Messaggio più recente

Natale 2014 – DISCORSO DEL PAPA ALLA CURIA ROMANA

 

PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

DELLA CURIA ROMANA

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Sala Clementina
Lunedì, 22 dicembre 2014


 

Cari fratelli,

Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri, ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.

Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi – Collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo – e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero ringraziarvi cordialmente per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.

Essendo noi persone, e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai loro famigliari vanno il mio pensiero e la mia gratitudine.

Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.

E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.

Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»[1]. Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1 Cor 12,12)[2].

In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr 1 Cor 12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” – Christus totus –. La Chiesa è una con Cristo»[4].

E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.

In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].

Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia – come la Chiesa – non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato via. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione, il contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi, perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.

La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7]. Eppure essa, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, “malattie curiali”. Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie – sull’esempio dei Padri del deserto, che facevano questi cataloghi – di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.

1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfrLc 12,13-21), e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8]. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).

2. La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31), perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet: che “c’è un tempo per ogni cosa” (cfr 3,1).

3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfr At 7,51); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].

4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza, fantasia, novità»[10].

5. La malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.

6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]: quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di san Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,3-4). È la malattia che ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un falso misticismo e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,18.19).

8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).

9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-15). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!

10. La malattia di divinizzare i capi. E’ la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.

11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.

12. La malattia della faccia funerea, ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13]. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.

13. La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo … Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17.19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: “Questa sarebbe la ‘cavalleria leggera della Chiesa’?”. I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.

14. La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc 11,17).

15. E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al Corpo, perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare – delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva potente e avvincente, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!

Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario.

Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo – l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo… nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» – a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: «Ipse harmonia est», dice san Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].

La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].

Dunque, siamo chiamati – in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza – a vivere «secondo la verità nella carità, [cercando] di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).

Cari fratelli!

Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa.

Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici, sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo Figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.

Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!


[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima: AAS 35 [1943], 200).

[2] Cfr Rm 12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri».

[3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 795. Da ricordare che «il paragone della Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo» (ibid. n. 789).

[6] Gesù più volte ha fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: «Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimarrete in me. Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 4-5).

[9] Benedetto XVI, Catechesi nell’Udienza generale, 1 giugno 2005.

[10] Omelia nella S. Messa, Istanbul, Cattedrale dello Spirito Santo, 29 novembre 2014.

[12] Cfr ibid, 84-86.

[13] Cfr ibid, 2.

[14] «Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un’anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male, ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen».

[15] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 88.

[16] Il beato Paolo VI, riferendosi alla situazione della Chiesa, affermò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972); cfr. Esort. ap. Evangelii Gaudium, 98-101.

[17] Cfr Esort. ap. Evangelii Gaudium, 93-97 («No alla mondanità spirituale»).

[18] «Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo … Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore» (Omelia nella Santa Messa, Istanbul, Cattedrale dello Spirito Santo, 29 novembre 2014).

[19] Serm., CXXXVII, 1: PL, XXXVIII, 754.

[20] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 25-33 («Pastorale in conversione»).

 

 

5 domande sul senso del Natale a Vito Mancuso

“Sono consapevole dell’aspetto commerciale del Natale e di come questo sia soverchiante, tuttavia ritengo che il rimando a quel bambino che nasce, e a ciò che quel bambino per molti significa, sia ancora vivo in molte persone…”

 


vignetta_natalizia_47

 

Vito Mancuso, noto teologo italiano, dal 2013 docente presso l’Università degli Studi di Padova, è in libreria per Garzanti con Io amo – Piccola filosofia dell’amore. E in vista delle festività natalizie, ha risposto ai quesiti de IlLibraio.it.

 

 

Il Natale è ancora una festa religiosa?
“Io penso di sì, che lo sia ancora, per lo meno in Italia. Certo, sono consapevole dell’aspetto commerciale del Natale e di come questo sia soverchiante, tuttavia ritengo che il rimando a quel bambino che nasce, e a ciò che quel bambino per molti significa, sia ancora vivo in molte persone. Il sentimento religioso non è per nulla scomparso, magari non conosce più le forme per manifestarsi come una volta, ma quando trova occasioni per riemergere lo fa, e il Natale (con le Chiese sempre così piene) è certamente una di queste”.

Le sembra giusto il modo in cui la Chiesa ritualizza e amministra questa festa?
“Sì, non penso di avere obiezioni al riguardo. Certo, molto dipende dal singolo prete, dalla sua capacità di celebrare veramente il mistero (divino e umano al contempo) cui la festa rimanda. Vi sono Chiese, entrando, nelle quali per la Messa si percepisce subito questa capacità di richiamare il cuore e la mente a una dimensione ulteriore dell’esistenza, altre invece dalle quali tutto questo è quasi assente. Ma la Chiesa gerarchica e la sua liturgia offrono tutte le possibilità perché la celebrazione possa veramente toccare la dimensione mistica dell’esistenza”.

Cosa c’è di sacro nel mangiare insieme?
“Io penso che vi sia qualcosa di sacro anche già solo nel mangiare in sé, a prescindere che lo si faccia da soli o insieme ad altri. La gran parte degli esseri umani non se ne cura e assume cibo senza avere la consapevolezza di nutrire la propria vita mediante la vita altrui, sia essa animale o vegetale. La vita si nutre di vita, ed essendo l’ambito del sacro direttamente connesso a quello della vita, si comprende come l’atto del nutrirsi e il cibo quale nutrimento abbiano già in sé una valenza sacrale. Bisognerebbe prenderne coscienza e pensare che a ogni boccone entra in noi una parte del cosmo: noi viviamo grazie al cosmo. La natura è la nostra madre in ogni giornata della nostra esistenza, non solo perché anni fa ci ha fatto nascere, ma anche, e direi soprattutto, per il fatto che ci mantiene all’esistenza. Prendere coscienza di questo legame con la natura-madre non può, a mio avviso, non generare un sentimento di sacra riverenza verso di essa. Quando poi l’atto del mangiare assume una valenza comunitaria, e la famiglia si riunisce, e si mangiano cibi particolari, legati alla tradizione e ai ricordi, e il servizio di tavola è quello bello delle grandi occasioni, allora la celebrazione della vita e dell’essere legati gli uni agli altri può assumere una valenza davvero straordinaria. Il pranzare e il cenare insieme possono raggiungere in alcuni casi una dimensione celebrativa che ha non poche analogie con quella della messa – la quale, non a caso, prende origine da un mangiare insieme, quello di Gesù con i discepoli nell’ultima cena”.

E cosa c’è di sacro nel farsi doni?
“Può non esserci nulla, e può esserci molto. Il sacro non è un oggetto tra gli altri, è piuttosto una disposizione della mente che nasce quando la mente riconosce di essere in presenza di qualcosa di più importante di sé e in un certo senso vi si inchina, come se facesse una riverenza. Ne viene che il farsi doni può essere semplicemente vissuto come un’incombenza da espletare (peraltro anche abbastanza fastidiosa), oppure come un pensare alle persone nella loro singolarità, manifestando tale nostro affettuoso pensiero tramite un oggetto concreto che si regala. Nel primo caso non c’è nulla di sacro, nel secondo il sacro è dato dall’affetto, dall’attenzione e dalla stima per quella determinata persona. Io penso che nella nostra interiorità vi siano energie così intime e particolari per le quali non è assolutamente fuori luogo parlare di sacro”.

Ultima domanda inevitabile: come festeggia il Natale Vito Mancuso?
“In modo molto semplice: Messa, pranzo in famiglia da mia madre nel paese nativo, tempo liberato, spazio ai ricordi. E quindi anche a un po’ di nostalgia per l’incanto dei Natali di quand’ero bambino e per i miei cari che non ci sono più”.

 

LIberami dal silenzio complice

di Franco Barbèro

   Liberami, o Dio, da questo clima ignorante, in cui un po’ si tollerano
silenzi e complicità, un po’ si grida allo scandalo che sono tutti ladri…

Libera, o Dio, il mio cuore, la mia intelligenza e il mio agire
da parole come rassegnazione, indifferenza, incapacità di distinguere. ..

Liberami, o Dio, dalla paura di perdere la strada,
fai crescere in me la fiducia e la certezza di essere nelle tue mani…

Liberami, o Dio, dalla presunzione di conoscere la tua legge e le tue parole,
senza poi viverle nelle contraddizioni e nella fatica di ogni giorno…

Liberami, o Dio, dal timore che la tua parola sia troppo severa
e che la tua legge sia troppo difficile da osservare…

Aprimi, o Dio, alla fiducia che ogni seme, oggi apparentemente inutile,
coltivato con l’impegno e la fatica di ogni giorno domani porterà frutto…

Aprimi , o Dio, ad apprezzare la fortuna di avere incontrato tante persone
con le quali ho fatto un lungo cammino di ricerca e di impegno nella comunità e oltre…

Aprimi, o Dio, a una ricerca attenta dei segni di speranza che crescono
dentro e intorno a noi in questo Natale

Aprimi, o Dio, alla passione per i beni comuni e ai valori di solidarietà e responsabilità verso le generazioni future, di impegno per la qualità della vita, di denuncia dell’ingiustizia

Aprimi, o Dio, la mente ed il cuore, perché possa accogliere le tue Parole
e viverle come guida della mia vita,perché sono Parole d’amore affettuose ed appassionate e non sentenze fredde e severe di un giudice.
liberazione
Di seguito, un filmato realizzato nel 2012, col quale voglio ancora fare gli auguri a ciascuno di voi (Pi.Mu.)
https://www.youtube.com/watch?v=gFvGO2WHR_Y

SENZA UGUAGLIANZA…….

Gustavo_Zagrebelsky

di Gustavo Zagrebelski

 

Senza uguaglianza

i diritti cambiano natura:

per coloro che stanno in alto diventano privilegi;

per quelli che stanno in basso, concessioni o carità.

 
Senza uguaglianza,

ciò che è giustizia per i potenti è ingiustizia per i senza potere.

 
Senza uguaglianza

la libertà è garanzia di prepotenza dei forti

e destino di oppressione dei deboli.

 
Senza uguaglianza

la società, dividendosi in strati, diventa una scala gerarchica.

 
Senza uguaglianza,

la solidarietà si trasforma in carità

e la carità serve a sancire l’ingiustizia.

 
Senza uguaglianza,

le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione,

diventano strumenti di oppressione e divisione.

 
Senza uguaglianza,

il merito viene sostituito dal clientelismo;

le capacità dal conformismo e dalla sottomissione;

la dignità dalla prostituzione.

 
Senza uguaglianza

il diritto alla partecipazione politica

diventa una gabbia di tifoseria da stadio.

 
Senza uguaglianza

le forme della democrazia (il voto, i partiti, l’informazione,

la discussione…) possono non scomparire

ma diventano armi nelle mani di gruppi di potere.

 

 

( da “Quale Vita” – dicembre 2014)

 

Gli Dei dell’Olimpo, ovvero le Pensioni dei Privilegiati

ridere o piangere

 

di Leo Spanu

 

Nell’antica Grecia, culla della civiltà occidentale, mentre le popolazioni erano eternamente impegnate in guerre e massacri, gli Dei, sul monte Olimpo, gozzovigliavano e ammazzavano il tempo. Quando la noia diventava troppa, davano occhiata al mondo degli umani e aggiungevano disordine al disordine, rovine alle macerie. Poi la Grecia ebbe l’ennesimo “default” e Zeus, il padre degli Dei, decise di trasferire armi e bagagli in Italia, lasciando il suo popolo nel caos più assoluto.

Nell’immensa sala del trono a Creta, una specie di Seychelles dell’epoca, dove trascorreva le vacanze estive, Zeus prese le sue decisioni. Da solo, come sempre, se si vuole che una democrazia funzioni. Abbiamo il resoconto ufficiale di quella riunione, una specie di consiglio dei ministri ma in solitario. C’è sempre una telecamera segreta che ti spia, il Grande Fratello viene da lontano.

In primo luogo cambierò i nomi delle divinità. Dobbiamo italianizzarci per inserirci meglio nel nuovo contesto. Io mi chiamerò Giove. Poi dovrò promuovere alcune divinità locali ad un ruolo più adatto alla nobiltà della mia corte. Terzo dovrò distribuire tutti i miei cortigiani in siti diversi visto che a Roma non c’è un monte ma sette colli. Il Quirinale me lo prendo io, non è male come abitazione e non voglio nessuno di quegli scocciatori con me, neanche mia moglie. Magari mi viene voglia di organizzare qualche festino privato. Con tutte le escorts che ci sono da quelle parti vuoi che non riesca a metter su almeno uno spettacolino di burlesque. Ma questi sono fatti privati che non devono interessare nessuno. Torniamo alle cose serie: consultiamo i rapporti dei miei servizi segreti.

Novella 2000, Libero, La Repubblica, Sorrisi e Canzoni, la Padania. La Padania? Ci dev’essere un errore! Come sempre questi giovani, super laureati, non conoscono l’italiano: la piadina non la padania!

Ritorniamo alle cose serie. Con me voglio uno simpatico: direi Carlo Azeglio Ciampi. Se lo merita, ha lavorato come un cane tutta la vita. Governatore della Banca d’Italia, ministro prima del Turismo e poi del Tesoro, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, infine senatore a vita. Pover’uomo è ora che si riposi. Vediamo, direi che una pensione mensile di 34.000,00 possa bastare.

Si, c’è anche lo stipendio di parlamentare. Altre 19.053,00 euro mensili. Così si può comprare un paio di forbicine per potare quei cespugli che ha al posto delle sopracciglia. Al Viminale, visto che c’è il Ministero degli Interni, ci mando mia moglie Era ( da oggi Giunone) e mia figlia Atena ( che si chiamerà Minerva) almeno, pettegole come sono, avranno tutti i mezzi che vogliono per spiare quei bifolchi di italioti. A far loro compagnia metto quel logorroico di Vittorio Sgarbi che più che un critico d’arte mi sembra un criticone. Vediamo cosa dice la sua scheda. Pensionato dall’età di 54 anni come parlamentare prende solo 8.455,00 euro al mese. Poveraccio come fa a vivere con così poco. Eppure ha più incarichi (remunerati) che cappelli. Non sarà il caso di mandargli la Guardia di Finanza per un controllo? Sull’Aventino ci spedisco un bel po’ di gente. Ade ( Plutone) che tanto è abituato a stare in disparte visto che fa una vita d’Inferno, Efeso (Vulcano) così me lo tolgo dai piedi una volta per tutte. Sempre battendo sul ferro caldo ed io, il pomeriggio, non riesco mai a riposare. Tra gli indigeni gli mando in primo luogo Rocco Buttiglione. Laureato in legge insegnava filosofia. Lo hanno pensionato con soli 5.488,00 euro al mese. Fortuna che prende lo stipendio di parlamentare 19.053,00 mensili, altrimenti sarebbe alla fame. Gli hanno dato pure una laurea in filosofia “honoris causa”. Ci aggiungo Renato Brunetta tanto occupa poco spazio. Anche lui parlamentare da 19.053, 00 e pensionato da 4353,00. Ma cosa faceva per vivere? E’ stato ministro. Davvero? Che strano paese è l’Italia! Docente universitario di economia è stato anche parlamentare europeo. Pure consigliere comunale a Bolzano. A Venezia, a casa sua, non lo hanno voluto. Comunque non mi quadrano i conti, altro controllo per la Guardia di Finanza. Al Campidoglio, sede del Comune, ci scarico di tutto, anche la roba inutile conservata in cantina, tanto dopo sindaci come Veltroni, Rutelli e Alemanno chi vuoi che ci faccia caso. Dionisio (Bacco) che magari mi organizza una festa del vino, Apollo per l’arte e le”notti bianche” e Ares (Marte) che come dio della guerra ci sta benissimo. Tra scioperi e manifestazioni un giorno si e l’altro pure, a Roma è sempre “lotta continua”. Per la fauna locale ho l’imbarazzo della scelta. Il primo è questo Luca Boneschi: un fenomeno. E’ stato eletto deputato nelle liste radicali ( non bastava Cicciolina ?) nel 1982. Un giorno ( 24 ore) da parlamentare e viene pensionato a 44 anni con 3.108 euro mensili. Sul podio, al secondo posto, salgono Piero Craveri e Angelo Pezzana. Stessa pensione ma loro hanno dovuto fare i parlamentare per ben 8 (otto) giorni. Un vero trauma. Ci metto pure Toni Negri anche se lui ha lavorato per 64 giorni (sempre per 3.108,00 mensili). Strano tipo: vediamo la scheda personale. Docente universitario, fu accusato di essere troppo vicino al terrorismo degli anni 70 e arrestato. Candidato dai radicali (sempre loro!) fu eletto deputato nel 1983 e scarcerato. Fuggì subito in Francia dove rimase per 14 anni. Nel 1997 rientrò volontariamente in Italia dove finì di scontare la sua pena in regime di semilibertà. Enzo Biagi lo definì “un cattivo maestro”, lui si considera un perseguitato politico. Un giorno la storia ci racconterà la verità. Almeno speriamo.

Andiamo a sistemare il Celio, qui ci sta benissimo la nostra banchiera Demetra (Cerere) che si intende di messi e di raccolti di granaglie e derivati, Ermes (Mercurio) dio del commercio, dei ladri e dei furbetti di quartiere e Afrodite (Venere) nata da una conchiglia come una perla. Infatti ci sistemerò tutti quelli che hanno trovato i diamanti nelle vongole come Cesare Geronzi, professione banchiere. Pensionato a sole 22.037, 00 mensile. Non male per un semplice ragioniere. E’ stato al centro di vari casi giudiziari come un semaforo in un crocevia: crac Parmalat, Cirio e Italcase. Semplici calunnie, un uomo perseguitato dall’invidia. Un vero sfigato: voglio consigliargli un’assicurazione. Anzi meglio gli trovo un lavoretto alle Assicurazioni Generali. Stipendio annuo 417.500 euro all’anno così si può pagare gli avvocati. Ci metto pure Mauro Santinelli. Vediamo un po’, questo lavorava alla Telecom e prende 90.246 euro al mese di pensione. Ho letto bene? Ma quanti telefonini ha venduto? Questo prende più di me che ho un’anzianità di tremila anni. Forse mi conviene controllare all’Inps la mia situazione contributiva. Un’ altro paio di semidei: Mauro Gambaro, Alta Finanza, pensione da 51.160,00 euro e Alberto de Petris, ancora telefonia, pensione da 50.274,00 euro. Sempre mensili. Nel Palatino ci mando Artemide (Diana) dea della caccia così la pianta di ammazzare le mie amanti travestite da animali. Per il folklore locale trasferisco tutti uomini di Palazzo. Romano Prodi, due volte Presidente del Consiglio, Presidente della Commissione Europea, docente università e dirigente di uno sciame di industrie pubbliche e private. Accidenti quanto lavora questo signore. Quanto guadagna? Il rapporto non lo dice, ha solo tre pensioni per un importo mensile di 14.454,00 euro mensile. Tanto lavoro per poco o nulla. Ecco uno che dalla politica ci ha rimesso. Giuliano Amato, anche lui docente universitario, ministro del Tesoro, dell’Interno e Presidente del Consiglio. E’ segnalata la sua presenza in altre 10.000 attività collaterali. Un vero stakanovista, solo 31.411,00 di pensione al mese. Per fortuna che c’è quel lavoretto presso la Deutsche Bank ma il suo stipendio è ignoto come il terzo segreto di Fatima. Anche Lamberto Dini è un super lavoratore. Dirigente di aziende, Presidente del Consiglio, ministro del Tesoro, degli Affari Esteri, presidente del Consiglio Europeo. Deputato e senatore. Direttore Generale della Banca d’Italia. Reddito sconosciuto mentre la pensione è di 25.000,00 euro mensili.

 

Sono perplesso. Mi avevano detto che gli italiani sono dei fannulloni ma questi lavorano più dell’orologio. Anzi mi sa che devo aumentare la giornata da 24 a 36 ore altrimenti quando lo trovano il tempo per riposare. Per compensazione aggiungo due lavoratori part-time Antonio di Pietro, baby pensionato a 44 anni dalla magistratura con 2.644,00 euro al mese. Fortuna che ha lo stipendio di parlamentare di 19.953,00 al mese altrimenti sai che vita di miseria. Altro ex magistrato che sommando le due pensioni mette insieme 16.680,00 mensili è Luciano Violante. Ognuno si arrangia come può. M’è avanzato un colle, l’Esquilino. Adatto per mio fratello Poseidone (Nettuno) così gli tolgo la tentazione di rubarmi l’Olimpo (oggi Quirinale) e ci mando anche tutti gli dei minori, quelli che, ogni volta che scaglio fulmini e saette su quei poveri greci, si scompisciano in risate ed applausi neanche fosse uno spettacolo televisivo. E poi ci metto tutta quella massa di raccomandati, garantiti, protetti, figli di papà, dipendenti statali, politicanti di mestiere e laureati in Albania che, comunque vadano le cose, stanno sempre a galla.”

Il rapporto su Giove-Zeus finisce qui ma all’estensore di queste cronache rimane una domanda sulla punta della penna: a quelli come me, pensionati “privilegiati” a mille euro mensili, cosa capiterà? Per dirla con un famoso libro di Marcello D’Orta: Io, speriamo che me la cavo.

 

O via Bicocca. mia amata…..

Della via Bicocca, centro della vita sociale ed “economica” dell’antica Sossu? Parlato e straparlato. Ne hanno trattato tutti gli autori di tutte le altitudini ( e bassittudini), sussinchi, accudiddi e furisthèri. Non so se ne sia stato detto gia tutto. Ma chi se ne impippa. Io, quando mi va e per tenermi  desta la memoria e tirare su l’umore, continuo a ritornarci e a leggerci su, per ricordare da dove proveniamo e specialmente per sorridere della bellissima decrizione di una normalissima  “brèa” (bisticcio) che vi si svolgeva quotidianamente e amichevolmente, fatta a suo tempo da  Antonino Tilocca. Particolari momenti di ” animazione” chi fazìani accudì (facevano accorrere) tutti i membri dell’intellighenzia sussinca che si scambiavano le reciproche frottole e vanterìe stravaccati nei tavolini della  vicina “Gabbietta”. Non andavano per eventualmente fare da pacieri. Assolutamente no, ci mancherebbe. Accorrevano solo per sghignazzare per il “popolano” comportamento dei pazzoidi compaesani di bassa gleba. (Pi.Mu.)

 

bicocca

 

la bicocca 001

 

 

 

bicc 001

bicc 001 - Copia

 

cocca

Mi girano le ruote (Angela Gambirasio)

di Leo Spanu

Ci sono molti modi per affrontare i problemi seri: io lo faccio scherzando. Sono pazzo? Possibile, anzi probabile ma soffro di una profonda forma di allergia al “buonismo” e al “politicamente corretto”. Non c’è niente di più terapeutico (per me) che smontare il perbenismo ipocrita di tutti quelli, e sono tanti, che davanti alla disgrazie (altrui) assumono l’espressione mistica e sofferta di santo Stefano quando lo usavano come bersaglio per le freccette. Lo confesso, il mio sport preferito è bucare i palloni gonfiati con lo spillo dell’ironia. Leggendo “ Mi girano le ruote” (Edizioni Voltalacarta. Sassari 2013) scopro che non sono il solo anche se Angela Gambirasio ha molti e più validi motivi per combattere i vari tipi di giramento di ruote e di parti meno nobili del corpo umano. Infatti Angela va in giro in carrozzella fin dalla più tenera età. Del perché non mi interessa più di tanto mentre invece mi interessa il come e il dove. Mi interessa capire come una persona con un handicap affronta la vita che per lei sarà sempre in salita. Ma Angela è una donna dotata di fine intelligenza e di un grande senso dell’ironia ( e dell’autoironia) è già queste qualità ne fanno una persona speciale, visto che viviamo in una società dove tutti cercano di adeguarsi a canoni di vita (virtuale) ispirati dalla pubblicità più stupida per diventare tutti uguali come i barattoli di pomodori che escono dalla catena di montaggio. Una laurea in psicologia, un lavoro presso l’Università di Milano, un marito: così si presenta Angela. Un’esistenza apparentemente normale se non fosse per quel “problemino” di “deambulazione meccanicamente assistita” (bella definizione presa dallo stupidario medico).

Così Angela si mette a raccontare le sue esperienze di vita quotidiana. Una scrittura scorrevole e accattivante, un umorismo spesso feroce, un’intelligenza vivace, ferita non tanto dal suo handicap quanto dalla stupidità altrui. “ Mi girano le ruote” infatti è più di un libro che denuncia le storture e le contraddizioni di una società che ha scarsa attenzione per i più deboli malgrado le solenni affermazioni di principio, è la storia di una donna che non si arrende mai, che lotta, che cerca e trova un suo ruolo in una società brutalmente competitiva. Un guerra che non avrà mai fine non tanto per le barriere architettoniche che limitano spazi e movimenti ma specialmente per le barriere mentali delle persone cosidette “normali” che forse non hanno ( compreso lo scrivente) le idee chiare sul concetto di normalità.

Primo ostacolo il linguaggio: una serie di definizioni da confondere anche i compilatori della Treccani. Ma come dobbiamo chiamare questi nostri fratelli e sorelle “figli di un dio minore?” Qui Angela si scatena contro la stupidità umana che in continuazione inventa neologismi incredibili. Esempi? Non vedente, ipovedente: cieco non andava bene? Non udente, diversamente senziente, audioleso (difetti al televisore?): sordo no? Oppure non ambulante (non può piazzare la bancarella nel mercatino del paese?), portatore di handicap (e se uno non lo vuole portare?), inabile, disabile, diversamente abile, diversabile ( ci siamo persi la “mente” per strada). Una gamma di castronerie degne del repertorio di un comico. Quella che preferisco in assoluto è “non auto sufficiente”. Sembra il ritratto di un mio compare che senza la moglie non sa cucinarsi neanche un uovo al tegamino.

Intanto che noi normali siamo impegnati in un dibattito linguistico degno dell’Accademia della Crusca, Angela deve combattere treni con pedane che funzionano quando gli pare e se ne hanno voglia, alberghi con servizi per disabili a misura di abili, vigili urbani che pretendono il dono dell’ubiquità ( lei può sostare in questa zona con la sua carrozzella ma deve spostare la sua macchina), norme e regole scritte da marziani che una volta all’anno vengono in vacanza sulla terra, medici le cui competenze e umanità sono pari all’intelligenza. Cioè zero.

Il libro di Angela Gambirasio è un viaggio un po’ picaresco e un po’ drammatico nella “parte oscura della Forza” ( citazione “colta” da Guerre Stellari !) o, se volete, nell’altra parte dell’esistenza, la periferia dove non andiamo mai perché ci sono cose e persone che preferiamo non vedere e non sentire. Ma non c’è nessuna morale da raccogliere nella storia di Angela. Non credo sia nello spirito e nelle intenzioni della scrittrice. C’è solo, se ne abbiamo voglia, il dovere di conoscere e di capire le ragioni degli altri. Magari potremmo scoprire che la tolleranza e la solidarietà rendono più leggera la vita. Agli altri e a noi.

Articolo pubblicato sul Corriere Turritano nr. 12 de 6/12/2014

“Il pennello morente” di Giuliano Leonardi

di Piero Murineddu

Inaspettatamente, capita che una sera ci si dà appuntamento con Fabio Melis, il musicista sussincu che continua a stupire le platee col suono dei suoi strumenti musicali, arcaici e moderni.

Col baldo e non più giovanissimo concittadino, eternamente con la barba incolta per scelta, la conoscenza non è stata mai allietata dalla frequentazione, probabilmente perché la diversità d’età non ne ha create le opportunità. Ma comunque, è proprio vero che chi stà in “movimento” ha sempre possibilità d’incontrarsi.

Appuntamento quindi nella casa della quasi 80enne Nuccia, nipote di quel grande artista Giuliano Leonardi ancora troppo sconosciuto ai più, nonostante siano trascorsi oltre vent’anni dalla sua morte. In effetti, il riservato Giuliano non faceva molto per far conoscere in giro la sua capacità di pittore e di scultore: mai organizzata di sua iniziativa una Mostra nei lunghi anni trascorsi a Roma, dove nella sua abitazione-laboratorio in affitto sulla Via Appia conduceva una vita semplice e molto ritirata.

Aveva si realizzato opere importanti, come “La Cavallerizza”, il Monumento a Salvo D’Acquisto, la “Virgo Fidelis”, patrona dell’Arma dei Carabinieri, e tante altre meno note, ma su di lui si è parlato sempre poco. Ed è proprio questo il motivo che ha portato Fabio a chiedermi di vederci in questa casa – museo: conoscerne l’Opera, con l’intento di divulgarla nelle continue e numerose tappe dove porta la sua musica.

Durante il tempo in cui siamo stati insieme a Nuccia in questa antica casa impreziosita dalla presenza artistica dello zio, si è abbozzata la possibilità e il desiderio di fare qualcosa di “concreto”, anche per non correre il rischio che prima o poi tutto questo tesoro artistico vada disperso. 

La gentile e cordiale signora non ha mancato di far vedere all’interessato musicista tutte le opere presenti: busti, quadri di diverse dimensioni, bassorilievi. Gli attestati ricevuti e i ritagli di giornale che parlano degli incontri avuti dal Giuliani con personalità civili e religiose sono ben conservati con meticolosa cura. Da sotto un largo panno colorato, Nuccia sfila qualcuna delle numerose incompiute, non facendo mancare le sue continue spiegazioni. Ben accatastate, vi sono anche centinaia di schizzi delle opere realizzate in un secondo momento dallo zio. Più timidamente, l’ospitale signora accenna anche alle cose da lei fatte dietro stimolo del Leonardi, quando ormai vecchio e ammalato, trascorse in questa casa gli ultimi tre anni della sua vita, usando le residue energie a scrivere e sforzandosi a tenere ancora il pennello in mano. Ecco le sue pitture impresse in quadretti, mattonelle, barattoli e bottiglie. Una festa di colori sgargianti.

Dicevo degli scritti. Prevalentemente a carattere religioso, perchè Giuliano Leonardi aveva una marcata vita interiore, espressa in molte delle sue opere. La pittura e specialmente la scultura sono stati per l’Artista sicuramente i modi a lui più congeniali per esprimersi, ma anche attraverso la penna, pur non ritenendosi  “scrittore” nel senso pieno del termine, ha tentato di comunicare il suo sentire e la sua visione del mondo.

Senza intenzione da parte mia di volerne esaltare  capacità in questo campo, voglio tuttavia porre all’ attenzione un testo che, durante la breve visita nel Museo Leonardi, ha colpito la mia attenzione.

Gli ultimi palpiti di un pennello morente

di Giuliano Leonardi

Preoccupato e con un dolore senza conforto, sento vicina la mia fine.

Da giorni mi vedo abbandonato nella parte confusa nel cassetto pieno di bellissimi colori.

Vedo l’artefice al lavoro, ultimando una Madonnina di soave e gentile espressione.

E’ una delle tante composizioni che giacciono in attesa nello studio.

L’artista le ha create in obbedienza alla fede, trascinato da voleri ignoti come in preghiera.

Tutta la vita è stata consacrata a tale pensiero e nessun ostacolo l’ha fermato.

Nella mia vita a servizio delle sue mani ho potuto sentire il grande spirito dedicato al culto delle sacre rappresentazioni.

Molte volte ho sentito il lamento di una vita avversa trasformato in preghiera.

Io ero felice della sua fede e partecipavo anche al dolore che ne fortificava l’animo.

Per me non mancavano affettuosità, espresse spesso senza parole. Benchè breve, quel tempo fu per me gioioso.

Sempre obbediente al suo pensiero e al movimento delle mani spesso tremanti per la stanchezza.

Il passaggio continuo dei colori per spalmarli sulla tela descriveva l’armonia della bellezza e sentivo grande gioia in me.

Nel riposo della sera sognavo sempre. La Madonnina mi sorrideva e il piccolo Divino Figlio mi prendeva, giocando quasi col pensiero di dipingere sé stesso.

Vedevo il mio artefice lavorare in una grande Chiesa.Era stato sempre il suo sogno consacrare sé stesso in un lavoro gigante che esprimesse la sua fede.

La mattina si sentiva la felice armonia dell’organo, le preghiere dei fedeli, le campane che invadevano l’aria della Voce di Dio.

Ancora visioni, ma tristi. Mi trovavo al lavoro di un altro artefice, terribile confusione di vita, nervosa inquietudine in tutte le manifestazioni di lavoro e di sentimenti privi di fede, alla sola ricerca dell’ignoto pazzesco.

Io trasmettevo sulla tela colori già sporchi dal pensiero, ma esaltati e ben pagati da altrettanti pazzi e sporchi nell’anima corrotta. Mi sentivo umiliato e triste senza colpa.

Nel grande pianto mi svegliai trovandomi nel vecchio cassetto, col vecchio onesto artista che è tutto il mio bene.

Egli, col pensiero di sorridente gratitudine e osservandomi amorevolmente, comprese il mio dolore.

Mi mise da parte affinché morente chiudessi i miei occhi davanti a lui e al suo lavoro sulla Madonnina.

LEONARDI-2121-1024x452

“SORSO – storia e fede di un borgo di Romangia” – 1858 Regolamento di polizia urbana

601109

di Piero Murineddu

Ma quarda un pò che bel regalo mi ha fatto Gianmario Urgeghe, che oltre essere un tutore dell’ordine costituito, via e via che lo conosco mi stà dimostrando che in una sua precedente vita è stato  uno di quegli imprendibili e devastanti topini di biblioteca. Topino sui generis, però. Infatti, invece di rosicchiare i numerosi libri, specialmente quelli con grosse e gustose copertine, per distrarsi dalla fame che   non trovava soddisfacimento, un bel dì, preso dalla disperazione,   inizia a leggere il contenuto di questi volumi, e chissà perchè, specialmente quelli che trattavano di Storia passata. La cosa lo prende talmente che si dimentica  dei tremendi crampi allo stomaco provocati dalla mancanza del  profumato e stagionato casgiu sardhu tanto amato e ricercato nel suo ambiente di roditori. Come nell’ambiente umano ci sono quelli che si cibano SOLO di pizza, di Eucaristia, di yogurt, di giasthimà e di vàssi li frazzigghi anzeni (per gli italiani: d’imprecare e di parlare male del prossimo), così TopinoGianmarietto impara a vivere solo di cultura. Con grande soddisfazione di mente, e stranamente, anche di corpo. Per chi crede nelle Reincarnazione, per meritarsi il Nirvana Finale, un’unica anima incarnatasi nel tempo in vari essere viventi, deve diventarne degna e raggiungere la perfezione con l’impegno di ciascuno in cui “alloggia” in vita. Probabilmente, l’anima che attualmente ha preso possesso di Gianmario, prima era in un tamericcio, in seguito poniamo il caso in un pipistrello, dopo in un cagnolino che girava per le stradette dell’antico villaggio di Geridu, in ziu Antonicheddhu che dava il bando con la trombetta per le vie di Sossu, nel cavallo  che trainava  la tumbarella di ziu Bainzu, ecc ecc. Ognuno ha ben operato e man mano, col tempo,  questa benedetta animaccia si sta’ purificando sempre più. Ho detto che attualmente opera nel corpo di Gianmario da Sorso, purizzottu (poliziotto) di professione ma specialmente curioso ricercatore e ricostruttore di ciò che siamo stati, che solo per questo meriterebbe la riconoscenza di tutti noi sussinchi, ora che è in vita e quando defunto sarà.
 
Perchè tutta questa storia? Semplicemente per ringraziarlo del gradito dono che mi ha fatto. Come quale? Ma non l’avete vista la copertina che ho messo all’inizio? Il librone di Gian Paolo Ortu pubblicato nel 2004, che per il costo leggermente e comprensibilmente altino per la faticaccia di ricerca che ha dovuto affrontare, aspettavo sempre qualcuno che me lo regalasse. E così è avvenuto nell’A.D. 2014, di novembre.E così, finalmente sto’ venendo a conoscenza della nostra storia sussinca cronologicamente ben ordinata, e per me, che in vecchiaia mi è venuta questa smania di spulciare quà e là nel nostro passato, è proprio una preziosa fonte d’informazioni. Bravo Gian Paolo (e bravo anche Gianmario!). E’ un utilissimo strumento che dovrebbe essere presente in ogni casa, ma non solo per esibirlo ben ordinato e pulito nello scaffale di salotto agli amici e al del magico “Folletto” rivenditore – che se non è folle al punto giusto non riesce a vendere mai una mazza ! – ma per leggerlo, parlarne e rileggerlo ancora.Un grosso volume ricchissimo di nomi, date, fatti e foto, molte delle quali appartenenti all’archivio del sempre prezioso Petronio Pani   e del ricercatore svizzero Gartmann. Quello che è avvenuto dalle Origini fino ad avanti ieri, per lo meno fino alla pubblicazione. Iniziando a leggerlo, ho scoperto che tornando in auge la figura del Barone, in teoria ne potremmo avere uno bell’e pronto ( anche con la barba d’ordinanza) vivente a Cagliari, tal (don) Vincenzo Amat di Sanfilippo.Un volume ricchissimo anche di utilissime tabelle. Ecco queste che seguono, per esempio,  il “Regolamento di polizia urbana nel 1858 a Sossu”, che l’autore ha trovato nella Biblioteca Comunale di Sassari (MS 1-2).Leggetevelo con attenzione e anche gustatevelo tutto. Vedrete quanto sono divertenti alcuni passaggi. In seguito, non mancherò di pubblicarne altri stralci, e se mi andrà, non farò mancare qualche mio commentino.polizia 1 001

polizia 2 001

poòizia 3 001

Comitati di Quartiere oggi, segno di grande coraggio

comitato di quartiere

 

di Piero Murineddu

Vi erano una volta i Comitati di Quartiere, nati in modo autogestito dietro i grandi fermenti sociali seguiti agli anni della “Contestazione”.  Ad un certo punto li si volle “regolarizzare” e furono sostituiti dalle Circoscrizioni, luoghi sicuramente di partecipazione democratica, molti attivisti dei quali si son fatti sedurre dal  fluido (spesso mortale delle buone intenzioni) del blob della politicapoliticata.   Annullati per legge anche questi, è rimasta solo la meschinetta delega all’illuminato politicante che volta per volta ti convince che lui ha la ricetta giusta per tutti i mali del mondo . E questa delega (rigidamente in bianco) la si ottiene spesso con metodi persuasivi che sappiamo, il più delle volte menzogneri e ricattatori. Questo è ciò che è rimasto della vita politica e sociale: da una parte il popolino a guardare e sperare ( e strigendosi continuamente la cinghia), dall’altra la Casta benedicente e rassicurante (allentandosi continuamente la cinghia).

In mezzo a tanta arida steppa sociale, ogni tanto fa capolino qualche coraggiosa e timida piantina che  sembra voglia ridare vigore alla troppa stagnante e diffusa rassegnazione.

 

Veniamo all’articolo pubblicato su La Nuova qualche tempo fa che avete letto prima.

Questa volontaria ricostituzione del  vecchio Comitato del Quartiere sassarese di Monserrato – Rizzeddu fa intravedere in affetti qualche raggio di calda speranza che ancora qualcuno ha voglia di mettersi insieme per migliorare la propria vita e per tentare di uscir fuori dall’esaperante e quasi disperato individualismo in cui ci siamo ficcati.

Nelle città, specialmente nei quartieri dove non ci si conosce e dove vi sono persone mosse da motivazioni forti, la cosa sembra in un certo modo agevolata, da una parte grazie al desiderio appunto di creare nuove relazioni, dall’altra  dal fatto che, non conoscendosi, c’è la prospettiva di collaborare con persone in gamba e immuni da certi difetti, tipo il voler prevalere e primeggiare sugli altri, il voler esibire la propria cultura e via dicendo.

Comunque, nonostante un pizzichetto di scetticismo, a me la cosa fa piacere e mi auguro riescano a superare le inevitabili divergenze e che ciascuno voglia sinceramente dare il proprio libero e generoso apporto per il bene comune. Amen

Certo, che immaginandomi di poter realizzare una cosa simile in un paese,  a Sorso come tanti altri piccoli e medi centri, lo scetticismo aumenta oioia. Perchè? Non so, per il fatto ad esempio che più o meno ci si conosce, la qual cosa porta spesso ad etichettare gli altri tipo   ” Con Cuddàra? Pa cariddai! Con quella non è possibile fare niente”  e ancora “Con quella famiglia? Ma scherzando stai?! Ma lo sai cosa mi ha  combinato suo marito quella volta là?” e ancoraancora   “Oia…gia l’hai bona ià! Cun chissu ti lu sogni di pudè fà casche cosa!!”.

E questa è una cosa.Si aggiungono poi le “marchiature” ideologiche – politiche, che negli ultimi anni hanno scavato profondi solchi di separazione: per i nostri arroccamenti, certo,  ma anche perchè politici “operatori di pace” e di concordia non è che abbondino. Anzi, si può dire che lo sforzo principale delle ultime generazioni di politici locali è semplicemente quello di foraggiare la propria mandria, con la raccomandazione di tenersi a debita distanza dagli “altri”. Qual’è il fermento sociale che c’è dalle nostre parti, che possa in qualche modo incoraggiare qualcuno a prendere l’iniziativa? Ditemelo voi, perchè a me proprio sfugge. Ma comunque, non è detta l’ultima parola.

Propongo alla vostra lettura anche quest’altro articolo recuperato su quel non male giornale “Acqua e Sapone” distribuito gratuitamente e dove spesso trovo articoli interessanti. Parla di queste iniziative di Condomini Solidali che stanno nascendo un pò ovunque,  spesso veicolati dala Rete, a riprova che non è solo un immondezzaio dove ognuno butta il peggio di sè.

Buona lettura e …..coraggio ( se ne avete in più, datene un pò anche agli altri)

 

Come continuo a ripetervi, per rendere leggibili i caratteri, cliccateci sopra.

 

buon vicinato 1 001

buon vicinato 2 001