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Non me ne vogliano i fiorai

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di Piero Murineddu

La notizia la leggo su “La Nuova” che ho davanti. Quindi, testuale dall’articolo:”:La restrizione è motivata dal caldo estivo, che provoca una rapida decomposizione dei fiori con odori maleodoranti (odori maleodoranti? E che modo di scrivere è codesto! Mah….) e la proliferazione di insetti”.

Immagino già la reazione “armata” dei fiorai, produttori o venditori che siano. Personalmente ho sempre pensato che il fiore, qualsiasi esso sia, debba nascere, vivere e morire attaccato sempre a mamma pianta (non me ne vogliano i fiorai). Guardo sempre con malcelato disappunto tutto quello sfoggio di fiori ai funerali e ai matrimoni. Ai funerali in modo particolare,sembra quasi che più fiori ci siano, “incoronati” o meno, e più il defunto sia stato voluto bene. Non me ne vogliano i fiorai, ma trovo molto discutibile questa diffusa convinzione. Più che per onorare i morti, mi sembra servano per sfoggiare la vanità dei vivi, con puntuali e attente (molto “attente”) osservazioni dei/delle presenti: “abbaidda ghi fiori beddhi chi r’ha fattu tal dei tali….).

Ma torniamo all’ordinanza imbufalente per i fiorai. Nei cimiteri vedo meglio piante vive in vaso, e possibilmente piante grasse, di quelle che non hanno bisogno di molte attenzioni. Belle, durature e specialmente …… baratte (non me ne vogliano i fiorai).Lo so, per le vedove specialmente è l’occasione per farsi una passeggiatella quotidiana, ma potrebbero ugualmente continuare a farla, risparmiando parecci dina’ da usare in altro modo. A me, quando posso, fa piacere passeggiarmela nei cimiteri, probabilmente per il silenzio e la tranquillità che vi trovo, ma (e non me ne vogliano i fiorai), non mi è mai saltato in mente di portare fiori, freschi e comprati,a chicchessia. Magari togliere quelli appassiti che vedo lungo il tragitto, questo si, anche se l’ospite della tomba mi è completamente sconosciuto.

Ad ogni modo (e non me ne vogliano i fiorai), a me piacciono le piante grasse, quelle che solitamente ne basta un pezzetto per riprodurre nuovi e gratuiti esemplari.

Riguardo ai mezzi publici Sorso- Sassari

TRENO E AUTOBUS A UN EURO E NOVANTA, MENTRE L’ABBONAMENTO MENSILE…….

di Piero Murineddu

Bus&Treno
Provo a riassumere. Per lavoro mi reco a Sassari e per risparmiare dina’ rinuncio all’auto e mi servo del pullman per andare e, quando ce la faccio, col treno per tornare.

Costo del biglietto in entrambi i mezzi è 1,90 euro, per cui il risparmio è relativo, e non esiste più il vantaggio del biglietto Andata e Ritorno.

Contatto l’ARST per chiedere il costo mensile per l’abbonamento del pullman. Sono 55 euro, mentre per il treno sarebbero 27. Non capisco questa esagerata differenza e telefono per chiedere chiarimenti all’assessorato regionale ai trasporti (070 6067337).

Il cortese ma evidentemente disorientato impiegato mi dice di spedirgli un’email, riassumendo la strana faccenda. Lui l’ avrebbe passata ad un suo superiore. Senza esitare, lo faccio subito dopo indirizzando a ggiovannini@regione.sardegna.it

Bus&Bus
Per non aspettare il sempre mezzo scassato pullman delle 14,10 per tornare a Sorso, un giorno prendo quello che porta a Sennori, il cui biglietto costa 1,30 euro. Non ho contato i chilometri, cosa che farò quanto prima, ma nell’incrocio dopo San Camillo il cartello stradale indica Sorso 4 km, Sennori idem, 4 km. Praticamente i chilometri percorsi, dalla stessa partenza di via Zirano, per arrivare ai due paesi, secondo il cartello stradale sarebbero uguali. E allora a cosa son dovuti quei 60 centesimi di differenza?

Qualcosa che non quadra c’è, e anche con molta evidenza. Intanto aspetto la risposta da Cagliari per l’abbonamento, col dubbio che mi sta’ assillando: mi conviene viaggiare in macchina e alla malora l’inquinamento e il risparmio energetico a favore della collettività?

Saluti

NB
Nella e-mail ho specificato che in mancanza di risposta, mi rivolgo al Ministero nazionale dei Trasporti e al TAR sardo.

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Musicisti crescono a Sorso: Gianni Carboni

di Piero Murineddu

Per me è sempre bello scoprire che nella mia cittadina qualcosa si muove, in questo caso in ambito musicale. Di Gianni non ne conoscevo l’esistenza, in tutti i sensi. Capita che tornando dal lavoro in treno in questi giorni che iniziano ad essere veramente caldi, nel tragitto che porta a casa mi debba ogni tanto fermare per riprendere fiato. E dove faccio sosta? Proprio di fronte a quella Frutta e Verdura dove solitamente sono esposti vari manifesti di feste paesane, nuove aperture e altro. L’ “altro” in questo caso è la copertina di un disco, accompagnata da un breve testo. “Vuoi vedere che questo musicista è proprio qui di Sorso?”,mi chiedo. Nel pomeriggio mando richiesta di notizie a vari musicisti locali di mia conoscenza. Seppur con qualche dubbio, uno di questi mi risponde che potrebbe essere figlio della coppia che gestisce proprio quella Frutta e Verdura della mia breve sosta.

Ecco motivata l’esposizione di tale manifesto in una vetrina che con le varie verdure e frutti non c’entra molto. Più tardi faccio la cosa che ormai ai nostri giorni sta’ divenendo la cosa più normale. Vado su internet alla ricerca di notizie, ed è qui che mi si apre la …… conoscenza. Scopro che addirittura Gianni Carboni ha un sito tutto suo, aggiornato e ben fatto    www.giannicarbonimusic.com  dove nella pagina “Dicono di me” trovo le due interviste che riporto.

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Tra Rock, passione e sacrifici

di Pablo Staccoli   (da mzknews.com”)

 

Gianni Carboni, ecco cosa produce veramente la terra sarda. Nascere in mezzo ai pomodori, angurie e vigneti non gli ha impedito di entrare in contatto con una delle più spettacolari e stupefacenti arti del mondo: la musica. Comincia a suonare a 11 anni, ma il punto di svolta arriva il giorno della cresima, quando la madrina gli regala una splendida Fender Stratocaster; e si sa, per un musicista la sua chitarra è un po’ come una compagna di vita, che lo conduce attraverso il suo viaggio musicale. Passando di band in band, arriva a Maggio dell’anno scorso, il 2016, quando pubblica il suo primo album da solista: In punta d’ardire.
Gianni, nella tua biografia affermi di essere un cittadino del mondo, spiegaci che significato ha per te questa affermazione.

Cittadino del mondo è un concetto strettamente legato all ambito musicale, infatti, come non mi piacciono nella vita normale, le etichettature, non mi piacciono neanche per quanto riguarda la musica.Penso che essa sia un linguaggio universale che non abbia bisogno necessariamente di una distinzione di genere, la musica è bella a prescindere dal genere, dallo stile e dal tipo di musica che un artista decide di fare.

Provieni dalla Sardegna, cosa vuol dire per un artista emergente, è una vantaggio o uno svantaggio.

Essere un artista in Sardegna vuol dire avere il cuore diviso in due, una parte che vorrebbe sconfinare e andare a cercare fortuna in altre città come Milano o Roma, e un altra che invece ti tiene legato al tuo territorio. Perché in Sardegna è più difficile che tu faccia l’incontro della tua vita, ma allo stesso tempo è comunque presente una buona realtà musicale, composta sia da musica folcloristica ma anche da musica pop, intesa come tutta quella musica un po più convenzionale. Per il momento io faccio parte di quegli artisti che rimangono in Sardegna e cercano di promuovere la nostra realtà.

In punta d’ardire è il brano che da il nome al tuo primo album da solista, ed è uscito a maggio 2016. Spigaci un po perché hai scelto proprio questo pezzo.

Personalmente penso che a livello musicale e strumentale ci siano altri pezzi all’interno dell’album che risultano più orecchiabili e quindi più adatti al lancio dell’album, ma ho voluto azzardare con In punta d’ardire perché lancia un massaggio più profondo, cioè quello di affrontare la vita con più coraggio e fregandosene delle aspettative degli altri.

In punta d’ardire è un album che ti sei completamente auto prodotto, quali sono state le difficoltà che hai affrontato nella sua realizzazione.

La prima grossa difficoltà è stata senza dubbio l’aspetto economico, perché comunque la realizzazione di un album implica una grossa spesa, soprattutto se affrontata singolarmente. Poi, il tempo; infatti per via del lavoro mi trovavo molto spesso a registrare di notte. Un’altra difficoltà si presentava quando magari andavi a proporti nei locali per suonare e nella maggior parte dei casi richiedevano di fare delle cover, e suonando sempre cover a volte era difficile per me trovare una mia identità.

 

Gianni non si ferma mai, infatti sta già lavorando ad un nuovo album che uscirà approssimativamente, verso la fine di quest’anno. Per ora ci ha anticipato solo l’intenzione di attenuare la sua chitarra prorompente miscelandola con un po di elettronica. In più tra qualche mese realizzerà un brano in coproduzione con un altro artista: Andrea Manca.

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Artista emergente ed in punta d’ardire

(Autopresentazione di Gianni,0da Rockit.it)
Gianni Carboni nasce e cresce a Sassari ma proviene da una famiglia di Sorso. Figlio di Gavino Carboni, piccolo commerciante di ortofrutta, e Margherita Delogu, inizialmente casalinga e successivamente negli anni unitasi all’attività del marito come consigliere di vendita.
La prima infanzia di Gianni ha poco a che spartire con la musica, legata più che altro alle attività dei genitori e della famiglia in genere (sono numerose fra zii e parenti le figure di agricoltore, lavoratore della campagna e figure affini).

Si avvicina alla musica all’età di 11 anni, grazie agli amici dell’epoca, scoprendo così i suoi fino ad allora ignorati talenti.
Inizia a suonare la chitarra anche se non ne possedeva ancora una.
Ancora sprovvisto di uno strumento musicale proprio, esordisce comunque live, in una rassegna di artisti emergenti in Piazza d’Italia a Sassari.

Vista l’insistenza, il padre viene convinto a regalargli la sua prima chitarra classica, una Asahi da cinquanta mila lire. Non un granché, insomma.
Infatti verrà utilizzata da Gianni solo come allenamento e studio, affidandosi ancora al prestito da parte di amici per le esibizioni live.

Riceve a 13 anni, come regalo di cresima, il suo primo importante strumento, che utilizza ancora oggi: una Fender Stratocaster.

Durante il corso della sua carriera esplora successivamente alla chitarra ed in ordine cronologico anche il canto, il basso (è attualmente allievo del maestro Alessandro Zolo) e la batteria.

A 14 anni decide di iniziare a studiare musica, prendendo lezioni private di chitarra da Luca Chessa, allora chitarrista degli Istentales, e di canto alla storica scuola di musica sassarese Birdland, sotto l’egida di Eva Carboni, insegnante certificata Vocal Power.
Durante la parentesi Birdland partecipa anche a due seminari di canto e tecnica Alexander, alla presenza di Elisabeth Howard, fondatrice del metodo di studio.

Si allontana dalla musica suonata durante il suo periodo universitario fuori Sassari.
E’ laureato in Scienze Economiche all’Università di Sassari e si è specializzato in Scienze Attuariali all’Univesità di Torino.
Dopo la laurea ha anche esperienze di lavoro fuori Sardegna (Roma e Pisa) che lo privano della possibilità di suonare live, cosa che riprende a fare non appena rientrerà a Sassari, sempre per motivi di lavoro.

Oltre che di musica, Gianni è un grande appassionato di sport, attività che lo accompagna praticamente da sempre. Principalmente basket, con esperienze anche di arbitro e di allenatore giovanile.
E’ un grandissimo tifoso della Dinamo Sassari, al quale ha dedicato anche una canzone (vedasi voci successive).
E’ sposato con Alida Addis.

LE PRIME ESPERIENZE DI BAND

La sua prima esperienza di band avviene con gli H2O, dalla quale viene ingaggiato come chitarrista ritmico.
Gli H2O si evolvono successivamente negli Suoni Scoperti.

In entrambi i casi viene realizzato nei live un repertorio di cover spaziante dalla musica italiana ai grandi classici internazionali.

A seguito dell’abbandono della band da parte di Giuliano, il quale intendeva percorrere una carriera da solista, Gianni fonda insieme ai componenti rimanenti, ai quali si aggiunge Antonello Baule al basso, la band Skylords, con la quale inizia la sua esperienza di cantante approcciandosi ad un repertorio più rock rispetto alle esperienze precedenti.

Con gli Skylords arrivano le prime importanti esperienze live, nelle rassegne di artisti emergenti di buona parte del Nord Sardegna. Gli Skylords vincono nel 2002 il primo premio del Festival di Ittiri, grazie al quale registrano la prima demo di cover.

Successivamente, per diverse visioni sul futuro e motivazioni, gli Skylords si sciolgono e Gianni inizia una prima parentesi come solista.La fine dell’esperienza con gli Skylords spinge Gianni a diventare autore dei propri brani.

Inizia a scrivere e partecipa con i propri brani a numerosi concorsi canori fino al 2010, fra i quali spiccano Isola Paradiso Festival (durante il quale ha l’opportunità di confrontarsi con alcuni importantissimi personaggi della musica italiana, fra cui Fio Zanotti, Luca Pitteri, Fabrizio Palma, Beppe Vessicchio e Angelo Valsiglio) e la semi-finale nazionale di Sanremo Rock.

I brani su cui puntava allora erano Credo in me e Per cambiare, primi lavori registrati professionalmente e autoprodotti dallo stesso Gianni. In quel periodo registra anche una cover di Nothing else matters dei Metallica.

AUTORE DEI PROPRI BRANI

PDemotivato da risultanti incoraggianti sì, ma al di sotto delle sue aspettative, oltre che da un’insufficiente consapevolezza dei propri mezzi, Gianni si concentra sugli studi universitari e sulle prime esperienze di lavoro fuori dalla Sardegna.

Al termine delle stesse, però, tornato nella sua isola madre, riaccende la fiamma con la musica fondando nel 2013, insieme a Salvatore Marongiu, i Nadim Duo, con i quali suona la chitarra e canta (il ruolo di prima voce è condiviso proprio con Salvatore che invece suona il cajon e le tastiere a seconda dei brani), con cui riesce a ritrovare la verve un po’ arrugginitasi oltre mare, ma soprattutto a suonare nella maggior parte delle più belle location di Sassari & dintorni.

Nelle esibizioni live spesso i Nadim venivano accompagnati dal chitarrista solista Andrea Manca, configurando ormai un trio di fatto, con la dicitura “Nadim Duo feat. Andrea Manca”.

Dopo un primo periodo di reciproca conoscenza in cui  suonavamo principalmente cover in chiave acustica, iniziano i primi lanci di inediti.
Vengono ripresi i primi due inediti di Gianni, che vengono riarrangiati e registrati in modo autonomo dai Nadim, ai quali vengono aggiunti nuovi inediti, scritti anch’essi da Gianni ad eccezione del singolo Niente di più facile.
Viene registrato un primo album demo, anch’esso autoprodotto, intitolato proprio Niente di più facile.

Il lavoro verrà successivamente ritirato dal commercio.

L’album viene accompagnato dal lancio del video de I sorrisi dell’anima che, insieme alle altre tracce, raggiungono oltre 25.000 visualizzazioni.

Successivamente viene lanciato un quinto inedito, Sempre più su, scritto anch’esso da Gianni Carboni e Katy Addis, brano dedicato alla storica annata del triplete della Dinamo Sassari, di cui Gianni è grande tifoso.
Grazie a questo inedito i Nadim Duo raggiungono popolarità all’interno della tifoseria della Dinamo, che in quel momento era visibile in tutto il territorio regionale e non solo, per via dei risulati straordinari della squadra.

Si è vociferato per alcune settimane che addirittura il brano potesse essere scelto come inno della squadra, cosa però poi smentita dagli stessi Nadim durante un’intervista rilasciata all’emittente regionale Videolina, oltre che dalla società.

Andando a scemare l’entusiasmo della tifoseria Dinamo, Gianni e Salvatore decidono di terminare l’avventura dei Nadim a causa di insanabili divergenze di visione sui progetti futuri e sulle loro modalità di realizzazione, per dedicarsi ad altri progetti personali.

LO STOP FUORI SARDEGNA E IL RITORNO CON I NADIM DUO

Dopo il termine dei Nadim Duo, Gianni fonda insieme ad Andrea Manca (già parte del progetto Nadim) e Marcello Pinna (ex componente di H2O, Suoni Scoperti e Skylords durante l’adolescenza di Gianni) i Bentway, con i quali, sulla scia degli apprezzamenti ricevuti dai Nadim, prosegue una proficua attività live in tutto il territorio regionale.

Nel contempo decide di lanciare il primo album da solista, interamente autoprodotto ma questa volta mixato e masterizzato professionalmente dal Blu Studio di Alberto Erre (già fonico dei più importanti artisti sardi fra cui Tazenda, Bertas, Piero Marras e tanti altri), intitolato “In punta d’ardire”, composto da 12 tracce inedite (compresi i precedenti inediti scritti da Gianni ma lanciati anche come Nadim Duo) di cui cinque in doppia versione, in lingua italiana e in lingua inglese (queste ultime inserite come bonus track).L’album è uscito su tutti gli store digitali e sul presente sito il 30 maggio 2016.

LA DOPPIA ATTIVITA’: CON I BENTWAY E COME SOLISTA

Le influenze di Gianni sono da ricercarsi nel rock-blues più classico ma anche nelle sue versioni “commerciali”.
Di grande ispirazione per lui Toto, U2, Eric Clapton, The Police, Pink Floyd e tanti altri ancora.

Predilige una timbrica calda e scura per la voce, mentre si caratterizza per un senso pienamente ritmico per le chitarre.
Amante dei suoni tipicamente Fender, i suoi brani rieccheggiano in modo evidente uno stile musicale associabile al rock americano, dove predominano più chitarre distorte caratterizzate da frequenze basse e armonicizzazione delle linee.

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In attesa di vederlo e sentirlo in carne, ossa e voce, su youtube si trovano vari video della musica che produce.

Un esempio
https://www.youtube.com/watch?v=njXyapHOgfk

Sappiamo ancora entrare in vero contatto con l’altro?

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Sappiamo ancora entrare in vero contatto con l’altro?

di Piero Murineddu

Spesso confondiamo il sentire con l’ascoltare, anzi nel discorso con altri ci concentriamo più spesso a dare le risposte senza che vengano formulate le domande, questo solo per far capire che stiamo seguendo e anticipando ciò che ci vogliono dire interrompendo colui che parla”

E’ solo un passaggio della toccante lettera pubblicata ieri, sabato 27, sul giornale locale. Una vera lezione sul dialogo, oltre condivisibile analisi sul male di vivere che, in  modo e in misura diversa, ci si porta dietro, spesso con scelte (scelte?) senza ritorno. Voglio tuttavia fermare l’attenzione sul modo che abbiamo di rapportarci con l’altro, diverso da noi per storia, carattere, sensibilità…….

Per quanto anzi  pensiamo e pretendiamo di conoscere dell’altro e nell’altro, rimane tuttavia un “mistero”, da rispettare e da non catalogare definitivamente coi nostri giudizi, o peggio, pregiudizi. Dubito che qualcuno sopporti di veder invaso il proprio invalicabile “spazio”, non tanto  di territorio (questo è un altro argomento) quanto di pensiero, e giustamente e a pieno diritto pretende che questo pensiero venga rispettato. “Nessuno è un’isola”, si diceva e penso si dica ancora, anche se le paure che caratterizzano questi tempi sono tante e la tentazione di rinchiudersi nel proprio fortino indubbiamente e comprensibilmente ci può essere, ma la necessità di creare dei ponti di comunicazione è una caratteristica dell’essere umano. Molti si accontentano di comunicazione  “mordi e fuggi”, altri cercano e sono disposti a costruire ponti più solidi che non sia il semplice e disimpegnato cameratismo di passaggio. Ci sono certo quei caratteri più portati all’introspezione che non all’espansività, all’estrosità spesso fracassona, e a mio giudizio, gli introspettivi, probabilmente anche timidi, si sentono più appagati nel percorrere pochi ponti, ma ben solidi, che tanti e, ripeto, fracassoni. Questo come premessa. Tornando alla frase della lettera che ho su riportato, la capacità di ascoltare non la si ha per natura, almeno secondo me. Capendone l’importanza, è necessario conoscerne le caratteristiche ed imparare a farle proprie. L’esempio fatto nella lettera calza a pennello. Il nostro interlocutore si apre volentieri se vede in noi persone capaci di ascoltare. Oppure, senza per forza doversi “aprire” su cose private e intime, cosa che non con tutti è possibile (e consigliabile), rispettare delle regolette di dialogo, dove si parla uno alla volta, senza anticipare e parlare sopra all’altro. In fondo, il modo in cui ci rapportiamo svela ciò che siamo, e da qui non si sfugge. Considerando l’importanza dell’argomento, sicuramente richiederebbe più tempo e maggior analisi. Per tornare alla lettera e alle particolari difficoltà che ciascuno di noi si può trovare ad affrontare, esistono gruppi di persone che hanno creato un luogo e momenti di ascolto reciproco, e davanti a forzate e imposte solitudini e incapacità di sbrogliarsi da certe dure situazioni di vita, possono essere un’ottima soluzione.

QUANDO ANCHE IL MIO PAESE, SORSO, AVEVA IL SUO PALIO, SEGUITO DALLA CORSA COI SACCHI, L’ALBERO DELLA CUCCAGNA E RI CANTADORI A CHITERRA

di Piero Murineddu

I l’isthradoni mannu di Cabuzzini correvano Sansoneto cavalcato da Fringuello,Ginepro da Custhunitu,Logudoro da Giacominu Manunta, Trento da Casgiaddina,Pagano da Cicitu Pupuganu. E tutti col culo e il saccottino ingioiellato rigidamente ben saldi in groppa al cavallo in quanto la corsa avveniva senza sella. La partenza era presso Maccia Crabaggia, fuori dall’abitato. Al momento di disporsi in fila la tensione èra a milli, giasthimenisi unu cun l’althu e qualcuno prendendosi anche a fuitaddi, ma all’abbassamento della bandierina tutti parthiani a razzu. cercando di arrivare per primi alla linea tracciadda cun cazzina i r’isthradoni a occi a ra iesgia di ri vraddi cabuzzini.

Nell’incrocio del cimitero il tamburino aumentava il ritmo, quasi ad incoraggiare a currì a ru massimu perchè prossimi all’arrivo e lu neviu del cavaliere sembrava volesse scorticare il povero animale inzuppato di sudore. Lu biubaru chi s’azzazìa si poteva tagliare a fette e pobaribi li robi “della domenica” ( a vi ricordate quando c’erano i vestiti di ogni giorno e quelli della domenica e dei giorni di festa?). Finita la corsa, e fatta la passerella per gli ultimi applausi, ci si spostava in Piazza Longa dove gli uomini gareggiavano dentro i sacchi di iuta, con grande allegria dei ragazzetti specialmente quando li mannunnuri imbranaddi cadevano. Dulcis in fundo, l’albero pieno di grasso dove in alto era appesa la “cuccagna”. I temerari per arrivare in cima si aiutavano con della sabbia che avevano in un sacchetto legato a chintu. Immaginatevi il tifo della gente, immaginatevi……

La sera, dopo l’imbrunire, Cicheddu Mannoni, Pietro Porqueddu, Antonio Desole, lu chitarristha sussincu Peppino Secchi e altri se la cantavano e se la suonavano prevalentemente in logudorese – biadd’a ga li cumprindia! – e la ienti, pusadda i ri banchiti chi s’èrani pusthaddi da gasa, ascoltavano in religioso silenzio, assentendo o meno col movimento della testa ogni volta che dugna cantadori finia la barthi soia.

Lu manzanu chizzu, dabboi di due o tre òri di sonnu, a triburà in campàgna cun zappa e missadoggia, cu ri gùmmari Deu zi ni l’ibareggia.

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A PROPOSITO DI QUELLA STORICA…LEGGENDA

 

di Piero Murineddu

Il caro ziu Andria Piru (per i non indigeni, Andrea Pilo), nei suoi “Ammenti…” (Ricordi), aveva creduto opportuno inserire anche materiale non prodotto direttamente da lui. In queste due paginette, tal Marcello Serra, in uno scritto del 1963, parla di una sua visita nella Romangia, cogliendo l’occasione per parlare della LEGGENDA legata a questa statuetta con Maria e Bambino tanto venerata da queste parti, alla quale vicenda addirittura il Vaticano ha posto il suo sigillo. Per i non indigeni, una statua che, non contenta di alloggiare nella chiesa parrocchiale, ha preteso un santuario tutto suo ( facendo parlare un muto ecc ecc….). Leggenda e non storia, al contrario di quanto si ostinano a pensare le devotissime sorsinche, con al seguito i propri mariti, se ancora viventi, da loro ben calzati e ben vestiti, si capisce….. “Naturalmente” questa convinzione di effettiva storicità è incoraggiata e confermata dalla predicazione dei serafici custodi del Santuario. I teologici, anche francescani, che hanno il coraggio di attenersi al Vangelo, solitamente non risiedono nei “santuari” a smerciare roba taroccata presentata come vera. Ma non continuo su questo argomento, altrimenti rischio di urtare la religiosissima suscettibilità dei miei compaesani. Non voglio rischiare di essere sommerso dalle loro sacre….giasthemmi (per i non indigeni, imprecazioni).

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CAVALLOTTI IL GARIBALDINO, CARMINE L’EDICOLANTE E “L’ASPETTO ORIENTALEGGIANTE” DI SOSSU (!)

di Piero Murineddu

Felice Carlo Emanuele Cavallotti (Milano, 6 ottobre 1842 – Roma,6 marzo 1898), politico,poeta, drammaturgo e patriota… Se ne volete sapere di più, andate su Wikipedia o dove volete voi, sempre che siate interessati. Quindi, metà gennaio 1891, accolto da una Sassari innevata, meschinetto di lui (nel senso che ha preso freddo, non che fosse un poveraccio sopraffatto dalla sventura e dall’indigenza). E tutti ad attenderlo alla stazione, con signor Carmine, l’eroico edicolante ultra ottantenne che ancora ravviva quella misera stazione sassarese che ci ritroviamo, intento a leggersi i giornali senza degnare di un saluto e di un minimo ringraziamento chiunque si presenti davanti alla sua edicola e guardando con occhio torvo chiunque indugi nel guardare le piccanti copertine delle riviste erotiche senza intenzione di sborsare soldini. A proposito, avete notato che adesso c’è suo figlio capellone che qualche volta si butta in un cenno di saluto? E mi sembra anche che il vecchio Carmine, adesso che non è costretto a levatacce mattutine come tutti gli edicolanti, sia più disteso e rilassato. Almeno, questa è l’impressione che mi da’ ogni volta che mi capita di passarci…..

Lo so lo so, è una minchiata di presentazione alla paginetta scansionata che state per leggere, ma ogni tanto mi va di uscir fuori…..dai binari.

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Antefatto: la nostra musica. Fatto: quella di Daniele Ricci

 

L’Antefatto

Bellissima cosa che una coppia che decide di sposarsi, coinvolga parte degli invitati (familiari,parenti e amici) per scegliere e preparare insieme i canti per la propria liturgia nuziale. Qualcuno che mi conosce sa che per anni ho fatto io insieme a qualcun altro quest’attività di animazione musicale per questo momento importante della vita di coppia. Solitamente i canti sono stati scelti secondo i miei gusti personali e considerando i mezzi ( e il personale, nel senso di coristi) a disposizione. Raramente gli sposi hanno fatto loro qualche proposta, a parte la solita “Deus ti salvet Maria” e normalmente tutti si è rimasti soddisfatti dei risultati. Ma questa volta la cosa è andata diversamente. I genitori dello sposo in questione, amici di vecchia data, già per il matrimonio avvenuto lo scorso anno dell’altra figlia avevano pensato la stessa cosa, trovandoci in largo anticipo per le prove e arrivando all’appuntamento con la resa “tecnica” molto soddisfacente, oltre che con  inusuale …distensione umorale. Rilassati al massimo, insomma, perchè sicuri di ciò che si era appreso nel corso di tante prove, e nella “sicurezza”, la festa è come se diventasse più …..festosa.  Ugualmente sta avvenendo in preparazione di questo secondo matrimonio in famiglia, salvo nella difficoltà di scegliere diversi ma sempre appropriati canti. Per questo motivo e per maggior coinvolgimento, invito tutti a fare una ricerca (video su youtube, repertori parrochiali vari….) e che si prendano loro la responsabilità di fare proposte. Naturalmente sono alcuni che prendono la cosa seriamente, nel senso di fare una reale ricerca e i risultati arrivano, anche se ancora e giustamente ciascuna proposta passa al vaglio dei gusti dei coristi.

Il Fatto

No, per “fatto” non immaginatevi chissà che.  Pe quanto mi riguarda,  è stata una inattesa e graditissima scoperta. Grazie a questa ricerca di una delle coriste, vengo a conoscere un autore e musicista di grande valore. Qualche sua canzone la conoscevo gia, ma non sapevo chi ne fosse l’autore. Parlo di Daniele Ricci, più o meno settantenne ingegnere con la passione per la musica, aderente al Movimento dei Focolarini fondato da Chiara Lubich e autore di molti dei brani eseguiti dai due grossi gruppi musicali del Movimento, “Gen Rosso” e “Gen Verde”.

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Nel suo sito ho trovato, con possibilità di scaricarle, moltissime sue canzoni, e quasi tutte di alto valore e di diversi generi musicali. Daniele ha musicato di tutto, non disdegnando di cantarsela anche in romanesco. Prevalentemente i testi si rifanno al suo incontro con la Fede tramite l’incontro , dicevo, con Chiara Lubich, la cui spiritualità, insieme a pratica e impegno sociale, verte prevalentemente sull’unità del genere umano, tra singoli, in famiglia, nella società, nel mondo. Daniele è autore di molti brani a uso liturgico, ma anche Musical completi, brani per bambini, canzoni su tematiche sociali. Vi consiglio di andare nel suo sito

http://www.danielericci.it/      e di servirvene liberamente.

Su youtube trovate molti suoi video, ad esempio

Nel video, il signore in questione è quello al centro, semi coperto dal microfonone da studio di registrazione.

 

Tra i tanti brani, che ascolto sempre volentieri (con gli auricolari) anche durante le mattinate, svolgendo un lavoro che mi consente di farlo, mi ha colpito “Bussare a tante porte“, composto – così mi ha detto – durante una crisi “spirituale” nel lontano 1974, quando neo laureato, si stava sbattendo in ogni dove alla ricerca di un posto di lavoro. Trovatolo e capendo da subito che si trattava di dare il proprio apporto per la costruzione di armamamenti, decide di non accettarlo. Certo, ci sono tutte le forti motivazioni di fede e personali che lo avranno portato a questa dura decisione, ma intanto è l’esempio che è possibile rifiutare di contribuire alla costruzione di armi che, stringi stringi, hanno lo scopo di distruggere la vita. Ascoltatela nel suo sito e scaricatevela. La trovate nell’album ( o pagina) “Il mio viaggio

http://www.danielericci.it/content/doverosi-cenni-biografici

 

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Riporto le parole che Daniele gentilmente mi ha inviato

 

BUSSARE A TANTE PORTE

Bussare a tante porte per trovare lavoro: strane selezioni che fanno loro…

Caselle da sbarrare, quiz, pulsanti e qualcuno che ti passa sempre avanti.

Essere ingegnere è proprio duro, non riuscire a immaginare che sarà il tuo futuro.

È un mestiere qualificato che ha pochi sbocchi sul mercato.

E dopo due anni ti domandi: “Ma perché ho studiato?” / Se sei nei miei panni ti senti quasi disperato.

Finire a vendere l’enciclopedia: un lavoro è buono qualunque esso sia…

Cercare d’affibbiarla alle casalinghe a forza di lusinghe.

E mi ricordo lacrime che scendevano mentre guidavo:/ io non avevo niente nelle mani

Con quelle lacrime usciva dal cuore mio… / con quelle lacrime usciva il mio canto a Dio,

ma non ricordo se fosse dolore, o la gioia di avere per me / soltanto Dio.

Quand’ecco che una grossa società mi fa fare un colloquio, che alla fine va.

“D’accordo, ingegnere: lei è preparato e l’assumiamo perché è il più indicato!”

Mi parlarono con fare gaio di gittate, d’inerzia e di canne d’acciaio.

E appena io riuscii ad orientarmi… io capii che costruivano armi.

E dopo vent’anni hai capito per cosa hai studiato! / Se sei nei miei panni ti senti che sei arrivato.

Sì, d’accordo che io sono cristiano, / ma che c’entra? Se io accetto non c’è niente di strano:

questo è proprio il lavoro mio, e anche in questo ambiente posso amare Dio…

E mi ricordo lacrime che scendevano mentre guidavo: / io non avevo pace dentro me.

Che devo fare? Io non so io, io non vedo chiaro. / Che devo fare di questo che è il mio lavoro?

E mi ricordo l’amore di amici, un amore che è luce per me, / ed era Dio.

È pazzia l’idea di rinunciare a quest’unica proposta che mi può realizzare.

Di gente che lavora con le armi, in fondo ce n’è tanta a questo mondo.

Io mi dissi: – Tanti lo faranno, lo so, come loro, uguale a loro sistemarmi potrò!-

Io mi dissi: – Tanti lo faranno, lo so… ma io no!”

E mi ricordo lacrime che scendevano mentre guidavo: / ancora una volta niente nelle mani.

Con quelle lacrime usciva dal cuore mio… / con quelle lacrime usciva il mio grazie a Dio

e più non era dolore, ma gioia, la gioia di avere per me Lui.

E mi ricor­_do lacrime che zampillavano pure dal cuore: / c’era una gioia immensa dentro me.

E non avevo perduto niente certo, io, / ma avevo fatto un altissimo volo in Dio,

avevo tutto perché ero Suo figlio, ero figlio di Dio, ero io.

E mi ricordo…

ricordo gli alberi che s’inchinavano lungo la strada, / io mi ricordo il sole che illuminava…

E non sapevo nemmeno che alla fine del viaggio / m’attendeva un inimmaginabile messaggio,

era l’amore di Dio che guidava i miei passi / ed io stavo con Lui, stavo con Lui.

 

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Ci sarebbe tanto da commentare, ad iniziare accennando all’Innominabile Smargiassone Americano che sta riportando il mondo a livelli di tensione di reale pericolo per tutti, continuando  sfacciatamente e senza scrupoli a smerciare i suoi super armamenti ai nababbi sauditi.

Anche in Sardegna, la mia terra continuamente colonizzata a tutti i livelli nel tempo, si costruiscono armamenti di distruzione di massa da  scambiare coi dollaroni sauditi, e questo con l’approvazione del Governo nazionale italico che se ne infischia della Costituzione. Gli antimilitaristi cercano di fare quello che possono, ma  le armi continuano ad essere costruite e l’isola è sempre più campo di addestramento militare – terrestre, navale e aereo – oltre che ospitare vari ordigni nucleari.

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E’ cosa probabile che Daniele abbia trovato a suo tempo un lavoro più consono alle sue idee e sicuramente più coerente alle scelte fatte, sopratutto alla luce della sua fede di non violenza e di rispetto per la vita. Non so neanche se abbia svolto la professione per cui aveva studiato oppure si sia dedicato ad altro. Però una cosa la so. Come ho gia detto detto, ha dimostrato che in certe crocevie  che l’esistenza prima o poi presenta davanti a ciascuno di noi, è possibile non prescindere da certi valori, seppur con molta fatica e rinunce. Daniele lo ha fatto e probabilmente più di una volta, nel passato, nel presente e, per quanto potrà, nel futuro. Grazie per l’esempio, Daniele.

RISVEGLIO CIVICO COLLETTIVO CERCASI

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di Piero Murineddu

Ottima notizia e ottima iniziativa. Evidentemente da qualche parte c’è ancora qualcuno che si sente parte di una comunità e vuole dare il proprio apporto perchè questo senso di appartenenza si mantenga e cresca sempre più. Rendersi disponibili a curare lo spazio verde dove si vive è uno dei tanti modi, e lo è anche se lo si fa per avere una qualche agevolazione nel pagamento dei tributi. In questi tempi di casse pubbliche che piangono disperatamente miseria è una iniziativa che vedo prendere piede da varie parti, dove evidentemente c’è ancora dialogo tra chi amministra la Cosa pubblica e i cittadini amministrati. Questo “dialogo” lo si dovrebbe considerare doveroso fin dal primo momento in cui si decide di rappresentare altri in ambito politico, ma spesso, se non addirittura il più delle volte, così non è nei fatti concreti. Sta diventando normale che chi è stato eletto cada in una sorta di apatia e di tirare a campare.. Ecco allora che i cittadini perdono questo senso di appartenenza e i politici,, di maggioranza o di opposizione,che siano, portano stancamente avanti il loro mandato, senza particolare entusiasmo e senza occuparsi minimamente di tenere un dialogo e contatto continuo e attivo con la cittadinanza. Personalmente credo che sia ciò che sta succedendo a Sorso, paese dove vivo, e lo stato di trascuratezza e di non partecipazione in cui versa in tutti gli ambiti è evidente. Ci sarebbe bisogno di un risveglio civico collettivo, e per far si che ciò avvenga, il politico, colui che ha ricevuto delega di governo, funga da stimolo. Che si faccia parte della maggioranza o dell’opposizione in Consiglio Comunale.

“Sa figa pius bella a su duttore”

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“Sa figa pius bella a su duttore”

di Piero Murineddu

Sempre interessante leggere i ricordi che molti sennoresi hanno affidato a Paola Rosalinda (Paolinda) Marongiu per pubblicarli nel volume da lei curato “RACCONTANDO SENNORI”. Interessante e istruttivo, come in questo caso, dove Giovanni Vittorio Sale descrive il duro lavoro, e di conseguenza, la dura vita dello zappatore. E infatti la vita media non arrivava ai sessant’anni. Istruttiva la parte in cui vengono elencate le piante spontanee che ancora oggi non sarebbe male conoscere e farne uso, anche se non siamo più “morti di fame” come lo si era una volta (anzi, rischiamo di morire realmente per tutte le porcherie che siamo costretti a mangiare), ma ancora di più istruttivo, irritante e temo ancora attuale il fatterello narrato dei fichi d’India, le cui piante si possono trovare anche ai nostri giorni fuori dagli appezzamenti di terreno recintati, quindi a disposizione di chi vuole cibarsene (in realtà pià per golosità che per necessità). Immagino la povera gente di quegli anni che spesso, per ingraziarsi i favori di chi contava, si privava di cose che magari per lui e la sua famiglia erano necessari. Nel caso specifico dei medici era forse doveroso, in quanto non percepivano stipendi regolari come oggi e la loro funzione era indispensabile, considerando anche che non vi erano a disposizione i farmaci che abbiamo oggi e spesso la loro capacità e l’esperienza permettevano veramente di allungare la vita dei malcapitati. Nella maggior parte dei casi, però, era l’atteggiamento normale che il “popolino”, spesso ignorante e privo di strumenti culturali che permetteva autostima e consapevolezza dei propri diritti (quando c’erano!), teneva nei confronti dei notabili locali. Non erano sempre segno di riconoscenza per favori ricevuti, ma potevano esserlo per eventuali bisogni futuri.

Come non ammettere che tale mentalità ancora oggi esiste, specialmente in tempi di crisi e di mancanza di lavoro? Il poter lavorare è l’unica condizione che permette di condurre una vita degna di essere chiamata tale, a meno che non si viva di rendita per lasciti ricevuti oppure ci si dedica a illeciti guadagni, e i modi purtroppo sono innumerevoli. Non ho voglia di sviluppare il tema. Mi porterebbe a tirarla per le lunghe, oltre che togliermi l’insolito buon umore che mi ritrovo oggi.

Certo che quando oggi vedi i fichi d’India in vendita, per lo più provenienti da altre parti e con prezzi che bassissimi non sono, ti viene proprio voglia di metterti in macchina secchio e coltello e andare a rifornirsi gratuitamente nelle tante stradette di campagna che circondano il paese. Facendo attenzione a quelle stamaledette spine che s’introfolano da tutte le parti, naturalmente………