Autore archivio: piero-murineddu

Incontri che ti portano alla meschina realtà

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di Piero Murineddu

Bellissimo questo parco attrezzato che abbiamo la fortuna di avere a pochi chilometri da Sorso. Ci puoi andare per far giocare i tuoi figli, oppure per leggere o studiare come ho fatto io questo pomeriggio, cercando il tavolo più isolato e distante dal felice e gioioso schiamazzo dei bambini; puoi andare a percorrere il camminamento in legno lungo il silenzioso e rilassante stagno, allietato dalla visione di uccelli che svolazzano rasentando la superficie dell’acqua. Un incanto, se non fosse il malcapitato e grazie a Dio sfuggevole incontro con una compaesana: “Ascolta, tu che sei di “Di ra toia“……….” – “No, veramente dico la mia ma in altro luogo….” – “E va bene, è lo stesso. Bisogna dire che ogni volta che vengo a camminare qui, ad un certo punto mi trovo davanti una trumadda di nieddhi chi….” – “Oh, caspita. E’ una cosa che mi fa molto piacere. Ma sai che mi hai fatto venire il buonumore?” – ” Ah, per l’integrazione sei….”. L’intervento di un signore che chiede informazioni mi libera da una situazione che non so come poteva finire. Dicevo, abbiamo un paradiso a due passi da casa, peccato che……

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Malcapitatincontri

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di Piero Murineddu

Bellissimo questo parco attrezzato che abbiamo la fortuna di avere a pochi chilometri da Sorso. Ci puoi andare per far giocare i tuoi figli, oppure per leggere o studiare come ho fatto io questo pomeriggio, cercando il tavolo più isolato e distante dal felice e gioioso schiamazzo dei bambini; puoi andare a percorrere il camminamento in legno lungo il silenzioso e rilassante stagno, allietato dalla visione di uccelli che svolazzano rasentando la superficie dell’acqua. Un incanto, se non fosse il malcapitato e grazie a Dio sfuggevole incontro con una compaesana:

Ascolta, tu che sei di “Di ra toia”……….” 

“No, veramente dico la mia ma in altro luogo….” 

“E va bene, è lo stesso. Bisogna dire che ogni volta che vengo a camminare qui, ad un certo punto mi trovo davanti una trumadda di nieddhi chi….” 

“Oh, caspita. E’ una cosa che mi fa molto piacere. Ma sai che mi hai fatto venire il buonumore?”

” Ah, per l’integrazione sei….”

L’intervento di un signore che chiede informazioni mi libera da una situazione che non so come poteva finire.

Dicevo, abbiamo un paradiso a due passi da casa, peccato che……

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BUON COMPLEANNO GIOVA’

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di Piero Murineddu

Inevitabile e normalissima apprensione, insieme ad ansiosa e gioiosa attesa quando i tuoi genitori aspettavano la nascita del loro primo figlio. Col tempo ti hanno aiutato a crescere nel modo migliore che a loro è stato possibile, come un padre e ancor di più una madre si sforzano di fare nel seguire momento dopo momento e giorno dopo giorno il frutto del loro amore, nello sforzo di farlo arrivare a piena maturazione. Hai acquisito tante capacità nei tuoi anni terreni, e nella relazione con gli altri e con la vita stessa hai capito che, stringi stringi, l’obiettivo primo dei giorni che ci son dati da vivere è contribuire a costruire un mondo migliore, in quello che possiamo fare. Tanti di noi possono testimoniare che tu questo sforzo lo hai fatto, e di questo ti ringraziamo. 

LA SPENSIERATA E SANA ALLEGRIA DI UN TEMPO

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di Piero Murineddu

Mare splendido stamattina. Ancora piacevoli giornate di un’estate che non vuole saperne di lasciare il passo alla malinconica stagione autunnale. Certo, le piogge continuano a farsi desiderare, gl’invasi sono in paziente attesa di essere riempiti e l’acqua dai rubinetti notturni vien fuori timidamente, ma – ammettiamolo – il tepore diquesti giorni aiuta il buon umore e incoraggia le passeggiate. Per me specialmente quelle mattiniere, quando la frenesia delle cose da fare non ha ancora preso il sopravvento, e il farlo lungo la spiaggia col sottofondo discreto della leggera risacca aggiunge valore e piacevolezza.

Se poi vedi quello che nelle intenzioni potrebbe essere una capanna di pastori o più verosimilmente una catastella di legna che si prepara a diventare un piccolo falò notturno, allora il piacere del momento è triplicato. Ti siedi davanti e il ricordo va agli anni giovanili, quando più volte cogli amici ci si ritrovava intorno al fuoco scoppiettante, a formare i pochi accordi sulla tastiera della sei corde e squarciagolare insieme le intramontabili canzoni di Battisti, infischiandocene bellamente che ai tempi venisse considerato mezzo fascistoide perché non partecipava alle lotte di classe componendo canzoni “impegnate”. Il ” plaid” proteggeva le coppiette dall’umidità delle ore notturne e creava la sufficiente intimità per le sacre effusioni adolescenziali. Qualcuno esagerava “sorseggiando” troppo frequentemente il paglierino e spumeggiante liquido con marchio “Ichnusa”, ma il tempo di “strafarsi” con porcherie di ogni genere non era ancora arrivato, e la spensierata e sana allegria era ancora possibile. Oggi non so. Me lo auguro.

UN POMERIGGIO PIENO D’ARMONIA

 

 

francesco e Maddalena

di Piero Muriineddu

“L’Avru” è una frazioncina a quattro chilometri da Viddalba (SS), quasi cinquecento metri sul livello del mare, lungo una stradetta asfaltata che s’inerpica fino alla chiesetta dedicata a San Gavino, dove il primo maggio vi si svolge una partecipatissima festa, insieme ad un’altra più “intima” nel mese di settembre.

A L’Avru ci trascorrono la vita quattordici persone. Maddalena e il fratello Pancrazio vivono proprio nella casa dove Sebastiano Tansu, detto “il Muto di Gallura”, andava a trovare la giovane Gavina di cui si era perdutamente invaghito, ma il cui amore fu ferocemente contrastato, cosa che portò il giovane muto a darsi alla macchia e a commettere diversi omicidi. Tutta la storia romanzata è narrata da Enrico Costa nel suo libro del 1884. Per chi lo desidera, l’intero volume è scaricabile su

https://fedirdonald.firebaseapp.com/il-muto-di-gallura-B00C

E’ qui che domenica scorsa, insieme al mio amico Giuseppe, abbiamo portato il novantaquattrenne di Sennori FRANCESCO FERINO, ospite in un istituto per anziani che si trova a Valledoria, ex Codaruina. Armato di videocamera, quel pomeriggio il mio intento era di filmare il racconto della vita di Francesco, costruttore di modellini in legno fedelissimi alla realtà, poeta ed instancabile “scrittore”, magari non precisamente corretto grammaticalmente, ma descrittore di profondi e nobilissimi sentimenti e concetti, tutti raccolti da libriccini da lui stesso battuti a macchina e letteralmente costruiti, per poi farne copie e distribuirli alle persone che mostrano interesse al suo sforzo “letterario”. Ve ne parlerò dettagliatamente in seguito.

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L’Avru, dicevo, dove l’amico Giuseppe si è voluto fermare per vedere appunto la casa legata al bandito muto. Ad accoglierci con tutta la cordialità possibile è stata Maddalena, mai sposatasi e vivente qui dalla nascita. Dopo non molto è sbucato il fratello Pancrazio, anche lui rimasto celibe. La conversazione è stata naturale e piacevolissima, in modo particolare tra Francesco e Maddalena. Riempie il cuore vedere due vecchi che si parlano semplicemente, come se si conoscessero da sempre.

Pancrazio mi dice che diverse volte veniva a Sorso per vendere il carbone che produceva coi familiari. La comunicazione del fratello e della sorella avviene esclusivamente in gallurese, per cui non c’è nessuna difficoltà a capirci. L’essere immersi nella natura con lo sguardo che porta lontano fino al mare, dopo aver attraversato distese infinite di lussureggiante vegetazione, agevola il reciproco ascolto e ci aiuta a godere dell’armonia e della vicinanza umana, così difficili da riscontrare nella normale e spesso ripetitiva quotidianità.

Ci siamo salutati con molto calore e con la speranza di poterci rivedere presto e in salute.

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Quello che Francesco mostra a Giuseppe è uno dei numerosissimi modellini che ha realizzato nelle lunghe ore trascorse all’interno del garage adibito a laboratorio nella sua casa a Sennori.

Attrezzi di ogni specie, della Civiltà Contadina della sua giovinezza ma anche miniature di monumenti, utensili casalinghi e giocattoli di ogni tipo. Gli scalpellini per intagliare il legno non gli mancavano, ma per le rifiniture aveva il suo preziosissimo coltellino sempre ben affilato.

Il prossimo 23 dicembre Francesco compie 94 anni, e dopo aver perso la moglie qualche anno fa, la sistemazione in un istituto di Valledoria gli va ottimamente. Per la passione che continua ad avere per la scrittura, gli è stata data una sistemazione che gli consente la tranquillità necessaria per riportare su fogli che lui stesso batte a macchina, pensieri, ricordi della sua lunga vita e versi poetici.

È un uomo semplice e affabile Francesco, e volergli subito bene non è difficile. La prima cosa che ha fatto appena mi ha visto il giorno in cui ci siamo conosciuti, è stata quella di mettermi tra le mani una busta contenente uno dei libriccini da lui scritti, in cui parla di quella che da non molto tempo è diventata la sua nuova casa. Mi dice l’amico Giuseppe che spesso lo chiama per telefono, assicurandogli che la stesura del nuovo libretto procede.La creatività di Francesco è sempre viva.

AH, QUEL CAFFÈ DA 1,20 CENT SORSEGGIATO DAVANTI ALLA TORRE DI L’ISTHINTINI!

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di Piero P. Murineddu

Praticamente, i bagni che non ho fatto durante tutta l’estate, ho “rischiato” di recuperarli oggi, quattro ottobre.

Piè, cosa dici….a ci prepariamo un panino e appena torni dal lavoro ce ne andiamo a Stintino?” , mi messaggia mia moglie.  “Aiò…”,le rispondo
Alle tre eravamo davanti allo splendido mare della “Pelosa“.

I parcheggi (dal primo ottobre gratuiti) zeppi di macchine. Nella spiaggia e in acqua vocìo di bagnanti come in piena stagione estiva. Naturalmente quasi tutti turisti, ma anche accenti sardi, specialmente appoggiati al bancone del bar dove il caffè da asporto mi è costato appena venti centesimi oltre il solito euro. Ma vuoi mettere gustarselo piano piano sdraiato davanti alla solita torre, il piedino che tocca timidamente e incredulo l’acqua, con Ciuffo piacevolmente impozzangherato in una piccola conca nella roccia, la moglie che sorridente e allegra si fa la passeggiata in mezzo all’acqua che le arriva all’ombelico, e davanti una pescatrice imbikinata ultra settantenne che lancia e rilancia la sua lenza con l’inutile speranza che qualche pesciolino abbocchi?

Altro che starsene a pennichellare sul divano di casa! Ma se il tempo continua a “reggere” così, in questo autunno mi rifaccio delle mancate andate al mare estive, e chissà che ci scappi anche il bagnetto con pinne e maschera.

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Vittorino Pinna, cestaio e grande umanità

di Piero Murineddu

Quando dalla parte alta di Sennori devi scendertene a Sorso e per qualsiasi motivo hai bisogno di attraversare il centro storico del paese, è facile, nei pressi della chiesetta del Rosario, vedere di fronte alla sua casa un uomo ben barbuto intento a costruire pazientemente e con grande passione, che poco fa trasparire dalla sua seria espressione del volto, i suoi cugnoli, intrecciati prevalentemente coi polloni ancora freschi di ulivo, preferibilmente selvatico.

Finalmente decido di fermarmi:”Buongiorno. Mi scusi, ma vedere una persona con questa  folta barba tutta intenta a creare qualcosa di sicuramente bello con le mani, mi ha attirato. Cosa dice, voglia ne ha di scambiare due parole?” – “Eccome no! Anzi, mi fa proprio piacere. Si accomodi dentro che le faccio vedere le mie….. creaturine”

L’impatto è molto incoraggiante e l’entrare nella stanza d’ingresso trasformata in laboratorio è per me una vera sorpresa. Cestini di tutte le misure, anfore la cui materia prima è il fieno “marino” e, naturalmente, gl’immancabili cugnoli che dicevo prima, quei contenitori che per chi nei tempi passati faceva  vita di campagna, era impensabile non portarsene uno appresso, sia la mattina per metter dentro l’aunzu e il fiaschetto di quello buono,  e alla sera, dopo una giornata di sfiancante fatica, rientrare a casa  colmo di bei grossi fichi, di grosse mele “miàli” o di gustosissimi grappoli di “moscatello”.

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Vittorino Pinna è nato a Sorso il cinque settembre de ’41 da Antonietta Razzu, passata a miglior vita oltre una trentina d’anni fa,  e babbo Salvatore, che ha concluso la sua vita ospite in una casa per anziani a Bonorva. Tra i vari parenti, figura anche un ex sindaco sussincu. Nato e cresciuto in quella viuzza senza uscita e senza nome che a Sorso si trova di fronte al Palazzo Baronale e che il tempo non ha alterato il suo aspetto esteriore. Come tutti nella zona, infanzia trascorsa nel patio del comune a giocare a palline di vetro e a cuacuèdda, scambiare giornaletti, tirare calci al pallone e azzuffarsi “amichevolmente” coi coetanei.

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In fondo alla “strinta” sono ancora visibili i portoni delle stalle che mamma Antonietta affittava

 

A nove anni, per conto del fornaio Catta, inizia a rifornire di pane i negozi:“Abesumeu è pa ghissu chi no n’aggiu immannaddu assai, achì lu pesu di lu moiu in cabbu m’abbasciaba…”. In effetti, per un ragazzetto di quell’età, non era cosa piacevole trasportare chili di pane tondo da via Umberto al negozietto d’alimentari nei pressi della stazione ferroviaria. Fino a 17 anni Vittorino ha fatto il panettiere da Antonino Catta, forno passato poi a Mario Pala, di cui Vittorino era collega negli anni giovanili.  Nel 1966 ha sposato la sennorese Baingia Maria Fois ed è andato a vivere nel di lei paese. Dopo ben trentacinque anni preparando e infornando pane tra Sorso, Sennori, Porto Torres e Valledoria, decide di lasciare. Avendo nel frattempo avuto diversi figli, è chiaro che il tipo di lavoro non gli permetteva di condurre una vita serena, col riposo necessario a riacquistare energie sufficienti per tirare avanti. Questo succedeva specialmente nelle nottate estive di festa, quando proprio di fronte a casa sua veniva piazzato il camion o il palco per l’esibizione dei “complessi” o  dei cantadores a chiterra. Il poetare estemporaneo in sardo era più discreto, ma il movimento degli umani era ugualmente chiassoso, e per lui che iniziava il lavoro a mezzanotte,la cosa diventava sempre più insostenibile Se era riuscito a dormire durante il giorno era bene per lui, altrimenti….

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Ad un certo punto Vittorino capisce che così non poteva continuare. Inizia così a dedicarsi alla campagna , e guardando da uno e dall’altro, impara il mestiere di potatore. Vigna, frutteti, giardinaggio vario e sopratutto  piante d’ulivo. Non passa molto tempo che,  grazie all’impegno messoci, Vittorino diviene  bravo e richiesto. Con l’età che avanza, arrivano anche i problemi di salute, di circolazione del sangue specialmente, motivo per il quale ha dovuto subìre diversi interventi chirurgici. In queste condizioni, il lavoro di campagna che amava l’ha dovuto interrompere, ed è  questo che lo porta ad intraprendere l’attività di cestaio, imparato osservando da ragazzino il proprio genitore. Prima o seconda elementare. Al termine dell’orario scolastico babbo Salvatore lo portava con se in campagna per fare scorta di ribuddi, i polloni di ulivo. Al ritorno a casa, “prima li puri be’ e dabboi andi a giuggà”, si sentiva dire il preadolescentino Vittorino. Vedere il lavoro che svolgeva il padre, al simpatico Vittorino  è venuto utile una volta andato in pensione, undici anni fa circa..Da allora, spesso in compagnia della moglie, espertissima e da sempre impegnata nel costruire grosse anfore e corbule di diverse dimensioni, il sorsinco  “emigrato” a Sennori trascorre le sue giornate intrecciando ramettini per ottenere solidi contenitori di pura materia naturale. Oltre i polloni d’ulivo, apprendo che anche quelli di melograno e di susino sono ottimi allo scopo, dando all’insieme varietà cromatica.

 

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Contentissimo di aver conosciuto Vittorino, uno dei rari sorsichi che riesce a parlare in modo accettabile il sennorese (“ma con mia moglie parlo sempre in sussincu”) e aver ammirato da distanza ravvicinata questa bella barba (“a Natale sono tre anni e cinque mesi che non la taglio”). Il poco uso della lametta Vittorino se lo porta dietro da parecchio tempo, e queste due foto di diverse epoche lo dimostrano….

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…….pur tuttavia, che dietro tutta questa peluria vi sia il viso di un bell’uomo lo sta a dimostrare quest’altra foto di gioventù….

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Ma al di là dell’aspetto esteriore, a me Vittorino è apparsa una gran bella persona. Sarà per me sempre un piacere fermarmi con lui e  raccontarci, senza fretta alcuna e con reciproca confidenza, le cose della vita, quelle piacevoli e quelle meno piacevoli, i motivi che ci hanno procurato gioia e quegli altri, spesso inevitabili e probabilmente più numerosi, che ci hanno provocato dispiaceri e fors’anche sofferenze. Ci ascolteremo con piacere, sforzandoci di capirci e di non giudicarci. Un incontro tra persone, semplicemente tra persone, con pregi e difetti. Come tutti, del resto.

Grazie Vittorino

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Angelino & Fraddèddi Roggio Trio, quella chitarra appesa al muro e quel problemino sullo scrivere in sardo

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di Piero  Petro Murineddu

Tutti avanti negli anni, ma ancora vivi e vegeti, tranne Angelo Maria, mastrellàscia e suonatore di mandolino. Una vita trascorsa in Corsica Agnuru Maria, come il fratello Michelangelo, batterista e di mestiere a me ignoto. Il terzo dei Roggio, Paolino, continua a trascorrere le sue giornate a Sorso, ricordando e raccontando alla sua nipotina – poetessa in erba e probabilmente ad altri che non conosco – il suo passato di musicante per passione e sarto di “facultài”, oltre trasmetterle il vasto sapere delle cose del mondo.

Il quartetto coltivava la passione per la musica specialmente nella sartoria di Angelino, in “Pien di Jèsgia”, affacciata appunto nella piazza dell’unica parrocchia di allora, “Santu Pantalèu”. Alla chiusura, è chiaro. E là, tiravano spesso a far tardi, come quella volta che, sopratutto il “tum tum” della batteria di Michelangelo aveva scassato tutto lo “scassabile” all’avvucaddu Puzzoni, che pretendeva – pensate un po’ – di riposare per potersi così rigenerare il cervello e prepararsi per le accesissime arringhe che teneva nei tribunali.

Al primogenito del vecchio zi’Angelinu, che mi ha fornito la foto, chiedo qualcosa del passatempo del padre. Mi dice che gli amiconi, oltre che nella summenzionata buttrèa di trappèri, se la cantavano anche nelle inevitabili ziminate esclusivamente presenziate dal sesso maschile, dalle quali – pensate – non è mai capitato di tornare “alticcio”, essendo tutt’altro che bevitore. Impossibile non essere bevitore, a Sossu e in quei tempi? Più che altro una rarità (e a Sennori è inutile che se la ridacchino: i liquidi alcolici, buon vino in primis, non è gente che li “schifa”).

Il quartetto era di gusti musicali fini, e il cantare in sardo stranamente non era contemplato. Il fatto è che allora non penso fosse iniziata ancora l’allegra usanza di cantarsela a la sassarèsa. Mi vien difficile immaginare questi piacevoli e musicali incontri senza sentire “sozzara mara”, “la mirinzàna”, lu trabagliadori mandronazzu chi vurìa assè pagaddu senza piggià l’ischina e compagnia squinternante, ma così è.

La musica nella famiglia Marongiu era di casa, diffusa pressochè a tutte l’ore dal giradischi, sul quale, spesso a balzi, la “puntina” appoggiava sui 45 giri in vinile di Perez Prado e compagnia cantante, compreso uno in stranissima plastica rossa su cui era incisa Tom Dooley del The Kingston Trio. Il genere per zi’Angelinu e amici era quello, ma non disdegnava di comprare altra musica e rispettivi spartiti. Oltre quelli di cantautori che in quegl’anni iniziavano timidamente ad uscir fuori dal guscio, al figlio Giovanni aveva regalato il Trattato teorico e Pratico “Dacci”, sicuramente oggi ben conservato in fondo a quel cassetto quasi inaccessibile di casa. “Mi raccomando, Giovà, se devi comprare spartiti, vai da Ferraris, al Corso, che è stato mio insegnante di musica alle medie” – diceva al figlio – “Eia, ba’...”

Angelinu lu trapperi ha coltivato la sua passione fino ai sessant’anni circa. Oggi è quasi novantenne. Il figlio Giovanni, pressapoco sessantenne, la chitarra al muro l’ha appesa da tempo immemorabile. L’autore del presente articolo la tappa dei sessanta l’ha oltrepassata da qualche mese. Sarà la forte emotività che caratterizza gli anzianotti, ma da non molto si è fatto commuovere dalla sua vecchia sei corde, che ogni volta che apriva l’armadio dove l’aveva conservata, lo supplicava di riprenderla in mano. Così ha fatto e così continua a fare. Può dire che lo fa’ con entusiasmo rinnovato, e di questo, la sua chitarra ne è contentissima. L’autore di quest’articoletto continua a ripetere: “Giuà, riprendi a suonicchiare che aiuta a sopportare meglio gli acciacchi e i malumori dell’età...”. Niente, Giuà non ne vuole sapere: “Mancarri chi si frazziggheggia…ca si n’affutti! Oppuru, cand’andu in pinsioni vi pensaraggiu”….” – ” Eeeeh, aipetta a la pinsioni, aipètta….”

nota

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Qualche giorno fa ho fatto visita al nostro amico sennorese Tonino Mario Rubattu, autore di un fornitissimo dizionario sardo, appassionato studioso della lingua sarda in tutte le numerose varianti con una tesi di laurea proprio sull’argomento. Nel piacevole e cordiale incontro si è toccato inevitabilmente l’argomento. Gli ho chiesto come risolvere il discusso problema dello scrivere in sardo, specialmente tradurre in lettere certi suoni, come faldhetta, truddha, aschamu, fraddeddhi…., compresa quella variante di un termine che con l’articolo la consonante iniziale ha una pronuncia, senza articolo ne ha un’altra, come padeddha – la badeddha, lettu – lu rettu e così via. Tonino, dall’ “alto” della sua rispettabilissima e meritata autorità, mi ha detto di lasciar perdere le H e di scrivere il termine come si pronuncerebbe senza articolo. Ogni variante locale, poi, nel parlare, usa il suono particolare del posto dove vive. La  soluzione mi sembra condivisibile e personalmente, anche in ossequio ai lunghi studi fatti e che continua a fare nonostante l’età avanzata, mi adatto alle sue indicazioni. Quindi Angerinu sarà Angelinu, lu drappèri sarà lu trappèri, truddha – trudda, a ra mara sarà a la mara ……….

Poi, cianciarando tra amici e conoscenti, noi sorsinchi raddoppieremo, triplicheremo, quadruplicheremo liberamente le consonanti, ma questi sono sacrosanti affaracci nostri.

“SALVEZZA”, UNA SCELTA CONTINUA

 

di Piero Petro Murineddu

“Salvezza”. Sapete, non sono sicuro che la s’intenda tutti allo stesso modo, anche tra i credenti, “praticanti” o meno che siano. Che poi, anche sull’essere “praticanti” bisognerebbe soffermarsi a riflettere parecchio.

Ma torniamo alla “Salvezza”.

Da che cosa e da chi? Da una vita post mortem fatta di sofferenze e punizioni a non finire? Ma dai. Dall’inclusione od esclusione dal ” Regno” prospettatoci da Gesù il nazareno? Mmmmmmmmmm….

Io sempre più mi convinco che questo “Regno” lo si costruisce da subito, qui e ora, a seconda delle scelte che siamo chiamati a fare non ogni giorno, ma ogni momento della nostra vita. Considero infatti la vita una scelta continua, e il bivio del questo o quello ce lo troviamo davanti continuamente.

“Salvezza”, quindi. Stringi stringi è star bene, gioire…. Ma non da solo, infischiandomene bellamente degli altri, vicinissimi, vicini o lontani che siano. Come puoi gioire vedendo l’altro nel bisogno o fatto oggetto di ingiustizia e oppressione? L’altro, qualunque esso sia.

Sono io a costruire ‘sta “Salvezza”, prendendo per mano il diverso da me che mi sforzo di considerare fratello e compagno di viaggio. E il Buon Dio è lì a vegliare, discreto e silenzioso, pronto a sorriderci e incoraggiarci nei momenti di stanchezza e di particolare fatica.

ANCORA POSSONO ASPETTARE

 

di Piero Petro Murineddu

Autunno, ma la pioggia vera e propria, quell’uggiosità che ti penetra nel più profondo del tuo essere, quei viali colmi di foglie secche, quei lunghi pomeriggi stravaccati sulla poltrona davanti alla finestra sfogliando il tuo libro preferito, quei malinconici umori che facilitano la composizione di un brano musicale con la vecchia ma amata chitarra classica che non cambieresti con nessun altra, quel sole benedetto e splendente che troppo presto va ad illuminare l’altra parte della Terra, quel piumone che se ne sta pazientemente ben conservato nella parte più alta dell’armadio…… ancora possono aspettare, grazie a Dio.

 

 

BALLATA D’AUTUNNO

Piove
là dietro la finestra, piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato,
sopra quel fieno tagliato,
sopra quei campi piove.
Si gonfia di grigio il cielo
e il suono è già grondante di foglie,
si è profumato d’autunno
il tempo che si addormenta
mi sembra
un bimbo in braccio al vento
come in un canto d’autunno.
Una ballata d’autunno,
un canto triste di malinconia,
vien dietro al giorno che va via.
Una ballata in autunno,
pregata a voce spenta,
soffiata come un lamento
che canta il vento.

Piove
Là dietro la finestra, piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato,
sopra quel fieno tagliato,
sopra quei campi, piove.
Io ti racconterei
che sta bruciandosi
l’ultimo legno al fuoco e poi
che la mia povertà
è anche di un sorriso,
che sono sola ormai
Ma io da sola son finita
e ti racconterei
che i giovani sono giovani
perchè non sanno mai
che no, non è la vita
la bella cosa che,
che loro gira in mente
io questo io lo so
Magari si potesse,
del domani e del passato
dire quello che ho sognato.
Ma il tempo passa
e ti canta pian piano,
con voce sempre più stanca,
una ballata d’autunno.

Piove
Là dietro la finestra, piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato
sopra quel fieno tagliato
sopra quei campi, piove.