Francescone e il suo carcadè contro il bruciore di stomaco

di Piero Murineddu

“Com’erano i rapporti con tuo padre’” chiede l’intervistatore. “Poca roba. Era un tipo taciturno. Era stato in un campo di concentramento ma di questo preferiva non parlarne. Non è mai venuto ad un mio concerto, e del mio successo se n’è sempre fregato”. E’ un passaggio dell’intervista che Guccini ha rilasciato nei giorni scorsi ad un giornalista di “Repubblica”. Settantasett’anni lo scorso 14 giugno, lo stesso giorno in cui è nato il “Che”, che Francesco ha cantato in almeno due suoi brani.

E’ il primo dell’anno quest’oggi. Siamo a metà mattina e dalla strada non sale nessun rumore. Dopo il mio atteso caffè, “corretto” con un piccolo frammento di cioccolato, son sceso a pulire la stufa alla mia vecchia suocera e le ho scaldato il latte. Tutto fatto con la massima calma e cura.

I cani. Si, loro pretendevano la mia attenzione, ma voglia di dedicarmi a loro neanche a parlarne. Una carezza a ciascuno è stata più che sufficiente.

Ieri sera tardi son stato molto bene. Oltre le mie musiche rilassanti, mi ha fatto piacevolissima compagnia leggere due interviste che il vecchio Guccio ha rilasciato a distanza di dieci anni una dall’altra. Festeggiamenti di fine anno? No, non sono il tipo. Una volta non era cosa rara che fossi io stesso ad organizzarli, in campagna o in qualche casa privata. Ora vi sono anche queste attrazioni di grandi nomi che riempiono le fredde piazze serali di San Silvestro, ma, appunto specialmente per il freddo, non sono cose che mi attirano. Una volta ci ho provato, ma per la sguaiata e festaiola calca umana son stato costretto a far visita all’ambulanza soccorritrice, per cui…….

Non è più tempo per me  fare  cose per costrizione e non ho da rispondere a nessuno di certe mie scelte, per quanto possano apparire “strambe” a certuni molto perfettini e ben integrati nel vivere sociale.  Con mia moglie Giovanna abbiamo raggiunto un equilibrio anche in questo. Lei e nostra  figlia da amici per festeggiare, con buona pace per tutti.

Dicevo delle due interviste al vecchio e caro Francesco. Diciasette anni che vive in un paesetto tra gli Appennini. Di prendere in mano  chitarra in mano manco a parlarne, dopo averlo fatto, con passione e fruttuosamente, per un’intera vita. Ora scrive con l’obiettivo di mettere insieme dei libri, l’impegno che lo assorbe maggiormente. Leggere è parecchio che non lo fa, a parte qualche quotidiano che gli porta giù dal basso un vecchio amico d’infanzia che legge  – pensate un po’ – “Il Giornale“. A proposito, chissà se è ancora vivo e se continuano a far finta di bisticciare……

Quel bruciore allo stomaco lo disturba, ma cerca si attenuarlo con una tisana di carcadè, che sembra faccia effetto. Lo immagino impoltronato davanti al caminetto con la fiamma bella viva, accarezzando l’affezionato e discreto gatto, rispondendo alle telefonate degli amici e col taccuino vicino, pronto ad annotare qualche concetto che gli viene in mente e che potrebbe sviluppare meglio al momento opportuno.

Poca roba” il rapporto col babbo, come leggerete nell’intervista dei giorni scorsi. Più affettuosa la madre, come capita il più delle volte, ma anche a lei, del successo del figlio non è che importasse granchè. Mentre i suoi concerti iniziavano ad attirare folle di tutte le età, ai genitori sicuramente importava molto di più vedere il proprio figliolone sereno, in salute e possibilmente felice. Quello che alla fine interessa. E noi genitori lo sappiamo bene, almeno quelli che  in prima persona hanno praticato e  considerato  certi valori più importanti ed essenziali.

Tanti passaggi di queste due interviste che mi fanno sentire Francesco ancora più vicino di quanto l’ho sempre sentito attraverso ciò che ha cantato. Leggile con attenzione. Sono certo che ne trarrai giovamento. Intanto per questo nuovo anno che si avvia ti auguro principalmente buona salute fisica. E anche mentale. Non è cosa semplice oggi riuscire a conservare uno stabile  e sano equilibrio, con  la violenza e l’aggressività nei rapporti che stanno rischiando di prevalere sul rispetto e la fiducia che si deve al prossimo, e di conseguenza a se stessi.

Buon anno, di pace e di lotta

 

ps Bisogna che ricordi di procurarmi questo carcadè……..

 

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«Bisogna resistere alle tentazioni inutili e dispersive, al degrado, allo svuotamento”

intervista di Antonio Gnoli  per “La Repubblica” del 31 dicembre 2017

Gli ultimi fuochi sono quelli che bruciano più lentamente.
Ricordo a Francesco Guccini un paio di nostri incontri persi nel passato. Ha l’aria svagata. E bruciori di stomaco che attenua con il carcadè: «Bevanda coloniale», ironizza. Come il chinotto, aggiungo. Siamo in cucina. Nella sua casa. A Pavana. Siamo alla fine di una storia. «Dove ci siamo visti?», chiede. Gli cito le occasioni e i luoghi. «Ah», fa lui e accarezza il gatto con svogliata tenerezza. È cortese, un po’ assente: «Sono tre mesi che non fumo e dieci anni che non leggo», dice trattenendo
un’imprecazione. Pavana mi sembra lo sputo di un angelo tra due ali di Appennini.

Perché hai scelto di ritirarti a vivere qui?

«È l’ultimo luogo della mia resistenza: un paese che è stato infanzia e sogno, durezza e forza. Mi sembrava appropriato sceglierlo come il punto di approdo di tutta una vita».

Parli di resistenza, ma in che senso?

«Bisogna resistere: alle tentazioni inutili e dispersive; al degrado; allo svuotamento. Ma non sono qui per espiare, sono qui per testimoniare che è ancora possibile scegliersi una vita a misura».

Il rapporto con il paese com’è?

«Direi buono: nessun assillo, nessuna pretesa di eleggermi a gloria locale. Un tempo, all’inizio del Novecento, qui vivevano settemila persone, ne sono rimaste poco meno di millecinquecento. Il paese si è svuotato. Pochi giovani. Pochi sogni. Poche prospettive. Un tempo qui venivano a villeggiare. Oggi la gente si vergogna di posti così. La cosa più desolante è il fiume qui sotto. Era pieno di vita; ma oggi non ci va più nessuno. Ma lui se ne frega e continua a scorrere lento. C’è solo un airone cinerino che ogni tanto vola a pelo e poi si pianta in mezzo. Impalato nell’acqua, come un assurdo segnale di tristezza».

Sei nato a Pavana?

«No, i miei nonni ci vivevano. Sono nato a Modena. L’estate venivamo qui a villeggiare. A Modena sono rimasto fino a vent’anni. Nel 1960 ci trasferimmo a Bologna. Mio padre che era impiegato alle poste approfittò di un’offerta di lavoro. E portò la famiglia con sé».

Come erano i rapporti con tuo padre?

«Poca roba. Era stato in un campo di concentramento a Ravensbrück vicino ad Amburgo. Non amava parlarne. Seppi in seguito che con lui c’erano stati Giovanni Guareschi e Gian Enrico Tedeschi. Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo».

Anche la vita del cantante?

«Mi ha sorpreso quando accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Io non l’ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo».

Anche tua madre stessa linea di comportamento?

«Meno drastica. Lei una volta venne a sentirmi cantare. Mi esibivo a Porretta Terme, a pochi chilometri da qui. Nessun commento, nessuna emozione».

Quando hai cominciato a cantare?

«Mi pare nel 1964, o giù di lì. Fu il mio primo contratto di centomila lire al mese. Ora mi viene in mente l’unico commento di mio padre: quanto durerà? Sai, era un uomo abituato a dare del voi a mia nonna. La mia musica non era il suo mondo».

 

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Da Guccini, incontro con il militante della musica

 

di Maurizio Corte    da “Bresciaoggi.it” del 3 ottobre 2010

Pavana è una manciata di case arroccate su un tornante della statale Porrettana. Frazione del Comune di Sambuca, provincia di Pistoia. Appennino a metà strada tra Bologna e Firenze. Un chilometro prima dell’abitato, sulla sinistra, si apre una stradina schiacciata tra i castagni e un muretto in pietra: porta a fondo valle, dove scorre il torrente Limentra. Accanto c’è il vecchio mulino della famiglia Guccini, il Mulino di Chiccon, oggi riconvertito a bed and breakfast.

Proseguendo sulla Porrettana, al civico 86 oltre un cancello verde, c’è un viottolo che scende al cortile di una casa in pietra, grande, squadrata. Francesco Guccini, scrittore e cantautore, da 10 anni vive rintanato qui. Ha lasciato la casa di Bologna, in via Paolo Fabbri 43, ed è tornato alle radici: sui monti dell’infanzia e nella casa dei bisnonni tra castagni, torrenti e prati d’erba spagna.

Dentro casa, mobili in legno semplici. Sul tavolo della cucina libri, riviste e vecchi numeri di Tex Willer. Sul lato, un frigorifero stile anni Cinquanta. Sul fondo un grande camino in pietra, con sopra una foto in bianco e nero di un concerto, anni Settanta o giù di lì. Dalla cappa, vecchie pentole in rame. Sparpagliati intorno, gli oggetti del vivere montanaro quotidiano. L’unica traccia di modernità, un televisore Lcd.

Tra uno squillo e l’altro del telefono, Guccini dà udienza all’insistenza della gatta Paolina (“è una trovatella”). L’umore? Appannato da un pomeriggio bigio e nebbioso. Ancora velato dalla scomparsa dell’inseparabile Renzo Fantini, amico fraterno prima ancora che manager e factotum.

Il calendario srotola le sue scadenze: il 2010 per il cantautore modenese ha scandito i 70 rintocchi. Guccini ha compiuto gli anni il 14 giugno, lo stesso giorno di Che Guevara. “Invecchiare? Una grande rottura di palle”, sorride accendendosi una Marlboro Light. “D’altra parte, invecchiare è l’unico modo per non morire giovani. Se avessi trent’anni di meno sarei più felice, tutto sommato. Bisogna accontentarsi di quello che si ha. Mi ritrovo ancora a lavorare. Avrei voluto andare in pensione trent’anni fa. E invece sono ancora qua a salire sul palco per fare concerti”.

Il Guccini bambino sarebbe stato fiero del Guccini maturo, ancora acclamato nei concerti e scrittore con un suo pubblico? “Da bambino non ci pensavo mica. Ma neanche a vent’anni o a trenta. Non avevo idea, ad esempio, che avrei fatto il cantautore. Assolutamente. Volevo fare lo scrittore. Ma neanche lì avevo un progetto preciso. Era un’immagine vaga. Siccome sono sempre stato molto realistico, pensavo di fare l’insegnante. O il giornalista, mestiere che per un certo tempo ho fatto”.

E invece eccolo “burattinaio di parole”, come si definisce in una canzone. Oggi le giornate sono meno ritmate dal suono della chitarra e sempre più scandite dalla lettura e dalla scrittura. “A Pavana la sera non c’è niente da fare, non si tira tardi”, racconta. “Gli amici sono invecchiati e qualcuno se n’è andato. Non si fa notte fonda, ma mi alzo tardi lo stesso. Poi al pomeriggio, lavoro: scrivo, leggo, ho questo nuovo giallo con Loriano Macchiavelli. Diciamo che amo più mettermi a leggere, che a suonare. Quand’ero a Bologna, tutte le sere si era a far baracca con la chitarra. Era un’atmosfera diversa”.

A Bologna, per dirla con i versi dedicati a Guccini da Roberto Vecchioni, “la rabbia la scandiva soltanto la Locomotiva”, la canzone sull’anarchico ferroviere. Una canzone che Guccini ripropone alla fine di ogni concerto, e che fu il manifesto di una generazione di contestatori. Poi anche a Guccini ebbe una contestazione. Una soltanto: “Ricordo che fu a Verona, nel 1976, dove dovevo fare tre serate. A un concerto al Teatro Laboratorio c’era gente che voleva entrare e non c’era posto. Così, la sera dopo, mi affrontarono lanciando del pattume, fuori del teatro. Io avanzai verso di loro, i contestatori indietreggiarono e insomma finì tutto lì”.

Erano gli anni dell’Avvelenata, delle invettive contro i colleghi cantautori “eletta schiera”. Oggi sono un ricordo le serate bolognesi all’osteria delle Dame, il tempio del folk e del rock, dove si potevano incontrare Claudio Lolli, Lucio Dalla, Deborah Kooperman. Ma cosa rimane di quelle frequentazioni? “Ultimamente ho avuto contatti con Ligabue e con Zucchero. Ci siamo visti di recente, sono venuti qua su a trovarmi. E sono stato al compleanno di Ligabue a Reggio”.

Ma c’è qualche legame che ha sconfitto i decenni. Il telefono trilla di nuovo. “Ohé, Sergio”, il sorriso di Guccini finalmente si apre. “Ma a Firenze piove o c’è il sole? Come ti va?… Tiri avanti?… Lo so, non è un bel momento. Hai intenzione di andare da qualche parte?… No, guarda neanch’io”. La telefonata termina. “Ciao, caro Sergione”. “Era Sergio Staino”; spiega Guccini, “compie gli anni sei giorni prima di me. Anche lui è del ’40”.

Sul tavolo della cucina spunta una copia di Radici, album “pietra miliare” della canzone d’autore italiana, datato 1972. In copertina la foto sgranata degli “avi”, con la bisnonna di Guccini, Maria, sorella della bisnonna di Enzo Biagi. Vien da chiedersi: ma questa costante ricerca delle radici c’entra qualcosa con certe posizioni della Lega? “Beh, è un po’ diverso. Il mio non è campanilismo”, risponde Guccini. “Io cercavo le radici in un momento in cui tutti volevano fare tabula rasa di tutto. Sono legato a questo posto dove vivo, a questo paese, ma rabbrividisco quando sento dire che ci sono troppi extracomunitari. Ma perché? Noi siamo stati i primi extracomunitari del mondo occidentale. Qui a Pavana non c’era nessuna famiglia che in casa non avesse avuto qualche emigrato: Stati Uniti, Francia, Svizzera, Belgio, Germania. E poi: insegnare il dialetto a scuola? Ma quale dialetto? Io ho fatto il vocabolario di dialetto pavanese. Ho tradotto dal latino al dialetto pavanese tre commedie di Plauto. Quindi sono affezionato a certe cose, ma mai mi verrebbe in testa di insegnare il dialetto a scuola. Ma quale dialetto? Come si fa? È talmente volatile”.

Ma quassù nel cuore dell’Appennino giungono gli echi del mondo? “Leggo i giornali”, dice Guccini, “ho un amico che ogni giorno va all’edicola, da qua dista un chilometro e io non ho la macchina. Compera per sé Il Giornale, e per me La Repubblica, Il Fatto e L’Unità. Discutiamo, facciamo finta di bisticciare. Ma siamo amici d’infanzia. La situazione oggi in Italia? Non mi rende certo felice. C’è una crisi profonda, anche morale. Non succede niente, per il momento non se ne va fuori. Ma la speranza è l’ultima a morire. Si tira avanti. Staremo a vedere che succede. Per il momento aspetto che torni la buona stagione”.

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Di seguito, due video dove Francesco parla di papa Bergoglio e di un frate da lui conosciuto. E’ sempre un vero piacere ascoltarlo.

Francescone e il suo carcadè contro il bruciore di stomacoultima modifica: 2018-01-01T09:08:19+01:00da piero-murineddu
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