Autore archivio: piero-murineddu

L’isola del tesoro……

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…..ma non per i sardi

 

di Piero Murineddu

Se avete voglia, andatevi a leggere l’articolo di cui vi riporto il link qui sotto.Tra gli altri si parla di quel Rovelli che “salvò” i sardi, sopratutto della “parte di sopra”, dalle fatiche di lavorare la terra e in (s)compenso, portandoli nella sua SIR (Società Italiana Resine) di Porto Torres, riempì il loro organismo di veleni, e altrettanto fece con l’aria, il suolo e il sottosuolo. Certo, gli ex contadini poterono così comprarsi il vestito per la domenica, nuove camere “da pranzo” (che non si usavano mai!) e finanche la 600, ma il veleno che quotidianamente s’introduceva dentro di loro senza chiedere il permesso, ha fatto in modo che molti morissero prima del tempo o arrivassero ad una vecchiaia un po’ troppo malconci. Il prezzo del progresso? Troppo semplicistico il ragionamento? Mah,fate voi…

LA MIA AMICA ANGELA

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di Piero Murineddu

Una vita ad insegnare francese in diversi luoghi del nord Sardegna, compresi gli stazzi galluresi,finendo la carriera presso le Magistrali a Sassari, dove è andata a vivere che era ancora giovanissima. Ma la 96enne Angela, figlia di quell’Umberto piemontese di Alba che nel paese della Romangia aveva messo su una fabbrica di scarpe, ci teneva a Sorso, le cuistrade acciottolate e in parte ancora sterrate aveva percorso durante gli anni giovanili.

Ero entrato in contatto con lei tramite l’amicizia comune con l’indimenticato Andrea Pilo, professore di disegno, giornalista e biografo sussincu. Una conoscenza tra noi che aveva riempito di tenerezza il cuore di entrambi. Ne ho filmato il racconto della sua vita e ne ho scritto, cosa che ancora continuerò a fare.

Andando ieri al cimitero di Sassari, ho visto questa sua foto. Sembrava che volesse dirmi qualcosa di quella nuova e per noi sconosciuta dimensione raggiunta dopo aver abbandonato il suo corpo dentro quel loculo. In diverse occasioni parlavamo di questo argomento. Lei era scettica che “qualcosa” ci potesse essere dopo questa vita terrena. Mi ascoltava con interesse quando le ricordavo che in natura niente si distrugge, ma che tutto si trasforma, e che il più delle volte, quello che si diventa è molto meglio di quello che si è stati. Una risata fragorosa alleggeriva questi complicati tentativi di abbozzare ipotesi, ma mi mostrava sempre la sua soddisfazione di sentirmele fare.

in un piccolo vasetto ho messo della terra insieme ad una piccola porzione di pianta grassa che ho preso nelle vicinanze. Ho visto il suo volto sorridermi. Ci siamo salutati con rinnovato affetto.

PRINCIPALMENTE RISPETTO

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di Piero Murineddu

Dice la mia amica poetessa Rita Clemente, riferendosi al punto 9, che chi insulta fa torto alla propria intelligenza, in più sorge il sospetto che ve ne sia pochina pochina nel cervello. Come non concordare?

Non sei d’accordo? Dimostrami che il mio ragionamento è strampalato e non regge, ma fallo argomentando, non insultando. È possibile che avvenendo il confronto uno di fronte all’altro, questo rischio (forse) non ci sarebbe, anche per paura di ricevere qualche sganascione in pieno viso da chi si vede insultato. Più possibile (e più da vigliacchi) è che questa mancanza di rispetto per l’opinione altrui avvenga nell’odierna piazza virtuale qual’è FB. Sforzandosi la mia amica di essere gandhiana e ancor prima cristiana, come chi scrive queste due righe, si cerca di ragionare e
spiegare, ma quando l’altro non vuole sentire ragioni e persiste nel mancarti di rispetto, allora la cosa diventa intollerabile. Si taglia lì, la discussione e l’illusione di esser stati …..amici. Se nell’amicizia (seppur virtuale) non c’è rispetto reciproco, che amicizia è (seppur virtuale)?

Silvio Borlotti, un bergamasco a Sorso

di Piero Murineddu

“Senti me. Ma vino ne bevi?” – “No, Silvio. Qualche bicchiere ogni tanto me lo farei volentieri, ma purtroppo non posso…..” – “Eeeeeh, la Madonna! E uova ne mangiate a casa?” – “Va bene, dai. Due  uova le prendo volentieri…” – “Ne ho tre e te le dò con molto piacere…” – “Oh, caspita, che bel pollaio che ha! Ma fuori dalla gabbia le lascia uscire ?” – “Purtroppo non posso perchè rovinerebbero le piantine dell’orto, però spazio ne hanno abbastanza, non come quegli allevamenti mostruosi da dove arrivano le uova che si trovano nei supermercati. La pulisco spesso e non dò loro  mangimi chimici, antibiotici ed altre porcherie…..”

Oh, quanto ha  ragione il vecchio Silvio Borlotti.

Praticamene abbiamo concluso così la piacevole conversazione con quest’uomo originario del bergamasco ma residente a Sorso da una cinquantina d’anni. Per impegni sopraggiunti, ero mancato ad un primo appuntamento e mi era dispiaciuto non averlo potuto avvertire. Appena l’occasione si è creata, non ho esitato a raggiungerlo nella sua campagna dove ogni giorno si reca per curare la vigna, l’orticello, il frutteto e sopratutto dar da mangiare alle sue galline, tra le quali si son ben ambientati anche un’oca e due strani pennuti dal collo lungo e nudo che producono degli ovetti diversi dai soliti.

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Silvio, dinamico ottantenne che non ha per niente voglia di starsene a poltrire davanti alla tivù, è preoccupato che non gli rinnovino la patente di guida, cosa che gli permette di raggiungere quotidianamente quello che da parecchio tempo è il suo massimo spazio di libertà, e dove nel possibile continua ad accontentare i conoscenti che gli chiedono la cortesia di saldare questo o quell’altro pezzo di metallo. E’ appunto per il mestiere di saldatore che ha svolto nella sua vita che in diversi si rivolgono a lui.

Ha iniziato ad apprendere i segreti sull’uso degli elettrodi già dall’età di sedici anni, osservando e facendo tesoro da ciò che vedeva fare da quelli che il mestiere lo praticavano. A otto anni, finita la terza elementare, aveva dovuto fare il guardiano di mucche, rimanendo a dormire presso la famiglia che viveva nella casa edificata in mezzo ai campi dove pascolavano gli animali. Qualche anno dopo, frequentando le sartorie locali, ha appreso la capacità del cucire, per cui, nel lungo matrimonio, l’incombenza di rammendare, di attaccare bottoni, di accorciare pantaloni e maniche,di mettere cerniere e quant’altro non è ricaduta esclusivamente sulla moglie, di Sorso, conosciuta nel particolare frangente che vado a scrivere.

Avendo lavorato in svariate ditte e conoscendo benissimo il mestiere al punto di essere considerato un prezioso elemento da far intervenire nelle emergenze, gli era stato proposto di recarsi per un breve periodo presso gli stabilimenti chimici che stavano venendo su a Porto Torres, località che Silvio non sapeva neanche dove si trovasse. Dopo l’iniziale resistenza, ha dovuto accettare, ma come capita, il breve periodo previsto si è allungato oltremisura. Un giorno, durante l’orario di lavoro, capita che Silvio, grazie alla sua prontezza di riflessi, ha impedito che un collega venisse stritolato da un macchinario, evitandogli così la possibile morte.

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La madre, che seguiva tutti gli spostamenti che il figlio faceva in tutt’Italia sempre per lavoro, aveva appreso la notizia dalla lettura de La Nuova Sardegna, acquistata nel paesino bergamasco dove abitava, e fu proprio lei ad avvertire il giovane figlio che il gesto compiuto, per lui normalissimo, era salito agli onori della cronaca attraverso il quotidiano sassarese.

 

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Per una ferita riportata durante l’incidente, Silvio era stato ricoverato per qualche giorno all’ospedale, ed  è proprio qui che avviene l’incontro con la ragazza di Sorso che sarebbe diventata sua moglie. Senza esitare, trascorso qualche giorno dalla dimissione, Silvio si è recato in via Marconi dove viveva la giovane di cui si era invaghito a prima vista. Ad aprire la porta fu proprio lei: “Buongiorno. Se tu sei d’accordo vorrei sposarti“, le chiede senza alcun preambolo  l’intraprendente giovanotto. E così fu dopo non tanto tempo presso la chiesa dei frati cappuccini durante una funzione religiosa presieduta da don Salvatore Ferrandu, allora parroco del paese. Nella sera di quel sabato si fece grande festa in via Marconi, a cui, finito l’orario di lavoro, non mancarono di partecipare anche i colleghi che aveva lasciato quella stessa mattina. Eh si, Silvio lo stesso giorno delle sue nozze aveva tenuto la tuta di lavoro fino alle nove circa, dopodichè, fattosi la doccia e cambiatosi come si conviene per uno che si deve sposare, si era recato in chiesa coi genitori per aspettare la promessa sposa. La loro storia d’amore ha donato alla vita quattro figli, uno dei quali, Marco, vive ancora con gli ormai vecchi genitori e da’ una grossa mano in campagna a babbo Silvio che, pur mantenendo sinora uno spirito forte e tenace, non ha più l’energie fisiche di una volta.

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Nella stanzetta ricavata da un vecchio box dove avviene la nostra conversazione e dove tiene di tutto, il vecchio Silvio mi fa vedere le foto raccolte in dei quadri appesi al muro e dove sono impressi alcuni momenti delle sue moltissime esperienze lavorative e altri della sua vita. Di ciascuna me ne parla con passione e con dettagliata descrizione, anche se a tratti la memoria fatica un po’, Da un cassetto prende una scatola e con molta calma e massima delicatezza  ne estrae il quadrettino dov’è conservato l’articolo dell’incidente e alcuni attestati di fedele donatore consegnatigli dall’Avis, uno dei quali dalle mani del compianto medico e cantante Enzo Iannacci, durante il periodo che lavorava a Milano. L’armadietto è una cassaforte di cimeli di ogni tipo. Seppure il tempo è stato limitato, le cose di cui mi ha parlato Silvio sono tantissime, tutte interessanti e che ho ascoltato con estrema attenzione, essendo il racconto della sua vita,

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In quello che è il suo regno, Silvio non ha tempo per annoiarsi e conserva tutto ciò che potrebbe tornargli utile. Tutto, nel vero senso del termine. La sua gioia sono i nipoti quando vanno a trovarlo. Da persona accorta qualìè, ha usato ogni precauzione perchè non possano farsi del male nell’entusiasmo di trovarsi in mezzo a tante cose e cosettine inimmaginabili per i bambini di oggi, che bramano di scoprire ma che  spesso trascorrono le loro giornate nei sicuramente sicuri ma troppo asettici  appartamenti di città o poco stimolanti aule scolastiche. Trascorrere del tempo nello spazio che Silvio si è creato, e sopratutto stando al suo contatto, per bambini in crescita è una scuola insostituibile.

M’invita a seguirlo per vedere la sua campagna. Con grande soddisfazione mi indica degli ulivi centenari, e la grossezza del tronco lo confermerebbe . Io non me ne intendo, ma se lo dice lui, gli credo. Non è uno che si perde in sciocche vanterie il vecchio Silvio. D’altronde, credo che nel territorio di Sorso di queste piante di lunga età ve ne siano parecchie.

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Avendo sempre avuto facilità nell’apprendere cose da fare manualmente, Silvio a volte lo hanno chiamato per installare antenne televisive o per fare altri lavoretti. Nonostante ultimamente risenta nei movimenti delle mani, lui continua a darsi da fare. Non è tipo a cui piace l’immobilismo Silvio.

Due o tre volte, essendo lui immigrato, tento di farmi dire cosa ne pensa del carattere dei sorsesi e come si è inserito nella realtà locale. Ogni volta però la mia domanda, che sia diretta o implicita, cade nel vuoto, complice forse una leggera sordità che il mio interlocutore patisce o anche il suo voler parlare delle cose che giustamente a lui vanno più a genio. Non è uno che ha mai frequentato i bar, e dopo il pensionamento, la campagna ha assorbito quasi totalmente il suo tempo. Quando ancora a Sorso funzionava il Centro di Aggregazione Comunale, vi aveva fatto capolino per vedere se l’ambiente e le attività svolte potevano creargli interesse, ma non ci fu seguito. Amicizie forti le ha avute sopratutto in ambito lavorativo, dove nel periodo sardo, girando i vari impianti dell’isola e in particolare a Porto Torres, ha avuto come colleghi diversi sorsesi e il rapporto è stato sempre di reciproca cordialità e rispetto.

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Sull’argomento è inutile insistere, per cui, la mia intenzione iniziale di sapere come uno proveniente da fuori si trova a dover vivere in una realtà diversa da quella di provenienza, e nello specifico trovandosi in quella di Sorso, è praticamente rimasta senza risposta.

Prima di lasciarci, Silvio mi ringrazia per averlo ascoltato. All’inizio gli avevo proposto di poter filmare il nostro incontro, ma lui, essendo in fondo schivo e poco propenso ad apparire (“Nel lavoro non mi è mai piaciuto fare il capo!”), non ha acconsentito, preferendo aprire il suo cuore e rispolverando la sua memoria davanti ad un quasi sconosciuto quale ero io. Silvio mi ha raccontato tanto della sua vita e ancor di più avrebbe potuto e voluto raccontarmene. Quello che ho riportato è solo una minima parte. Alla fine, ciò che conta, al di là dell’intenzione di fare e raccogliere “interviste” per “produrre” materiale divulgativo, è l’incontro con l’altro, ed io di questo incontro avuto con Silvio Borlotti sono felicissimo e lo ringrazio.

 

MOMENTI E SPAZI DI CIVILTA’

di Piero Murineddu

Dopo il recentissimo episodio avvenuto a Sassari, dove dei giovani immigrati ospiti di un centro d’accoglienza si son scontrati con dei giovani locali in uno dei quartieri periferici della città, attraverso un tam tam sui social si è organizzata un’assemblea cittadina in Piazza Santa Caterina, uno dei luoghi più suggestivi della città capoluogo di provincia.

Con mia moglie siamo arrivati qualche minuto prima che una delle coordinatrici dell’iniziativa iniziasse a spiegarne i motivi:
confrontarsi su quanto accaduto e andarsene con qualche proposta concreta che serva ad attenuare questa crescente tensione che potrebbe arrivare a fatti ben più gravi di quello accaduto e che in qualche modo possa dare continuità alla serata.

Chi si è sentito di avvicinarsi al microfono, ha espresso la propria opinione o fatto conoscere l’esperienza per agevolare l’inevitabile difficoltà d’integrazione reciproca tra persone e gruppi di provenienza e sensibilità diverse. Più voci hanno denunciato l’inadeguatezza di certe strutture d’accoglienza e l’inopportunità che esse sorgano in quartieri che patiscono già problematiche varie e alle quali le istituzioni danno solitamente scarsa attenzione.

Come riportato oggi dal giornale locale, in questi momenti possono inserirsi certi gruppi con una struttura organizzativa pseudo politica, tipo “Casa Pound”, che davanti alla facciata d’impegno sociale, perseguono invece l’obiettivo più reale di buttare benzina sul fuoco ed esasperare ulteriormente i già agitati animi col loro atteggiamento di rifiuto verso gl’immigrati.

Dai vari interventi che si sono succeduti durante quest’assemblea cittadina, composta prevalentemente da persone di tutt’altro atteggiamento e di diversa visione della vita di quelli appena citati, è emersa preoccupazione, ma nel contempo volontà di attivarsi in qualche modo perchè prevalga la comprensione reciproca e non la divisione.

E’ anche quello che ho sentito parlando con diversi immigrati presenti nella piazza, dispiaciuti per quanto accaduto ed evidenziando pure loro il desiderio di voler conoscere e di farsi conoscere.

Qualcuno al microfono ha detto che è necessario incontrare e ascoltare i residenti che vivono in luoghi dove le problematiche personali, familiari e sociali sono tanti e di diversa natura, nello specifico il quartiere dove si è verificato lo scontro, spesso impauriti dalla presenza di queste persone dalla pelle scura, specialmente quando li si vede in gruppo.

Mi convinco sempre più che è la conoscenza reciproca che manca, l’unica che può allontanare quelle paure, spesso immotivate e senza fondamento.

Uno dei frutti della serata è che a breve ci potrebbe essere una giornata conviviale proprio nella piazza Dettori, luogo del ……misfatto.

Piccoli passi che possono condurre a grandi risultati.

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DOVEROSA ATTENZIONE AI VIVI

di Piero Murineddu

Immagino quanto certe posizioni del buon frate Alberto possano inquietare e fors’anche infastidire. Ma lui è così…. grazie a Dio. Abbiamo bisogno di essere scossi, sopratutto nel nostro perbenismo, “religioso” o laico che sia. Eppoi in questi giorni in cui i cimiteri rischiano di diventare fiere della vanità e del “giudizio” ( “Ma guarda quanto vogliono bene alla mamma defunta con tutti quei bei fiori! Chissà quanto son costati….E la tomba di……. hai visto quanto è trascurata? Che vergogna!”).

Si vuole manifestare l’intensità del ricordo del congiunto defunto? Mah! Per me una bella pianta grassa che sopporta benissimo la mancanza d’acqua e non soccombe nelle giornate ventose è più che sufficiente. Ogni tanto una passeggiatina nei tranquilli e silenziosi viali del cimitero per rinfrancarsi lo spirito, rilassarsi dallo stress dei centri commerciali e ripensare con più obiettività allo scontro avvenuto magari nel luogo di lavoro…… E dato che ci sei, una pulitina alla tomba di famiglia non guasta.
Diciamocelo con onestà: stride troppo e mortifica la propria intelligenza quando si cura in modo maniacale il culto dei morti e nello stesso tempo si è indifferenti e si detestano i vivi. O no?

Il frate “eretico”: «basta fiori ai morti, portateli ai vivi»

AL “POPOLO” SEMPRE IL PEGGIO DEL PEGGIO

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di Piero Murineddu

Su “La Nuova” di oggi, in due pagine consecutive si scrive di alloggi popolari. Nella prima a Sorso. Nove alloggi finiti e pronti ad abitare ma bloccati per le solite e imbecillotte pastoie burocratiche. Nella seconda a Porto Torres. Quarantanove. Da consegnare forse la prossima estate. No, nessun rigiramento di……. sugli ormai normali e colpevoli “sbagli” per i quali famiglie sicuramente disagiate sono in attesa, pieni di speranza ma anche credo parecchio incazzate per questo fastidiosissimo tirarla per le lunghe. La mia considerazione era per la foto che vedete, un blocco di alloggi da consegnare a Porto Torres. Mi chiedo: ma possibile che per il “popolo” vengano riservate sempre cose, case in questo caso, brutte, bruttissime, orrende? Chi non ne ha le vorrebbe. Certo. Ma che i soldi che mi trattengono dallo stipendio servano per creare questi obbrobri edilizi è una cosa rivoltante.

“FIDANZAMENTO”, questo SCONOSCIUTO

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di Piero Murineddu

Proprio non era cosa di poco conto rompere un fidanzamento, cioè la reciproca promessa di arrivare al matrimonio, e coinvolti non erano solamente i due interessati, ma anche le reciproche famiglie e parentela, se non addirittura l’intero paese. Puro anacronismo per i tempi che viviamo?

Oggi se due si piacciono, non esitano a prendersi un appartamento e a “provare” a convivere. Se va, possibile che si arrivi a “regolarizzarsi”, davanti alla società e, per chi ancora conserva un barlume di fede, davanti a Dio, o più precisamente davanti alla Chiesa o alle aspettative degli ormai anziani genitori e nonni se ancora in vita.Se non va, amici come prima o nemici per sempre. Discorso che ci porterebbe lontano.

Per tornare al racconto fatto da Maria Peppa Sassu, le conseguenze, quelle negative beninteso, ricadevano sempre e unicamente sulla donna e chissà che a oggi, se in molte sono arrivate a trovarsi con diversi anni sulle spalle e a nessun legame affettivo (almeno ufficialmente)
il motivo non sia da ricercare su questi retaggi di un passato ormai morto, pianto e sepolto.

Intanto massimo rispetto per chi ha scelto liberamente il proprio stato di vita, e nessun giudizio per chi lo si ritrova a patirlo, maschio o femmina che sia.