Angelino & Fraddèddi Roggio Trio, quella chitarra appesa al muro e quel problemino sullo scrivere in sardo

giovanni 4

 

di Piero  Petro Murineddu

Tutti avanti negli anni, ma ancora vivi e vegeti, tranne Angelo Maria, mastrellàscia e suonatore di mandolino. Una vita trascorsa in Corsica Agnuru Maria, come il fratello Michelangelo, batterista e di mestiere a me ignoto. Il terzo dei Roggio, Paolino, continua a trascorrere le sue giornate a Sorso, ricordando e raccontando alla sua nipotina – poetessa in erba e probabilmente ad altri che non conosco – il suo passato di musicante per passione e sarto di “facultài”, oltre trasmetterle il vasto sapere delle cose del mondo.

Il quartetto coltivava la passione per la musica specialmente nella sartoria di Angelino, in “Pien di Jèsgia”, affacciata appunto nella piazza dell’unica parrocchia di allora, “Santu Pantalèu”. Alla chiusura, è chiaro. E là, tiravano spesso a far tardi, come quella volta che, sopratutto il “tum tum” della batteria di Michelangelo aveva scassato tutto lo “scassabile” all’avvucaddu Puzzoni, che pretendeva – pensate un po’ – di riposare per potersi così rigenerare il cervello e prepararsi per le accesissime arringhe che teneva nei tribunali.

Al primogenito del vecchio zi’Angelinu, che mi ha fornito la foto, chiedo qualcosa del passatempo del padre. Mi dice che gli amiconi, oltre che nella summenzionata buttrèa di trappèri, se la cantavano anche nelle inevitabili ziminate esclusivamente presenziate dal sesso maschile, dalle quali – pensate – non è mai capitato di tornare “alticcio”, essendo tutt’altro che bevitore. Impossibile non essere bevitore, a Sossu e in quei tempi? Più che altro una rarità (e a Sennori è inutile che se la ridacchino: i liquidi alcolici, buon vino in primis, non è gente che li “schifa”).

Il quartetto era di gusti musicali fini, e il cantare in sardo stranamente non era contemplato. Il fatto è che allora non penso fosse iniziata ancora l’allegra usanza di cantarsela a la sassarèsa. Mi vien difficile immaginare questi piacevoli e musicali incontri senza sentire “sozzara mara”, “la mirinzàna”, lu trabagliadori mandronazzu chi vurìa assè pagaddu senza piggià l’ischina e compagnia squinternante, ma così è.

La musica nella famiglia Marongiu era di casa, diffusa pressochè a tutte l’ore dal giradischi, sul quale, spesso a balzi, la “puntina” appoggiava sui 45 giri in vinile di Perez Prado e compagnia cantante, compreso uno in stranissima plastica rossa su cui era incisa Tom Dooley del The Kingston Trio. Il genere per zi’Angelinu e amici era quello, ma non disdegnava di comprare altra musica e rispettivi spartiti. Oltre quelli di cantautori che in quegl’anni iniziavano timidamente ad uscir fuori dal guscio, al figlio Giovanni aveva regalato il Trattato teorico e Pratico “Dacci”, sicuramente oggi ben conservato in fondo a quel cassetto quasi inaccessibile di casa. “Mi raccomando, Giovà, se devi comprare spartiti, vai da Ferraris, al Corso, che è stato mio insegnante di musica alle medie” – diceva al figlio – “Eia, ba’...”

Angelinu lu trapperi ha coltivato la sua passione fino ai sessant’anni circa. Oggi è quasi novantenne. Il figlio Giovanni, pressapoco sessantenne, la chitarra al muro l’ha appesa da tempo immemorabile. L’autore del presente articolo la tappa dei sessanta l’ha oltrepassata da qualche mese. Sarà la forte emotività che caratterizza gli anzianotti, ma da non molto si è fatto commuovere dalla sua vecchia sei corde, che ogni volta che apriva l’armadio dove l’aveva conservata, lo supplicava di riprenderla in mano. Così ha fatto e così continua a fare. Può dire che lo fa’ con entusiasmo rinnovato, e di questo, la sua chitarra ne è contentissima. L’autore di quest’articoletto continua a ripetere: “Giuà, riprendi a suonicchiare che aiuta a sopportare meglio gli acciacchi e i malumori dell’età...”. Niente, Giuà non ne vuole sapere: “Mancarri chi si frazziggheggia…ca si n’affutti! Oppuru, cand’andu in pinsioni vi pensaraggiu”….” – ” Eeeeh, aipetta a la pinsioni, aipètta….”

nota

tonino_rubattu

Qualche giorno fa ho fatto visita al nostro amico sennorese Tonino Mario Rubattu, autore di un fornitissimo dizionario sardo, appassionato studioso della lingua sarda in tutte le numerose varianti con una tesi di laurea proprio sull’argomento. Nel piacevole e cordiale incontro si è toccato inevitabilmente l’argomento. Gli ho chiesto come risolvere il discusso problema dello scrivere in sardo, specialmente tradurre in lettere certi suoni, come faldhetta, truddha, aschamu, fraddeddhi…., compresa quella variante di un termine che con l’articolo la consonante iniziale ha una pronuncia, senza articolo ne ha un’altra, come padeddha – la badeddha, lettu – lu rettu e così via. Tonino, dall’ “alto” della sua rispettabilissima e meritata autorità, mi ha detto di lasciar perdere le H e di scrivere il termine come si pronuncerebbe senza articolo. Ogni variante locale, poi, nel parlare, usa il suono particolare del posto dove vive. La  soluzione mi sembra condivisibile e personalmente, anche in ossequio ai lunghi studi fatti e che continua a fare nonostante l’età avanzata, mi adatto alle sue indicazioni. Quindi Angerinu sarà Angelinu, lu drappèri sarà lu trappèri, truddha – trudda, a ra mara sarà a la mara ……….

Poi, cianciarando tra amici e conoscenti, noi sorsinchi raddoppieremo, triplicheremo, quadruplicheremo liberamente le consonanti, ma questi sono sacrosanti affaracci nostri.

Angelino & Fraddèddi Roggio Trio, quella chitarra appesa al muro e quel problemino sullo scrivere in sardoultima modifica: 2017-09-26T18:52:38+02:00da piero-murineddu
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