L’unico traguardo globale

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Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. (Bertolt Brecht)

 

L’unico traguardo globale

 

di Rita Clemente

 

Siamo su una brutta china. Vi sono molti segnali inquietanti che stanno a testimoniarlo. I peggiori di tutti sono le dichiarazioni a dir poco folli di alcuni personaggi che definire “istituzionali” sarebbe gettare nel discredito totale quel poco che di accettabile resta delle nostre istituzioni.

Si tratta di parole” si dice. Ma a volte le parole sono pesanti come macigni e comunque si comincia dalle parole, espressione di pensiero e di coscienza sotterranea, per arrivare ai fatti. Sono lo specchio della propria realtà interiore. Sono comunque parole che non si dovrebbero mai pronunciare, non che pensare.Qualche esempio? Un certo sindaco di un certo paesino, commentando – a modo suo “spiritosamente” – la dichiarazione della Presidente della Camera Laura Boldrini, la quale sosteneva che “i Rom vanno valorizzati” se ne esce dicendoI Rom vanno termovalorizzati”. Un altro sindaco della stessa pasta (e della stessa linea politica), commentando un post, scrive su un social network “propongo i clandestini nell’inceneritore”. Sono solo due esempi molto eloquenti del degrado mentale cui si può essere giunti. Eppure,sarebbero poco significativi se essi non riflettessero una sorta di “coscienza collettiva” sempre più diffusa, che emerge sempre più chiara e distinta e – direi anche sfacciata – attraverso i nuovi strumenti di democrazia comunicativa: commenti ad articoli di giornali, commenti a post su FB, “cinguettii” su Twitter ed altro ancora.

Si leggono drastiche opinioni, informazioni date per certe, giudizi perentori, che si potrebbero, alquanto schematicamente, raggruppare nelle seguenti categorie:

 

  1. Se in Italia non c’è lavoro, la colpa è degli “extracomunitari” che lo rubano agli indigeni. Che poi vorrei vedere quanti Italiani sarebbero disposti a fare i/le badanti a tempo pieno, con anziani spesso aggressivi, nel pieno dell’Alzheimer. Oppure i raccoglitori di pomodori a tre euro l’ora.
  1. Per ottenere una casa popolare, devi farti togliere la cittadinanza italiana e risultare clandestino.
  2. Ci sono folle di emigranti che arrivano sui barconi desiderosi di trascorrere un periodo di vacanze in alberghi extralusso, pagati con le tasse degli Italiani.
  3. Sicuramente tutti questi migranti hanno contratto l’Ebola e adesso arrivano, dopo un lungo viaggio in mare in condizioni proibitive, freschi sani e pimpanti a infettare tutti noi.

        5.E soprattutto, il 90% sono terroristi che arrivano,armati fino ai denti, per  assaltare e occupare le nostre città.

      6. Dei circa sessanta milioni di abitanti che risiedono in Italia, sicuramente    un buonsessanta per cento ostituito da immigrati. Salvateci! Rischiamo  di       diventare trascurabile minoranza.

 

E altre sciocchezze del genere. Non si tiene conto di altre considerazioni su cui qualche dato e il buon senso dovrebbero far riflettere.

1) L’Italia non è l’unico Paese meta di immigrazione (oltre che di emigrazione). In altri Paesi,anche più poveri del nostro, gli immigrati sono molti di più.

2) Se uno ha l’Ebola, normalmente non se la sente di fare una lunga e pericolosa traversata in mare.

3) Spesso chi fugge sono proprio quelli che non vogliono fare i terroristi, magari proprio quelle minoranze (cristiane e musulmane) oggetto di persecuzioni e di stragi, su cui poi noi spargiamo tante lacrime di coccodrillo.

4) Il “sistema accoglienza” in Italia non è certo dei migliori e sicuramente non arricchisce immigranti, spesso costretti all’accattonaggio per sopravvivere.Ma la “coscienza collettiva” di una società, preda di una crisi che morde ormai da troppo tempo, si va sempre più orientando verso la ricerca di un capro espiatorio, facile e immediato. Dal senso di disagio al giudizio affrettato e all’azione di protesta anche aggressiva i passi sono brevi come di mostrano le sollevazioni delle periferie romane (e non solo) contro le comunità Rom e i migranti in attesa di riconoscimento dello status di Rifugiato. Naturalmente, c’è chi pesca subito nel torbido, come personaggi e forze politiche che approfittano di questo malessere per ergersi a paladini delle “legittime esigenze degli Italiani dimenticati e bistrattati”. Chi siano queste forze politiche non è così difficile da intuire: quelle che intendono rinverdire una ideologia vecchia come il cucco, secondo cui il malessere sociale dipende da “corpi estranei” che non appartengono alla nostra comunità, si chiami essa Patria o Macroregione o Religione. E’ una storia già sentita nelle narrazioni tragiche del secolo scorso, quelle che hanno intessuto gli orrori delle due guerre mondiali. E non a caso assistiamo oggi a un pericoloso convergere di programmi e idee che vedono schierati sullo stesso fronte la Lega Nord, i Fratelli d’Italia, Casa Pound e alcune frange di cattolici oltranzisti. Ma ancor più pericolosa è la diffusione di tali convincimenti anche in fasce di società civile solitamente moderate, se non addirittura “di sinistra”. Salvo poi a scoprire che questi strani personaggi che incitano alla rivolta contro i campi Rom e le strutture d’accoglienza per gli immigrati sono proprio quelli che poi, in combutta con il malaffare e con amministratori complici e compiacenti, lucrano abbondantemente proprio sui progetti del Terzo Settore con cui si cerca, in qualche modo, di arginare il disastro sociale e di venire incontro ai bisogni umani degli emarginati. Gettando così nel fango e vanificando anche tutti gli sforzi, faticosi e lodevoli, di chi con impegno e onestà dedica ad essi le proprie energie e il proprio tempo, per ridare loro un po’ di dignità e di autonomia.

L’avanzata delle Destre xenofobe e razziste non è solo un problema italiano, come dimostrano i risultati elettorali di molte nazioni europee. Ed è un problema seriamente sentito anche a livello di istituzioni europee se 100 organizzazioni della società civile con sede in diversi paesi europei hanno lanciato un appello per la costituzione di un Intergruppo sull’Antirazzismo e per la Diversità al Parlamento Europeo (ARDI. Antiracism and Di-ersity Intergroup).

Insomma, si registra un ritorno al razzismo, alla xenofobia, al rifiuto del “diverso”, seppure ammantato da parole d’ordine nuove e da ragioni politiche attualizzate. E questa mentalità fa larga presa, a quanto mi è dato di vedere, anche tra persone “insospettabili”, non particolarmente esagitate e anzi dotate, per altri versi, anche di ragionevolezza e di buon senso. Come mai? Ecco, io non vorrei, a questo punto, lanciare un semplicistico “J’accuse” da “anima bella”. Sarebbe troppo semplice e troppo comodo. E anche ipocrita. Vorrei invece sforzarmi di capire. Non di giustificare,è ovvio, ma di capire. Molta, troppa gente ormai vive in una condizione di incertezza, di disagio, di bisogni insoddisfatti. Per esempio, il bisogno di trovare un lavoro sicuro, di potersi pagare l’affitto di una casa o un mutuo, di potersi curare al meglio, se si ammala. E quando i puntelli di un agognato e fino a un dato momento assicurato welfare vengono a sgretolarsi, ci si aggrappa con tuttele forze alla piccola tavola di salvataggio consentita: i “nostri” diritti, le “nostre” tradizioni, la nostra” cultura ecc. Sì, ma gli altri? Chi fugge dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria? Eppure bisogna chiedersi: se a me venisse tolta o pesantemente ridimensionata la possibilità di vivere in sicurezza e in relativo benessere, che cosa farei? Che cosa penserei? Inoltre, bisogna anche tener conto che chi vive già nell’area del disagio ha una soglia di tolleranza molto inferiore nei confronti del degrado di chi sta peggio e chiede interventi pubblici. E anche del fatto che,ai livelli del bisogno impellente, si intrecciano e si mescolano in maniera inestricabile fenomeni di illegalità e di devianza, di cui i “diversi” non sono esenti, come esseri umani. Anche se la percezione distorta tende a isolare e a enfatizzare gli episodi di devianza “straniera”.

Le forze politiche nazionalistiche, localistiche, identitarie, si nutrono di queste rabbie, di queste insicurezze, di queste paure. E la Sinistra? Ho come l’impressione che, allo stato attuale, le vere forze di sinistra siano alquanto deboli e impotenti. O succubi delle “ragioni” dei mercati. Che manchi, cioè, un progetto politico organico e coraggioso. Capace di fare presa sulle “masse” e di coinvolgerle in un percorso di affermazione e realizzazione solidale dei diritti di tutti. Perché? Qui occorrerebbe innestare un discorso articolato e complesso, su un nuovo modello di sviluppo in cui la crescita non sia solo un privilegio di alcuni a discapito di altri. In cui la produzione non sia finalizzata a una competitività aggressiva e minacciosa tesa all’incremento dei profitti più che al soddisfacimento dei bisogni. In cui il rispetto dei diritti non conosca confini e la tutela degli ecosistemi riguardi tutte le popolazioni.  

Occorrerebbe una visione globale e interrelata, non particolaristica e identitaria del nuovo welfare. Occorre pensare una nuova organizzazione del lavoro, al servizio della vita di tutti, non del privilegio di pochi. E forse dovremmo anche fare i conti – tutti, non solo le grandi Istituzioni – con un necessario contenimento della ricchezza individuale a favore di un sostegno del reddito per tutti, soprattutto le fasce meno protette (giovani, pensionati, diversamente abili ecc). Di una diffusione e tutela dei “beni comuni”. In Europa non mancano le forze che guardano in questa direzione. Penso a “Syriza” in Grecia, al movimento “Podemos” in Spagna. Minoritarie, certo, ma significative. Ma soprattutto, a mio avviso, la vera azione politica in questo senso sarà attuata dalla miriade di piccole e grandi associazioni della società civile che ancora credono nei valori della solidarietà, dell’inclusione, del dialogo, della condivisione, della creatività operosa e intelligente a fini sociali. Tante piccole mani e volontà per rigettare indietro –se fosse possibile –i vieti spauracchi delle pseudo rivoluzioni similfasciste. Vero è che la solidarietà da sola non basta a risolvere i problemi dei bisognosi se non è sostenuta da una robusta azione politica, incentrata sulla tutela dei diritti. Però è anche vero che la sola politica –intesa come azione legiferante dei rappresentanti del popolo –non è sufficiente se non è sostenuta a sua volta da una solidale consapevolezza della società civile. O almeno di quella parte di essa che ha sviluppato resistenti anticorpi al riproporsi di soluzioni aggressivamente identitarie.Ognuno deve metterci la faccia, il cuore e il cervello per contrastare l’emergere di pulsioni xenofobe e razziste di vecchia memoria. Laddove c’è grande malessere sociale la cosiddetta “guerra tra poveri” è sempre in agguato. E c’è chi ne approfitta, svendendo per nobili ragioni una chiusura e un’ostilità sempre più identitarie e securitarie. Ma, insegnava don Milani, “il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica”.

La politica! Questa parola che si è rivestita di mille sensi ambigui e distorti,quasi fosse sinonimo di malaffare e di corruzione. Eppure la sua radice è la “polis”, cioè l’idea di cittadinanza, rafforzata dall’idea del diritto. Che dovrebbe costituire l’unico traguardo veramenteglobale”, senza esclusioni e barriere.

 

Tratto da “c.d.b. Informa” Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri n° 60 gennaio 2015 http://www.cdbchieri.it/

L’unico traguardo globaleultima modifica: 2015-01-10T18:48:49+01:00da piero-murineddu
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