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Le alternative alle decisioni imposte dai governanti esistono

di Pier Giorgio Pinna

 

Quindi, vediamo. Due punti e a capo

 

– Riarmo senza freni.

– Fondi europei destinati alla ripresa post pandemia dirottati su tank, mortai, sistemi puntamento missili, software bellici.

– Export ancora più massicci di elicotteri e navi da guerra made in Italy.

– Possibile invio di caccia e truppe di terra in scenari di conflitto al di fuori dei confini.

– Finanziamento di nuove “missioni di pace”.

– War games incessanti nei poligoni e nel mare della Sardegna, tra incubi di catastrofi nucleari.

– Distorsioni e manipolazioni di notizie.

– Depistaggi e menzogne virali.

– Una propaganda tra i media nazionali prevalenti con elmetto e stellette degna di Mussolini e ministero della cultura popolare fascista.

– Attacchi indiscriminati verso chiunque contesti i manovratori dell’apocalisse.

– Messa all’angolo di giuristi, intellettuali, esponenti laici e cristiani della società civile e dei movimenti della Chiesa di base che rilevano le continue violazioni della Costituzione.

– Ridicolizzazioni degli appelli del Papa alla ragione.

– Ipotesi di un ripristino del servizio di leva (“Ma su basi volontarie”, per carità, altrimenti vuoi mettere che Fratelli d’Italia cala nei sondaggi).

Quanto durerà quest’AUTENTICO LAVAGGIO DI CERVELLI promosso dal governo Meloni sulla scia dell’Agenda Draghi?

La risposta è semplice: sinché la democrazia militare statunitense riterrà di avere ritrovato un suo posto di predominio nel quadro geopolitico mondiale o fino a quando i popoli sovrani d’Europa faranno sentire la loro voce dissonante contro l’escalation di morte.

Per bloccare i pifferai che ci portano verso il baratro basta fare smettere di suonare trombe e fanfare: pacificamente. Non è vero che tutto sia deciso e non si possa far nulla: le alternative esistono.

Riprendiamoci il diritto di decidere sulle nostre vite.

Ribelliamoci con la non violenza attiva.

Ridiamo spazio a sit-in, marce, fiaccolate e a ogni altra iniziativa che possa unire e non dividere. Impegniamoci tutti per rafforzare chi ancora crede nella risoluzione diplomatica dei conflitti e in un immediato cessate il fuoco.

Oggi c’è un’unica parola d’ordine da seguire, e non è quella dei bollettini militari:

FERMIAMO LA GUERRA !

 

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Ricordo di un carissimo Amico

di Piero Murineddu

In questi giorni di maggio avrebbe festeggiato il suo 90esimo compleanno il mio amico Salvatore Maninchedda.

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Colpito da una patologia ancor prima di compiere un anno, lo aveva reso invalido per il resto dei suoi giorni. All’ età di dodici anni e seppur non perfettamente, in modo inspiegabile aveva iniziato a camminare, ma dell’aiuto del bastone non aveva mai potuto fare a meno, e lo si vedeva durante le sue uscite quotidiane a cui assolutamente non rinunciava mai.

L’ aver frequentato l’ intero ciclo delle scuole elementari, dove i compagnetti a turno lo portavano tenendolo a cavallino sulle spalle, gli aveva permesso di socializzare e di appassionarsi alla lettura.

Mamma Marietta e babbo Giuseppino sono stati sempre estremamente premurosi nei suoi confronti, e non poteva essere diversamente. Così come lo è sempre stata la carissima sorella minore Maria, venuta a mancare quattro anni fa.

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Ricordo con quanta amorevolezza assisteva suo fratello e il loro babbo, entrambi allettati per diverso tempo nella casa di via Logudoro a Sorso, prima che la morte, nel 2014, li strappasse alle sue affettuose e attentissime cure e si tanti che conoscevano la grande bontà e semplicità d’ animo, sopratutto dell’indimenticabile Salvatore.

Di seguito, il video – ricordo che gli dedicai in occasione del suo decesso.

Investire per la Pace, unica cosa Sensata da fare

di Roberto Musacchio, ex parlamentare europeo

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Mai come oggi la lotta per la pace, contro tutti i dominanti e le loro guerre, va portata in Europa. Invece da Bruxelles arriva il via libera al riarmo con i soldi del Pnrr

Chissà cosa avrebbe detto Sandro Pertini, il presidente che invitava a svuotare gli arsenali e a riempire i granai, di fronte ad un’Unione Europea che invece gli arsenali di armi li va riempiendo.

La Commissione europea ha infatti proposto di poter comprare e fabbricare armi con i finanziamenti europei. E il Parlamento europeo, il 9 maggio, giorno della festa dell’Europa, ha addirittura votato quasi plebiscitariamente una richiesta d’urgenza in tal senso. Si compreranno armi con i fondi della pace (la pace è guerra, diceva il grande fratello di Orwell), dei vari Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza), addirittura con quelli destinati alla coesione sociale.

Bypassando il divieto del Trattato a finanziare attività belliche con l’imbroglio di considerare queste attività belliche come industriali. Il che aggrava la situazione: in questo modo si considera la produzione militare come privilegiata nelle scelte industriali europee. Si dirà che ci si sta difendendo da Putin. Francamente mi pare che questo argomento non regga.

Ormai, dopo un anno e più di guerra e centinaia di migliaia di morti, la guerra di aggressione di Putin appare come un nuovo Afghanistan, una guerra impantanata, come peraltro teorizzato da importanti esponenti politici occidentali.

Ma che “interesse” ha l’Europa a tenersi un Afghanistan, o una Siria, nel proprio cuore? Con in più lo spettro nucleare e il dover ribaltare decenni di economia globalizzata?

“Dillo a Putin” mi sento dire spesso. Avendo una certa età e avendo visto come l’Europa, e gli Usa, “tradirono” Gorbaciov che proponeva la casa comune europea e il disarmo, per vezzeggiare prima Eltsin e poi quel Putin che il movimento per la pace e altermondialista invece avversava, rispondo che non ho nulla a che spartire né con Eltisin né con Putin.Tanto meno avendo visto “difendere” con le bombe principi di autodeterminazione di varia natura nella ex Jugoslavia, poi dissolta, non riconosciuti a curdi e palestinesi ed opposti alla difesa della “integrità ucraina” di oggi.

Troppe guerre hanno visto dopo il 1989 partecipare, magari a pezzi, l’Europa. A volte “a rimorchio” degli Stati Uniti, come in Iraq e in Afghanistan (ora “tranquillamente” riconsegnata ai talebani), ma anche “in proprio”, come in Libia.
Per questo non mi convince neppure l’idea che l’Unione europea sia “trascinata” o “fatta a pezzi” dagli Usa e dalla guerra mondiale Nato-Russia, in prospettiva Cina.

Logica vorrebbe che se uno ha una guerra in casa cerchi di farla finire prima possibile.Essendo poi ormai il mondo una casa globalizzata, perfino Cina e Brasile, pur così distanti dal conflitto, cercano di promuoverne lo spegnimento, essendo quelli che più puntano oggi sulla globalizzazione stessa. Lula peraltro lo fa con un protagonismo internazionale più marcato dei precedenti suoi mandati.

Perché la Unione europea invece non si muove?

Purtroppo un’antica propensione alle guerre le nazioni europee l’hanno sempre avuta. Qui si sono incubate due guerre mondiali. Come colonialismo, imperialismo, commerciali e militari caratterizzavano l’Europa quando ancora gli Usa erano lungi dal “nascere”. Fu la Seconda guerra mondiale e il riconoscimento del ruolo dei movimenti operai a fare promettere di costruire la pace e una democrazia sociale. Promessa ben presto rimangiata.

Ed anche la “questione russa” è “antica”. Solo il degrado propagandistico bellico può mettere insieme zar, Urss, stalinismo, fascismo, “putinismo” Cose diverse storicamente che si sono anche combattute tra loro.
Piuttosto andrebbe rivisitata la storia dell’Europa delle nazioni, delle tante guerre, del bonapartismo e poi della conferenza di Vienna e di Monaco dove l’ossessione anticomunista spiana la strada ad Hitler e Mussolini e a Franco nelle cui mani viene abbandonata la Spagna.

Il “revisionismo storico” è un’attività permanente di questi decenni di costruzione di una Unione europea che assomiglia sempre più ad una nuova società delle nazioni, una forma “moderna di ancien régime”.

La mozione delle destre italiane approvata in Parlamento per il 25 aprile non a caso richiamava direttamente quella con cui il Parlamento europeo ha travisato la storia della seconda guerra mondiale. Le destre che si richiamano al passato per antifascismo costituente stanno diventando molto forti e trainanti in Europa. Governano in Italia, Polonia, Finlandia. La Spagna, dove si vota tra poco, è a rischio.

I sondaggi dicono che Popolari (sempre più a destra) e destre potrebbero avere la maggioranza del Parlamento europeo nel 2024.Polonia e Germania spendono cifre enormi per enormi riarmi. E il riarmo diviene un’opzione “industriale” europea.

Intanto si riparte col patto di stabilità e misure draconiane per chi ha bilanci in rosso. Avviso molto chiaro non solo all’Italia, ma alla Francia o, meglio, a chi, la maggioranza delle persone, lotta per le pensioni: non avranno nessuno ascolto.Le armi costano, arricchiscono i mercanti, le pagheranno le persone normali.

Così come succede per l’energia, la crisi sanitaria, climatica, economica.Come accadeva negli ancien régime dove i dominanti, tutti, vivevano “a corte”, e i dominati, tutti, morivano e pagavano per le “loro” guerre.Mai come oggi la lotta per la pace, contro tutti i dominanti e le loro guerre, va portata in Europa.

Altri tempi mica tanto…

“O ba’, no mi piazi anda’ a ischora”

di Piero Murineddu

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Ba’, no mi biazi andà a ischòra…

Me figliò – rispondeva il babbo – ànda achì si no candu sei mannu ti n’abarai a pirintì…

O ba’, no mi biazi propiu – insisteva il figlio – daboi la masthra dazi più attinzioni a li      figliori di li famigli ricchi e candu è nivòsa si la piglia sempri cun meggu….

Aggi pazienza me figliò – di rimando l’ adulto evidentemente saggio – isthrigni li denti e  truba adananzi. O voi dibintà cument’e      babbu toiu, sempri triburendi da lu          manzanu chizzu finz’a sera daboi                    incrinaddu? E pagosa daboi? Pa dui citi…….    Isthudieggia e fatti una pusizioni…..

 

Ma nonostante l’impegno del genitore per incoraggiare il figlio a non mollare, alla fine il ragazzetto o ragazzotto abbandonava la scuola, anche perchè desiderava avere in tasca qualche soldo, come i suoi amici coetanei lavoratori.

Trovare un lavoro come maniari frabigamuru (manovale muratore) o come ragazzo tuttofare nelle botteghe artigiane non era cosa difficile, considerando che allora la Legge aveva tutt’altro a cui pensare che occuparsi dei minori e dei loro diritti. In casa entrava così uno stipendietto in più, e il ragazzo poteva disporre del suo gruzzoletto col quale potersi comprare le prime sigarette vendute sfuse ed iniziare a farsi le birrette al bar, che man mano diventava la sua..seconda casa.

Nel frattempo, i suoi coetanei di famiglie agiate continuavano gli studi, coi soldi assicurati in tasca e, spesso, col sicuro lavoro di prestigio una volta completata la scuola. Così era, almeno ancor prima che anche i figli delle famiglie meno abbienti ma con la passione della conoscenza e con particolari obiettivi da raggiungere, riuscissero a proseguire negli studi, magari non disdegnando qualche zurradda di maniari durante l’estate o aiutando il genitore nella costruzione della propria abitazione.

Ad ogni modo, una volta adulti, coloro che hanno iniziato a lavorare da ragazzini, seppur semianalfabeti e privati degli strumenti culturali idonei per affrontare la vita, riuscivano comunque a cavarsela in tutte quelle cose pratiche che richiedono l’uso delle mani – ben guidate dal cervello, ovvio – e questo, vedendo quanto costa l’intervento di un idraulico, di un muratore, o di un meccanico, è forse l’aspetto positivo della faccenda, considerando anche che, ai giorni d’oggi, se non ti funziona una lavatrice o un qualsiasi aggeggio casalingo, spesso sei costretto a buttarlo, non trovandosi più in giro laboratori di riparazione.

Lo so, in queste poche righe ho considerato solo alcuni aspetti dell’abbandono scolastico, ma sono semplicemente ricordi venuti di botto a galla guardando questa foto di miei compaesani.

Le ragazze poi…

No, lasciamo quest’ altro ambito, almeno per ora. L’ affrontarlo, specialmente per quanto riguarda l’ Italia del sud e insulare, richiederebbe molto, molto, molto più tempo.

Naturalmente, eventuali considerazioni storico-sociali li lascio ad altri più competenti e acuti di me. Che poi, mica sono convinto che il Problema riguardi solo i tempi passati.

Contro tutti muri

gruppoabele.org

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Negli ultimi anni l’Europa è attraversata da venti di intolleranza e di chiusura contro le persone di origine straniera e in particolare contro coloro che arrivano alle nostre frontiere in cerca di protezione. I governi e i parlamenti, con scarsa lungimiranza, anziché dare risposte giuste ed efficaci attraverso regole che consentano alle persone di attraversare le frontiere in sicurezza e legalità, alimentano le paure, spesso attraverso campagne di vera e propria criminalizzazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

È così che nel 2016 l’UE ha scelto di siglare un accordo con Erdogan, per bloccare centinaia di migliaia di persone in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni, in prevalenza siriani, afghani e iracheni, impedendo loro di raggiungere i confini europei.

Allo stesso modo l’Italia, con il sostegno di tutta l’UE, per aggirare il divieto di respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra, ha concepito la SAR libica e la guardia costiera, bloccando decine di migliaia di persone nell’inferno dei centri di detenzione dove, come più volte denunciato dal Procuratore della Corte Internazionale dell’Aja, si commettono crimini contro l’umanità. Torture, stupri, violenza diffusa, omicidi e riduzione in schiavitù perpetrate dalle stesse milizie che si contendono il territorio e gestiscono la cosiddetta guardia costiera, con l’assordante silenzio dei governi UE che, di fatto, avallano una forma di respingimento delegata.

Intanto ad est dell’UE, sulla rotta balcanica e non solo, i governi, con il consenso di quasi tutte le forze politiche e dei parlamenti, hanno avviato la costruzione di muri, ricorrendo a forme sempre più sofisticate di controllo delle frontiere per impedire alle persone in fuga di mettersi in salvo.

In linea con questa tendenza e, anzi, anticipandola in qualche modo, l’UE ha organizzato un vero e proprio esercito che risponde all’Agenzia Frontex, per controllare le frontiere esterne. Laddove non vi sono muri, è sistematica la pratica dei respingimenti illegali alle frontiere esterne di coloro che cercano di chiedere protezione a uno stato dell’Unione.

Tale impedimento è attuato anche attraverso l’uso delle cosiddette “riammissioni informali” alle frontiere interne, in un meccanismo a catena che ha il medesimo obiettivo: allontanare il cittadino straniero dal territorio UE e impedirgli di accedere alla domanda di asilo. L’Italia, proprio sul confine italo-sloveno, si è resa responsabile nel 2022 di gravissime violazioni in tal senso.

L’idea che emerge con chiarezza, anche dall’argomento principale usato dai leader di molti dei Paesi UE, è che siamo sotto attacco e che il nostro nemico è rappresentato da decine di migliaia di profughi in fuga dalle guerre, da famiglie, in prevalenza da minori. Un nemico che vuole, pacificamente e
senza nascondersi, costruire il proprio futuro in sicurezza lontano da guerre e violenze.

Noi pensiamo, invece, che l’Italia e l’Europa dei popoli siano migliori di questa pericolosa caricatura che intende impedire a chi cerca protezione di trovare spazio per una vita dignitosa, negando la propria storia, la propria cultura e civiltà giuridica e costruendo muri.

Per questo il 13 maggio abbiamo aderito alla prima Marcia contro i muri e per l’accoglienza alla frontiera tra Slovenia e Italia, ultima tappa di quella rotta balcanica lungo la quale si infrangono le speranze di decine di migliaia di persone. La marcia è stata lanciata dall’Arci.

Vogliamo dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e alle paure e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione.

La marcia sarà di circa 5 km, con partenza alle 15 dal Castello di Socerb (Capodistria), e l’arrivo alla Piazza centrale di San Dorligo della Valle alle 16.30 circa.

“Mi ritrovo ancora sveglio in questa notte così lunga…”

di Piero Murineddu

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Ce lo possiamo dire che, immersi come siamo in convenzioni sociali non raramente mal sopportate, ansie varie, siano esse di prestazione (in qualunque ambito!) o per il dover rispondere spesso forzatamente alle altrui aspettative, riuscire ad essere se stessi è un’ impresa sempre più difficile? Beh, io l’ ho detto, poi ciascuno se la rigiri come vuole.

A suggerirmi questa breve considerazione è stato lo scorrere la pagina FB di Gianni Masia, mio concittadino sorsese appassionato di musica che in quel dì ha messo su famiglia nella lombarda Bergamo e a cui otto anni fa dedicai questa pagina dove egli stesso si racconta.

Di tanto in tanto, oltre che prendere la chitarra in mano per interpretare a modo suo le canzoni di Bob Dylan e compagnia, Gianni, giusto per rispondere a quel bisogno intimo di liberare le proprie emozioni che gli gridano dentro che dicevo prima e senza preoccuparsi di farsi appiccicare addosso l’etichetta di cantautore o meno, crea brani musicali, e i risultati sono più che dignitosi.

In questo periodo ha messo in Rete un video sulla GUERRA, oggi più che mai di tragica attualità a motivo di quanto da oltre un anno sta avvenendo alle porte dell’ Europa. Si, sono decine i Paesi che nel mondo sono costretti a convivere ininterrottamente da decenni con morte e distruzione causate dalla crudele e autodistruttiva imbecillità umana, ma la nostra INDIFFERENZA, come sempre, prevale su tutto, almeno sin quando non si è toccati direttamente.

Il titolo del brano, che si annuncia essere il primo di un nuovo lavoro discografico, è CONFINI, e non poteva essere altrimenti considerando che sono proprio le alte barriere fisiche e ancor prima mentali che ci portano a considerare il contatto con l’altro non motivo di CRESCITA ma un possibile nemico da tenere a distanza e da combattere. No, non è più semplicemente questione di carattere individuale che porta ad essere cauti perché, appunto, non si sa mai che mi si vuol fregare. Ormai sta divenendo sempre più terribilmente un rinchiudersi collettivo, tutti affannati ad affilare spade e lance il più micidiali possibile.

Parole forti e accordi decisi, accompagnate da un susseguirsi di immagini di guerre passate e drammaticamente sempre più attuali.

GRAZIE a Gianni e agli amici che lo hanno sostenuto in questo nuovo lavoro musicale, con la speranza che contribuisca finalmente a disarmare i nostri cuori sempre più induriti e iniziare ad intravedere le prime Luci di un Nuovo Giorno di Convivenza Pacifica tra i popoli.

29 aprile 1945: Gravissimo errore, ammettiamolo

di Giampaolo Cassitta

(da sardegnablogger.it)

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Sono stato a Piazza Loreto alla fine degli anni Novanta. Fino a quel momento nella mia vita era solo un nome storico ed evocativo legato all’esposizione dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci.

“A testa in giù” si raccontò. Ed è un racconto storico, certificato, reale.
“Finirete a testa in giù” fu quasi uno slogan in certi ambienti della sinistra e dell’estrema sinistra negli anni bui del terrorismo.

Quei corpi, esposti pubblicamente il 29 aprile del 1945, comunque la pensiate, furono uno scempio, un errore politico, una cattiveria vana o, come la definì Ferruccio Parri, capo del CLN “uno spettacolo da macelleria messicana” mentre Sandro Pertini aggiunse: “A Piazzale Loreto l’insurrezione si è disonorata”.

Ci ho pensato molto in questi ultimi tempi a quell’atto estremo definibile populista, giustizialista, osceno e di pessimo gusto. Quel mettere alla gogna un uomo, un dittatore, un imputato che comunque aveva il sacrosanto diritto ad un giusto processo è stato un errore giuridico enorme.

L’esecuzione di Mussolini passa in secondo piano davanti alla rappresentazione della sua morte, a quel volerlo esporre “a testa in giù”, così come un pollice verso dell’imperatore nell’arena del Colosseo per decretare la vita o la morte del povero gladiatore di turno.

Non occorre essere troppo garantisti o troppo dialoganti e non occorre dire: “era un criminale, una persona esecrabile su tutti i punti di vista” perché non è questo il punto. Mettere a testa in giù il proprio avversario politico, il proprio nemico, il Caino di turno è sempre un errore, in qualsiasi momento storico.

Quell’esposizione di un corpo inerme è stato un gigantesco sbaglio e non un monito. Non possiamo condannare i leoni di tastiera che vorrebbero uccidere almeno il cinquanta per cento dell’umanità e poi assolvere quell’atto di una donna e un uomo appesi a testa in giù. È stata una scelta degna dei peggiori fascisti, dei perfidi nazisti e delle loro terribili e vigliacche vendette. Quei corpi avevano il dovere – da vivi – di difendersi dalle giuste accuse.

Ho sempre provato molta vergogna nell’affrontare questo argomento. Lo dico dalla sponda di sinistra dove ho abitato e abito e dove ho dovuto dibattere anche animatamente contro chi, invece, ancora giustifica quell’atto e lo circoscrive ad un “contesto storico”.
Lo dico da uomo di giustizia e lo dico profondamente convinto che Benito Mussolini fosse colpevole ma meritevole di un giusto processo, opportunità da lui mai attuata nei confronti dei presunti nemici, costretti a marcire in galera attraverso l’attuazione di una sporca giustizia sommaria.

Io volevo giudicare il fascista Mussolini e ne volevo la condanna. Non volevo essere come il fascista Mussolini. Piazzale Loreto è andato, purtroppo, nella direzione sbagliata. Ammettiamolo.

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QUEL GIORNO IN PIAZZALE LORETO

( da un articolo di Dino Messina su “Il Corriere della Sera”)

Ecco come andarono davvero i fatti quel giorno in piazzale Loreto.

Il ragioniere Walter Audisio, comunista, impiegato alla Borsalino, nome di battaglia «colonnello Valerio» nella notte in gran segreto aveva fatto scaricare i corpi dei gerarchi fucilati a Giulino di Mezzegra in un angolo del piazzale dove il 10 agosto dell’anno precedente erano stati giustiziati e esposti al pubblico 15 partigiani come rappresaglia per un attentato contro un camion nazista.

Oltre ai corpi del Duce e della sua amante Claretta Petacci, fucilati personalmente dal «colonnello Valerio», c’erano quello di Marcello Petacci, fratello della donna di Mussolini e definito «ruffiano» dai partigiani, e quelli di quindici gerarchi fascisti, che stavano con il Duce a vario titolo, chi con l’illusione di salvarsi nella folle fuga verso la Svizzera, chi con la consapevolezza di una testimonianza di fedeltà estrema.

Tra questi il vecchio Nicola Bombacci, ex comunista che era salito sulla macchina di Mussolini quando questi aveva lasciato la prefettura di Milano il pomeriggio del 25 aprile, dopo il drammatico colloquio con il cardinale Ildefonso Schuster, e il professor Goffredo Coppola, grecista di valore, rettore dell’università di Bologna.

Tra gli altri vale la pena di ricordare il segretario del Pnf Alessandro Pavolini, e i ministri della Rsi Augusto Liverani , Ruggero Romano, Ferdinando Mezzasoma, Paolo Zerbino.

L’esposizione dei corpi in piazzale Loreto aveva dunque un valore altamente simbolico e non avvenne per caso, come dichiarò il colonnello Valerio quando, richiamato dal prefetto partigiano Riccardo Lombardi, anche per le proteste del rappresentante americano Charles Poletti e del cardinale Schuster, spiegò che era stato costretto a scaricare i cadaveri dalle tute verdi della Pirelli che non l’avevano lasciato passare.

La voce che i corpi di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi erano esposti a piazzale Loreto si diffuse presto. Sui cadaveri cominciò lo scempio della folla assetata di vendetta: calci, sputi, anche colpi di pistola. Una megera arrivò a urinare sul volto del Duce.

A quel punto venne deciso di issare i poveri resti sulla tettoia di un distributore di benzina e i corpi vennero appesi a testa in giù. Ci volle la mano pietosa di un prete vicino ai partigiani, don Pollarolo, per chiudere con una spilla la gonna di Claretta e far cessare le urla di scherno.

Nel pomeriggio la folla che andava sempre più gonfiandosi poté assistere a un fuori programma: alla fucilazione di uno degli uomini che più avevano rappresentato il regime e che nel finale era odiato non solo dagli italiani, ma dallo stesso Mussolini: Achille Starace, vestito con la tuta con cui era andato a correre, venne riconosciuto dai partigiani, e fucilato su due piedi vicino al «suo» Duce mentre faceva il saluto romano.

Finalmente arrivarono due autocarri e i cadaveri, staccati dal distributore, furono portati all’obitorio.

Antifascismo2023

di Lorenzo Guadagnucci

( volerelaluna.it)

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Nei giorni scorsi – era il 25 aprile, Festa della Liberazione – a metà mattinata, nel pieno delle cerimonie, con canti, bandiere rosse e una certa commozione intorno, è arrivato sul cellulare il messaggio di amici in vacanza per qualche giorno in Croazia:

«Stamani al bar» – scrivevano – «mentre facevamo colazione, abbiamo assistito all’arresto di un gruppo di migranti, davanti a noi in un grande prato; qualcuno ha provato a fuggire, ma i poliziotti li hanno inseguiti e presi. Tutti ragazzi giovani, rassegnati e con gli occhi spenti. Non riusciamo a toglierceli dalla mente. Ci è venuto da piangere, è stato bruttissimo».

Davvero un bruttissimo modo, per questi amici, di celebrare il 78° anniversario della liberazione del nostro paese dal nazifascismo, ma un modo autentico e rivelatore.

Autentico perché il presente della nostra Europa, lungo tutti i suoi confini, è quello descritto in presa diretta dal bar di un ameno alberghetto croato: pattugliamenti di polizia in prossimità delle blindatissime frontiere, inseguimenti, arresti, violenze, respingimenti. È in atto uno scontro fra il “sogno europeo” di chi viene da fuori e gioca la scommessa della vita, rischiando tutto, per accedere al benessere, alle garanzie, alla promessa di civiltà delle democrazie del Vecchio Continente e la realtà di un’Europa che il suo “sogno” lo ha chiuso in un cassetto, sbarrando le frontiere, e lo riserva semmai, in dosi minori di un tempo e secondo una logica di neo apartheid, solo a chi abbia la fortuna di essere già al di qua di fili spinati, muri, fossati, fortificazioni, tecno-sorveglianza e a chi, fra gli “stranieri”, sia ammesso a varcare il confine e venga quindi “promosso” al rango di cittadino europeo, o meglio di quasi cittadino, perché lo stigma della diversità e dell’inferiore rango originario resta fatalmente impresso sui corpi e nelle identità dei “salvati”.

È poi rivelatore, quel modo di “celebrare” involontariamente il 25 aprile in Croazia, perché mette a nudo una contraddizione profonda e dolorosa sul senso attuale dell’antifascismo, così discusso nella lunghissima vigilia di quest’anno per via della presenza al governo della destra estrema.

È stato un 25 aprile molto speciale: preparato, raccontato, analizzato come non avveniva da tempo, e nel nostro campo, il campo antifascista lo abbiamo vissuto con orgoglio e un certo senso di gratificazione. In fondo, le sparate del presidente del Senato, gli imbarazzi della presidente del Consiglio, le rabbiose esternazioni di tanti esponenti politici e commentatori vicini alle destre di governo, ci hanno fortificati, ci hanno permesso di confermare a noi stessi la convinzione d’essere dalla parte giusta della storia e anche della memoria. E però quell’episodio in Croazia è molto più di un tarlo che scava piano piano un legno stagionato e robusto, è molto più di un dubbio sull’arretramento della “democrazia reale” rispetto a quella descritta nella nostra Costituzione “nata dall’antifascismo” e nei trattati istitutivi dell’Unione europea. Quell’episodio, per ciò che rivela, è il classico elefante nella stanza, così grande e così ingombrante che per non vederlo occorre almeno dargli le spalle, fingere che non esista. Perché se lo sguardo si fissa sopra di lui, l’elefante appare per quel che è: una presenza così imponente da oscurare la vista e mutare radicalmente la scena.

Insomma, mentre celebriamo l’antifascismo, la sua storia gloriosa nel Ventennio e poi nella Resistenza, e il suo enorme esito politico – la Costituzione, la nascita della democrazia, la Dichiarazione dei diritti umani, la prospettiva del federalismo europeo – attorno a noi, nei nostri paesi, per effetto di decisioni prese in modo democratico, si perseguita, si arresta, si respinge, si rifiuta, si tortura, si lascia morire chi vorrebbe partecipare alla nostra storia, chi vorrebbe condividere le conquiste delle democrazie antifasciste.

Li chiamiamo migranti, ma come scrive Maurizio Pagliassotti in un esemplare e urticante libro reportage – La guerra invisibile (Einaudi, 2023) – li trattiamo da nemici. Siamo in guerra con loro. Schieriamo ai confini eserciti, polizie, milizie speciali, come se dovessimo affrontare un’invasione militare. E così, da un certo punto in poi, dopo averne raccontato le storie tutte diverse ma in fondo tutte uguali, percorrendo all’incontrario le rotte migratorie, dal confine italo-francese fino alla Turchia, Pagliassotti anziché migranti li chiama nemici. Ed è così, per onestà, che tutti noi dovremmo rappresentarli a noi stessi, perché è in nostro nome, con la nostra complicità e corresponsabilità di cittadini che si combatte questa sporca e invisibile guerra di confine.

In questo quadro, siamo obbligati a chiederci con grande onestà che cos’è davvero l’antifascismo nel 2023. Che peso dare al contrasto fra il sentimento di gratificazione che proviamo nel confutare il revisionismo storico della destra estrema di governo e il senso di dolore, di sconcerto, di spiazzamento suscitato dalla vista della caccia alle persone e il “lasciar morire” nei boschi bosniaci e bielorussi, sui fili spinati di Melilla, nel mare Mediterraneo?

Da un lato celebriamo i valori della civiltà nata dall’antifascismo – la democrazia, lo stato di diritto, la dignità di tutte le vite, la priorità dei diritti umani – dall’altro pratichiamo la negazione di quegli stessi diritti per chi non appartenga alla ristretta cerchia delle persone dotate di un passaporto dell’Unione; da una parte la nostra Festa della Liberazione, dall’altra l’inferno per i “nemici”. Come dire: il meglio della nostra storia politica, ma anche il suo tradimento; un tradimento che trascuriamo, ignoriamo, minimizziamo, perdendo così di vista la dura e insopportabile realtà del tempo presente.

Quale sia il rischio allora è palese: fare dell’antifascismo una retorica consolatoria, un facile punto d’appoggio per una (debole) identità politica, e rinunciare alla forza trasformativa di una tradizione politica, sociale e culturale che non ha eguali nella storia del popolo italiano.

Ha detto di recente Pia Klemp, comandante della “Louise Michel”, una della navi di soccorso profughi nel Mediterraneo penalizzate e perseguitate ormai da anni e per mano di governi di ogni colore politico: «Non considero il salvataggio in mare come un’azione umanitaria, ma come parte di una lotta antifascista». Per esempio.

Migranti.Punire chi vuole salvare vite umane e gli stessi salvati

Diritto marittimo internazionale:

“GARANTIRE CHE LO SBARCO AVVENGA IL PIÙ RAPIDAMENTE POSSIBILE”

da RavennaToday del 22/4/ 2023

Nuovo soccorso di migranti nel Mediterraneo e nuova battaglia legale delle ong contro l’Italia. Le organizzazioni Sos Humanity, Mission Lifeline e Sea-Eye hanno avviato un’azione legale al Tribunale civile di Roma “contro la sistematica assegnazione di porti lontani da parte delle autorità italiane”.

Giovedì 69 migranti sono stati tratti in salvo da una nave della ong Sos Humanity mentre viaggiavano con onde alte oltre due metri su un gommone al largo della costa libica. Alla nave è stato assegnato il porto di Ravenna “a oltre 1.600 chilometri di distanza dall’area del salvataggio – dicono da Sos Humanity -. Questo crea un rischio inutile per i sopravvissuti e tiene le navi lontane dall’area di ricerca e soccorso per molti giorni. Le persone a bordo sono stremate, hanno freddo e mal di mare a causa delle cattive condizioni meteo che non dovrebbero migliorare nei prossimi giorni”, tanto che l’arrivo previsto della nave è stato spostato a mercoledì. Dall’aggiornamento fornito sabato mattina dalla Prefettura, infatti, la nave Humanity 1 si trovava a circa 35 miglia nautiche (65 km) a sud est di Capo Spartivento in Calabria, mantenendo la rotta per nord-est e una velocità di circa 8 nodi. L’arrivo a Porto Corsini è stimato per martedì alle 14.

Sos Humanity sottolinea che “dal dicembre 2022 l’assegnazione sistematica di porti remoti da parte delle autorità italiane non è in linea con il diritto marittimo internazionale. Ciò stabilisce che dovrebbe essere assegnato un luogo sicuro ‘con una deviazione minima dalla rotta della nave’ e che i centri di coordinamento dei soccorsi responsabili ‘garantiscano che lo sbarco avvenga il più rapidamente possibile’. I porti lontani sono stati appaltati a organizzazioni non governative di ricerca e soccorso”. Per le ong la “politica dei porti lontani” delle autorità italiane “mette chiaramente in pericolo il benessere dei sopravvissuti in difficoltà e mira a limitare illegalmente le attività delle organizzazioni civili di soccorso in mare”.

Il capitano della nave ha anche chiesto al centro di coordinamento dei soccorsi italiano responsabile di riconsiderare la decisione e “di assegnare invece Humanity 1 a un luogo sicuro nelle vicinanze, in modo che i 69 sopravvissuti possano sbarcare immediatamente”.

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Conclusione?

1600 KM DI PENALITÀ, COSÌ IMPARI A FISSARTI NEL VOLER SALVARE LE PERSONE

Giuliano Leonardi, tesoro culturale e artistico d’ inestimabile valore da custodire e divulgarne la conoscenza

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di Piero Murineddu

Giuliano Leonardi, nato a Sorso e qui morto nel l’89 sulla soglia dei 90 anni, ha vissuto la maggior parte della sua vita a Roma, in un atelier dove trascorreva le sue giornate creando opere a getto continuo e conducendo una vita all’insegna dell’essenzialità. E difatti chiedeva di essere ripagato giusto il tanto che gli permettesse di vivere una vita dignitosa. Quello che a lui premeva maggiormente era riuscire ad esprimere e comunicare il suo sentire interiore.

Seppur con un carattere tendenzialmente solitario, la sua casa romana che fungeva anche da laboratorio era frequentata da molti personaggi illustri. Ha tenuto sempre un rapporto d’amicizia con don Michele, parroco della vicina Basilica di Sant’Eugenio, dove sono custodite tante sue opere. Per 30 anni ha portato avanti una relazione con una donna che non ha mai voluto sposare, probabilmente temendo che l’impegno di una famiglia l’avrebbe distratto da quello che sentiva come vocazione principale, fare cioè l’artista.

Di seguito, l’omaggio audiovisivo dedicato diversi anni fa all’ artista

Giuliano era un uomo con una solida fede religiosa, e nel contempo aveva una particolare sensibilità. La parola non mantenuta di realizzare uno dei portoni della Basilica romana di San Pietro datagli da quello che sarebbe diventato Paolo VI, aveva fatto vacillare questa sua fede, portandolo a rinchiudersi ancora di più in se stesso e ad allentare la frequentazione alle pratiche religiose. Il suo interesse all’ ambito spirituale della vita è tuttavia  testimoniato dai numerosi scritti custoditi in casa della nipote Nuccia, con la quale ha trascorso gli ultimi anni della sua lunga vita.

Leonardi ha avuto anche un legame particolare con l’Arma dei Carabinieri, per la quale ha realizzato l’effige della patrona, La Virgo Fidelis, e il Monumento a Salvo D’Acquisto. Purtroppo tante sue opere sono andate disperse. Le case dei tre nipoti, Nuccia a Sorso, Dario a Porto Torres e Carina a Villanova Monteleone, quest’ultima deceduta, sono autentici musei dell’illustre zio.

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Come per altre eccelse figure a cui la cittadina sarda della Romangia ha dato i natali, non risulta purtroppo particolare impegno da parte delle varie amministrazioni pubbliche che negli anni si sono succedute affinché l’alto valore artistico e umano di Leonardi venga conosciuto e divulgato come merita. Cosa forse ancor più triste e sconsolante é la rassegnazione che pare essersi impadronita degli stessi suoi concittadini davanti a questo ingiustificabile disinteresse delle istituzioni. Ciò nonostante, la speranza che quanto prima le cose cambino è necessario tenerla viva.

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Leonardi molti suoi pensieri Leonardi li ha affidati alla scrittura, raccolti in parte in  questa pagina, mentre in quest’altra si trovano ulteriori notizie avute dalla nipote Nuccia durante una visita insieme al musicista di Sorso Fabio Melis.

Per finire, un ulteriore rimando alla pagina dedicata a Nuccia Leonardi, dove, oltre che parlare ancora del grande zio, l’ arzilla e cordiale oggi quasi novant’ enne signora, nel video ci parla questa volta in modo particolare dell’arte della panificazione casalinga.

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