell’aiuto materiale, ma soltanto compromettendo completamente se stessi, le proprie cose, la propria vita (……) per cambiare radicalmente – nel nome di Cristo e del suo Vangelo – le strutture della società nella quale viviamo. Se il Cile vive ancora nella povertà e nella miseria è, per esempio, perchè altre nazioni dell’America del Nord e dell’Europa Occidentale si sono ingrassate sfruttando ( leggi “rubando”) le grandi ricchezze minerarie del Cile. Ed ora che questo Paese vuol rivendicare il proprio diritto sulle proprie ricchezze, tutte le suddette nazioni, attraverso le proprie industrie private o multinazionali,hanno ritirato completamente il loro capitale di investimento, la propria assistenza tecnica,il proprio personale (….). E il Cile è solo un esempio. Cosa dire degli altri popoli del Sud America, dell’Africa e dell’Asia? Finchè non riusciremo, lottando ogni giorno, a cambiare le strutture della società, questa situazione durerà chissà fino a quando. Ecco perchè vi scrivo che è assolutamente necessario formarsi delle idee, iniziare a pensare con la propria testa, studiare le situazioni concrete della vita di ogni giorno e riesaminarle attraverso la riflessione della Parola di Dio e della vita di Cristo (…..)

 

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Partiti da Genova il primo di giugno e arrivati nel Cile il 29 dello stesso mese, proprio all’inizio del terremoto politico ( ma anche da scosse reali della terra) culminato con l’uccisione l’11 settembre del presidente e della presa di potere militare da parte di Pinochet, Giuseppe e Salvatore, José e Tore per gli amici, mentre entrano gradualmente nella concreta vita del popolo, sono ospiti per un certo periodo presso l’episcopio di Copiapò, città in mezzo al deserto nella quale si apprestano a svolgere il loro ministero sacerdotale. Nei passaggi tratti dalla lettera che segue, si inizia ad intravedere il modo in cui i due amici intendano portare avanti la loro missione a stretto contatto coi più poveri del popolo e di come, probabilmente, intendano la loro fede, assolutamente non avulsa dalla realtà di tutti i giorni e strettamente legata al dovere di migliorare il mondo. (Pi.Mu.)

CHI VUOL VIVERE IL VANGELO NON PUÒ ESSERE PADRONE DI ALTRI UOMINI

di Giuseppe Murineddu

Copiapò, 22 ottobre 1972

Carissimi amici di Sennori,

fino ad oggi tutte le domeniche abbiamo aiutato celebrando la Messa nella cattedrale senza fare prediche, ma suggerendo un dialogo e l’intervento diretto. Certo che non è stato un male, considerando che le letture delle domeniche di settembre e ottobre erano abbastanza chiare da vedere riflessa la situazione che viviamo come uomini e come cristiani in questi giorni. (….) Per me leggere il Vangelo non significa prenderlo in mano e poi chiuderlo come se tutto fosse un bel racconto commovente e nient’altro. (…..) Quando ci si trova davanti a persone concrete, anche se è difficile, non si può non tentare almeno di essere coerenti. Oggi è la Giornata Missionaria Mondiale. Non so cosa abbiate organizzato di preciso, ma ora che mi trovo qui sento meno essenziale la quantità degli “operai” nei confronti della qualità del “raccolto”. Ancora di più quando quelli che sono”operai” non hanno l’umiltà di riconoscere che prima devono essere anche loro, e sopratutto loro, terreno che serve per il bene e per la gioia degli altri. (…..) Spero di non essere un pauroso o, peggio, falso portatore di questo Vangelo che voi vivete a casa e nei rapporti coi fratelli, specialmente con chi non si può difendere. Credo che a questo punto non faccia una grinza dirvi che avanti ieri ho ricevuto, come cittadino di Sennori, a venire a votare per le elezioni comunali del 18 novembre. E’ chiaro che come cristiano questo è un fatto in cui sentirei il dovere di pesare, per cambiare tutto quanto rende l’uomo schiavo, macchina che non ragiona. Peggio ancora quando quest’uomo si crede libero perché ogni tanto fa una croce per difendere i suoi interessi, dimenticando che ogni giorno dell’anno, ogni secondo, c’è una grande enorme famiglia di gente schiava, sfruttata. Se non si mette dalla parte di costoro, non so dove sia il posto del cristiano. (….) Ciascuno di noi, per il fatto di vivere il Vangelo, deve togliere da sé la fame di voler essere padrone di altri uomini e lottare contro tutti quelli che si fanno padroni di altri uomini.

Vi abbraccio tutti, uno per uno con affetto                                                                           Josè

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Settembre – Dicembre 1973. Primi mesi del regime totalitario fascista in Cile.II clima è pesante, specialmente per coloro che minimamente sono sospettati di non gradire il nuovo corso intrapreso da Pinochet. Come scrivono i due amici Josè e Tore, il clima è quello di “caccia alle streghe” di medievale memoria. Le spie, convinte magari di agire per il bene comune, sono dappertutto. Particolarmente le persone che per il loro ruolo possono avere una certa influenza in mezzo al popolo, sono i maggiormente controllati, e il clero, o meglio, parte del clero,  è tra questi. Tratto da una lunga lettera fatta avere al vescovo di Sassari tramite un vescovo spagnolo, il testo che segue può dare un’idea di questa situazione di estremo rischio e pericolo per gli eventuali dissidenti o presunti tali. Mi viene da pensare a come avrà reagito l’allora arcivescovo sassarese Paolo Carta nel leggere queste notizie. Chissà se l’avrà tentato il pensiero di aver mandato in missione proprio due preti “comunisti” in cerca di guai, e di questo essersene amaramente pentito. Mi viene da pensarlo considerando la diffusa convinzione,  allora come oggi, che i preti si devono occupare solo delle anime e delle cose “spirituali”, lasciando ad altri le “rogne”….umane. (Pi.Mu.)

NON CREDEVAMO DI ESSERE COSI’ PERICOLOSI

(Giuseppe e Salvatore)

27 Dicembre 1973

Carissimi,

(…..) Il 21 settembre cinque carabineros in borghese vengono nel vescovado cercando una radio emittente. Vengono a perquisire noi due perchè, come disse poi il comandante dei carabineros, gli avevano fatto la spiata che c’erano due falsi preti italiani, spie comuniste, che si mettevano in contatto radio con l’estero fino alle quattro di notte. Al ritorno da un giro al Nord della diocesi veniamo a sapere che il Nunzio si era informato di noi, dietro richiesta di Roma. Durante questo giro, come sempre avvenne durante l’assenza dello stesso vescovo, nuova perquisizione nella parrocchia e nel vescovado. Una spia aveva detto che erano state introdotte armi. Era un televisore. Un altro prete francese, Francois,  viene a stare nel vescovado perchè anche lui compromesso con i comitè campesinos, comitato di agricoltori.. (….) Viveva e lavorava con loro, aiutandoli a stare uniti. Anche lui accusato di essere marxista e “coscientizzatore marxista”. Intanto il quotidiano della città, “Atacama”, inizia una campagna contro i preti e le laiche. Calunnie e invenzioni che hanno l’unico scopo di creare una “coscienza popolare” di repulsione e di odio.Rientrerebbero nel reato di qualsiasi legge penale del mondo, per aver almeno anticipato il giudizio di una corte anche militare e per aver creato…rumori falsi.. Ma i rumori falsi che sono puniti sono solo quelli che mettono in crisi il regime che ha vinto. Si dice che sono sfogo di alcune persone, ma vedremo poi che a queste persone gli si è risvegliata la bestia dell’odio e della vendetta. Sono potenti perchè otterranno il loro scopo. Lo slogan di attualità e di “conforto” è: Non ci sono né vinti né vincitori”. Tutta la nazione sarà impegnata nell’essere “Una Libera Sovrana”. Sembrano le parole che furono in bocca a tanti italiani quando siamo nati noi e che anche ora sono presenti in quelli che si arrogano il diritto di essere loro i purificatori della società. E’ strano che vogliano realizzare l’unità di un popolo eliminando i fratelli che la pensano diversamente o rendendoli impotenti. Ilm primo ottobre alcuni preti ci riuniamo per iniziare a studiare i fatti, l’influenza nei cristiani e nelle comunità e il nostro comune atteggiamento. . Siamo più della metà dei sacerdoti e ancora la solita spia spiffera che siamo tutti in incontro nel vescovado. Armati di mitra vengono improvvisamente i soliti carabinieri. Chiudono le porte della sala, impedendoci di uscire. Vogliono i nostri dati e dopo un lungo discorso col parroco della cattedrale, ci lasciano sbigottiti e …liberi. Non credevamo di essere così pericolosi. (….)  Il Cile è diviso in due: le spie, chiamate ufficialmente i patrioti, e gli spiati, chiamati nemici della patria. (…..)

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Nella parte che segue della lunga lettera mandata al vescovo di Sassari, si parla dell’eterna repressione messa in atto dal Potere per eliminare le voci del dissenso, “voci” ma spessissimo anche vite, e questo attuato anche con modi apparentemente “legittimi”, quale l’uso della stampa “pura” e non corrotta da ideologie …..rivoluzionarie. I “puri”, coloro non intaccati dal cancro della “coscientizzazione”, in questo caso marxista – eh si, perchè nei regimi totalitari, tutti coloro che non si vogliono inquadrare e vogliono agire secondo il proprio libero giudizio, sono “coscientizzati” in senso contrario a chi detiene le redini del comando – i puri, dicevo, fanno la loro parte per isolare i dissidenti. Eccome se la fanno, convinti di eliminare le mele marce che impediscono la nascita di una nuova nuova società all’insegna del Be-ne-sse-re! Gius-ti-zia! Li-ber-tà! E’ ciò che in modo più morbido può avvenire, oggi,  anche nelle democrazie che fanno  fatica ad essere realmente tali. E’ ciò che può avvenire persino – se non addirittura specialmente – tra le varie religioni e anche tra confessioni  cristiane, dove storicamente ci si è scannati a vicenda, con la presunzione e convinzione di possedere tutta la verità e volendola imporre agli altri. Brutta bestia l’integralismo.Ma anche all’interno della stessa confessione, poni caso quella Cattolica, chi cerca di fare percorsi alternativi di studio e di ricerca, che tra l’altro è il modo più impegnativo per far propria una fede vissuta nel quotidiano, spesso è guardato con diffidenza, se non addirittura considerato un eretico, singolo o gruppo che sia. Veramente lo zelo può portare all’odio cieco. Nella lettera si parla anche dei vili assassinii perpetrati, dopo aver sottoposto le vittime ad indicibili torture. (Pi.Mu.)

METTERE IL DISSENSO IN CONDIZIONI DI NON NUOCERE

(Giuseppe e Salvatore)

Carissimi,

(…..) attraverso le spie, vorrebbero “unificare” il Cile, eliminando la fogna del marxismo che poi non sono altro che altri uomini e così rimangono i puri.Nel Medio Evo ha preso il nome di caccia alle streghe, quando i più deboli volevano uccidere le loro debolezze nella pobera gente, bruciandola; la caccia all’eretico della Chiesa dell’Inquisizione, che sperava di salvare la fede ammazzando e torturando chi la pensava diversamente; la caccia all’ebreo dei nazisti; la caccia al revisionista e reazionario e all’intellettuale dei sovietici; la caccia al traditore dei fascisti italiani con tutti i conosciuti don Minzoni, Matteotti e centinaia di migliaia di sconosciuti morti per una patria che non era la loro, ma frutto della mente esaltata di persone che una volta diventate così potenti finalmente godono della libertà di imporre agli altri con la forza militare e d economica la solita immagine patriottica del “Benessere, Giustizia e Liberta’ “. Quasi sarebbero i nuovi messia.(…..)

Intanto viene fuori in circolazione una lettera anonima ben scritta, spedita in tutta la diocesi, in cui si intima al vescovo di essere coerente, di non essere ambiguo, di controllare la coscientizzazione marxista che stanno facendo il parroco della cattedrale approfittando del Vangelo della messa e due preti che dicono di essere italiani. Sembra che sia un reato essere preti e cristiani, pregare per i morti e gli uccisi che non siano i militari (….) Lo zelo e l’odio ormai sono ciechi (….) Intanto le uccisioni continuano- Il 19, la notte, radunano tredici detenuti ancora senza giudizio. Li portano in camion fuori città. Dice il giornale che il camion si fermò per disturbi meccanici ed essi ne approfittarono per fuggire. Li massacrarono tutti. . Sono tutte notizie pubblicate sui giornali. E’ strano come questi giornali vadano d’accordo con la libertà di stampa, che sbandierano continuamente.  I cadaveri sono sepolti in una fossa comune e nessuna delle famiglie ha potuto vedere il parente ucciso.

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Dico la verità, pur sapendo le grandi potenzialità offerte oggi dai moderni mezzi di comunicazione, non immaginavo che lo constatassi direttamente così all’improvviso ed inaspettatamente.In questi giorni capita infatti che un vecchio amico di Giuseppe e Tore dai tempi in cui si trovavano in Cile, Luis Roberto, incappato evidentemente nel post su facebook che pubblico parallelamente all’aggiornamento di questa drammatica vicenda che man mano faccio su questo blog, mi scrive un messaggio chiedendo notizie dei due amici preti che praticamente è da oltre quarant’anni che non vede e non sente. Al tempo Luis Roberto suonava la chitarra durante le funzioni liturgiche che si svolgevano nella chiesa frequentata dai due sacerdoti missionari. Anche lui scampato alle torture e alle uccisioni da parte del regime di terrore instaurato da Pinochet e la sua cricca. Ieri sera, un altro messaggio di Luis Roberto m’informa che, grazie al mio tramite,  in queste ore si è sentito per telefono col nostro amico Giuseppe. Mi manda anche l’articolo che tre anni fa la Nuova Sardegna aveva dedicato a quella terribile storia vissuta in quegli anni dal popolo cileno, con un’intervista a Giuseppe Murineddu, nella quale aveva ripercorso tra le lacrime la loro vicenda, cose che, in parte gia conosciute perchè riportate in questa pagina, leggere direttamente acquista un altro valore. Piccola parentesi. Ho detto delle lacrime di Giuseppe, che fanno pensare all’emotività che con gli anni che trascorrono si accentua sempre più, e di questo me ne sto rendendo personalmente, cosa che tutto sommato non mi dispiace, considerando la poco propensione alle lacrime che c’è in giro. Lacrime d’immedesimazione intendo, specialmente nei confronti delle tante sofferenze diffuse,  provocate si dalle tante pesanti malattie, ma spesso dall’indifferenza e dalla solitudine. A maggior ragione capisco le lacrime di Giuseppe, in particolar modo quando il suo pensiero va a quel lontano tempo trascorso in terra cilena, ripensando e avendo ben incisi nella memoria quei momenti di reale rischio della vita  e, forse,  sopratutto per la sofferenza patita da persone inermi e innocenti.  Pensando di fare cosa gradita,  ripropongo alla vostra attenzione.l’articolo di Mario Bonu.  (Pi.Mu.)

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Due preti del Sassarese ancora vivi per miracolo

di Mario Bonu, Osilo (SS) 7 gennaio 2014

Nonostante siano trascorsi 40 anni da quei tragici avvenimenti, si commuove ancora fino alle lacrime, Giuseppe Murineddu – il prete della diocesi di Sassari che insieme a Tore Ruzzu si trovò, all’epoca del colpo di Stato, in Cile per una azione missionaria. «Arrivammo in Cile il 29 giugno del 1973 – ricorda Giuseppe Murineddu – e da subito il nostro battesimo cileno fu completo: quel giorno ci fu il tentativo di colpo di Stato da parte dei reparti corazzati dell’esercito, chiamato “il giorno del tancazo” (da “tanque”, carro armato)”. I due sacerdoti sardi erano partiti animati dalla volontà di ricerca di una nuova evangelizzazione, così come scaturita dal Concilio Vaticano II, che si intrecciava con i grandi fermenti socio-politici dell’Italia di quegli anni a ridosso del ’68. Avevano allora maturato il desiderio di servire la Chiesa del Terzo Mondo, e nel 1972, l’allora arcivescovo di Sassari, monsignor Paolo Carta, li autorizzò per una esperienza missionaria in America Latina. Così, dopo il corso di formazione a Verona, nel giugno del ’73 si ritrovarono nel pieno della bolgia cilena. “Avevamo scelto per la nostra missione la diocesi di Copiapò – dice Giuseppe Murineddu – una città nel deserto di Atacama, nel Nord del Cile, a circa 800 km da Santiago – e lì, dopo un periodo di “rodaggio”, ci vennero assegnate due parrocchie di periferia. Si trattava di una delle zone minerarie più importanti del Cile – ricorda ancora Murineddu – dove la miseria regnava sovrana». Là si dispiega la catechesi dei due sacerdoti sardi, che si sviluppa sia sul versante religioso che su quello della solidarietà, con il sostegno alle famiglie povere, le visite alle persone sole, le colonie estive per i bambini, la mensa popolare. Ma la loro opera si rivolge anche ai carcerati, alle vittime del regime, alle famiglie degli scomparsi. Tore Ruzzu, in particolare, venne nominato responsabile della diocesi per l’aiuto alla ricerca delle persone scomparse o carcerate. Così i due sacerdoti si trovano in una posizione sempre di più di frontiera, a contatto diretto con le sofferenze e con le atrocità di quei giorni, pienamente coerenti con il messaggio evangelico, ma per ciò stesso percepiti come oppositori di fatto al regime. “Presero a infiltrare le loro spie ai nostri incontri – ricorda Giuseppe Murineddu – e il clima generale divenne sempre più pesante. Noi resistemmo per circa due anni grazie all’appoggio incondizionato di quel grande vescovo che fu don Fernando Ariztìa, ma quando anch’egli divenne un bersaglio dei militari, la situazione non poteva non precipitare. Così – prosegue Murineddu – non fummo granché sorpresi quando l’8 novembre del 1975, alle 6,20 del mattino, gli agenti dei servizi segreti militari si presentano nella nostra casetta alla periferia di Copiapò, e “trovano” un libretto rosso di Mao ed una pistola dentro un tabernacolo della cappella, evidentemente messe là apposta da loro”. I due vengono tenuti prigionieri e interrogati per una settimana a Copiapò, e poi trasferiti su di un camion a Santiago. “Quello fu uno dei momenti in cui pensammo davvero di non uscirne vivi – racconta Giuseppe Murineddu – sapevamo di un altro viaggio di prigionieri sulla stessa tratta, in cui gli arrestati “tentarono di scappare” e furono tutti uccisi. Così ad ogni sosta del camion – il viaggio è lungo più di 800 km e dura oltre 13 ore – pensammo che anche a noi sarebbe toccata la stessa sorte”. Li salvò, quasi sicuramente, il fatto di essere stranieri e il forte interessamento al loro caso del governo italiano e dell’ambasciatore dell’Italia a Santiago.

don carlos camus Larenas

Abbiamo riletto il toccante racconto che Giuseppe fece alla “Nuova” . Torniamo quindi a scorrere il libro dove i due sacerdoti avevano raccolto le loro lettere dopo il  forzato rientro dal Cile, dove svolgevano il loro apostolato a servizio della Diocesi di Copiapò,vasta tre volte la Sardegna, nel nord desertico del Paese sudamericano, passato da una costruenda democrazia socialista guidata dal  presidente eletto Salvador Allende alla feroce dittatura del generale Augusto Pinochet.

Nella foto vi sono i due preti, appena sbarcati a Valparaiso dopo un mese di navigazione, insieme al capo della diocesi dov’erano destinati e ad un immigrato sardo che ospitò molto ben volentieri nella sua casa i  due conterranei.

Don Carlos Camus Larenas rimase ancora un anno alla guida della Diocesi, chiamato poi al ruolo di segretario della Conferenza Episcopale Cilena e in seguito vescovo di Linares. Gia con questo vescovo Giuseppe e Tore erano entrati da subito in un modo di vivere un cristianesimo comunitario molto partecipato dal popolo, sicuramente incoraggiato dalle novità portate dal Concilio Vaticano II voluto da papa Giovanni XXIII. Questo lavoro di coinvolgimento fu ripreso dal successore arrivato dopo un anno di posto vacante, don Fernando Ariztìa. Nel testo che segue, cercheremo di capire  questo “metodo”,  che in Italia probabilmente faticava ancora a prendere piede (forse) per la storica e proverbiale  lentezza dalle gerarchie ad accettare gli inevitabili e necessari segni del tempo che avanza, ma fatte proprie dalle Comunità di Base e da quelle parrocchie dove la guida  non si sente e si comporta da padre – padrone, che svolgevano e continuano a svolgere un’ impegnativa e faticosa “rilettura” delle Scritture per cercare di rendere attuali e vivi gl’insegnamenti evangelici.

Ecco le parole di Giuseppe e Tore, tratte dalle pagine riassuntive della loro vicenda riportate nella prima parte del volume. Non lavoro di “coscientizzazione marxista”, come dicevano e accusavano i “guardiani” del regime, in questo messi in allarme dalle bigotte e falsi cristiani che s’intrufolavano malignamente nella vita comunitaria,  ma faticosa immersione nelle problematiche del popolo, con concreta condivisione “per” e “con” esso.Tutto ciò ha dato tremendamente fastidio ai detentori del Potere, che in ogni epoca vogliono tenere tutto sotto la loro stretta sorveglianza. Sul finale, l’epilogo di questa “compromissione” dei due preti col popolo oppresso, evento a quanto pare da loro atteso. (Pi.Mu.)

Non rigettare la gerarchia, ma valorizzarla come reale servizio

(Giuseppe e Tore)

Marzo 1975. Arriva come nuovo vescovo di Copiapò don Fernando Ariztìa. Egli dà un impulso nuovo ed evangelico alla diocesi. Con lui sacerdoti, religiose e laici facciamo un’analisi più profonda delle necessità dell’uomo di Copiapò e della diocesi, ne studiamo le problematiche e le esigenze cercando di dare una dimensione chiara delle scelte che dobbiamo prendere come Chiesa cilena e copiapina in particolare. Notiamo allo stesso tempo l’assenza quasi assoluta di responsabili laici che facciano la Chiesa più popolo e meno gerarchia, non per rigettarla ma per valorizzarla nel vero senso come servizio: proprio quanto scopriamo nella persona del nostro vescovo e come anche noi tentiamo di fare. Corsi di formazione di animatori di comunità cristiane, di guide di gruppi di catechesi adulti che preparino i genitori alla educazione alla fede dei loro figli, animatori di gruppi giovanili che siano non soltanto culturali, ma anche di servizio delle esigenze delle poblaciones (quartieri). Con tutti  questi, dopo un anno di studio e preghiera con le due comunità di religiose delle nostre poblaciones e i responsabili prendono corpo le scelte concrete di una Chiesa che serve: in prevalenza sono gruppi dei aiuto fraterno che hanno direttamente carattere assistenziale, ma allo stesso tempo evangelicamente formativi perchè aprono i cristiani, le religiose e noi preti a un servizio per i fratelli poveri e perseguitati, sono insieme denuncia chiara delle scelte politiche, sociali ed economiche del governo militare. (…..) Nelle nostre poblaciones nascono primi e più numerosi che in tutta la regione e la diocesi i refettori infantili, gruppi di aiuto ai malati, bazar per lavorare e vendere vestiti usati, nelle forme più aperte e servizievoli per evitare ogni possibile e minima umiliazione per chi è obbligato da altri uomini a ricorrervi. Poveri per e con i poveri. (…….)

Inizia la repressione

Il governo non era riuscito a dividere la Chiesa cattolica come aveva potuto con la Chiesa luterana e con la conquista di quasi tutte le sette protestanti. Agli ultimi di settembre del 1975 si verificano gli arresti di alcune religiose e di sacerdoti, specialmente di Santiago. Si fa luce e si porta in atto un piano che già mesi prima avevamo letto in alcune in alcune riviste italiane e cilene, elaborato dalla CIA, dalla polizia, dai ricchi e dai governi di parecchi stato sudamericani come Bolivia, Uruguay, Brasile. Prima le calunnie, i sospetti e il discredito degli elementi cosiddetti “stranieri” di fronte al tentativo di fare una Chiesa nazionalista appoggiando vescovi e sacerdoti favorevoli al regime. Poi la detenzione di alcuni di questi elementi in luoghi e ore isolati, con collocazione nei luoghi da loro frequentati di materiale di propaganda compromettente, possibilmente armi. Nessuna meraviglia, quindi, che tutto questo lo facciano anche con noi quando, alle 6,20 dell’8 novembre del 1975, perquisiscono la nostra casa, ci presentano le accuse preparate a tavolino e ci incarcerano.(….)

bambini mapuche

Guardatela con attenzione questa foto. Osservate gli sguardi perplessi ma aperti dei bambini. Fate attenzione all’espressione e al sorriso dei due giovani preti. Leggo che i “Mapuche” sono un popolo amerindo originario del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina. Gente la cui vita non era, e credo non lo sia ancora, agiata. Probabilmente il ceto più basso della società cilena, gente che per sopravvivere si doveva ( si deve)  massacrare di lavoro, che viveva (vive) in situazioni di grossi disagi e privazioni. Gente che procrea tra loro, come solitamente accade tra i poveri, la cui istruzione – e quindi il livello sociale – era (è) bassissimo. Gente per cui i servizi difficilmente sono accessibili, Diritti? Mah….

Giuseppe e Tore, nei loro anni di preparazione al sacerdozio, sicuramente avevano maturato il (doveroso!) desiderio di vivere il loro ministero in mezzo ai derelitti della società, a quelli che facevano e continuano a fare più fatica. Quelli coi quali Gesù stesso preferiva stare nella sua vita terrena. È forse questo il motivo per cui avevano espresso al loro vescovo  il desiderio  di vivere un periodo della loro vita in una parte del mondo, chiamata genericamente “terra di missione”, con l’intento non tanto d’imporre il loro credo – come in particolar modo nel periodo colonialista è purtroppo successo troppe volte, quando la croce si accompagnava con la spada – quanto far conoscere la bontà di un Dio fattoci conoscere da Gesù e, di conseguenza, condividere in tutto e per tutto la vita dei più poveri, materialmente e non solo e forsanche non sopratutto materialmente.

Riporto una porzione di lettera nella quale Giuseppe e Tore cercano di spiegare questa loro volontà di stare a stretto contatto col popolo, specialmente in quegli anni di terrore e di repressione, conoscendolo nei vari aspetti per entrare nel modo più rispettoso possibile nella loro vita quotidiana e nel loro…cuore. (Pi.Mu.)

ENTRARE NEL CUORE DEL POPOLO

di Giuseppe Murineddu e Tore Ruzzu

Non abbiamo scelto il Cile perchè trovassimo un posto più comodo e più facile (….). Noi non vorremmo tradirlo, il vero popolo cileno e il Vangelo, vorremmo essergli fedeli con la nostra debolezza e ci vorremmo rimanere perchè il vero cileno ha enormi valori da comunicare. Ci rimarremo finché non saranno il vescovo o le autorità militari a non volerci più. Stiamo cercando di conoscere e studiare le reazioni dei cileni e dei cristiani in particolare di fronte a questa situazione, a questi fatti della vita sociale ed ecclesiale che assumono il valore di provare la onestà e la sincerità di quanto finora si era costruito. Intanto  apprendiamo come studiare le persone, come reagiscono, come si comportano: se hanno una doppia personalità, adesso che il modo di agire richiesto ufficialmente è tutto il contrario di prima. Stiamo imparando a conoscere la Chiesa ufficiale cilena: i preti cileni e i preti stranieri; le famiglie straniere che sono venute per lavorare e stanno bene con Ditte, Imprese ecc; quelli che possiedono le miniere e quelli che ci mettono i polmoni e, in un segno di fittizia libertà (per loro è l’unica libertà), si bevono tutto quando scendono dalle miniere. In città li chiamano flojos (in italiano sarebbe “pigri” “fiacchi”); la loro età media è ridotta, soffrono di silicosi, chi se ne ammala ha una pensione e le famiglie non sanno come mantenerli, anche se hanno un grandissimo amore per i loro padres e abuelitos (nonni). Stiamo imparando a conoscere quelli che vivono al centro e quelli che vivono in otto o dieci persone in una stanza fatta di tavole e cartone; i carcerati e i condannati al confino; quelli che vivono in libertà aspettando un giorno o l’altro il loro turno quando le indagini arriveranno a loro; quelli che hanno un familiare, sanno che sta bene, che è nascosto e nient’altro; quelli che considerano pecora nera della famiglia, il parente che aveva idee contrarie; le famiglie che ancora guadagnano 4000 escudes, quando il datore di lavoro deve dargliene per legge almeno 12000; quello che possono comprare finalmente(?) le loro scarpe ultima moda 8000 escudes e chi le deve comprare di gomma e tela; quelli che possono comprare il filetto a 1800 escudes  e quelli che devono comprare le ossa che restano per il brodo a 100-150 escudes. Quando c’è una prova, quando la realtà ci obbliga ad un cambio, si manifesta la persona opportunista, la persona coerente, la persona precipitosa, la persona giusta, la persona sciacalla, la persona immatura, la persona vera, la persona che per amare si sacrifica e perde sé stessa.(…..)

Continua….

La Pentecoste secondo Tonino Bello

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La Pentecoste è una festa difficile, ma non perché lo Spirito Santo, anche per molti battezzati e cresimati, è un illustre sconosciuto.

È difficile, perché provoca l’uomo a liberarsi dai suoi complessi.

Tre soprattutto, che a me sembra di poter individuare così:

1. IL COMPLESSO DELL’ OSTRICA

Siamo troppo attaccati allo scoglio, alle nostre sicurezze,

alle lusinghe gratificanti del passato.

Ci piace la tana, l’intimità del nido.

Ci terrorizza l’idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci sul mare aperto.

Se non la palude, ci piace lo stagno.

Di qui, la predilezione per la ripetitività, l’atrofia per l’avventura, il calo della fantasia.

Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.

2. IL COMPLESSO DELL’UNA TANTUM

È difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci alla conversione permanente. Amiamo pagare una volta per tutte. Preferiamo correre soltanto per un tratto di strada. Ma
poi, appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. E diventiamo borghesi.

Il cammino come costume ci terrorizza.

Il sottoporci alla costanza di una revisione critica ci sgomenta.

Affrontare il rischio di una itineranza faticosa e imprevedibile ci rattrista.

Lo Spirito Santo, invece, ci chiama a lasciare il sedentarismo comodo dei nostri parcheggi, per metterci sulla strada subendone i pericoli.

Ci obbliga a pagare, senza comodità forfettarie, il prezzo delle piccole numerosissime rate di un impegno duro, scomodo, ma rinnovatore.

3. IL COMPLESSO DELLA SERIALITÀ

Benché si dica il contrario, noi oggi

amiamo le cose costruite in serie,

gli uomini fatti in serie,

i gesti promossi in serie.

Viviamo la tragedia dello standard, l’esasperazione dello schema, l’asfissia dell’etichetta.

C’è un livellamento che fa paura.

L’originalità insospettisce.

L’estro provoca scetticismo.

I colpi di genio intimoriscono.

Chi non è inquadrato viene visto con diffidenza.

Chi non si omogeneizza col sistema non merita credibilità.

Di qui la crisi della protesta nei giovani e l’estinguersi della ribellione.Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all’accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere che lui unifica e compone le ricchezze della diversità.

Lorenzo Milani, prete testardamente e volutamente distante da ogni potere

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di Beniamino Deidda     (volerelaluna.it)

Lorenzo Milani, figlio di una famiglia ricca di cultura e di denaro, che annoverava tra i suoi membri alcune celebrità in campo letterario e scientifico. Sappiamo che, quasi ventenne, un’improvvisa conversione al cattolicesimo lo portò a immergersi nello studio della Bibbia e del Vangelo fino «a fare un’indigestione di Gesù Cristo», come disse don Bensi, il suo confessore per tutta la vita.

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Nel novembre del 1943 entra in seminario. Il 13 luglio del 1947 viene ordinato prete. Il resto è storia molto nota e non occorre raccontarla ancora una volta.
Mi sembra invece necessario tentare di capire cosa dicano il pensiero e l’opera di don Milani ai cittadini e agli uomini del nostro tempo.

La risposta non è semplice, perché i messaggi di don Lorenzo hanno ricevuto nel tempo diverse interpretazioni. Del resto sono state molto diverse le interpretazioni della sua opera, anche quando era in vita. Osteggiato e ostacolato per vent’anni dalla Curia e dai vescovi, inviso alla gente “per bene” di Firenze e Calenzano, adorato dai suoi parrocchiani più umili e dai giovani operai che ne frequentavano la scuola serale, finì esiliato nella parrocchia di Barbiana, una chiesetta di cento anime sul Monte Giovi, di cui la Curia aveva già annunciato la chiusura e che si prestava egregiamente per togliersi di torno un prete rompiscatole.

Certo nessuno avrebbe sospettato che quella parrocchia così lontana sarebbe diventata il posto più adatto per diffondere nel mondo una scuola e una cultura di formazione umana e civile che oggi viene considerata socialmente rivoluzionaria.

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Dopo la morte, avvenuta nel 1967, don Milani ha continuato a trovare la stessa ostilità della Chiesa e dei benpensanti di quando era vivo. Per molto tempo ancora dopo la sua morte, la sua opera e suoi scritti sono stati oggetto di critiche feroci e di interpretazioni perfino faziose. Bisogna riconoscere che l’opposizione più tenace è venuta dai preti e dai vescovi, che non potevano certo accettare una pratica e un’esperienza religiosa, come quelle di San Donato a Calenzano e di Barbiana, che suonavano esplicita condanna delle pratiche parrocchiali più diffuse.

Le avvisaglie si erano già avvertite con l’improvvisa marcia indietro del Sant’Uffizio che si era rapidamente rimangiato l’imprimatur alla pubblicazione di ‘Esperienze Pastorali’. Il libro, che è un’analisi rigorosa e profonda delle abitudini e delle pratiche religiose della piccola parrocchia di san Donato, venne considerato inopportuno e ne fu proibita la diffusione.

La Chiesa ha mantenuto fermo per decenni questo suo divieto. C’è voluto papa Francesco per revocare formalmente un provvedimento che era considerato ormai privo di qualsiasi fondamento religioso e culturale. Ma il contenuto di Esperienze Pastorali non spiega completamente l’avversione della Chiesa a don Milani.

Piuttosto sono ragioni più convincenti il rifiuto di ogni integralismo da parte di un prete ostinatamente vicino ai più bisognosi di pane ed istruzione, anche quando erano avversari della Democrazia Cristiana. E l’avversione degli integralisti era tanto più rabbiosa dal momento che si trattava di un prete al quale non si poteva rimproverare il minimo sospetto di eresia, né infrazioni disciplinari, avendo egli dato prova di una rigorosa “disobbedienza obbedientissima” che non lasciava spazio ad insinuazioni e calunnie.

Son dovuti trascorrere quasi vent’anni dalla sua morte perché la Chiesa un poco alla volta rivedesse il suo giudizio su don Milani. Lo ha fatto prima di tutti negli anni ‘80 un suo compagno di seminario diventato vescovo di Firenze, il cardinale Silvano Piovanelli, il quale ha riconosciuto il valore esemplare della vita di don Milani, con l’evidente sottinteso che, se don Milani ha potuto fare quel che ha fatto si deve alla grandezza della Chiesa che gli ha consentito di essere tra i suoi figli migliori.

Questo tentativo di riappropriazione del parroco di Barbiana è proseguito per molti anni e direi che non si è mai arrestato. Secondo questa vulgata, la libertà e il rigore di don Milani si sono potuti esercitare dentro la Chiesa solo perché la Chiesa è capace di accogliere molteplici posizioni ed esperienze, anche apparentemente contraddittorie.
Quello che difficilmente poteva essere accettato da parte delle gerarchie ecclesiastiche era lo schierarsi senza riserve da parte di don Milani a fianco degli sfruttati e dei disgraziati; uno schieramento politico che era anche una denunzia aperta nei confronti di chi aveva avuto il potere per decenni in Italia, senza che i poveri ne avessero alcun vantaggio.

Dire e scrivere questa verità è sempre apparsa agli integralisti una forzatura interessata e il prodotto di una lettura parziale del pensiero milaniano. Così come non poteva essere accettata la lezione profondamente laica delle due scuole milaniane di San Donato e Barbiana, che in un mondo profondamente diviso tra cattolici e comunisti, erano improntate alla convinzione che è inutile «immettere nei discorsi a ogni piè sospinto le verità della Fede quando non si possiede ancora la “parola”».

La scuola di don Milani è stata dunque una grande opera civile che non ha niente a che fare con l’apostolato e con l’educazione religiosa (*). Una scuola di una laicità esemplare e modernissima, ancora oggi lontana dall’orizzonte di molti cattolici. Una scuola, come dirà in una lettera, da intestare non al Sacro Cuore, ma a Socrate. Una scuola dove – con scandalo di molti – non c’è neppure il crocefisso.

In realtà la lezione di don Milani risulta chiara da tutti i suoi scritti e non si presta a equivoci o strumentalizzazioni, anche perché poggia su severissime analisi e su una lettura così rigorosa dei dati, che non ha precedenti nella storia civile dell’Italia dal dopoguerra in poi. Basta pensare ai numeri impressionanti sulla selezione scolastica, riportati nella Lettera a una professoressa che rivelano il volto crudamente classista della scuola italiana. Così pure, sono analisi di straordinaria profondità quelle che denunziano la superficialità religiosa e le pratiche superstiziose di una parrocchia, attraverso le quali si può riconoscere il volto della religiosità dell’intero paese. Oppure le analisi di “L’obbedienza non è più una virtù”, che mettono a nudo la vacuità della retorica delle patrie e lo spirito guerrafondaio delle Forze armate e dei cappellani militari in netto contrasto con il ripudio della guerra scritto nella nostra Costituzione.

La verità è che don Milani ha affrontato e denunziato problemi drammaticamente esistenti, che fino alla sua analisi lucida e spietata nessuno aveva sollevato, nonostante gravassero sulla vita sociale e civile degli italiani da oltre vent’anni. Le proposte di don Lorenzo rivelavano appunto quei mali che opprimevano tutti i poveri e gli sfruttati del suo tempo, che fossero cattolici o comunisti, socialisti o monarchici.

Denunziarli era impopolare, specie se lo si faceva senza nessun calcolo elettorale, senza nessun timore di dispiacere alle gerarchie e ai potenti di qualsiasi parte, senza altra preoccupazione che non fosse quella di dire la verità.

Il ruolo giocato da don Lorenzo in quegli anni a prezzo di umiliazioni di ogni genere da parte dei borghesi e della Curia, ha consentito che in Italia, dopo molti lustri, crollasse il muro – non meno robusto di quello di Berlino – che divideva la cultura laica da quella cattolica. Un muro che si reggeva sulla reciproca intolleranza e sull’appartenenza, più che sull’obiettiva condizione e analisi delle cose. È stato don Milani a dare decisi colpi di piccone a quel muro, spiegando che l’austerità dei dogmi della Chiesa non poteva arrivare a coprire «le complicità di una parte della gerarchia cattolica coi fascismi e i razzismi» e pretendendo di non obbedire a tutte le iniziative elettorali di cardinali e vescovi o dei giornali cattolici, spacciate per dogmi.

Con questa rigorosa distinzione don Lorenzo pretendeva di ribadire la dignità e la libertà della propria fede, senza rischiare di offendere o limitare la libertà e la dignità degli altri cittadini sovrani.
Insomma don Milani era attentissimo a difendere le posizioni della Chiesa, ma non esitava a denunziare gli errori delle sue scelte politiche e contingenti. E tuttavia continuava a stare con convinzione nella Chiesa: «Noi la Chiesa non la lasceremo perché non possiamo vivere senza i suoi sacramenti e senza il suo insegnamento». Questo suo modo di stare dentro la Chiesa pagando un prezzo altissimo per denunziarne gli errori, ha inaugurato e contribuito a far crescere un discorso pubblico che ha cambiato la nostra cultura civile e la nostra sensibilità sociale.

Tutto questo oggi noi vediamo con una certa chiarezza, ma ci son voluti più di sessant’anni dal momento in cui la lezione milaniana veniva impartita. In quel tempo essa destava semplicemente scandalo. E non solo per il valore intrinseco delle cose che don Milani andava insegnando e scrivendo, ma ancor più per il consenso con cui venivano accolte dai non credenti, dai comunisti, dalle sinistre e soprattutto da quei pericolosissimi “cattolici di sinistra” raccolti intorno a Giorgio La Pira e a sacerdoti come Padre Balducci, don Borghi, padre Turoldo e altri che hanno illuminato l’irripetibile fioritura del cattolicesimo fiorentino nella seconda metà del secolo scorso.

Non tutti a sinistra riuscivano a cogliere quegli spunti di una cultura nuova, rigorosamente gelosa della libertà di ogni religione e nello stesso tempo rispettosa della dignità di ogni essere umano, credente o non. Per molti lustri, da un lato, gli integralisti cattolici hanno preteso di avere l’esclusiva “dell’interpretazione autentica” di don Milani, annettendolo senz’altro alla tradizione ecclesiastica; dall’altro le sinistre più scolastiche lo hanno irrigidito in una vulgata sessantottina lontano mille miglia dalle intenzioni e dalla sostanza del suo messaggio. Né gli uni, né gli altri sono stati capaci di capire la novità dirompente che nei decenni è stata in grado di rinnovare la vita civile del nostro paese.

Sono stati decenni durante i quali è successo un po’ di tutto. Insieme alla demolizione del muro di Berlino, che sembrava promettere un futuro di pace, sono cadute molte altre cose che pensavamo durature: sono evaporate le ideologie; i partiti si sono come svuotati; la DC si è sgretolata, travolta dal malaffare e dagli inevitabili processi penali; i fascisti sono passati per il lavacro di Fiuggi, ma oggi governano come se non ci fosse mai stato; la classe operaia non esiste più come soggetto politico capace di battersi per l’eguaglianza; la globalizzazione ha visto il trionfo di un liberismo capace di moltiplicare le disuguaglianze.

Oggi, in questo che sembra un panorama di macerie, riemergono fantasmi che sembravano superati: il ritorno di un razzismo prima strisciante e poi sempre più scoperto, la lotta senza quartiere agli immigrati che non sono morti in mare, la criminalizzazione dei poveri perseguiti con le dure norme di un nuovo “diritto del nemico”, la scomparsa della solidarietà tra i più svantaggiati, messi l’uno contro l’altro da politiche irresponsabili e, infine, la crescente disumanità che da tempo caratterizza le politiche di ogni maggioranza al governo e, per riflesso, i rapporti tra cittadini.

Proprio in questo frangente il pensiero di don Milani torna prepotentemente ad illuminare il nostro tempo e alimenta il dibattito al di là (e qualche volta contro) del ceto politico. E non solo in Italia don Milani torna a indirizzare le azioni di coloro che tentano di recuperare il senso dello stare insieme e dell’essere cittadini padroni del proprio destino.

Questa nuova cultura civica travolge il provincialismo, disdegna le politiche di corto respiro e ci costringe a guardare oltre l’orizzonte del nostro paese. In qualche modo tutti gli uomini di buona volontà in tutto il mondo guardano a Barbiana, come a un modello che ha insegnato e praticato l’utopia riscatto degli ultimi.

Don Milani ha mostrato a tutti noi l’assurdità delle divisioni tra i paesi e tra i popoli: «Io ai miei ragazzi insegno che le frontiere sono concetti superati». Ma noi ci comportiamo come se tutto il mondo fossimo noi. Aveva ragione Padre Balducci: «Barbiana non è più solo nel Mugello: ha assunto il valore come di una immensa e mirabile metafora del tempo nuovo».

È cioè diventata sinonimo dei tanti posti del mondo che sono oppressi e sfruttati dall’egoismo dei paesi più ricchi. Le tante Barbiane di tutto il modo che sono nel nostro Sud, in Africa, in Asia e in America Latina, ricordano a noi, che siamo convinti dalla pubblicità e dal mercato che il nostro sia l’unico mondo esistente, che fuori dal nostro benessere ci sono miliardi di uomini e donne che non fanno parte del mondo privilegiato e che la stragrande maggioranza dell’umanità fa i conti con la fame, con la sete e con la guerra.

Di fronte a questo mondo, tragicamente diviso tra oppressori e oppressi, sta l’analisi severa di don Milani, che non può essere condivisa da nessuna delle ideologie dominanti. È stato padre Balducci a intuire tra i primi che la posizione originalissima di don Milani lo sottraeva a ogni omologazione con i poteri che hanno determinato le terribili diseguaglianze esistenti nel pianeta: «La verità è che il maestro di Barbiana non può ancora essere integrato in nessuna delle posizioni ideologiche che si confrontano nella nostra società.

Ci sono quelli che si ostinano a vedere in don Milani soprattutto il prete, ma senza spiegare perché nessuna curia potrebbe sopravvivere con dieci preti come lui.

Ci sono quelli che lo considerano un precursore della scelta di classe, una specie di “cristiano per il socialismo” avant la lettre, ma si trovano imbarazzati davanti alle sue critiche sferzanti contro tutti i partiti politici. C’è chi lo vede come il precursore dei nuovi orientamenti pedagogici della scuola a gestione sociale, ma è troppo evidente che la scuola di Barbiana è strutturalmente irriducibile a misure istituzionali […]. Il carattere selettivo della scuola attuale riflette in sé il genio selettivo della società che in ultima istanza non conosce altre gerarchie che quelle del profitto. […] Ecco perché la scuola di Barbiana non è un modello, è un messaggio e il messaggio non si limita mai, è sempre un appello a nuove creazioni» (Attualità inattuale di don Milani, Testimonianze n. 196-197).

È chiaro allora che la lezione di Barbiana va ben oltre Barbiana e i suoi piccoli montanari. Don Lorenzo aveva intuito che non erano i barbianesi i destinatari finali del suo discorso. Ai giudici che lo processavano aveva scritto, a dimostrazione del fatto che non aveva fatto carriera: «Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime». Ma il giorno dopo il suo arrivo a Barbiana, scese in paese a Vicchio per comprarsi la tomba al cimitero, sicuro che solo stando insieme agli ultimi e facendo la stessa loro vita, avrebbe potuto parlare a tutti quelli che volessero ascoltare le parole di una cultura nuova.

Dalla piccola canonica sperduta sul Monte Giovi don Lorenzo continua ancora a parlare a tutto il mondo il linguaggio capace di chiedere giustizia ed eguaglianza per tutti gli oppressi e i diseredati delle tante Barbiane sparse nel mondo.

La novità di Barbiana trova corrispondenza anche nella novità della lingua di don Lorenzo. La sua scrittura è semplice e piana, ma suona tagliente e nello stesso tempo precisa. Nella Lettera dall’oltretomba, indirizzata “ai missionari cinesi del prossimo millennio”, scrive:

«Voi certo non vi saprete capacitare come prima di cadere non abbiamo messa la scure alla radice dell’ingiustizia sociale. È stato l’amore dell’ordine che ci ha accecato. […] Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito. È nel dormiveglia che abbiamo fornicato con il liberalismo di De Gasperi, coi congressi eucaristici di Franco. Ci pareva che la loro prudenza ci potesse salvare. […] Quando ci siamo svegliati era troppo tardi, i poveri erano già partiti senza di noi. […]Troppe estranee cause con quella del Cristo abbiamo mescolato. Essere uccisi dai poveri non è un glorioso martirio».

Una lingua netta che non lascia dubbi nel lettore sulla qualità del giudizio. Questa precisione e libertà di giudizio don Milani se l’era guadagnata prendendo le distanze da tutte le ideologie dominanti nel suo tempo: da quella dei cattolici in politica, che si esprimeva nelle varie correnti della Democrazia Cristiana, a quella socialcomunista del PSI e del PCI, a quella liberale e confindustriale, per finire a quella della parte più retriva dell’arco costituzionale.

Dal suo punto di osservazione equidistante poteva discutere in assoluta libertà le posizioni di tutti senza abbracciarne nessuna. Da questo pulpito poteva giudicare gli errori e le omissioni delle varie parti con la sola preoccupazione di dire la verità, senza preoccuparsi delle conseguenze, «senza tatto e senza educazione», come diceva lui. Per questo ha potuto parlare senza dover prendere partito nella contrapposizione frontale tra comunisti e democristiani che caratterizzava il suo tempo, conservando anzi la libertà di criticare anche la sua parte. «Per un prete quale tragedia più grossa di questa ne potrà venire? Essere liberi, avete in mano sacramenti, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini ed umani raccogliere il bel frutto, d’essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti. Aver la chiesa vuota, vedersela vuotare ogni giorno di più. Sapere che presto sarà finita per la fede dei poveri».

I borghesi, ma anche il suo Vescovo, lo accusavano di essere classista e di fare una scuola di classe. Don Lorenzo accettava la provocazione e paradossalmente rinforzava l’accusa. In un incontro con i direttori didattici del territorio fiorentino non esita a dire: io ai miei ragazzi faccio questo discorso «Senti ragazzo la tua classe sociale, gli oppressi, gli infelici di tutto il mondo, dall’Algeria al Congo, a Barbiana, al Monte Giovi, nell’officina, nei campi, gli oppressi di tutto il mondo, gli infelici di tutto il mondo, i proletari di tutto il mondo, soffrono di questa data sofferenza che hai tu. Dedica la tua vita a far sortire questa classe da questa situazione».

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Dunque la “lotta di classe”. Ma aveva un senso diverso da quello che intendeva la cultura marxista. Era più vicino al senso evangelico che la Pira aveva sottolineato scrivendo a Papa Montini a proposito delle scelte di don Borghi, un altro grande prete del cattolicesimo fiorentino, compagno di seminario di don Milani: «Lo schema evangelico oppressori-oppressi, questo intende dire don Borghi quando parla di lotta di classe; schema autenticamente biblico ed evangelico».

Il fatto è che la voce di don Milani, anche quando è seguita da un coro di consenzienti, non assomiglia a quella di nessuno. Non assomiglia a quella dei laici, pur avendo dato vita a una scuola assolutamente laica; non assomiglia a quella dei confratelli preti, impauriti e fedeli seguaci dei comandi politicamente discutibili della Gerarchia ecclesiastica; non assomiglia a quella dei socialcomunisti o a quella dei marxisti, neppure a quella declinata nella straordinaria versione gramsciana.

Insomma don Lorenzo non si è fatto catturare da nessuna delle culture del suo tempo. È stato diverso e, per molti aspetti, unico. Non tanto per le cose che ha detto e che forse possono ritrovarsi anche in altri grandi protagonisti della cultura moderna, da Gandhi a Tolstoi, da Einstein a Primo Levi e certamente molti altri. Ma soprattutto per il modo con cui si è posto nei confronti del potere, di tutti i poteri, da quello ecclesiastico a quello civile e politico.

Da quella sua originale posizione di prete distante da ogni potere, deciso a schierarsi senza tentennamenti dalla parte dei poveri e dei diseredati di ogni angolo della terra, è scaturita una cultura del tutto nuova, di respiro continentale ed europeo, che era quella di cui si erano nutriti i suoi antenati e i parenti più prossimi e che resta un dato riconoscibile della qualità del suo pensiero e della sua scrittura. Solo che quella eredità è stata da lui consapevolmente rifiutata nella scelta dei fini a cui consacrare la propria vita ed è rimasta lontana sullo sfondo.

Don Lorenzo ha sostituito ai valori tipici della cultura borghese della sua famiglia un orizzonte molto più vasto, capace di includere gli esclusi di tutto il mondo e le “culture inferiori” di cui abbonda la Terra. Cosicché gli uomini di oggi, se vogliono scoprire qualche verità che illumini il loro cammino nella società e nella politica, si rivolgono all’esempio di un uomo che ha trovato la propria verità vivendo in quello che sembrava un esilio (ed era invece un pulpito impareggiabile) con una manciata di ragazzi che Dio aveva messo sul suo cammino e che don Lorenzo ha amato fino alla fine, con un amore geloso e pieno di ansie.

Sosteneva che l’amore, quando è autentico non si poteva dare indistintamente a tutti gli uomini e che l’amore è un dono e non un dovere. Questo completo dono di sé agli altri resta la chiave per intendere la cultura nuova che don Lorenzo ha generosamente distribuito a quei pochissimi che allora seppero ascoltarlo e che oggi noi sentiamo così attuale in questo centenario.

Una delle caratteristiche di questo prete, così insolito nella storia della Chiesa, è che egli sembra parlare e scrivere come se per la prima volta si dovesse affrontare l’argomento. Nei suoi scritti non ci sono citazioni, non ci sono richiami. Ci sono solo posizioni decise, scelte chiare e senza tentennamenti. Sembrerebbe dunque che nell’elaborazione del suo pensiero mancassero i punti solidi su cui poggiare le indicazioni precise della sua elaborazione religiosa e politica. E invece ci sono due fonti dalle quali egli non si è mai discostato e che costituiscono il costante fondamento del suo insegnamento.

La prima fonte è stata il Vangelo, interpretato alla lettera e senza sconti, dal quale don Lorenzo non si è mai discostato anche nelle polemiche più dolorose con la Gerarchia e gli altri preti. La seconda è stata la Costituzione italiana che non non considerava “una legge come le altre”, perché era il frutto dell’unica guerra degna d’essere combattuta: quella di resistenza contro i nazifascisti.

Non si sbaglia a dire che tutte le battaglie di don Lorenzo hanno avuto come sfondo i principi di dignità, di libertà di uguaglianza e di sovranità popolare scritti nella Costituzione. A Barbiana la Costituzione non è mai stata un libro di testo al quale rivolgersi per qualche citazione. È stata la luce che ha guidato con sicurezza tutta la cultura nuova che Lorenzo impartiva ai suoi ragazzi di montagna. Una cultura che egli voleva diversa da quella dei “borghesi” e che si sarebbe certamente imposta con la sua freschezza quando i suoi ragazzi avrebbero posseduto la “parola”. Ed è stata la Costituzione quella che ha guidato la vita di don Lorenzo, nella sua triplice veste di uomo, di cittadino e di maestro. Solo i valori della Costituzione hanno potuto costituire quella novità, ancora oggi insuperata nel nostro paese, che è stata il fondamento della nuova cultura civile del maestro di Barbiana.

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Di seguito, il collegamento al video realizzato nel 65 da Angelo D’Alessandro

https://www.raiplay.it/video/2023/05/Barbiana-65—La-lezione-di-Don-Milani-ff12d9a2-dfa1-4561-865f-f0899528d48c.html?wt_mc=2.www.wzp.raiplay_dati

E dato che ci siamo, indico anche lo Speciale Tg1 indicatomi da mia moglie. Un excursus biografico sottolineato di tanto in tanto da canzoni di De Andrè.

https://www.raiplay.it/video/2023/05/Speciale-Tg1-Lorenzino-Don-Milani-f555b10a-479e-4e62-8232-db6d8a61b88b.html?wt_mc=2.www.wzp.raiplay_dati

(*) La scuola di don Milani è stata dunque una grande opera civile che non ha niente a che fare con l’apostolato e con l’educazione religiosa“.

È un passaggio del lungo articolo di Deidda che non mi trova completamente d’ accordo, e proprio per come Lorenzo intendeva la sua scelta di mettersi al seguito del Maestro come prete. Aiutare i ragazzi a lui affidati a raggiungere la loro piena umanità era per lui il modo più vero di fare “apostolato”, cosa completamente diversa dall’ inculcare sterili pratiche “religiose” che non incidono nella vita reale.

A proposito dell’autore, procuratore sardo in pensione nativo di Lanusei che apprezzo per le sue considerazioni riguardo alla “vicenda”  Milani nel suo insieme, leggo che ha avuto a che fare con la giustizia e per questo ha pagato il suo debito. Nello specifico, la corte di appello di Firenze l’ aveva condannato a 6 mesi di reclusione, con pena sospesa, per aver rivelato segreti di ufficio e di accesso abusivo ai sistemi informatici. Posso dire che per me, davanti alla validità di quanto argomentato nell’ articolo, la cosa è del tutto secondaria? L’ho detto (Piero)

L’ eroismo militarista?

MENTRE OGGI L’ “EROISMO” MILITARISTA SI STA FACENDO ENTRARE FURBESCAMENTE NEL CERVELLO AD INIZIARE DAI PRIMI ANNI DI SCUOLA (Piero)

di Franco Lorenzoni

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Con la presenza di Mattarella domani 27 a Barbiana per i cento anni dalla nascita di Lorenzo Milani, si chiude il cerchio delle “riparazioni istituzionali” verso questo prete scomodo, che aveva visto papa Francesco salire su quella montagna nel giugno del 2017, a cinquant’anni dalla morte del priore.

Nel suo discorso il papa aveva ricordato “quella chiesa che lo aveva tanto fatto soffrire”, ma dobbiamo ricordare che anche lo stato non fu da meno nel contrastare e condannare le prese di posizione di quel prete persuaso che, su alcune questioni di fondo, l’obbedienza non fosse più una virtù.

Milani fu infatti processato per avere sostenuto le ragioni degli obiettori di coscienza che rifiutavano il servizio militare, rispondendo a un gruppo toscano di cappellani militari, che in un comunicato avevano sostenuto che l’obiezione fosse “un insulto alla patria e un atto di viltà”.

Nel febbraio 1965 il priore di Barbiana legge sul quotidiano La Nazione di Firenze la presa di posizione di un gruppo di cappellani militari della Toscana e ne prende immediatamente spunto per discuterne con i ragazzi della scuola che aveva fondato su quella montagna, dove era stato esiliato nel dicembre del 1954 dal cardinale Florit.

Da quella lettura condivisa nacque la Risposta ai cappellani militari, primo testo di Lorenzo Milani che arriva al grande pubblico. “Auspichiamo tutto il contrario di quello che auspicate voi”, scrive in quell’occasione, criticando la dottrina dell’ ”obbedienza ad ogni costo”. Nella Risposta rivendica il diritto dei poveri a “combattere” i ricchi con “le uniche armi” che egli approva, “nobili e incruente”, vale a dire “lo sciopero e il voto”.

In quegli anni più di cento giovani erano stati reclusi per mesi e talvolta anni nel carcere militare di Gaeta per essersi rifiutati di imbracciare un fucile.

I giovani che rifiutavano con radicalità ogni contatto con le armi erano in maggioranza testimoni di Geova, anche se c’erano anche alcuni anarchici insieme a dei nonviolenti e socialisti. Il primo cattolico che rifiutò la leva fu Giuseppe Gozzini nel 1962, sostenuto da padre Ernesto Balducci, che per questo fu condannato dallo stato e fortemente attaccato dalla chiesa, come accadde qualche anno dopo allo stesso priore di Barbiana.

Per quella risposta pubblica Lorenzo Milani fu processato nel 1965 e dovettero passare più di sette anni perché si arrivasse, nel 1972, ad approvare la prima legge che consentiva di rifiutare la leva militare, allora obbligatoria, sostituendo l’anno di leva con due anni di servizio civile. Si deve tuttavia attendere fino al 1998 perché l’obiezione di coscienza sia riconosciuta non come beneficio concesso dallo stato, ma come diritto civile.

Nel processo che si tiene nel febbraio 1966 il pubblico ministero chiede otto mesi di reclusione per il priore e per Luca Pavolini, direttore di Rinascita, il settimanale del Partito comunista, unico giornale che pubblicò integralmente la risposta di don Milani. In quel processo i due furono assolti, ma il pubblico ministero fece ricorso e, nel processo di appello dell’autunno 1967, arrivò una condanna a cinque mesi. Solo per Pavolini, tuttavia, perché don Lorenzo era morto pochi mesi prima senza essere stato assolto in via definitiva.

Ciò che ancora ci colpisce, a tanti anni di distanza, fu la capacità di don Milani di trasformare la sua presa di posizione riguardo all’obiezione di coscienza in una battaglia politica di ampio respiro e, contemporaneamente, in un tema attorno a cui fare scuola con i suoi ragazzi, sapendo intrecciare in modo limpido ed efficace la dimensione politica con la dimensione educativa.

In una lettera alla madre del 26 luglio 1965 scrive: “Mi piacerebbe sapere come si può impostare la difesa perché se sapessi che si può entrare nel merito dei fatti storici allora vorrei divertirmi da qui a ottobre a studiare solo storia coi ragazzi e arrivare là tutto verve nutrita di base storica documentata e spiritosa”.

Il 18 ottobre 1965 Don Lorenzo, non potendo presenziare al processo per motivi di salute, scrive una lunga Lettera ai giudici nella quale si legge:

“Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. (…) E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. (…) Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore”.

Lavorare per rendere migliori gli ordinamenti vigenti a partire dalla scuola, fu impegno che Lorenzo Milani intraprese con tutto se stesso. Non c’è città del nostro paese che non abbia una scuola a lui intitolata. Ma è più facile intitolargli una scuola che accogliere la radicalità delle sue posizioni e la capacità di educare sapendo andare alla radice delle ingiustizie, testimoniando con coerenza la propria obiezione a leggi inaccettabili. Assumersi fino in fondo le proprie responsabilità è infatti attitudine purtroppo rara in un paese come il nostro, propenso piuttosto all’accomodamento e al compromesso.

Eppure l’educazione civica, riproposta in tutti i gradi della scuola con una nuova legge tre anni fa, potrebbe nutrirsi delle discussioni che animarono quel passaggio fondamentale che permise a un gruppo di ragazzi di seguire passo passo e partecipare a pieno titolo al delicato ed entusiasmante processo dell’accompagnare e promuovere la trasformazione di una legge ingiusta, liberando per sempre le giovani generazioni dall’obbligo di trascorrere mesi della loro vita a formarsi per fare la guerra.

I “moderni” inglesismi, anglicismi o cumenti maradizioni si giamani? Rotto mi hanno!

di Piero Murineddu

No, la minaccia fatta da un rappresentante di questo governicchio attuale per chi osa non riconoscersi nella pura “etnia” ( razza?) italica servendosi di termini anglofoni non c’entra in questo caso.La mia è solo una vecchia e ormai inutile battaglina personale.

Vado.

Ma chi ancora conserva un pochettino di dignità, non ritiene doveroso tentare di porre fine a questo patetico e per me irritante andazzo? Mi fa sentire più ignorante di quanto già lo sia.

Ma cosa caspita si vuol dimostrare? Di essere eruditi, moderni e toghi, studiati e globalizzati, che se ne sa umbéumbéumbé?

Ma quanto vogliamo essere ridicoli? Ma quale evoluzione della comunicazione! Questo é nient’altro che tradimento delle proprie radici, di cui la lingua é componente fondamentale….

E se provassimo ad impararlo e a usarlo questo strabenedettissimo italiano? Ma come, prima a scuola ci fanno due cosini così, comprese le bacchettate per impedirci di parlar il sacrosanto dialetto insegnatoci dalle nostre mamme, facendoci portatori a casa di notarelle come terroristico “ultimatum”, e poi, ad iniziare dai grandi giornaloni – comprese le paginettine di provincia, tipo “La Nuova Sardegna”…che pena! – e dai politiconi e miseri politicanti locali da strapazzo (per apparire più “in”?), c’impongono la loro palese imbecillità comunicativa?

E trovarmeli daboi nel libro di un autore locale mi ha fatto proprio stragirare, lo confesso. Non solo devo leggere più volte un passaggio per capirne il significato, ma devo stare col traduttore pronto per capire che caspita vuol dire quel termine inglese. Che faccio io? Lo riporto in biblioteca senza continuare a trabanammi lu zeibbeddhu, ecco quel che faccio. Mi chiedo: ma vuoi comunicare o vuoi fare sfoggio di non so cosa? Ma baaaasta….

Propongo un elenco, di cui son grato a Sabrina Trevisan e all’autrice dell’articolo che segue questo già lungo elenco

Pronti? Viiiiaaaa….

analisi on desk-> analisi preliminare o analisi a tavolino

benchmark-> parametro di riferimento

benchmarking-> confronto sistematico o analisi comparativa

tool(per esempio: learning tool, teaching tool) -> strumento
student(o client)

satisfaction (es.: monitoraggio della student satisfaction) -> soddisfazione dello studente (dell’utente)

debriefing-> resoconto

executive summary-> sintesi

distance learning-> apprendimento a distanza (distinto da e-learning -> teleapprendimento o apprendimento online)

peer review-> revisione tra pari

public engagement-> impegno pubblico

valutazione della performance-> valutazione dei risultati

all inclusive -> tutto compreso

anti age -> anti etá

abstract -> riassunto

appeal -> attrazione

audience -> pubblico

background -> sfondo

backstage -> dietro le quinte

badge -> tesserino

big -> grande

bipartisan -> trasversale

boss -> capo

brand -> marca

break -> pausa

business -> affari

buyer -> compratore

cash -> contanti

catering -> approvvigionamento

coach -> allenatore

concept -> idea

community -> comunitá

copyright -> diritto d’autore

device -> dispositivo

display -> schermo

dress code -> regole
d’abbigliamento

evergreen -> intramontabile

fashion -> moda

flop -> fiasco

fitness -> allenamento

food -> cibo

gossip -> pettegolezzo

happy end -> lieto fine

hotel -> albergo

jobs act -> legge sul lavoro

light -> leggero

look -> aspetto

mail -> posta

make up -> trucco

master -> specializzazione

match -> partita

meeting -> riunione

mission -> missione

news -> notizie

open -> aperto

okay -> va bene

partner -> compagno

party -> festa

premier -> primo ministro

red carpet -> tappeto rosso

relax -> riposo

trend -> tendenza

show -> spettacolo

selfie -> autoscatto

sexy -> seducente

snack -> merenda

staff -> personale

teenager -> adolescente

team -> squadra

ticket -> biglietto

user friendly -> amichevole per chi lo usa

weekend -> fine settimana

web -> rete

workshop -> seminario

vintage -> d’annata

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https://nuovoeutile.it/300-parole-da-dire-in-italiano/

Insomma….

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..o possibilmente nell’ idioma locale col quale sei cresciuto/a

 

Vuoi conoscerne altri? Bene, accomodati….


La profetica Ribellione di Andrea Gallo

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di Piero Murineddu

“Nella realtà in cui siamo immersi – complessa e triste, impaurita e militarizzata, con una politica allo sbando – sarà la poesia a salvarci.“

La Poesia, così apparentemente distante dall’immaginario di Ribelle per antonomasia che un po’ tutti abbiamo in testa del santo pretaccio che cantava “O bella ciao” ad ogni ora delle sue pienissime giornate ed eternamente col puzzolente sigaro appoggiato sulle labbra mezzo giallognole e ben tenuto dall’indice e medio anch’essi ingialliti dalla nicotina.

Indole lontanissima da ogni forma di coercizione il vecchio Andrea, e la Poesia per l’appunto, anche se non credo praticata da lui direttamente, é una delle massime espressioni della libertà di pensiero. Da qui il suo riconoscimento a quest’arte comunicativa non alla portata di tutti e non sempre immediatamente comprensibile, a me per primo.

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Dieci anni fa, prima ancora che un prete – Disturbatore di ogni “ordine (!) costituito” e quindi sempre guardato con diffidenza da ogni forma di Potere – ci lasciava un uomo per cui era impossibile non prendersi cura delle innumerevoli vittime di questa societá emarginante e violenta.

Dopo diversi ámbiti dove svolgeva il ministero ecclesiale, a modo suo si capisce, in una parrocchia della Genova portuale trovó la sua Casa, accogliente per lui e in cui per lunghi anni fece accoglienza a tanti altri.

É proprio dal sito della Comunità di San Benedetto che riporto la sua biografia

https://sanbenedetto.org/chi-siamo/don-gallo/

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Se proprio il Ribellone per amore (e a volte anche per giusta rabbia, che non guasta!) non é riuscito totalmente ad incarnare in sé la visione del Dio fattoci conoscere dal Nazareno, parecchio scomodo per i benpensanti (tra le fila delle quali può capitare di esserci anche noi!), sicuramente l’ha desiderato intimamente, oltre che proclamarlo in ogni occasione e infischiandosene del giudizio logicamente negativo dei bellini e delle belline, coloro che si distinguono per il loro ipocrita atteggiamento susseguoso.

Leggiamocelo con tranquillità questo suo splendido e fulminante testo.

UN DIO DI GIUSTIZIA LIBERTÀ FELICITÀ E PACE

di Andrea Gallo

SE IL TUO DIO
è bambino di strada
umiliato
maltrattato
assassinato

bambina
ragazza
donna violentata
venduta
usata

omosessuale
che si dà fuoco
senza diritto di esistere
handicappato fisico
mentale
compatito

prostituta dell’Africa
dei Paesi dell’est
che tenta di sfuggire la fame
e la miseria creata dai nostri
stessi Paesi

transessuale
deriso
perseguitato
emigrato
sfruttato
senza diritti

barbone
senza casa
né considerazione

popolo
del Terzo mondo
al di sotto
della soglia di povertà

ragazza mai baciata
giovane senza amore
donna e uomo
cancellati in carcere

prigioniero politico
che non svende i suoi ideali

ammalato di Aids
accantonato,
vittima
di sacre inquisizioni
roghi
guerre
intolleranze religiose
indigeno sterminato
dall’invasione cattolica dell’America

africano
venduto come schiavo
a padroni cristiani

ebreo
rom
omosessuale
o altro dissidente
sterminato ad Auschwitz
e negli altri lager nazisti
o nei gulag sovietici

morto sul lavoro
sacrificato alla produzione

palestinese
maya
o indigeno derubato
della sua terra
vittima della globalizzazione…

SE IL TUO DIO TI SPINGE
a condividere con loro
ciò che hai e ciò che sei
a difendere i diritti
degli omosessuali
e degli handicappati
a rispettare quelli che hanno
altre religioni e opinioni,
a stare dalla parte degli ultimi
a preferire loro
all’oppressore che vive
nei fasti di palazzi
profani o sacri
viaggia con aerei privati
viene ricevuto
con gli onori militari
e osannato dalle folle…

SE EGLI CONSIDERA
la terra e i beni
non come privilegio di alcuni
ma come proprietà di tutti…

SE AMA
ricchi e oppressori
strappando loro le ingiustizie
che li divorano come cancro togliendo il superfluo rubato
e rovesciando i potenti
dai loro troni sacri o profani…

SE NON GLI PIACCIONO
le armi
le guerre
e le gerarchie…

SE NON FA GRAVARE
come i farisei
pesi sugli altri
che lui stesso
non può portare…

SE NON PROIBISCE
il preservativo
che ostacola
la diffusione dell’Aids..

SE HA RISPETTO
per chi vive
delle gravidanze
non desiderate…

SE NON IMPONE
alle donne
le sue convinzioni sull’aborto
ma sta loro vicino
con amore e solidarietà…

SE NON È MASCHILISTA
e non discrimina le donne…

SE NON TOGLIE
alle persone non sposate
il diritto di amare…

SE NON
consacra
la loro subordinazione…

SE NON
impone nulla
ma favorisce
la libertà di coscienza…

SE NON
pensa di essere
il solo vero Dio…

SE NON
è convinto di avere
la verità in tasca
e cerca con gli altri…

SE È
umile
tenero
dolce
a volte
smarrito e incerto…

SE
si arrabbia
quando è necessario
e butta fuori dal tempio commercianti
e sacri banchieri…

SE
ama madre terra
piante
animali
fiori e stelle…

SE È
povero tra i poveri…

SE
annuncia a tutti
il vangelo di liberazione
degli oppressi
e ci libera
da tutte le religioni
degli oppressori…

ALLORA
qualunque sia
il suo nome
il suo sesso
la sua etnia
il colore della pelle
nera
gialla
rossa
o pallida…

qualunque sia la sua religione
non m’importa…

EGLI SARÀ ANCHE IL MIO DIO
perché manifestandosi
negli ultimi
è Amore
con l’universo delle donne
e degli uomini
nello spazio
e nel tempo
e con la totalità
dell’essere
amore cosmico
che era
sta e viene
nell’amore
di tutte le donne
e di tutti gli uomini
nei loro sforzi
PER LA GIUSTIZIA
PER LA LIBERTÀ
PER LA FELICITÀ
PER LA PACE

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Altri contributi

Alcune perle di saggezza dedotte dalla sua lunga e impegnatissima vita spesa nelle strade del mondo, spesso quelle più malfamate,direttamente dalla cucina della Comunità di San Benedetto a Genova…

 

Una prova di quanto Andrea Gallo era però malvisto da parte dell’ “ortodossissimo” pretame ben rintanato in sagrestia e da vasta cattolicità? Segui questo spezzone di programma televisivo e leggi quanto scrive chi ha caricato il video su youtube…

…per contro, il ricordo che Moni Ovadia faceva del suo amico prete qualche tempo dopo il suo decesso….

…e per finire, almeno per quanto mi riguarda, un intervento di don Andrea alla festa del FQ due anni prima che morisse. Aveva allora 83 anni, ma una forza che noi ci sogniamo. Tra le altre cose, diceva che pregava di non farlo morire berlusconiano, si quel Paperone Condannato che ancora oggi, dopo esser stato rimesso in piedi senza dover aspettare l’ infinita lista d’ attesa di noi comuni mortali, si ripromette di “rinnovare” il suo partito ormai tramontato da quel dì, del quale i tanti opportunisti servetti hanno trovato comode poltrone in altri partiti. Più alla moda? Beh, diciamo che possano garantire…..Si, appunto.

Ah, l’ umana vanità!

 

Che fede è?

SE NON ELIMINA LA VIOLENZA, LE DIVISIONI, GLI SCONTRI, I CONFLITTI, IL DESIDERIO DI DOMINIO E DI PREPOTENZA….

C H E    F E D E    È ?

 

di José Maria Castillo

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Di solito, a partire dal racconto del libro degli Atti (At 1,1-11) la festa dell’Ascensione del Signore si spiega come esaltazione alle altezze della gloria, cosa che si realizza con l’espressione letteraria dell’elevazione ai cieli.

Secondo quest’interpretazione l’Ascensione è uno spostamento dal «terreno» al «celestiale», dall’ambito dell’ «umano» a quello del «divino».

E così si è soliti spiegarla frequentemente ai fedeli.E molta gente se l’immagina così, a partire da una rappresentazione tanto ingenua come falsa.

Il finale del vangelo di Matteo considera tutta questa questione in altro modo.Perché il tema sul quale centra la propria attenzione non è l’«esaltazione al divino», ma l’«universalizzazione del cristiano».

La questione posta dal Risorto di Matteo è che a lui è “ stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Questo brano è stato redatto dopo la distruzione di Gerusalemme e la conseguente dispersione del popolo ebraico nell’anno 70, quando la tensione tra cristiani e giudei andava aumentando e quando le comunità cristiane non erano altro che gruppi ristretti e con scarsa presenza nell’Impero.

Ebbene, in mezzo a tensioni e divisioni religiose così grandi ci sono motivi per chiedersi se questo finale corrisponda a quello che realmente ha voluto Gesù, o se piuttosto questo finale del vangelo di Matteo non sia la proiezione di un desiderio.

Il desiderio di trasformarsi nella religione universale, che si impone alle altre religioni e che, con il passare del tempo, è stata – con il papato – il prolungamento del preteso imperialismo universale di Roma.

Ebbene, in questioni di «religione» le pretese di universalità si trasformano inevitabilmente in violenza, divisioni, scontri, conflitti, desideri di dominio e di prepotenza. Un «dio» che aspira ad essere universale, per questo stesso motivo tende ad annullare gli altri «dèi», frutto di culture millenarie e costitutive dell’identità di milioni di esseri umani.

Non sarebbe più ragionevole intendere e vivere l’esperienza religiosa come l’ha intesa e vissuta il Gesù terreno?

Non sarebbe più logico vivere la fede in Gesù come fede nella bontà, nel rispetto, nella tolleranza, nell’aiuto di tutti per tutti, quali che siano le forme specifiche di convinzioni e di pratiche religiose che ogni popolo ed ogni cultura vive in particolare ?

Ecco una delle questioni più serie che ci pone la festa dell’Ascensione del Signore.

Mi fa male il mondo (1995)

di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

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Mi fa male il mondo mi fa male il mondo…e non riesco a trovar le parole per chiarire a me stesso e anche al mondo cos’è che fa male

Mi fa male, mi fa male essere lasciato da una donna… non sempre. Mi fa male l’amico, che mi spiega perché mi ha lasciato.

Mi fanno male quelli che si credono di essere il centro del mondo, e non sanno che il centro del mondo sono io.

Mi fa male quando mi guardo allo specchio.Mi fa male anche quando mi dicono che mia figlia mi assomiglia molto fisicamente. Mi fa male per lei.

Mi fanno male, quelli che sanno tutto… e prima o poi te lo dicono.

Mi fanno male gli uomini esageratamente educati, distaccati formali. Ma mi fanno più male quelli che per essere autentici ti ruttano in faccia.

Mi fa male essere così delicato, e non solo di salute. Mi fa male più che altro il fatto, che basta che mi faccia male un dente, che non mi fa più male il mondo.

Mi fanno male, quelli troppo ricchi, quelli troppo poveri.Mi fanno male anche quelli troppo così e così.

Mi fa male l’IVA, le trattenute il 740, i commercialisti… mamma mia come mi fanno male i commercialisti!

Mi fanno male le marche da bollo, gli sportelli, gli uffici, le code.

Mi fa male quando perdo la patente e gli amici mi dicono: “Condoglianze”.

E gli impiegati quando vai lì, non alzano neanche la testa. E poi quando la alzano s’incazzano, perché gli fai perdere tempo. Ti trattano male, giustamente, siamo noi che sbagliamo, l’ufficio é sempre un altro, e poi un altro ancora, e poi le segretarie, i capiuffici, i funzionari i direttori, i direttori generali…

Mi fa male la burocrazia, mi fa male l’apparato, la sua mentalità, la sua arroganza. Mi fa male lo Stato!

Come sono delicato!

Mi fa male il futuro dell’Italia, dell’Europa, del mondo. Mi fa male l’immanente destino del pianeta terra minacciato dal grande buco nell’ozono, dall’effetto serra e da tutte quelle tragedie planetarie, che al momento poi, a dir la verità, non mi fanno mica tanto male. Sarà perché mi fanno male le facce verdi, dei verdi.

Mi fanno male i fax, i telefonini, i computer e la realtà virtuale, anche se non so cos’é.

Mi fa male l’ignoranza, sia quella di andata che quella di ritorno.

Mi fa male la scuola privata, ma anche quella pubblica non scherza, nonostante che il Ministero della Pubblica Istruzione abbia 1.200.000 dipendenti. Numericamente nel mondo, l’ente é secondo soltanto all’esercito americano. Però!

Mi fa male la carta stampata, gli editori… tutti. Mi fanno male le edicole, i giornali, le riviste con i loro inserti: un regalino, un opuscolo, una cassetta, un gioco di società, un cappuccino e una brioche grazie.

Mi fanno male quelli che comprano tutti i giornali perché la realtà é pluralista. Nooo, non mi fa male la libertà di stampa. Mi fa male la stampa. Mi fa male che qualcuno creda ancora che i giornalisti, si occupino di informare la gente. I giornalisti, che vergogna! Cosa mettiamo oggi in prima pagina? Ma sì, un po’ di bambini stuprati. È un periodo che funzionano. Mi fanno male le loro facce presuntuose e spudorate, facce libere e indipendenti ma estremamente ma rispettose dei loro padroni, padroncini, facce da grandi missionari dell’informazione, che il giorno dopo guardano l’indice d’ascolto. Sì alla televisione, facce completamente a loro agio che si infilano le dita nelle orecchie e si grattano i coglioni. Sì, questi geniali opinionisti che gridano litigano, si insultano, sempre più trasgressivi. Questi coraggiosi leccaculo travestiti da ribelli. E’ questa libertà di informazione che mi fa vomitare.

Come sono delicato!

Mi fa male, quando mi suonano il campanello di casa e mi chiedono di firmare per la pace nel mondo per le foreste dell’Amazzonia per le balene del Pacifico. E poi mi chiedono un piccolo contributo, offerta libera, soldi, tanti soldi per le varie ricerche, per la vivisezione per il terremoto nelle Filippine, per le suore del Nicaragua, per la difesa del canguro australiano. Devo fare tutto io!

Mi fa male quando mi sento male.

Mi fa male che in un ospedale pubblico per fare una TAC ci vogliano in media sette mesi. Mi fa male che uno magari dopo sette mesi… te saluto.

Mi fa male la faccia assolutamente normale del professore che ti dice: ”Certo che privatamente, con un milione e due, si fa domani”.

Mi fa male, anzi mi fa schifo chi specula sulla vita della gente.

Mi fanno male quelli che dicono che gli uomini sono tutti uguali.

Mi fanno male anche quelli che dicono che, il pesce più grosso, mangia il pesce più piccolo. Mi farebbe bene metterli nella vaschetta delle balene.

Mi fa male la grande industria, la media mi fa malino, la piccola non mi fa praticamente niente.

Mi fanno male i grandi evasori, i medi mi fanno malino, i piccoli fanno quello che possono.

Mi fa male che a parità di industriali stramiliardari, un operaio tedesco guadagna 2.800.000 lire al mese, e uno italiano 1.400.000. Ma, l’altro 1.400.000 dov’è che va a finire? Allo Stato, che ne ha così bisogno.

Mi fa male che tra imposte dirette e indirette un italiano medio paghi, giustamente per carità, un carico di tributi tale, che se nel Medioevo, le guardie del re l’avessero chiesto ai contadini, sarebbero state accolte a secchiate di merda.

Mi fa male che l’Italia, cioè voi, cioè io, siamo riusciti ad avere, non si sa bene come, due milioni di miliardi di debito. Eh si sa, un vestitino oggi, un orologino domani, basta distrarsi un attimo… e si va sotto di due milioni di miliardi. Questo lo sappiamo tutti eh. Ce lo sentiamo ripetere continuamente. Sta cambiando la nostra vita per questo debito che abbiamo. Ma con chi ce l’abbiamo? A chi li dobbiamo questi soldi? Questo non si sa. Questo non ce lo vogliono dire. No, no perché se li dobbiamo a qualcuno che non conta… va bè, gli abbiamo tirato un pacco e finita lì. Ma se li dobbiamo a qualcuno che conta… due milioni di miliardi… prepariamoci a pagare in natura.

Mi fa male la violenza. Mi fa male la sopraffazione, la prepotenza, l’ingiustizia. A dir la verità mi fa male anche la giustizia. Un paese che ha una giustizia come la nostra, non sarà mai un paese civile. Io personalmente, piuttosto di avere a che fare con la giustizia preferisco essere truffato, imbrogliato, insultato, e al limite anche un po’ sodomizzato. Che magari mi piace anche.
Mi fanno male le facce dei, dei collaboratori di giustizia, dei pentiti… degli infami, insomma, che dopo aver ammazzato uomini donne e bambini, fanno l’atto di dolore… tre Pater, Ave e Gloria e chi s’é visto s’é visto.

Mi fa male che tutto sia mafia.
Mi fa male non capire, perché animali della stessa specie si ammazzino tra di loro.
Mi fa male che in Bosnia, non ci sia il petrolio. Mi fa male chi crede che le guerre si facciano per ragioni umanitarie. Mi fa male anche chi muore in Somalia, in Ruanda, in Palestina, in Cecenia.

Mi fa male chi muore.

Mi fa male chi dice, che gli fa male chi muore, e fa finta di niente sul traffico delle armi, che é uno dei pilastri su cui si basa il nostro amato benessere.

Mi fanno male le lobbies di potere, le logge massoniche, la P2. E la P1? No perché se c’é la P2, ci sarà anche la P1. Se no la P2 la chiamavano P1. No, quelli della P1 sono buoni, mansueti, come agnelli, in genere stanno a cuccia.

Mi fa male qualsiasi tipo di potere, quello conosciuto ma anche quello sconosciuto, sotterraneo, che poi é il vero potere.

Mi fanno male le oscillazioni e i rovesci dell’alta finanza. Più che male mi fanno paura, perché mi sento nel buio, non vedo le facce. Nessuno ne parla, nessuno sa niente. Sono gli intoccabili. Facce misteriose che tirano le fila di un meccanismo invisibile, talmente al di sopra di noi, da farci sentire legittimamente esclusi. E lì, in chissà quali magici e ovattati saloni, che a voce bassa e con modi raffinati, si decidono le sorti del nostro mondo. Dalle guerre di liberazione, ai grandi monopoli, dalle crisi economiche, alle cadute dei muri, ai massacri più efferati.

Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale. Mi fa male la democrazia, questa democrazia che é l’unica che io conosca.

Mi fa male la prima Repubblica, la seconda, la terza, la quarta.

Mi fanno male i partiti. Più che altro tutti. Mi fanno male i politici sempre più viscidi, sempre più brutti. Mi fanno male i loro modi accomodanti, imbecilli, ruffiani. E come sono vicini a noi elettori, come ci ringraziano, come ci amano. Ma sì, io vorrei anche dei bacini, dei morsi sul collo, certo, per capire bene che lo sto prendendo nel culo.

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Tutti, tutti l’abbiamo sempre preso nel culo… da quelli di prima, da quelli di ora, da tutti quelli che fanno il mestiere della politica, che ogni giorno sono lì a farsi vedere. Ma certo, hanno bisogno di noi, che li dobbiamo appoggiare, preferire, li dobbiamo votare, in questo ignobile carosello, in questo grande libero mercato delle facce.

Facce facce…

facce che lasciano intendere di sapere tutto e non dicono niente.

Facce che non sanno niente e dicono di tutto.

Facce suadenti e cordiali con il sorriso di plastica.

Facce esperte e competenti che crollano al primo congiuntivo

Facce compiaciute e vanitose che si auto incensano come vecchie baldracche.

Facce da galera che non sopportano la galera e si danno malati.

Facce che dietro le belle frasi hanno un passato vergognoso da nascondere.

Facce da bar che ti aggrediscono con un delirio di sputi e di idiozie.

Facce megalomani da ducetti dilettanti.

Facce ciniche da scuola di partito allenate ai sotterfugi e ai colpi bassi.

Facce che hanno sempre la risposta pronta e non trovi mai il tempo di mandarle a fare in culo.

Facce che straboccano solidarietà.

Facce da mafiosi che combattono la mafia.

Facce da servi intellettuali, da servi gallonati, facce da servi e basta.

Facce scolpite nella pietra, che con grande autorevolezza sparano cazzate.

Non c’é neanche una faccia, neanche una, che abbia dentro con il segno di un qualsiasi ideale; una faccia che ricordi, il coraggio il rigore, l’esilio, la galera. No. C’é solo l’egoismo incontrollato, la smania di affermarsi, il denaro, l’avidità più schifosa, dentro a queste facce impotenti e assetate di potere, facce che ogni giorno assaltano la mia faccia in balia di tutti questi nessuno.

E voi credete ancora che contino le idee. Ma quali idee?

La cosa che mi fa più male, é vedere le nostre facce, con dentro le ferite, di tutte le battaglie che non abbiamo fatto.

E mi fa ancora più male vedere le facce dei nostri figli, con la stanchezza anticipata di ciò che non troveranno.

Sì, abbiamo lasciato in eredità forse un normale benessere, ma non abbiamo potuto lasciare, quello che abbiamo dimenticato di combattere, e quello che abbiamo dimenticato di sognare.

Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri miseri egoismi, e cercare, un nuovo slancio collettivo, magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dai disagi quotidiani, dalle insofferenze comuni, dal nostro rifiuto. Perché un uomo solo, che grida il suo no, é un pazzo, milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo.

Mi fa male il mondo….mi fa bene comunque credere che la fiducia non sia mai scomparsa e che d’un tratto ci svegli un bel sogno
e rinasca il bisogno di una vita diversa

Mi fa male il mondo…mi fa bene comunque illudermi che la risposta sia un rifiuto vero
che lo sfogo dell’intolleranza
prenda consistenza e diventi un coro.

Mi fa male il mondo…ma la rabbia che portiamo addosso è la prova che non siamo annientati da un destino così disumano
che non possiamo lasciare ai figli e ai nipoti.

Mi fa male il mondo.. mi fa bene soltanto l’idea che si trovi una nuova utopia litigando col mondo.

“Basta un niente e può saltare tutto”

INTERVISTA AD ALEX ZANOTELLI

di Laura Tussi

(da ICAN, International Campaign to Abolish Nuclear Weapons)

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1.RAPPORTO CON DON MILANI E DON TONINO BELLO

LT
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Milani e i trenta anni della scomparsa di don Tonino Bello. Quanto sono stati importanti per te?

AZ
Non è facile rispondere a questa domanda. Entrambi mi hanno influenzato in profondità. Don Milani non l’ho mai conosciuto personalmente, ma da quando sono diventato direttore di Nigrizia i suoi scritti, la sua scelta degli ultimi, ma soprattutto le sue posizioni sulla guerra e sulle armi mi hanno plasmato. Ho sempre ammirato il suo coraggio nell’affrontare la tempesta mediatica che ha subito per le sue posizioni. È stato veramente un uomo coerente.

Tonino Bello, invece, è stata una persona con la quale chiaramente ho camminato. Sono stato per un po’ di tempo anche a Lecce e andavo spesso nella sua diocesi, ma non lo conoscevo: una volta mi ha invitato a fare un ritiro spirituale e ci siamo incontrati. Mi ha detto: “Alex non hai idea di quante note prendevo quando tu parlavi…”. Quando ho fatto la scelta chiara sul problema delle armi e sono entrato in polemica con i potenti di allora, lì è saltato fuori il suo l’appoggio: quando sono stato silurato mi ha di fatto sostituito portando avanti tutta quella battaglia. Appena è stato scelto come responsabile di Pax Christi Italia mi ha chiesto di andare a fare una conferenza a Brescia: era proprio il momento dei miei problemi per le questioni sulle armi e abbiamo tenuto una conferenza molto dura, attaccando e criticando pesantemente i costruttori di armi a Brescia. Immediatamente è scattata una inchiesta della procura di Brescia che per fortuna non è andata avanti perché dipendevo da Verona. Quindi è entrata la questura di Verona in tutto questo e, siccome mi conoscevano, mi è andata abbastanza bene. Sono state incredibili le investigazioni che hanno fatto: sono andati nel paese dove sono nato, indagando quali erano le mie influenze politiche e così via… Ovunque andavo a parlare ero seguito dalla Digos, che prendeva nota di tutto quello che dicevo. Anche lui ha pagato per avermi sostenuto e per aver preso su di sé quell’attacco sulla vendita di armi con tutto il problema del porto di Talomone e la triangolazione delle armi. Lui è andato avanti su quella strada e quando io ero a Korogocho, in Kenya, mi ha sempre seguito. Non dimenticherò mai la sua bellissima prefazione, dal titolo La Pasqua in agguato, al mio primo libro. E poi è stato lui quando ero a Korogocho a chiedermi di diventare direttore della rivista Mosaico di pace. Quando ho rifiutato, per ovvi motivi, mi disse che non poteva accettare il mio rifiuto. Mi ha detto: “La tua vita l’hai spesa contro le armi, per la pace voglio che sia tu il direttore di Mosaico di pace”. E così sono rimasto direttore della rivista. Ricordo che prima di partire per Korogocho, sono andato con l’editore a portargli il libro per cui aveva fatto la prefazione, tenendo presente che ero stato silurato dal Vaticano e lui come vescovo ha avuto molto coraggio ad accogliermi. Quando sono entrato in Episcopio era tutto aperto, c’erano Rom e migranti che giravano tranquillamente, avevano stanze e dormivano lì. Abbiamo fatto una importantissima conversazione e alla fine ci siamo salutati. Appena usciti sentiamo una persona correre dietro di noi: era Tonino Bello con una cassetta di bottiglie di vino buono della Puglia.

2. DIVULGARE PICCOLI LIBRI CHE INDICHINO AZIONI FATTIBILI

LT
Eirenfest è giunto alla sua seconda edizione con decine di protagonisti, scrittori, giornalisti, attivisti e una ampia vetrina di libri, saggi, romanzi. Hai qualche consiglio e incoraggiamento per gli organizzatori e i relatori di questo importante festival del libro della pace e della nonviolenza?

AZ
Ho partecipato alla prima edizione di Eirenefest e parteciperò ancora. Ringrazio prima di tutto coloro che lo organizzano e lo portano avanti. È fondamentale divulgare libri, testi, romanzi sui temi della pace e della nonviolenza. Ma è molto importante cominciare davvero a tradurre la nonviolenza in termini concreti. Ho in mente i libri straordinari come la trilogia di Gene Sharp Politica dell’Azione Nonviolenta: lui è uno scrittore statunitense, autore anche di ‘Come abbattere un regime’. Dovremmo avere piccoli libri divulgativi che aiutino le persone su azioni concrete di nonviolenza coerente: perché se il popolo comincia a muoversi e ragiona e inizia ad usare tecniche nonviolente, queste diventano estremamente efficaci per mettere in discussione sistemi come il nostro fondato sulla violenza e sulle armi. Poi un incoraggiamento ad andare avanti a tutti i gruppi che studiano la nonviolenza e la praticano concretamente.

3. PACIFISMO “ISTITUZIONALE”?

LT
Eirenefest percorre la via più lunga e difficile, quella del pacifismo finalistico, per convertire le coscienze. Un percorso di educazione alla pace. Pensi che invece sia più urgente un pacifismo istituzionale che tenti di indirizzare le politiche degli Stati verso la fraternità tra i popoli?

AZ
Al momento non vedo a livello istituzionale possibilità di cambiare. Bisogna renderci conto che gli Stati sono prigionieri del complesso militare e industriale. Lo vedo non solo negli Usa, dove quella delle armi è la maggior industria, ma dappertutto. Anche in Italia è la maggiore industria. I governi sono prigionieri delle armi e delle banche che chiaramente finanziano. È quasi inutile quel tentativo istituzionale. Mentre è necessario continuare con insistenza dal basso: in questo senso trovo assurdo, ad esempio, è che proprio nelle comunità cristiane che il pensiero della nonviolenza e del disarmo non passi. Eppure la nonviolenza attiva non viene da Gandhi né da Martin Luther King. Loro si sono sempre ispirati a Gesù di Nazareth… Allora siano le comunità cristiane le prime ad agire.

4. ANDARE OLTRE I PROCLAMI CON AZIONI CONCRETE E CORAGGIOSE

LT
Cosa pensi della campagna internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale?

AZ
Il problema del nucleare è enorme e non è così semplice risolverlo. C’è bisogno di molto coraggio da parte degli attivisti. Un grande resistente statunitense Daniel Berrigan, un gesuita, che ha sostenuto tutta la lotta contro la guerra in Vietnam ed è morto pochi anni fa, ha fatto 44 mesi di carcere per tutte le varie azioni di protesta… La polizia era terrorizzata dalle azioni sue e di suo fratello Philip. Daniel Berrigan diceva che fare la pace è altrettanto costoso di come fare la guerra. O ci metti la faccia e la pelle e hai il coraggio di sfidare anche andando in carcere oppure è inutile. Penso che abbiamo bisogno di questo tipo di azioni se vogliamo davvero sfondare il sistema. Altrimenti facciamo solo proclami. Penso che ci vogliono azioni nonviolente serie che sono pagate con la galera e in tribunale. È necessario questo tipo di resistenza per affossare il sistema.

5. TENDENZA AD ARMARSI SEMPRE PIÙ

LT
Davvero l’umanità intera si trova sul crinale del baratro nucleare?

AZ
Sì. Siamo davanti a una guerra in Ucraina che diventa sempre più pericolosa perché si scontrano superpotenze nucleari: La Russia, la Nato e gli Stati Uniti. Stiamo rischiando davvero molto. Certo, la Russia deve essere condannata in tutti i termini possibili perché ha invaso un paese sovrano come l’Ucraina conducendo una guerra veramente assurda e criminale. Ma questo non ci libera dai problemi. Noi occidentali siamo dentro altrettanto a questo meccanismo. Non prendiamoci in giro. Quando è caduto il muro di Berlino l’accordo tra Gorbaciov e Bush, era che la Nato non doveva prendere il posto occupato dall’ex patto di Varsavia. Invece abbiamo circondato la Russia. Putin è caduto nella trappola e ha fatto un errore enorme con questa invasione. Il problema è che l’Occidente ha continuato dal 2014 fino all’inizio della guerra a inviare armi. Americani e inglesi hanno preparato l’esercito e adesso Biden ci dice che la guerra deve continuare “per indebolire la Russia e per fronteggiare la Cina…”. Intanto il comandante delle truppe statunitensi ha fatto sapere che nelle Filippine verranno costruite cinque nuove basi. Gli Stati Uniti hanno anche già dato sottomarini nucleari all’Australia… Rischiamo la terza guerra mondiale e nucleare. Ecco perché è importante far capire alle persone la follia totale che stiamo vivendo e il pericolo enorme. Basta un niente e può saltare tutto.

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Tempi, i nostri, di un “cristianesimo” senza Vangelo

 

di Giuseppe Florio (viandanti.org)

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Possiamo iniziare a considerare questo problema ingombrante di un “cristianesimo tossico” con le parole profetiche di un cattolico illustre: Giuseppe Dossetti. Ecco quanto ha affermato a Pordenone già nel 1994:

“Non c’è un’età post-cristiana per chi ha fede. C’è un’età che ha un regime mutato, un regime globale – culturale, sociale, politico, giuridico, estetico – non ispirato al cristianesimo: cioè un’età non più di cristianità; questo sì, e di questo dobbiamo convenire. La cristianità è finita! E non dobbiamo pensare con nostalgia ad essa, e neppure dobbiamo ad ogni costo darci da fare per salvare qualche rottame della cristianità”.

Come spesso ricorda anche papa Francesco siamo in un cambiamento d’epoca e non possiamo evitare di chiederci con quale cristianesimo possiamo oggi continuare a credere. Ecco la grande sfida.

Allora, cosa sta accadendo in Italia, in Ungheria, in Russia, nel Brasile di Bolsonaro, nell’America di Trump? E la lista potrebbe allungarsi. Ecco solo alcuni esempi.

L’onorevole M.S., il 24 febbraio 2018, alla chiusura della campagna elettorale in piazza Duomo a Milano, si è presentato sul palco agitando un vangelo. Chi sa cosa c’è scritto in quel ‘libretto’ non farebbe mai una cosa simile. Una vera farsa, inaccettabile.

L’onorevole Lorenzo Fontana il 23 febbraio 2019 ha affermato: “Però bisognerebbe anche guardare un po’ il catechismo. C’è un passaggio da tener conto: ‘ama il prossimo tuo’, cioè quello in tua prossimità. Quindi, prima di tutto cerchiamo di far star bene le nostre comunità”.

Di quale catechismo stiamo parlando? Credo che se invece consultiamo i racconti dei Vangeli non saremo mai autorizzati a scrivere e urlare anche nelle piazze: prima gli italiani!

L’onorevole Lucio Malan il 27 novembre 2022, citando un versetto del Levitico (18,22), afferma: “l’omosessualità è un abominio”. Quindi… gli omosessuali sono abominevoli. Ma quel versetto del Levitico non è difficile porlo nel ‘contesto’ culturale di quando è stato scritto 2500 anni fa! Penso che i nostri onorevoli dovrebbero prima di tutto conoscere bene l’articolo 2 della nostra Costituzione!

Il presidente Putin, l’anno scorso, non ricordo la data precisa, è andato nel più grande stadio di Mosca e ha avuto la sfacciataggine di citare un versetto del vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). E queste parole le ha applicate ai soldati russi che combattono in Ucraina! È stata una ‘omelia’ incredibile.

Ho letto con attenzione alcuni discorsi del patriarca Kirill di Mosca sulla guerra in Ucraina. C’è di che restare senza parole.

Siamo tornati ai tempi dell’imperatore Teodosio, morto nel 395 d.C., quando prevaleva ‘l’ideologia’ del Christus Triumphans: il Cristo ha vinto sugli dei dell’impero romano.

Torniamo alla domanda cruciale: con quale cristianesimo possiamo oggi continuare a credere?

Non sono pochi i paesi nei quali un certo populismo di destra sfrutta l’elemento religioso come il vero cemento culturale, come base identitaria della comunità nazionale. Vediamo il ritorno di una visione della religione formalista e culturalista, come fenomeno identitario e magari escludente. Anche sul piano politico vince e si afferma un semplicismo preoccupante nella realtà molto complessa del nostro mondo globalizzato.

E che dire dello slogan: Dio, Patria, Famiglia? Da più parti è stato giustamente affermato che quello slogan è una bestemmia.

Se parliamo di “Dio” intendiamo il Dio che ci ha trasmesso Gesù di Nazareth nei Vangeli? Gesù ha affermato una distinzione radicale: “Date a Cesare quel che è di Cesare ma date a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12, 17).

E la “Patria” sarebbe quell’anima sacra di un paese dai confini inviolabili? Già nel Deuteronomio, scritto 2500 anni fa, si fa affermare a Mosé che Dio “ama il forestiero e gli dà pane e vestito” (Dt 10, 18).

E sulla “Famiglia” sarebbe più saggio tacere. Berlusconi, MS, Meloni, (che si professano cattolici!) non sono sposati, convivono. È questa la nuova famiglia di cui ha bisogno il nostro mondo segnato dalla cultura dell’incertezza?

Queste tre parole messe insieme generano solo confusione e anche turbamento e dobbiamo augurarci che non tornino più ad essere una proposta ideologica per governare un paese.

Allora, perché parliamo e puntiamo il dito verso questo cristianesimo tossico?

Perché è un cristianesimo senza Vangelo.

Come si manifesta del Regno di Dio?

Chi era Gesù di Nazareth?

Come ha reso presente Dio?

Non è stato un potente di questo mondo, non si è presentato come un maestro della Legge, non si è identificato con i giusti, non si è soffermato prima di tutto sull’universalismo della colpa e del peccato.

Ha con insistenza annunciato che il “Regno di Dio” era già presente. E come lo ha manifestato? Con la sua umanità. Ha ascoltato il grido dei poveri, dei malati, delle vittime.

Nella sua ‘compassione’ non ci ha indicato solo una scelta di vita ma ha reso presente Dio, l’inaccessibile. Ci ha mostrato chi è Dio. Per questo si è identificato con gli affamati, assetati, stranieri, malati, nudi, carcerati: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Ha aperto la via ad una fraternità veramente universale. Quindi, Dio ‘regna’, quando noi, i discepoli, cerchiamo di guarire creativamente questo mondo malato, quando viviamo e affermiamo il PRIMATO DELLA COMPASSIONE. Ecco il volto storico e sociale di un cristiano.

A partire dal Vangelo le ‘tossine’ di certi cristiani appaiono evidenti. Ed è evidente che coloro che non si sono sintonizzati con il Regno di Gesù sono sintonizzati con se stessi e magari con i loro progetti per il potere. Il discepolo o è in sintonia con il Cristo o strumentalizza la ‘religione’ che gli serve. Abbiamo alle spalle abbastanza storia per affermare che solo la compassione fa progredire l’umanità. Che senza l’etica dell’altruismo manca la base di una vera e propria civiltà.

Per quanto la cristianità sia finita siamo chiamati a credere nel Vangelo di Gesù. A identificarci con lui. È lui stesso “Vangelo”; per noi determinante. Ecco il fuoco che manterrà viva e forte la fede delle minoranze che segneranno il futuro del Cristianesimo. E queste minoranze sanno bene che Gesù non è stato il Re della Gloria, ma ha scelto di non scendere dalla croce per convincere chi lo insultava miseramente.

Gesù si è così identificato con il dolore di tutte le vittime innocenti, crudelmente sacrificate nel più drammatico anonimato. I cristiani, al seguito di Gesù, sono chiamati ad avere gli occhi ben aperti per guardare in faccia l’ingiustizia e l’assurdità della sofferenza innocente. Ecco il volto della loro ‘mistica’.

Sì, dobbiamo rifiutare decisamente certe ‘tossine’ presuntuose e narcisistiche e non preoccuparci di salvare i rottami della cristianità.

“Il cristiano di domani o sarà un ‘mistico’, uno che ha ‘sperimentato’ qualcosa, o non sarà”. (Karl Rahner)

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Per ascoltare e conoscere meglio Giuseppe Florio

https://www.ilconvento.it/il-convento/la-nostra-storia/