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“Sa figa pius bella a su duttore”

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“Sa figa pius bella a su duttore”

di Piero Murineddu

Sempre interessante leggere i ricordi che molti sennoresi hanno affidato a Paola Rosalinda (Paolinda) Marongiu per pubblicarli nel volume da lei curato “RACCONTANDO SENNORI”. Interessante e istruttivo, come in questo caso, dove Giovanni Vittorio Sale descrive il duro lavoro, e di conseguenza, la dura vita dello zappatore. E infatti la vita media non arrivava ai sessant’anni. Istruttiva la parte in cui vengono elencate le piante spontanee che ancora oggi non sarebbe male conoscere e farne uso, anche se non siamo più “morti di fame” come lo si era una volta (anzi, rischiamo di morire realmente per tutte le porcherie che siamo costretti a mangiare), ma ancora di più istruttivo, irritante e temo ancora attuale il fatterello narrato dei fichi d’India, le cui piante si possono trovare anche ai nostri giorni fuori dagli appezzamenti di terreno recintati, quindi a disposizione di chi vuole cibarsene (in realtà pià per golosità che per necessità). Immagino la povera gente di quegli anni che spesso, per ingraziarsi i favori di chi contava, si privava di cose che magari per lui e la sua famiglia erano necessari. Nel caso specifico dei medici era forse doveroso, in quanto non percepivano stipendi regolari come oggi e la loro funzione era indispensabile, considerando anche che non vi erano a disposizione i farmaci che abbiamo oggi e spesso la loro capacità e l’esperienza permettevano veramente di allungare la vita dei malcapitati. Nella maggior parte dei casi, però, era l’atteggiamento normale che il “popolino”, spesso ignorante e privo di strumenti culturali che permetteva autostima e consapevolezza dei propri diritti (quando c’erano!), teneva nei confronti dei notabili locali. Non erano sempre segno di riconoscenza per favori ricevuti, ma potevano esserlo per eventuali bisogni futuri.

Come non ammettere che tale mentalità ancora oggi esiste, specialmente in tempi di crisi e di mancanza di lavoro? Il poter lavorare è l’unica condizione che permette di condurre una vita degna di essere chiamata tale, a meno che non si viva di rendita per lasciti ricevuti oppure ci si dedica a illeciti guadagni, e i modi purtroppo sono innumerevoli. Non ho voglia di sviluppare il tema. Mi porterebbe a tirarla per le lunghe, oltre che togliermi l’insolito buon umore che mi ritrovo oggi.

Certo che quando oggi vedi i fichi d’India in vendita, per lo più provenienti da altre parti e con prezzi che bassissimi non sono, ti viene proprio voglia di metterti in macchina secchio e coltello e andare a rifornirsi gratuitamente nelle tante stradette di campagna che circondano il paese. Facendo attenzione a quelle stamaledette spine che s’introfolano da tutte le parti, naturalmente………

COSA FA LA CHIESA (Comunità?) DI SORSO PER DARE NECESSARIA E DOVEROSA ACCOGLIENZA AGLI IMMIGRATI?di

di Piero Murineddu

Nel bel mezzo del Mese Mariano, tanto sentito dai devoti sorsinchi, ritengo opportuno rispolverare questa lettera pubblicata su La Nuova qualche tempo fa.

Ammetto di non essere molto “mariano” e di non puntare molto sulle “intercessioni”, né umane né tantomeno di santi, santini e santoni per farmi ascoltare dal buon Dio. Mamma ( di Gesù) Maria non si offende, ne sono sicuro,e neanche mia madre, anche lei Maria. Mi perdonerete questo limite, che vi assicuro non è per niente presunzione né mancanza di rispetto per chicchessia, e quindi passo subito al dunque, ponendo una semplicissima e chiarissima domanda:

COSA FA E DICE IL FRATE PREDICATORE PER SENSIBILIZZARE CONCRETAMENTE I FREQUENTATORI QUOTIDIANI ALLE VARIE MESSE RIGUARDO AL PROBLEMA DEGLI IMMIGRATI?

Da altre parti qualcosa sta iniziando a muoversi, in ambito civile e in quello ecclesiale, dimostrando che finalmente le parole di papa Francesco non cadono completamente nel vuoto. E a Sossu? Scusate si soggu…..impisthinenti e …..pregate per me.

 

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A Sorso nuovi musicisti crescono: CLAUDIO SPANU

 

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di Piero Murineddu

Ai giorni nostri a Sorso, a differenza di quanto pensassi finora, se si parla di fisarmonica il pensiero può iniziare a non andare esclusivamente al compianto Giampaolo Cicu, e questo senza niente togliere alle sue indubbie e apprezzabilissime qualità, oltre alla sua capacità di adattarsi un po’ a vari generi musicali. So che la chitarra, cosa comprensibile e probabilmente inevitabile, va ancora per la maggiore, e a Sorso, in mezzo a tanti che si limitano a strimpellare per animare le ziminate spesso avvinazzate o imbirrazzate, quelli che riescono a ricavare dallo strumento a sei corde melodie molto dignitose se non addirittura di alto valore, sono diversi, siano essi autodidatti, frequentatori di corsi privati o diplomati in Conservatorio.

A mio parere, l’andare “a scuola”, da chi è in grado di far conoscere bene lo strumento e di riuscire a far procedere l’allievo nelle varie tecniche d’apprendimento, è sempre preferibile e offre maggiori probabilità di migliorarsi e di non rimanere stagnanti nei soliti accordi di base, dando sicuramente continui e rinnovati stimoli al musicista di cimentarsi in brani sempre più complessi. Questo rimane il mio personale parere, naturalmente. La qual cosa non esclude assolutamente che anche se autodidatti, ma forniti di grande passione e di forte volontà di faticare, si possa far uscire dallo strumento suoni dignitosissimi. Il suonare insieme ad altri è poi sicuramente uno stimolo in più.

La fisarmonica, probabilmente per l’uso che se ne può fare e per il suo essere uno strumento completo con tutti quei tasti a sinistra che premuti singolarmente riproducono i vari accordi di accompagnamento, è lo strumento che da sempre mi sarebbe piaciuto suonare. Ho gia detto che a Sorso non c’è una grande tradizione, a parte l’esempio del prof Cicu e di qualcun altro, come vedo nella foto raccolta nel suo volume da Stefania Spanu, ma forse qualcosa in questo campo sta iniziando a muoversi.

Nei giorni scorsi sono entrato in contatto con un giovane che, dopo aver suonato per diverso tempo strumenti a tastiera, da due anni ha iniziato a prendere confidenza con la fisarmonica, stimolato – come lui dice – dalla sua passione per il folk e il blues. Il suo nome è Claudio Spanu, credo nativo di Samugheo da genitori sorsesi, ma sicuramente qui cresciuto. Attualmente vive a Sorso. Da un amico comune vengo a sapere che il giovanotto, oltre a continuare a suonare le tastiere e ora anche fisarmonica, suona anche la chitarra e l’ukulele. La sua passione per la musica la porta avanti all’interno di due gruppi, i “Double Dose”, trio di country folk di cui su youtube si possono ascoltare diversi brani caricati da uno degli storici componenti, tal Aldo Gallizzi, e i “WlaFisa”, gruppo di cover femminili riadattati per voce maschile.

Del primo gruppo è stato pubblicato un album di cover ritoccate da loro e Claudio mi dice che stanno preparandone un altro che dovrebbe uscire a breve, con alcuni loro inediti. Il polistrumentista ha fatto qualche anno di conservatorio e frequentato lezioni private, facendo proprie le basi che gli hanno dato la spinta per coltivare la passione per la musica. Claudio lamenta l’assenza a Sorso di posti idonei per l’esibizione pubblica, ragion per cui le loro musiche sono ascoltate prevalentemente a Sassari, luogo dove vivono i suoi compagni di viaggio, e a Porto Torres. Di solito suonano in locali e pub, saltuariamente in piazze e festival.

La fisarmonica. Quando tempo fa l’intenzione d’impararne l’uso era insistente, avevo chiesto alla scuola civica di musica di Sennori d’inserirla tra gli strumenti d’insegnamento. L’assessore del tempo mi aveva risposto che la cosa si poteva fare, a condizione che ci fossero persone disposte ad imparare. Come sia andata a finire la cosa non so. E’ certo che ora come ora la volontà di applicarmi nel suo studio mi è venuta a mancare, purtroppo. Pensare che in casa ne possediamo una, avuta come regalo da una famiglia amica i cui componenti suonano uno strumento ciascuno e spesso non disdegnano di spegnere quella stramaledetta tivù per fare musica d’insieme. No, la famiglia non è di Sorso, purtroppo, ma di altre altitudini e culture, dove la passione per la musica è molto radicata e coltivata.

Aspettiamo allora di sentire suonare, possibilmente dal vivo e nella sua e nostra cittadina, la fisarmonica del barbuto e occhialuto giovanotto e dei suoi amici, country folk o blues che sia. Auguri Claudio

“Basta con le esportazioni di armi in Arabia Saudita e Yemen”

L’iniziativa del primo azionariato critico di Fondazione Finanza Etica e Rete Disarmo nell’industria d’armi tedesca Rehinmetall, per chiedere informazioni su RWM Italia S.p.A., controllata al 100% da Rheinmetall. Le armi tedesche, ma fabbricate in Italia da RWM, partono dall’aeroporto do Cagliari verso l’Araba Saudita, per poi essere sganciate in Yemen

di Marta Rizzo

(tratto da R.it  del 14 maggio 2017)

Iran's Nuclear Ambitions: Options for the West

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Dal marzo 2015 la guerra civile che sta uccidendo 2/3 della popolazione yemenita è combattuta anche con armi fabbricate in Italia dalla RWM con sede in Sardegna, ma di proprietà tedesca. La Fondazione Finanza Etica (FFE) e Rete Disarmo (RID) hanno fatto azionariato critico durante l’ultimo Consiglio di Amministrazione della Rheinmetall, a Berlino, per chiedere conto del perché la società tedesca faccia partire le sue bombe dall’Italia verso l’Arabia. Le risposte confermano che l’anima del commercio segue esclusivamente interessi e richieste dei compratori.

La guerra in Yemen è di tutti. Ufficialmente dal 19 marzo 2015, lo Yemen è dilaniato da una guerra dove una coalizione sciita al nord, capeggiata dagli Houti, appoggiata dall’Iran e a sostegno dell’ex presidente Saleh, si scontra con la maggioranza sunnita. La coalizione sciita è guidata da Arabia Saudita ed Emirati, vi partecipano Egitto, Marocco, Giordania, Sudan, Kuwait, Bahrein, Qatar, Pakistan, Somalia; con l’appoggio statunitense: gli attacchi dei droni americani sono iniziati nel 2012, come attuazione della strategia antiterrorismo voluta da Obama e Trump, dal gennaio 2017, ha autorizzato bombardamenti Usa direttamente in Yemen, senza passare dall’Arabia Saudita. Forte, è anche il coinvolgimento di Is e al’Qaeda. I paesi occidentali fornitori delle bombe che la coalizione saudita sgancia in Yemen (portando avanti una guerra senza autorizzazione né mandato internazionale) sono Usa, Regno Unito, Brasile. L’Italia invia da Cagliari armi fabbricate negli stabilimenti sardi della RWM Spa, di proprietà della tedesca Rheinmetall.

La crisi umanitaria dello Yemen. Intanto, lo Yemen muore: due anni di guerra hanno causato 3 milioni di profughi e 18,8 milioni di persone (2/3 di yemeniti) dipendono da aiuti perché prive di acqua, cibo, un tetto. È crisi umanitaria:  4.600 civili morti dal marzo 2015 e 8000 feriti, ma queste sono cifre non propriamente esatte, perché tutte vanno lette per difetto. In tutto questo, la grande società tedesca costruttrice d’armi Rheinmetall, attraverso la controllata RWM Italia, sta esportando bombe in Arabia Saudita, come è stato provato da Human Rights Watch che ha documentato e fotografato i carichi in partenza dall’aeroporto di Cagliari.

L’Italia, la RWM e le bombe verso lo Yemen. “I dati di export di RWM Italia verso l’Arabia Saudita sono spaventosi: 19.675 nuove bombe autorizzate nel solo 2016 con una esportazione effettiva di 2.150 ordigni, per 32 milioni di euro – dice Francesco Vignarca, portavoce di Rete Disarmo – Tutte queste autorizzazioni, rilasciate verso Paesi in conflitto, vìolano la legge 185/90 sull’export militare che impedisce una consegna, se l’invio viene fatto in aree in stato di guerra. Il provato utilizzo in Yemen di ordigni di fabbricazione italiana da parte saudita, dovrebbe bloccare qualsiasi tipo di accordo. Da tempo chiediamo al Governo di non contribuire, con queste licenze, ad alimentare un conflitto sanguinoso”.

Oltre 40 milioni di armi a Riyad. L’ Opal dichiara poi che l’Italia ha fornito armi, bombe e munizioni all’Arabia Saudita, negli ultimi due anni, per 40.254.727 milioni di euro, mentre a inizio conflitto yemenita la cifra si aggirava attorno ai 37,6 milioni di euro. Rete Disarmo, già il 28 gennaio 2016, presentava esposti nelle Procure di Roma, Brescia (dove ha sede legale l’azienda tedesca RWM Italia, fornitrice delle bombe aeree),Verona e Pisa, perché le spedizioni dal nostro paese partono tutte da Cagliari e provengono dalla RWM Italia i cui stabilimenti sono a Domusnovas, in provincia di Cagliari, appunto. Nel frattempo, il governo italiano stanzia 1,5 milioni di euro all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per il soccorso della popolazione yemenita, lacerata da bombardamenti fabbricati e lanciati anche in Italia.

L’esportazione indiretta. Rheinmetall, RWM Italia, Arabia Saudita e le critiche di FFE e RID. FFE e RID partecipano, per la prima volta il 9 maggio, a Berlino, all’assemblea degli azionisti di Rheinmetall. “Entriamo in assemblea delegati dall’ONG tedesca Urgewald su proposta di Rete Italiana per il Disarmo – spiega Andrea Baranes, presidente di FFE – L’intervento della Fondazione vuole criticare l’esportazione di bombe da parte della controllata italiana RWM Italia SpA dalla Sardegna all’Arabia Saudita”. Fondazione Finanza Etica ha chiesto perché le bombe sono esportate attraverso l’Italia e non direttamente dalla Germania, dove il governo ha manifestato più volte una serie di riserve per i contratti di fornitura militare con l’Arabia Saudita. FFE e Rete Disarmo hanno cercato di capire anche che piani abbia la società per il futuro dell’impianto di RWM Italia a Domusnovas in Sardegna, visto che l’8 maggio la stampa locale sarda ha parlato di un ampiamento per la costruzione di un nuovo campo prove.

L’azionariato critico alla Rheinmetall. L’ azionariato critico consente alla FFE (sostenuta da Re:Common, Greenpeace e Rete Disarmo, tra gli altri) di partecipare attivamente come azionista (anche con poche decina di euro) di gradi multinazionali per poter contestare dall’interno dei Consigli d’amministrazione comportamenti che possano ledere il bene di società e ambiente, a beneficio esclusivo dell’azienda. Tendenzialmente non è risolutiva, ma senza dubbio è fortemente disturbatrice e permette di rendere note le strategie del potere commerciale.

Rheinmetall: “Rispettiamo le leggi e i contratti”. Mauro Meggiolaro, portavoce di FFE che ha posto le domande agli azionisti di maggioranza della Rheinmetall durante il Consiglio di amministrazione del 9 maggio, ha testimoniato una certa vaghezza nelle risposte: “La destinazione delle forniture d’armi è segreta, dicono gli azionisti dell’azienda tedesca: non possono dire in quali paesi siano destinate le armi da loro realizzate per motivi contrattuali. Per quanto riguarda lo Yemen, gli amministratori Rheinmetall hanno dichiarato che rispettano sempre la legge: il Governo italiano ha dato il suo assenso per far partire le armi fabbricate dal marchio tedesco verso l’Arabia Saudita, questo per l’azienda è sufficiente, nel rispetto, appunto, delle leggi”.

“L’Arabia Saudita ha chiesto che le armi partano dall’Italia”. “Gli azionisti tedeschi – conclude Meggiolaro – hanno poi affermato che le bombe sono esportate dall’ Italia perché gli arabi hanno chiesto espressamente le autorizzazioni all’Italia: la scelta, dunque, non è della società, ma del clienti. Ma noi di FFE sappiamo che i compratori preferiscono non chiedere le autorizzazioni alla Germania, per non mettere in imbarazzo il governo tedesco che è molto più sotto pressione da parte dell’opinione pubblica di quanto non lo sia quello italiano. E ancora, ci è stato reso noto che la Rheinmetall investirà tra i 30 e i 40 milioni di euro per ampliare la fabbrica di Domusnovas in Sardegna. Non ci hanno però spiegato il motivo, né hanno chiarito il tipo di test che vogliono fare. Hanno anche anticipato il progetto di aprire, come RWM Italia, una fabbrica in Egitto. In generale, si sono richiamati alla legalità delle loro azioni, mentre noi abbiamo sottolineato la loro non legittimità e hanno ribadito che il loro interesse è unicamente commerciale”.

Una pasquetta 2017 a pieni polmoni

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di Piero Murineddu

Il tempo è bello e sgranchirsi un po’ le ossa respirando aria pulita fa indubbiamente bene, al corpo e forse sopratutto al cervello. E allora perchè non farsela  questa benedettaTradizionalQuasiObbligatoria gitarella fuori porta per Pasquetta? Ogni anno che passa le attrazioni aumentano sempre più in ogni dove, al punto che si crea l’imbarazzo della scelta.

Nel nostro caso c’è l’amico che propone di trascorrere la giornata in quella festa campestre in mezzo ai boschi del Goceano, dove tra i salsicciotti e il vitellone arrostiti a bella vista, vedi anche gli asinelli albini con gli occhi celesti che veramente ti riempiono l’animo di tenerezza.

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La gente è tanta ma il particolare ambiente immerso nel verde aiuta a vivere senza stress la lunga fila per assicurarti la magnozia da integrare al poco che ci si è portati da casa. Nello zainetto a spalla non mancano i dolci pasquali, ma il rinunciare ad acquistare le gustosissime e calde seadas è cosa quasi impossibile, dopo il paninozzone rigidamente vegetariano.

All’ora stabilita, gli eroici ed esperti cavalieri si preparano a corrersela per tentare di centrare col proprio spadino la stella.

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Peccato che ad attirare gli spettatori per questo momento spettacolare ci sia la solita ed insopportabile musica fracassona tumtumtum che con l’insieme della giornata non c’entra proprio un piffero.

Lo spazio verde tutt’intorno è molto vasto, e sdraiarsi vicino alle larghe ed ormai essiccate cagatone equine non disturba per niente.Dal passeggiarmela tra la gente e tra queste per niente schifose espulsioni intestinali (vegetariane) dei cavalli (ma anche gli asinelli non sono da meno) traggo veramente piacere.

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Al momento del rientro, la visita al castello  e al centro storico del paesino poco più giù è quasi d’obbligo e piacevole, ma ancor di più lo è il fermarsi a conversare con qualche anziano locale che non si tira indietro a parlarti  dei 50 anni trascorsi in giro all’estero per mandare avanti la famiglia e del continuo progressivo spopolamento del posto anche ai nostri giorni. Non è mancato l’invito a tornarci in occasione delle “cortes apertas” autunnale. Se la salute ci assiste, perchè no…..

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Quando la giornata volge ormai al termine, ecco come sorpresa finale un bellissimo e ben mantenuto ponte antico che non conoscevo, a cui poco prima ci aveva  preparato il nostro amico e guida che ci ha fatto anche da generoso ed instancabile autista.

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La stanchezza della giornata si fa sentire, inevitabile,  ma il fare sosta per ammirarne la bellezza da vicino n’è valsa veramente la fatica, minima in realtà. Su ponte Ezzu, nei pressi di Illorai. Affacciandoti da un lato, le acque del fiume Tirso hanno un movimento torrentizio, mentre dalla parte opposta scorrono dolcemente e silenziose.

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Il distenderti nelle  rocce ha l’immediata capacità ti toglierti di dosso la stanchezza della giornata. Un momento di pace inaspettato e particolarmente rigenerante.

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Ripercorrendo la stradina in pendenza per rimetterci in viaggio, la vista di cassette di plastica e di un vecchio elettrodomestico abbandonati ha rotto un po’ la magia del momento, facendoci ritornare alla spesso triste realtà dei nostri ambienti spesso violentati se non addirittura irrimediabilmente distrutti. Purtroppo anche questo è il prezzo della nostra libertà, usata non di rado per manifestare l’immensa  imbecillità del genere umano di un certo tipo.

Ma comunque, l’ umore non ne risente completamente. Sarà forse perché ho ancora piene le narici di quel profumino di salthizzoni arrosto aromatizzato chissá come e chissá quanto?

Carolina e l’incantesimo di quel papaverino rosso

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di Piero Murineddu

Dalla foto iniziale, l’argomento l’avete già capito. Nei giorni scorsi mi è capitato di rileggere il bel ricordo infantile di Carolina Cutolo, nipote di mastro Fortunato, legato in modo particolare alla fonte sussinca. Per chi non lo conosce , ve lo riporto per intero

 

L’incantesimo della Billellera

di Carolina Cutolo

Non devo parlare. Posso dire di sì o di no con la testa. Se mi chiedono quanti anni ho posso ancora usare le dita. Se mi chiedono di chi sono figlia posso dire i cognomi dei miei nonni: Murino e Zentile, li ho sentiti pronunciare solo da sardi quindi la dizione giusta mi viene quasi naturale, non dovrei destare sospetti. Ma a volte non bastano neanche tutte queste cautele. Appena mi identificano come l’unica nipote femmina di mastro Fortunato è finita, e cominciano a farmi il verso, parlandomi con una cadenza romana improbabile, ma a loro tutto è concesso, giocano in casa. Io invece, che vengo qui tre mesi l’anno da quando sono nata, sono e sarò sempre quella strana, quella forestiera, che arriva da una città gigantesca, inconcepibile e soprattutto, il peggior aggettivo che un sardo possa attribuire, continentale. Del tutto inutile imparare come e meglio degli altri bambini ad ammazzare le mosche con l’elastico, a impennare con la bicicletta, a mangiare gli asprissimi gambi di “agrittu”, i fiori del trifoglio, e altre amenità da piccola greffa locale. Semplicemente patetici i miei tentativi di imitare l’accento di Sorso, il paese di mia madre, ancora più ostico del già impossibile sassarese.
In fondo volevo solo essere come tutti gli altri bambini, confondermi con loro, dimenticare da dove venivo e concentrarmi sui giochi.
Un giorno mio nonno, che tutti chiamavano mastro Fortunato perché era fabbro, e che in fondo era anche lui un po’ straniero a Sorso, essendo nato a Gairo, in Ogliastra, mi regalò un piccolo blocchetto per gli appunti e una matita: «Così quello che vuoi dire lo scrivi». Ci ho provato per qualche giorno, ma non ha funzionato, gli altri bambini mi ridevano in faccia e gli adulti mi inchiodavano alle mie responsabilità di persona parlante: «Ma mudda sei?», col risultato di farmi sentire doppiamente strana: romana e finta invalida. Ma ero lo stesso molto fiera di quel trucco che nonno Fortunato aveva escogitato solo per me, era un vero genio: aggiustava qualunque cosa, persino le biciclette dei bambini che non conoscevo, inventava per me storie pazzesche di giovani pastori o contadini che, intrappolati da potenti incantesimi, si salvano grazie alla loro intelligenza risolvendo enigmi impossibili; mi svegliavo volentieri all’alba per andare con lui a cercare lumache per le campagne intorno al paese dopo un acquazzone notturno, ed era il mio unico e solo eroe quando infilava le camere d’aria in una tinozza piena d’acqua per scoprire dove si nascondeva il buco da rattoppare.
La prima volta che mi portò a prendere l’acqua alla fonte della Billellera ero molto piccola e non sapevo niente della leggenda. Ma c’è stato un momento preciso, intorno ai dieci anni, in cui realizzai che la fontana stregata poteva essere la svolta che mi avrebbe salvata dall’incubo della diversità. Quel giorno andai con nonno a prendere l’acqua con un’eccitazione nuova, c’ero già stata ma mi sembrava di vederla per la prima volta: una costruzione imponente, circondata da olmi secolari e da un acciottolato che scricchiolava a ogni passo, come per allertare la fonte che qualcuno si stava avvicinando, forse per abbeverarsi per la prima volta e quindi, per via dell’incantesimo della leggenda, diventare matto, come tutti i sorsesi. Mi sono avvicinata con solennità al bocchettone, pensando che bevendo direttamente alla fonte sarei diventata matta pure io, e sarei stata finalmente una sorsese tra i sorsesi, un’autentica “sussinca macca”, e che nessuno avrebbe mai più notato la differenza.
Dopo aver bevuto fino a non poterne più ho guardato mio nonno. Stava riempendo i bottiglioni da portare a casa. Quando si è accorto che lo fissavo con quella che doveva essere un’espressione molto seria, si è fermato, e mi ha guardata a sua volta. Gli ho chiesto se vedeva qualcosa di nuovo. Lui mi ha sorriso, e mi ha detto: «Bella di nonno tuo, ma tu sempre nuova, sempre diversa sei, in ogni momento, e guai mi’… guai se smetti!»

 

Qui finisce lo scritto di Carolina, provocando in me il ricordo di quando da scolaro, passando nel negozio d’alimentari dello zio Fortunato in via Azuni, compravo per pochi centesimi il ghiacciolo artigianale fatto con cubettini di ghiaccio in cui erano state messe piccole quantità di essenze,al limone o alla menta. Nella mia mente mi son rimasti gustosissimi. Ma passiamo all’argomento che  c’interessa, diventato oramai triste telenovela, cioè la storica fonte sussinca, la cui immagine degli anni quaranta vedete qui

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Certo che, conoscendo le future vicessitudini del povero sito, sarei tentato d’affermare che, da come appare nella foto, forse forse sarebbe stato meglio lasciarla così, senza anfiteatro e tutto l’altro che si è costruito intorno, comprese quelle attuali e penose palme con le quali furono sostituiti i forti e ombreggianti alberi di allora. Almeno i ragazzini sarebbero potuti andarci per farsi allegre e libere scorpacciate di agrittu, pabanzoru e gagaranzu. Ma il “progresso” doveva (purtroppo) necessariamente seguire il suo corso, e a oggi sappiamo a cosa ha portato. L’unica cosa rimasta fortunatamente integra è la fonte stessa, e fortunatamente anche l’anfiteatro, seppur bisognoso di manutenzione. Tutto il resto è in uno stato penosamente disastroso. Diverse volte ho descritto e documentato lo stato di degrado, provocato dagli eventi naturali e dalla colpevole incuria umana.

Vi aggiorno sulla parte superiore del sito, fotografata  nei cinque minuti in cui ho sostato proprio ieri sera. Da mettersi a piangere per la pena, oltre il dover bloccare  le ballocce pendenti, disperatamente e vertiginosamente roteanti per l’incazzatura nel vedere l’insieme di degrado e abbandono

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Dato che c’ero, mi sono affacciato anche al piccolo cortiletto della casa parrocchiale proprio lì di fronte, dove vi è un nespolo zeppo di frutti e un alberello  con grossi limoni, tra l’erba spontanea che la fa da padrona. La trascuratezza di quei pochi metri è cosa diventata ormai normale. Certo è che un pò di effetto negativo lo provocherebbe a chiunque, non solo ad un intransigente e pignolo come me

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Tornando nella parte opposta di ciò che abbiamo visto e che tra qualche giorno si presenterà ai turisti, oltre che ai rassegnati e, almeno apparentemente,  “indifferenti” sussinchi che ci passano ogni giorno, alla fine, un minimo d’incantesimo (vedi il titolo del racconto di Carolina) riesce a crearlo quel piccolo e incantevole papaverino rosso, creasciuto spontaneamente nell’aioletta ricavata nella base del troco di quella che fu una grande ed imponente palma

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Il lungomare di Sorso migliorato? Più vivibile, specialmente per lui, il piccolo bau bau

di Piero Murineddu

Se volete essere aggiornati sullo stato dei lavori riguardanti le discese a mare del nostro litorale, andatevi a leggere l’ articolo

http://lanuovasardegna.gelocal.it/sassari/cronaca/2017/04/07/news/posteggi-e-bretelle-i-nodi-dei-lavori-a-platamona-1.15160673

Per vedere direttamente le novità, mi ci sono recato direttamente, e pur non essendo frequentatore assiduo delle spiagge estive, cambiamenti mi sembra di averne visto diversi, in meglio per quanto riguarda la protezione ambientale della flora a ridosso appunto delle spiagge,

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in peggio per quanto riguarda la comodità, probabilmente dei più, di chi pretende di arrivare con la proprio auto fin dove piazzare il proprio ombrellone. Quei tempi lì, almeno per quest’ultimi e in quelle discese, credo che siano destinati a finire. Come dice l’articolo del nostro Santoni, dal prossimo anno, con la realizzazione della tanto agognata e attesa realizzazione della pista ciclopedonale lungo la litoranea, non si vedranno più tutte quelle auto parcheggiate alla meno peggio sul ciglio della strada, e che non poche vediamo insabbiate al momento serale del rientro.

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Gia da subito e in seguito ancor di più, si “patisce” la drastica riduzione dei parcheggi,leciti ma anche abusivi, in quanto mancherà proprio lo spazio fisico dove infilare la propria scatola metallica. Riguardo a questo, il progettatore del tutto , l’architetto di Macomer Sebastiano Gaias,  prevede che “nel giro di qualche anno si parlerà molto meno del problema degli stalli e i frequentatori saranno disposti a fare qualche centinaio di metri a piedi pur di godere di un contesto straordinario”. Spero che ciò si avveri, ma sappiamo che gli umori e le reazioni della gente sono spesso imprevedibili, oppure, al contrario, lo sono anche troppo. E allora? Vedremo. Intanto il lavoro dei vigili  aumenterà,oh quanto aumenterà, e la tolleranza usata finora, specialmente per l’ “anarchia” ai margini della strada litoranea, diventerà un ricordo, almeno così mi auguro.

Sarà la volta che finalmente rimetterò in funzione la vecchia bici? Lo spero proprio, non tanto per fare il bagnante, quanto per percorre qualche chilometro in pianura in tutta tranquillità. Per il bagno, c’è tutta la costa verso Castelsardo che offre tante possibilità.

Dal tutto il malloppone dei soldi regionali, spero che avanzi qualcosa per fare una decente manutenzione del bellissimo sentiero in legno lungo lo stagno, dove qualche volta mi reco, specialmente per far gioire la mia cara nipotina nel bel parco ludico che vi si trova.

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Facendo il tragitto pedonale, vedo che ogni tanto viene cambiata qualche traversa in legno particolarmente usurata, ma altre parti hanno proprio bisogno di più attenzione. Pur non essendo intenditore di niente, credo tuttavia che il legno, se si vuole che resista alle intemperie e al tempo,  ha bisogno di periodici passate d’impregnante, cosa che, almeno penso, non sia stata mai fatta.

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Tutto quel bel legno usato nei nuovi lavori avrà necessariamente bisogno di una buona e continua MANUTENZIONE. Tra le novità, vi sono quelle lunghe staccionatine che sicuramente avranno una qualche utilità, di blocca sabbia o di qualcos’altro.  A vederli, non sembra che siano destinati a lunga vita. Anzi, fanno quasi tenerezza, ma intanto…..

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E’ auspicabile che un po’ tutti riacquistiamo uno spirito di rispetto per il bene comune. Questo sicuramente in generale, ma ancor di più in questo caso particolare. A parte il “disturbo” durante questi lavori, in mezzo a tanti pareri umani comprensibilmente divergenti, qualche “abitante” del posto mostra comunque già la sua soddisfazione….

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Intanto inizio a pulire dalla polvere la bici, ingrassare la catena, regolare i freni e cercare di eliminare tutta quella ruggine accumulata nel telaio, ma specialmente nelle mie …………malandate gambe.

Bologna, lo Sgarbi pensiero sulla testa rasata della ragazzina musulmana, via Paolo Fabbri 43 e qualcos’altro ancora…..

di Piero Murineddu

Nonostante la non perfetta forma fisica, la settimana scorsa, per un impegno preso precedentemente, ho dovuto accompagnare mia moglie a Bologna. Non per una vacanza in senso stretto, dal momento che il dover soggiornare in una grande città, per tutto quello che comporta,compreso il persistente terrore dell’aereo(!), per me è sempre uno sforzo che, almeno inizialmente, toglie rilassatezza all’idea di mettermi in viaggio.  La cara consorte, per arricchire la sua fantasia manuale in verità già abbastanza ricca, da qualche anno a questa parte non vuole perdersi le fiere della Creatività.

L’ Accompagnarla è stato più che altro doveroso, anche se indubbiamente lo spezzare la ripetitività quotidiana giova in ogni caso. Tuttavia,non interessandomi  partecipare alla fiera, ho preferito gironzolarmela per la città che non conoscevo se non di passaggio. Ecco, da questo momento, il viaggio ha preso le sembianze di una …..vacanza.

Per chi già ne conosce la bellezza, la ricchezza storica, architettonica e culturale, non stó qui a descrivere le tante meraviglie di cui ho gioito, naturalmente col fermo proposito di ritornarci quanto prima, e alla malora la paura di volare. Alcune cose però mi sono rimaste particolarmente impresse, come  la gentilezza e l’affabilità dei bolognesi coi quali sono entrato in contatto, eccezion fatta per il giovane albergatore che non ci ha degnato di un minimo  sorriso; la particolare atmosfera dei siti che son riuscito a visitare, sopratutto l’insieme degli edufici conosciuto come le sette chiese di  Santo Stefano;

ooooo

le tantissime e variegate mercanzie di certe frequentatissime stradine, principalmente le innumerevoli offerte mangerecce esposte nelle vetrine coloratissime e all’esterno dei negozi; i tanti e bravissimi artisti di strada, specialmente nel fine settimana; il pranzetto multicolore-multicalorie ad appena dieci euro al Roxy Bar di Vasconiana memoria che lo striminzito e caro cibo nel ristorante a pochi metri dovrebbe vergognarsi nel confronto; la lettura rilassata dei quotidiani nella vasta biblioteca presso Piazza Grande, su cui si affaccia la chiesa di san Petronio;

PESCE

la meta obbligata sotto quella torre di 100 metri circa e quasi cinquecento gradini per arrivare in cima, tentazione che non mi ha minimamente sfiorato…….

TIMBROASINELLO

Il momento più importante è stato l’incontro col mio caro Giuseppe e la sua ragazza Beatrice, arrivati in auto da Padova per trascorrere insieme una giornata. Prima di separarci, ci hanno fatto il bel regalo di fermarci davanti al portone dell’Affabulatore per antonomasia dell’italica canzone cantautorale, il  Maestrone Francescone, nella sua via Paolo Fabbri 43, prima di ritornare nella sua Pavana per invecchiare più o meno serenamente. L’ormai famosa trattoria “Da Vito” è proprio lì vicino, ma il tempo a disposizione non ha permesso di andarci, anche perchè non credo osservi orari d’apertura “umani”,nel senso che è adatto più che altro per i nottambuli, gli avvinazzati (meglio “grappati”) e i raccontaballe vari. Per gli esagerati in tutto, insomma. Sarà per una prossima volta, quando sarà. Almeno per vederlo …da fuori.

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Cambio discorso, dal momento che il racconto del viaggio non è propriamente lo scopo di questo articolo, per cui vengo subito al dunque.

Le volte  che mi capita di soggiornare in qualche città, voglio sempre conoscere il quotidiano locale maggiormente diffuso, in questo caso “Il Resto del Carlino“, per vedere come vengono informati gli indigeni. Ed è qui che scopro l’editoriale del ferrarese Vittorio Sgarbi Vittorio, conosciuto come l’ Insopportabile Sbruffone, sulla vicenda della quattordicenne musulmana rasata in testa dalla madre per non aver usato il velo. Nelle pagine interne leggo diffusamente sull’argomento, compresa l’intervista al padre, disperatamente impegnato sulla difensiva e a chiedere che la ragazza venga restituita alla propria famiglia. Se vi siete persa la notizia, facilmente la si può recuperare nella cronaca nazionale.

Di seguito vi riporto i commenti del collerico (e ansiogeno)  critico d’arte, opinionista, scrittore, personaggio televisivo,ex parlamentare, assenteista e non so cos’altro ancora.

Scritto in rosso, mi permetto di esprimere la mia modestissima opinione su alcuni passaggisforzandomi di mettere da parte la non particolare simpatia che nutro verso questo personaggio.

Genitori e figli, si è alzato il velo

 

Sgarbi Vittorio                                                                          Come deve educare un padre, e più ancora una madre, i figli? Deve lasciare loro la libertà di fare quello che vogliono? In Occidente, parzialmente, questa defezione del padre appare compiuta. Se le tradizioni hanno un senso, la imposizione del velo non è dissimile dalla decisione di un genitore cristiano di battezzare il proprio figlio appena nato.

Piero                                                                                                       Il paragone a me sembra fuori luogo. Nel significato cattolico, il battesimo viene considerato un “dono gratuito” ( tutto da pensare il significato) e una responsabilità che i genitori si prendono di far crescere cristianamente il/la proprio/a figlio/a. I motivi non sono solo questi, naturalmente. In ogni modo, rimane qualcosa di “spirituale”, nel senso di non “visibile”. Cosa diversa è il velo, indubbiamente molto evidente, specialmente nelle società occidentali, e per un’adolescente in crescita, se la cosa la si prende come un obbligo, nel confronto con i coetanei il fatto potrebbe costituire problema

Sgarbi Vittorio                                                                                  Ma qui il caso è diverso. Si discute di una punizione. L’atto censurato è di incerta definizione: una versione vuole che sia stata la madre a tagliare i capelli alla figlia perché si toglieva il velo appena uscita di casa, per poi indossarlo una volta rientrata. La preside, stimolata dagli insegnanti, informa i carabinieri che denunciano i genitori, e la Procura sottrae la ragazza alla famiglia per affidarla ai servizi sociali. Condanna eccessiva e frettolosa? La stessa vittima riferisce agli assistenti sociali di non avere subito alcuna violenza fisica, al di là della costrizione alla rasatura. Si tratterebbe dunque soprattutto di violenza psicologica. La sorella della ragazza dà un’altra versione: «Non è per il velo che è stata rasata, ma perché si era tagliata i capelli da sola e le amiche le avevano detto che non stava bene. Però non ha detto alla mamma di non rasarla, e anche la mamma era dispiaciuta nel farlo». Forse ancora una volta i magistrati hanno agito insensatamente. Con l’avallo della Boldrini che dichiara: «No alla sopraffazione». Seguono Renzi e il sindaco di Bologna che delira di «inaccettabile autoritarismo genitoriale».

Piero                                                                                            Superfluo dire che il riferimento alle dichiarazioni dei politici è strumentale. Senza voler generalizzare, la cronaca passata ci dice che reazioni di effettiva “sopraffazione” in questo campo ci son state e continuano ad esserci. Specialmente tra cittadini italiani, certo. In questo caso però si parla di appartenenti ad una cultura (civile e religiosa) che si trova a dover convivere all’interno di una più vasta cultura, che è quella con la quale si è deciso di convivere. Inevitabilmente le problematiche che ciò implica sono tante, ma è concetto diffusamente accettato  che è necessario adattarsi e rispettare le leggi civili del luogo in cui si vive. Questo non vuol dire assolutamente doversi obbligatoriamente uniformare agli usi e costumi del luogo. L’ideale da raggiungere è sempre la buona convivenza tra diverse culture, ma realisticamente parlando questo obiettivo è ancora tutto da costruire e, probabilmente, lontano da raggiungere.

Sgarbi Vittorio                                                                                  Ma non è un sopruso sottrarre la ragazza ai genitori e alla loro legittima funzione educativa? Chi di noi è stato battezzato e comunicato di sua volontà? Dovevano affidarci a strutture protette?

Piero                                                                                                    La funzione educativa primaria spetta ai genitori. Tutte le altre “agenzie” sono solo degli aiuti. Almeno così dovrebbe essere, non vivendo in un sistema totalitario e anti democratico. In questo caso specifico entrano altri fattori, dal momento che le indagini devono seguire il loro corso e ad oggi, almeno personalmente, non conosco l’evolversi provato dei fatti. Per quanto riguarda la seconda domanda, torniamo al primo punto del battesimo cristiano “imposto” a chi non è consapevole. Oggi, per chi la cosa fosse vissuta come un problema, c’è la possibilità di sbattezzarsi. Ma ripeto, il “segno” che i nostri genitori hanno deciso per noi in tenera età è prettamente “spirituale”, anche se si deve tradurre in scelte e comportamenti di vita quotidiana, che se realizzati, renderebbero sicuramente la vita migliore per tutti. Nessuna imposizione pratica quindi. L’ultima domanda con la quale Sgarbi conclude le sue considerazioni? Come da personaggio,  è messa lì per strappare l’applauso. Quindi una battuta. Così almeno credo e spero, almeno che non voglia mortificare la sua indubbia intelligenza.

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Qui finisce l’argomentare intorno alla “rasatura imposta” in terra bolognese.

Per finire, riporto una dichiarazione del nostro, o meglio loro, opinionista, riguardo alla paternità, tratta da Wikipedia:

Celibe, ha riconosciuto due figli, dichiarando in merito:

« Sono contrario alla paternità. Quella del padre non è una categoria a cui ritengo di dover appartenere. Ciò detto sono anche contrario all’aborto. Ci sono donne che hanno voluto figli da me, non io da loro perché non può esserci l’obbligo di diventare padre »

COLONIZZAZIONE LINGUISTICA FINO AL RIDICOLO

uuuuu
di Piero Murineddu
Foto grande al centro della prima pagina odierna de La Nuova Sardegna, con la didascaliona ben evidente:
“La PET THERAPY diventa cura ufficiale anche in Sardegna”
Anche se io sono un ignorantone, la grande foto è molto eloquente e mi fa pensare che in qualche modo c’entrino gli animali. Però, per essere certo, vado nella pagina interna e leggo, testualmente:
“Curare le malattie o alleviarle con una mediazione speciale, quella dei cavalli, asinelli,cani, gatti e (persino) conigli”
Ancora ancora arrivo a capire il significato di therapy, ma di “pet” non ho idea. Con qualche click vado al traduttore e immediatamente….m’illumino d’immenso: Pet = Animale domestico.
Andando avanti nella lettura dell’articolo, il nostro malinconico assessore regionale Arru dice addirittura “zooterapia”.
Insomma, non c’è mai voluto molto a capire che la vicinanza degli animali domestici migliorano l’umore, salvo quando non caghino, o peggio, piscino sopra il tappeto buono o il divano di salotto, però da oggi in poi il buon seno diventa “cura ufficiale”. D’accordo, d’accordo e ancora d’accordo. E poi, vuoi mettere la sempliciotta frasetta italianuncola “terapia dell’animale domestico” col reboante, intrigante e ancora ante ante ante PET THERAPHY? Addirittura, appena leggi questi due termini chechissàcomesipronunciano, uno si sente già meglio, si sente….
Comunque va bene, mi: si prevedono corsie di ospedali allegre, depressi risollevati, malati gravi alleviati. Cure non solo farmacologiche, m finalmente, anche “naturali”.
Intanto, un “miracolo” è già avvenuto. Per chi scorre spesso le pagine de La Nuova, gli sarà probabilmente rimasta impressa un’espressione dell’assessore regionale alla Sanità sarda sempre incupita e amareggiata, forse a causa di come funziona in Sardegna la Sanità. Ma finalmente in questa foto , vicino ad un docile cagnolone, lo vediamo quasi sorridente. Evviva! Sarà che la zooterapia, terapia dell’animale domestico o quel fuggitivo dall’Europa pet therapy funziona realmente?! Evviiiiva ! Evvivaaaaa
kkkkkkk

Laura, ristoratrice felice e artista

DOVEROSA PRECISAZIONE

di Piero Murineddu

Come probabilmente coloro non prevenuti nei miei confronti avranno dedotto, il mio intento, oltre quello di manifestare pubblicamente, e secondo me doverosamente, il mio giudizio e punto di vista riguardo alle cose che mi circondano con atteggiamento “nè da servo nè da padrone” (figuriamoci), come obiettivo, specialmente per quanto riguarda la cura della pagina FB “Sorso e Sennori – Banca della Memoria”, mi son preso l’impegno di divulgare e far conoscere , innanzitutto all’interno del nostro territorio romangino, le “eccellenze”, umane sopratutto. di chi vuole raccontarsi, con la certezza che il vissuto di ciascuno sia sempre ricco e meritevole di attenzione e di rispetto. Inevitabilmente e giustamente,uso particolare attenzione per chi coltiva qualche passione e qualche capacità artistica e letteraria. Man mano che vado avanti, mi accorgo che personaggi da approfondirne la conoscenza e da valorizzare  non appartengono solo al tempo passato. Diversi nostri contemporanei, magari senza tanti strombazzamenti e nel chiuso  dei loro silenziosi “laboratori”, portano avanti attività artigianali e artistiche che forse neanche i vicini di casa ne sono a conoscenza. Ecco, per quello che riesco a venirne a conoscenza, il mio desiderio e sforzo è quello di divulgare il loro operare . Non possiedo particolare ed eccelsa capacità di critica letteraria o artistica. Anzi, devo ammettere che se non mi si dà la spiegazione, di un quadro ultramodernista, non ne capisco un tubo. Stesso discorso per certe poesie troppo elucubrate, e certi testi che mi annoiano li metto subito da parte,compensando magari la frustrazione riprendendo in mano un Diabolik o un Tex visti e rivisti ma che non ricordo mai il finale.

Questa premessa per “giustificare” tra le mie attenzioni la persona di cui leggerete in questo articolo, tra l’altro non fatto da me ma tratto da una rivista a tiratura nazionale. Apparentemente sembrerebbe quasi che vi sia l’intento di fare pubblicità ad un’attività economica, cosa che non rientra assolutamente tra le mie furbe finalità. La persona in questione non la conosco direttamente, almeno finora. So, sempre indirettamente e non per conoscenza diretta, salvo qualche caffè consumato molto saltuariamente,che l’esercizio di ristorazione che gestisce è molto frequentato. Non dico altro. Vi lascio alla lettura,  con la certezza che capirete subito il motivo del mio interesse.

Laura Mura: le sue opere, un viaggio tra Arte e “Food”

articolo tratto da Rivista Donna – 8 marzo 2017 (senza firma)

Laura, da 22 anni nella ristorazione con l’animo artistico, valorizza ogni angolo del suo ristorante che gestisce insieme al marito con la passione sempre viva e vivace.
La sua vita è lì 24 ore su 24.
Diventa la psicologa del food dentro il suo ristorante.
Riconosce il cliente da come apre la porta, sa già i suoi gusti culinari; è difficile che Laura si confonda, il suo è un intuito micidiale: spaghetti al pomodoro o all’aragosta?.
Un’artista a 360 gradi, il ristorante per lei diventa come per il pittore la stanza dei colori.
Partendo dal food per arrivare a delle vere e proprie opere dove possiamo scoprire non solo la ristorazione, ma una libera interpretazione di un’arte che completa la sua vita. Nelle opere tutto il suo lavoro, l’ardore vivo delle sue emozioni ed un grande sogno, che coltiva ogni giorno.
I protagonisti assoluti diventano quindi la natura, i suoi colori, i sapori, le forchette, i coltelli, orpelli vari e tovagliati. Qualunque oggetto può diventare strumento per esprimere la sua vena artistica.
Una stilista Pop-Art molto innovativa. All’interno della “Risacca“, nome dato al ristorante che in origine era una camera iperbarica, troviamo a completare l’arredamento i suoi bellissimi manichini stravaganti, opere originarie e pezzi unici.

  “RivistaDonna” la ha incontrata per voi.

Buongiorno Laura, come nasce la tua ispirazione?

La mia è una  grande passione che mi accompagna sin da piccola, il desiderio di creare arte sempre e ovunque mi trovi.
Ho sempre dovuto mettere un po  da parte questa mia attitudine,  per il senso del dovere nel  mio lavoro;un lavoro di grandi sacrifici e rinunce , una vita dedicata alla famiglia e al ristorante.

Come nasce il collegamento tra arte e ristorazione?

 Nasce dal binomio tra la passione per il “food” e la voglia di creare delle opere d’arte che hanno il “sapore” di ciò che offro.

Descrivici la tua opera preferita.

Sono tante le opere a cui sono legata, ma la più significativa per me rimane sempre la prima, a cui ho dato il nome di “Guerre Stellari“.
Un’opera concepita completamente con coltelli rivolti verso il cielo, come ad invocare una “forza”, la mia forza; quella che dimostro ogni giorno.
Il cappello è esclusivamente composto da cucchiaini e il vestito di sole posate.

L'opera "Guerre Stellari".

L’opera “Guerre Stellari”.

 Parlaci delle altre tue altre opere.
Dalla natura prendo tutto e creo.
Nelle mie opere la natura c’è: i colori sono importantissimi per me; ho concepito un’opera intitolata “Le Quattro Stagioni”, ispirata totalmente ai giardini che circondano il mio ristorante.
Abbiamo anche un’opera itinerante che viaggia a bordo della nostra “barca-ristorante”, un’opera di raso e altri tessuti che esprime uno sbocciare di colori tra verde, rosa e rosso che ha come elemento portante i fiori, protagonisti dell’opera, completati da un bellissimo cappello da cuoco.
Una altra mia creazione vede protagonisti il bianco ed il celeste, colori della nostra squadra di Sorso.
Quest’ “abito”   avvolge un manichino, vestendolo con questi due colori che richiamano anche  il bellissimo nostro mare e la serenità.
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Quanti ristoranti gestisci e tra loro quale è la punta di diamante.

Il nostro primo ristorante è “La Risacca“, che in origine era una camera iperbarica e che negli anni, con duro lavoro e sacrificio, abbiamo restaurato completamente e trasformato in un azienda di eccellente livello.
Il secondo è “Lo Scoglio Lungo“, che si trova a Porto Torres.

Uno scorcio di Marina di Sorso

Uno scorcio di Marina di Sorso

Inoltre abbiamo una “Barca-ristorante“, che circumnaviga la Sardegna e le sue bellissime acque, offrendo un‘atmosfera romantica e servendo a bordo un menù a base di pesce fresco per tutta l’estate.
Sono diversi i servizi all’interno della barca, e ovviamente personalizzabili ed adattabili alle richieste del cliente.

Spiegaci la psicologia che utilzzi per ciascun cliente.

Essendo nata nella ristorazione posso dire oggi di riuscire a riconoscere il cliente dal momenti in cui varca la soglia del ristorante, quando tocca la maniglia della porta.
Questa caratteristica fa un pò sorridere tutti i coponemti della mia famiglia, perchè non sbaglio un colpo!
So riconoscere intuitivamente le richieste ed i gusti del cliente, se ordinerà uno spaghetto al pomodoro o uno spaghetto all’astice e così via.
Chiaramente è molto difficile, nonostante il mio intuito, gestire il cliente ed accontentarlo in ogni sua richiesta.
Spesso tutto ciò richiede molto tatto, pazienza e delicatezza, ma il risultato non delude mai.
La sinergia lavorativa con mio marito è reciproca, e  ciò mi consente di dare il mio meglio sul lavoro.
 

Quante rinunce e sacrifici in un lavoro come il tuo?

Tantissime rinunce e sacrifici.
La mia casa ormai è il ristorante, gestiamo 50 dipendenti e sono 24 ore al lavoro, insieme a mio marito.
Tutto questo l’ ho potuto realizzare perchè per me questa è la felicità e da tantissime soddisfazioni.
Ora ancor di più dal momento in cui sono riuscita ad esprimere la mia arte che per molto tempo ho dovuto mettere in secondo piano.
E’ bellissimo poter dar sfogo alla mia vena artistica a “casa” mia.
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Raccontaci il tuo sogno nel cassetto.

Ho diversi sogni nel cassetto: tutto ciò che mi mette allegria, tutto ciò che è creare e potermi esprimere.