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Don Giorgio De Capitani su “Noi siamo Chiesa”

 

“Noi Siamo Chiesa” (NSC) è la sezione italiana del movimento cattolico progressista International Movement We Are Church (IMWAC), fondato nel novembre del 1996 a seguito di una raccolta di firme in appoggio ad un Appello dal popolo di Dio
                                         http://www.noisiamochiesa.org/?p=69
a Giovanni Paolo II con cui si chiedeva il rinnovamento ecclesiale della Chiesa cattolica poiché le “speranze aperte nella chiesa dal Vaticano II sono andate in gran parte deluse a causa del tentativo di imprigionarne lo spirito rinnovatore”.
(da Wikipedia)

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di don Giorgio De Capitani*

Riconosco gli iniziali intenti lodevoli, gli sforzi anche coraggiosi per continuare la lotta all’interno della Chiesa istituzionale per una riforma radicale.

La mia critica si limita alla sezione italiana di “Noi Siamo Chiesa”. Mi pare che ultimamente essa si sia rammollita, non sia più l’espressione della base, promuova discussioni ma senza far presa sulla massa del popolo di Dio. Mi sembra che a “Noi Siamo Chiesa” non interessi per nulla ciò che sta succedendo tra il clero più dissidente. Cito il mio caso personale. Diverse volte mi sono rivolto per chiedere solidarietà per qualche mia battaglia all’interno della Chiesa e nel campo socio-politico: neppure una risposta! Silenzio assoluto! Ma non sono l’unico caso lasciato solo a combattere, perché la Chiesa torni alle origini, ovvero al suo Fondatore, tradito subito, appena la Chiesa ha iniziato ad espandersi nel mondo.

Da quando Bergoglio è salito sulla cattedra di Pietro, “Noi Siamo Chiesa” non fa che sostenerlo, senza nemmeno chiedersi fin dove arriverà l’apertura così tanto proclamata di questo papa, dal sorriso facile, dai gesti popolari, dalle battute accattivanti.

“Noi Siamo Chiesa” dimentica un principio fondamentale della Profezia: essere sempre di stimolo, avere un occhio oltre, non salire sul carro del consenso generale, non cavalcare mai le aperture neppure quelle più promettenti di chi sta al potere. Volere o no, il papa è rivestito di un potere, ed è vittima del potere.

Essere di pungolo non significa negare l’evidenza, fare il bastian contrario ad ogni costo, contrastare ogni novità. Non nego che Papa Francesco stia dando una boccata d’aria fresca, ma non basta. Non vedo nulla di nuovo sotto il sole, oltre la facciata!

Cito l’ultimo caso: il documento inviato ai vescovi di tutto il mondo sulle: convivenze, coppie di fatto, unioni gay. La Chiesa si interroga sui grandi mutamenti che hanno cambiato il volto della famiglia. “Noi Siamo Chiesa” ha riportato un articolo, tra l’altro in inglese (senza la premura di tradurlo!), premettendo in italiano questo titolo: “Mai successo: il Sinodo dei vescovi chiede alle parrocchie di tutto il mondo di esprimersi sulle questioni che riguardano la famiglia e la sessualità”.

Io invece qualche riserva l’avrei. Mi preoccuperei di fare un lavoro capillare presso le parrocchie, perché il questionario sia presentato ai laici il più possibile nel modo corretto e si dia loro assoluta libertà di rispondere.

“Noi Siamo Chiesa” dovrebbe prestare più attenzione ai fermenti che ci sono già tra le comunità cristiane e il clero. Fermenti che vengono subito in parte fatti tacere, e che perciò andrebbero sostenuti. E invece, no! A “Noi Siamo Chiesa” piace riunirsi talora in convegni in cui si discute e non si va oltre. Ripeto, non è inserita nella località, non vive di località, ed ora, cosa del tutto inaccettabile, si sta omologando.

Bisogna partire dal basso, verso nuove comunità di base. Siamo stanchi dia parole, di assemblee, di proclami. Certo, anch’io scrivo documenti, ma per aprire la mente alla gente comune, in vista di una comunità evangelica radicale. Ho cercato di creare una comunità in tal senso, ultimamente a Monte di Rovagnate. Il problema sta nell’agganciare il laicato e nel risvegliare il clero. Senza mai stancarsi.

Sto scrivendo da una casa privata dove sono stato esiliato da un cardinale che parla anche di umanesimo e di aperture, ma che purtroppo non vuole che si possa discutere sui diritti civili.

“Noi Siamo Chiesa” si svegli e raccolga le voci di coloro che vivono nella realtà, e vorrebbero pagando di persona una Chiesa diversa. Non si faccia incantare da una rivoluzione di facciata!

 

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* Breve biografia di don Giorgio De Capitani

Ordinato sacerdote nel 1963 nell’arcidiocesi di Milano , ha esercitato a Introbio dal 1963 al1966, a Cambiago  dal 1966 al1973, a Sesto San Giovanni nella parrocchia San Giuseppe dal 1973 al 1983; inoltre è stato parroco a Balbiano e Colturano dal 1983 al1084  ed è stato sacerdote coadiutore a Cassano d’Adda dal 1984 al 1996  . Ha svolto incarichi pastorali presso la parrocchia di Rovagnate inprovincia di Lecco, dove dal 1996 al 2013 ha gestito la piccola chiesa e la comunità di fedeli nella frazione di Sant’Ambrogio in Monte. Nel luglio 2013 il cardinal Angelo Scola   ha scelto di rimuovere don Giorgio De Capitani da Monte  in seguito alle ripetute lamentele pervenute negli anni presso la Santa Sede e la Curia Milanese a causa dell’odio manifestato dal sacerdote nei confronti di Berlusconi e dell’indisponibilità dello stesso don Giorgio a chiudere il suo sito internet e rimuovere gli insulti e le ingiurie nei confronti di Berlusconi. Da settembre 2013 risiede a Dolzago, dove celebra una messa festiva la settimana.

“Noi siamo Chiesa”:papa Francesco a due anni dalla sua elezione

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DUE ANNI DI PAPA FRANCESCO
Cambiamenti epocali nella Chiesa cattolica romana?

Quando, al suo primo incontro da vescovo di Roma con i rappresentanti dei media, Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013, affermò «Ah, come vorrei una Chiesa povera, e per i poveri», egli stabilì un collegamento con la visione espressa da Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II (1962-65). Una visione che era sopravissuta nella Chiesa latino-americana, ma che molti martiri dovettero pagare con la loro vita, come accadde all’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, che fu assassinato sull’altare il 24 marzo 1980, e il cui processo di beatificazione è stato avviato a conclusione da papa Francesco.
Dopo le dimissioni di Benedetto XVI, Francesco ora porta avanti il rinnovamento in molti campi. E’ un fondamentale cambiamento culturale che cerca di attuare oggi ciò che il Concilio Vaticano II prospettò cinquant’anni fa, a proposito delle riforme intra-ecclesiali, la partecipazione dei fedeli, l’apertura al mondo, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Questo cambiamento culturale comporterà anche un cambiamento di strutture. Per questo, tuttavia, il popolo della Chiesa e le scienze teologiche debbono essere più attivamente coinvolte dai vescovi in una partecipazione che deve crescere sempre di più.
Noi chiediamo che il papa reintegri quei laici, teologi, donne e uomini ingiustamente rimossi, negli ultimi anni, per il loro impegno nella Chiesa. Nel contempo, noi chiediamo un dialogo diretto e stabile con il papa per esprimergli le nostre preoccupazioni e le nostre opinioni riguardo ai problemi che sfidano la nostra Chiesa.
Invece di prendere decisioni «dall’alto», Francesco innesca processi di partecipazione e volutamente sceglie la «via sinodale», come nel caso del doppio Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015. Questo cambiamento da un modo di decidere solitario ad uno interattivo appare strano a molti, nella Chiesa cattolica, eppure corrisponde all’orientamento del Concilio Vaticano II. La lista dei nuovi cardinali scelti da diverse parti del mondo nel febbraio 2015 mostra che le diversità nel mondo sono favorite. La decentralizzazione delle strutture della Chiesa deve continuare. I cardinali ed i vescovi, specialmente quelli implicati nella riforma dela Curia, hanno una grande responsabilità per far sì che l’avvio delle riforme avviato da Francesco abbia successo.
Ma la forza della resistenza ad ogni tipo di riforma all’interno dello stesso Vaticano è dimostrata dal fatto che papa Francesco è stato spinto a rivolgere aspre critiche alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi del 2014. Questo sferzante allarme era diretto non solo ai più eminenti membri della Curia, ma anche ai cardinali e vescovi della Chiesa universale che ancora mostrano di sostenere così poco le prospettive di Francesco.
Comunque, fin dall’inizio Francesco ha avuto un grande appoggio dalla gente, come dimostrano i sondaggi. Nel dicembre 2014 lo statunitense Pew Research Centre ha reso noto numeri impressionanti. Un’inchiesta in 43 paesi mostra un alto livello in favore di papa Francesco, con una media del 60%. Particolarmente alta è stata la percentuale di persone favorevoli a lui in Europa (84%), Stati Uniti d’America (78%) ed America latina (72%).

 

Ricordi dolorosi

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di Piero Murineddu

Come ho raccontato in questa pagina nel novembre del 2013, recandomi  un giorno nella campagnetta avuta in eredità dai miei, avevo trovato una scena desolante. Nottetempo, alla maggior parte di piante da frutto, tutte fino ad allora venute su a fatica, era stato “bloccato lo sviluppo”, usando la forza brutta e una lama da taglio ben affilata, come dimostra la foto.

Oltre la comprensibile rabbia ma anche la pena provata per l’autore di tale gesto, in quei giorni avevo cercato di capirne il motivo:

1. Dispetto?

2. Invidia?

3. Ritorsione per qualche mio pensiero ( a lui o loro sgradito) espresso  pubblicamente?

4. Semplice e puro atto per dimostrare all’autore ( o agli autori) la propria imbecillità?

Ogni ipotesi rimane ancora aperta. Magari mi si voleva semplicemente far capire, seppur in modo inusuale, che tradizionalmente le campagne di “Tre Monti” sono adatte per la coltivazione delle viti, e non per impiantarvi “zubevia”, “nèpuraciprò“, “meragranadda” e “meraghiddogna“. Come diceva la mia povera mamma, insomma, che spesso mi aveva rimproverato di aver fatto fuori il bel vigneto che c’era una volta. Il fatto che le dicevo che la vigna non basta averla ma vuole specialmente curata e che io non ero in grado di farlo, non attenuava il suo disappunto. Quindi, che i  “sicari”  nottambuli di piante siano stati istigati dall’anima buona di mia madre, sempre indaffarata anche su in Paradiso? Mi sia concesso di dubitarne.

Guardate bene quest’altra foto

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Quelli che vedete sono gli occhi che immagino abbia l’autore dell’infame gesto, o di chi eventualmente ne abbia ispirato l’atto concreto. E’ evidente che l’espressione non richiama serenità e visioni paradisiache, nel senso che non assomiglia nè a padre Pio ( a proposito, chissà perchè lo rappresentano sempre col volto accigliato), nè a lu muddu di Sossu, quel personaggio mitico di queste parti (Sardegna nord occidentale, “Romangia” la zona) che, dopo essergli apparsa la Madonna, riacquista la parola e corre in paese ad annunciare il prodigioso evento. No, proprio questi occhi non rimandano a queste figure  “illuminate”.

Comunque, putacaso tale espressione gli sia rimasta dopo aver massacrato quelle povere ed indifese piante, si rilassi e si tranquillizzi: io da parte mia l’ho perdonato. O almeno, se lo scopro, non lo afferro per la gola per strozzarlo. Lo giuro.

Certo, spero sempre che mi si presenti prima o poi con la cenere in testa da penitente (ma non di notte, altrimenti rischio l’infarto) e magari mi sveli il motivo che l’aveva spinto ad un gesto così vile, avvilente (per lui) e vigliaccone. Qualunque sia stato il motivo, il caffè o la birra ero disposto ad offrirli allora e lo sono ancora oggi.

In attesa di tale evento miracoloso (questo si, altro che le innumerevoli e presunte apparizioni mariane!), lo saluto senza rancore. Avvidezzi sani.

TELESFORO PIANA, l’arte nelle mani e l’atletica nel cuore

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di Piero Murineddu

Telesforo è un nome più unico che raro a Sorso.Manco a dirlo,  è legato al fabbro artista che da qualche anno, purtroppo, non capita più di vedere per le strade del paese passeggiare insieme alla sua inseparabile “Messalina”, cane lupo talmente paziente che riusciva sempre a sopportare le improvvise sfuriate e le simpatiche stravaganze del frairaggiu, scultore e pittore, figlio di fabbro e nipote di un altro Telesforo, frairaggiu anche lui. Parlo di Telesforo Manca, venuto a mancare nell’agosto del 2002. Il suo omonimo nipote, Piana di cognome, credo abbia interrotto la tradizione dell’antico mestiere, riprendendo però l’attività artistica di scolpire il legno e il ferro: “Sono cresciuto guardando mio nonno che disegnava, progettava e realizzava opere d’arte. Alle elementari e alle medie ero il più bravo in disegno. M’incaricavano di disegnare cartelloni e libri di classe per la scuola come quello fatto alle medie contro il fumo e l’inquinamento”.  Sensibilizzazione per salvaguardare la salute, quindi, ma anche iniziative scolastiche per richiamare i Diritti Umani a cui ogni essere vivente ha diritto, come la vicenda dell’Apartheid africana, in vigore dal 1976 al 1993 e inserita nella lista dei crimini contro l’umanità. Telesforo assicura di conservare ancora tutti quei piccoli lavoretti.Già a 12 anni, riceve il primo premio in un simposio di pittura in Abruzzo, dove si trovava in vacanza. Il laboratorio – officina si trovava nella stessa casa di via Fermi dove il ragazzino viveva con la sua famiglia, per cui inevitabilmente capitava che il nonno gli facesse usare gli attrezzi del mestiere: “Si, devo dire che mi ha contagiato la passione per l’arte e lui mi ha insegnato tantissimo“. Finite le medie, il giovane Telesforo frequenta l’Istituto d’Arte di Sassari, diplomandosi in Grafica Pubblicitaria e Fotografia. Segue il diploma in scultura nel 2002 all’Accademia di Belle Arti. “ Nello stesso anno muore mio nonno,  non  potendo così gioire della laurea conseguita da suo nipote”

Chiedo qualcosa di nonno Telesforo: “Era come tutti i nonni coi propri nipoti. Quando eravamo piccoli stava molto in viaggio per mostre personali e quando rientrava ci portava sempre dei regali. In estate ci portava con lui e mia madre. Ci ha fatto girare tutta l’Italia e la Svizzera dove aveva più acquirenti. Era amico di Fabrizio De André e quando era in Sardegna ci portava a casa sua , all’Agnata di Tempio. Ho già detto che quando lavorava ad una sua opera, dava a me e a mio fratello un pezzo di legno e uno scalpello, insegnandoci ad usarli e a conoscere il legno, con le venature da seguire per non rovinare il taglio dello scalpello. Da bambini scappavo a giocare dopo un po’ che intagliavo il legno, però disegnavo molto”. Non evito di chiedere a Telesforo qualcosa sull’aspetto caratteriale del vecchio fabbro artista: “ A molti mio nonno appariva burbero. Sicuramente non aveva peli sulla lingua e diceva le cose come stanno soprattutto a chi non gli garbava”. Ancora la vecchia storia che si ripresenta in continuazione, quindi: per essere accettato e gradito agli occhi degli altri, spesso bisogna adattarsi a quel comune rapportarsi fatto di luoghi comuni, spesso un tantino “faccidosthi”, nel senso di ipocriti. Il vecchio artista non era uno di mezze misure, e personalmente lo posso testimoniare.

Telesforo Piana in varie città italiane ed estere ha organizzato Esposizioni personali e partecipato a varie Rassegne, Concorsi, Estemporanee e Simposi internazionali di scultura, ottenendo premi e riconoscimenti di critica e di pubblico. Fra i più recenti:

Dall’accademia Internazionale Greci Marino”titolo di Accademico del Verbano,sezione arte 2005″

International Caluma Art center from Copenaghen riconoscimento del “Royal General Certificate of Art from Danimark, Hans Christian Andersen 2005”

Dall’accademia Internazionale dei Dioscuri “Premio Roma Città Santa 2006”

Riconoscimento internazionale l’Ercole di Brindisi e nomina di “Ambasciatore dell’Arte Italiana nel mondo 2007 ” ;

Da il Quadrato di Milano segnalato dalla critica internazionale ho ricevuto il”Premio Internazionale Nobel dell’Arte 2008″;

“Premio Internazionale d’Arte città di New York 2010.

“Premio internazionale Biennale di Venezia Rialto 2010.

Oltre che scolpire e dipingere, da 11 a 22 anni Telesforo ha praticato atletica leggera. Attualmente è dirigente della squadra di atletica C.C.R.S.Sorso e continua ad allenare i ragazzi, compiendo così una grande opera sociale.

Misericordia, cioè reciproca accoglienza fra tutti

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di Raniero La Valle

 

Ci sono delle cose che papa Bergoglio ha detto fin dal principio, che sul momento non vennero capite, ma si sono capite dopo, o si stanno comprendendo solo ora.
Per esempio quando, presentandosi la prima sera al popolo sul balcone di san Pietro aveva detto: “adesso vi benedico, ma prima chiedo a voi di benedirmi” non si poteva capire, come adesso invece è chiaro, che lì c’era già l’idea di una riforma del papato: il papa non solo rientrava tra i vescovi, come aveva detto il Concilio Vaticano II, ma tornava in mezzo al popolo come uno dei fedeli, come un pastore che non solo sta in testa al gregge, ma anche sta in mezzo e dietro al gregge, perché le pecore hanno il fiuto per capire la strada e per indicare il cammino. E così il gregge diventava un popolo, e il papa si riconosceva ministro di questo popolo, insieme agli altri ministri e primo tra loro, un papa non solo uscito dal conclave ma papa benedetto dal popolo.
Un’altra cosa che non si era capita era quella parola “misericordiare”, che non esiste né in italiano né in spagnolo e che il papa usava come un neologismo, tratto dal suo motto episcopale, per definire il suo compito. Sicché alla domanda: “chi è Francesco?”, “che cosa è venuto a fare?” che risuona anche in un mio libro uscito ora per “Ponte alle grazie”, la risposta era: “sono venuto a misericordiare”.
E ora si capisce che cosa volesse dire. Fare misericordia è il programma del suo pontificato. Certo, egli ha intrapreso la riforma del papato, tanto che mai si era visto un papa così. Certo egli ha intrapreso la riforma della Chiesa, che senza cominciare dal papato non si può fare. Certo egli ha posto mano a una revisione e a un ripensamento della Curia a cui ha chiesto di conformarsi a un modello alto di Chiesa, e di non apparire, o essere, l’ultima Corte europea. Ma ancora più importante di tutto ciò è l’intento di rimettere nel mondo, che con la modernità l’ha rimossa, la misericordia di Dio. È Dio infatti, e non la Chiesa, che papa Francesco annuncia, il proselitismo gli sembra “una sciocchezza”, mentre la misericordia gli sembra l’unica e ultima risorsa per la quale il mondo possa salvarsi e vivere. Nella persuasione che se si ritrova la misericordia di Dio, si può far nascere la misericordia anche nostra.
Perciò, a cinquant’anni dal Concilio e come suo prolungamento dopo tanto deserto, egli indice il Giubileo, che vuol dire esattamente il tempo della misericordia, l’anno della misericordia.
Non si tratta di incentivare i pellegrinaggi a Roma. Dove sarebbe la novità? Si tratta di proporre al mondo un nuovo paradigma. Intanto è chiaro che con i paradigmi in atto si va alla rovina, e in tempi brevi (c’è poco tempo, sembra dire il papa anche di sé); proviamo allora con un altro paradigma, quello della misericordia, che significa riconoscere il male, proprio ed altrui, chiedere perdono e perdonare, significa la riconciliazione. Ma la misericordia non sta solo nel perdono e nella remissione dei peccati, sta anche nella remissione dei debiti. Nell’antico Israele il Giubileo voleva dire anche la pacificazione del debitore, il rientrare in possesso delle terre perdute, riscattare beni dati in pegno o espropriati, voleva dire la liberazione degli schiavi.
Nel giudicare il mondo in cui viviamo papa Francesco usa il criterio della misericordia. E per questo lancia il Giubileo. L’economia che uccide, la società dell’esclusione, la globalizzazione dell’indifferenza, i poveri che invece di essere solamente sfruttati ed oppressi, oggi sono anche scartati e messi fuori perfino dalle periferie, sono tutti giudizi che papa Bergoglio dà di un mondo che è senza misericordia.
Se avesse misericordia, rimetterebbe il debito alla Grecia, permettendo alla gente di avere la luce per la notte e il gas per cucinare, e sarebbe restituita alla Grecia la libertà politica usurpata da poteri estranei e non responsabili di fronte a quel popolo.
Se avesse misericordia non lascerebbe che masse intere di uomini e donne, e una generazione intera di giovani, fossero escluse dal lavoro, disoccupati, licenziati, esuberi, precari. Se il lavoro fosse solo il mezzo per guadagnarsi da vivere, anche un minimo di reddito assicurato a tutti potrebbe essere una soluzione. Ma se il lavoro è la dignità stessa della persona, come dice papa Francesco, allora la misericordia oltre a garantire un minimo vitale, dovrebbe mobilitare tutte le risorse, pubbliche e private, perché il lavoro per tutti torni ad essere un’altissima priorità della politica.
Se la misericordia fosse all’opera, il mondo non starebbe a trastullarsi davanti agli eccidi in Medio Oriente e in Africa, sarebbe una priorità mettere fine con tutti i mezzi legittimi, a guerre e stermini sacrificali, magari mistificati con motivazioni religiose, a cui il papa ha definitivamente tolto ogni legittimazione annunciando un Dio nonviolento.
E cosa sarebbe un vero Giubileo della misericordia, un anno di vera liberazione e riconciliazione, di fronte alla tragedia dei migranti, di fronte a un’Europa senile, sterile, come Francesco l’ha definita, che ha finito per accettare di essere sponda di un mare diventato un cimitero?
Qui si potrebbe azzardare una proposta, un sogno, o più ancora un progetto politico perché il Giubileo diventi l’anno di una misericordia reale. È la prospettiva politica di portare a compimento la marcia dei diritti inaugurata dall’illuminismo, e di abolire, a cominciare dall’Europa, l’ultima discriminazione che ancora divide gli esseri umani tra uomini e no: la discriminazione della cittadinanza, Deve finire il tempo in cui i diritti, anche i più “fondamentali” diritti umani, sono diritti del cittadino, gli altri, gli stranieri, gli extracomunitari, i profughi, i migranti, gli scarti ne sono esclusi. Come già avevano intuito i giuristi dopo la “scoperta” dell’America, il diritto di migrare, il diritto di stabilirsi in qualsiasi terra, dovunque si sia nati, è un diritto umano universale. Allora la rivoluzione cominciata da papa Francesco quando per prima cosa è andato a gettare una corona di fiori nel mare di Lampedusa, dovrebbe continuare e giungere fino alla caduta di tutte le frontiere, all’apertura di tutti i confini. Certo, allora andrebbe potenziata l’economia privata e pubblica per mantenere i livelli di vita già raggiunti dai residenti e permettere ai sopraggiunti di trovare spazio e vivere, e in tal modo la politica dovrebbe assumere veramente il compito di far crescere tutta la società.
Ma sarebbe davvero un’altra società, e un altro mondo, se per una scelta di misericordia, cioè di reciproca accoglienza tra tutti, oltre ogni barriera, per l’anno del Giubileo arrivassero a Roma non solo migliaia di pellegrini, ma tutti potessero muoversi da un Paese all’altro, viaggiando non sui barconi della morte e delle mafie, ma su treni, navi e aerei di linea.
Altrimenti la misericordia la togliamo dal mondo e la lasciamo tra i fumi degli incensi.

 

da “Il Manifesto” del 15/03/2015

 

 

Ognuno vada dove vuole andare, invecchi pure come gli pare,ma non dica a me cosa debbo fare

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di Piero Murineddu

Qualcuno mi ha rimproverato, bonariamente manontroppo, che prima di occuparsi degli “zingari”,occorre pensare alle tante situazioni di bisogno che ci sono tra noi. Benissimo, gli rispondo, inizia a occuparti tu di qualche bisogno che conosci e in cui t’imbatti, che siano necesssità materiali o di altra natura. Quell’altro che storce il naso, faccia altrettanto. Quell’altro che “prima di pensare a….bisogna pensare a…..” idem come sopra. Si dimostri di passare dalle parole ( e dalle critiche!) ai fatti concreti. Confesso che ormai a certe cretinate sterili e imbecillotte non dò neanche più ascolto. Rinuncio anzi a cercare di spiegare: stò diventando estremista ed intransigente e tentare di spiegare a qualcuno, testardamente e presuntuosamente radicato nelle sue convinzioni, lo ritengo tempo perso e incazzatura inutile.

Ciascuno faccia (faccia!) ciò che ai suoi occhi ritiene prioritario e non rompa sos cozzones a chi agisce diversamente. Attualmente sto tentando di conoscere meglio la vita delle popolazioni romanì, uno dei popoli più emarginati, a volte criminalizzati a ragione e molto più spesso a torto. Eppoi le responsabilità sono sempre individuali, non collettive, e semmai sarebbe quella persona che ha commesso il reato da perguire, e non usarlo come  pretesto  per confermare che “quelli” sono tutti uguali.Quante nefandezze bisogna che subiscano ancora? Parlando con una ragazza di famiglia Rom, anche nella scuola che frequenta da poco si vede guardata con sospetto. Eppure se è la solita sporcizia che dà così fastidio a noialtri che a volte facciamo la doccia  anche due volte al giorno, ben riscaldati, idromassaggiati, incipriati e ben profumati da far schifo, questa ragazza  si presenta a scuola ben vestita e ben lavata. Ma la vogliamo o no questa bendetta integrazione?! O vogliamo eternamente bearci nel nostro sentirci persone per bene sempre pronti a cabazzinni l’occi (scannarci!) e sempre reciprocamente all’erta per non farcelo mettere dietro dai nostri simili civilizzati? Anch’io mi sento affannato nel cercare di eliminare i miei pregiudizi e paure nei loro confronti, inculcatici  gia da bambini quando ci minacciavano di darci agli zingari se non ci comportavamo bene. Ma ci rendiamo conto quanto danno hanno fatto questi rozzi e terroristici metodi educativi? Ebbene, molti sono rimasti ancora a quelle paure infantili, senza mai esser riusciti ad elaborare con la loro testa certi messaggi distorti. Ripeto, anch’io sto dannatamente faticando a guarire dagli stupidi pregiudizi accumulatisi in questi 58 anni che mi è capitato (non per mio merito e per mia volontà) di vivere nel cosidetto mondo civile, quel mondo che spesso porta a considerarsi meglio degli altri e caratterizzato spesso da ipocrisie, invidie e penoso sgomitamento per “arrivare”. Arrivare a cosa poi, è tutto da vedere. Anzi, ce lo dice la giovane e intelligente Exjna, ricordandomi che in fondo, alla fine siamo tutti semplicemente seduti sul nostro culo, dando così un doloroso seppur metaforico calcione nel bel mezzo dei testicoletti dei vari Salvini, Bonanno e di tutti gli ancora troppi miserabili e penosi razzisti e, perchè no, anche degli alti e importanti Direttori di Enti di Stato  e Amministratori Delegati di  Aziende strapagati, che dei bisogni della povera gente se ne strafottono.

Ognuno faccia quello che ritiene, e smetta di rompere…..

 

 

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Sorso: il Sogno Svanito di una famiglia Rom e il Sogno sempre più lontano di una Nuova Civiltà

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di Piero Murineddu

Ormai la bufera creatasi intorno alla famiglia Rom si è placata. Il desiderio di coltivare il terreno e condurre una vita dignitosa ed integrata nel contesto civile, non è stato considerato ammissibile da buona parte della popolazione. I politici hanno applicato scrupolosamente le leggi, mentre le guide religiose hanno preferito continuare nel loro silenzioso e sacro ufficio “divino”: dover smascherare pubblicamente i tanti sepolcri imbiancati richiede troppo coraggio.

Andati a trovarli con mia moglie Giovanna,la frotta di pargoli ci ha accolti con calore, coinvolgendoci spontaneamente nei ritmi di vita familiare, fatta anche di  normale litigiosità tra fratelli. Eravamo andati con intenzioni “serie”, e in effetti mamma Vesna ci aveva condiviso la sua preoccupazione per l’inaudita aggressione verbale subìta, ma l’incontro provoca una naturale e allegra empatia. A seguito dell’Ordinanza di sgombero, si era tentata la possibilità di cercare un diverso alloggio,ma lo sforzo è stato vanificato dalle persistenti paure degli indigeni: chi mai avrebbe affitato una casa a dei pinghinosi zingari? Insomma, il loro destino DEVE per forza essere quello di vivere da nomadi e distanti dal contesto civile locale, per non avere il tempo di sporcarlo e comprometterlo con la loro presenza.  In questo modo, il nostro perbenismo, spesso solo di facciata, è preservato.

Quancuno scopre che la fedina penale dei due genitori non è immacolata. E’ la conferma, trionfalmente gridata dagli eroici autori dello…. scoop (!), che gli zingari sono tutti uguali! Non serve provare a dire che, trovandoci in necessità, noi, onorati e civilissimi cittadini, saremmo capaci di tutto ed anche di altro ancora. E’ inutile anche ribadire che sbagli ne abbiamo fatto più o meno tutti e che, probabilmente e furbescamente, continuiamo a farne.

Quando la sera prima della loro partenza facciamo ritorno nell’oliveto, il pallone da rugby che ho portato dà lo spunto per buttarci in una partita sfrenata. Un fiatone che non vi dico. Il mio povero cappello me lo ritrovo più tardi miseramente schiacciato. “Un po’ di pausa, vi prego! Ma ditemi, siete contenti di andare a vivere in una casa nuova?” – “A noi piacerebbe rimanere qui in campagna. E poi ci eravamo affezionati ai nostri compagni di scuola… sorsosi”. Zio Piè – mi dice una delle più grandi – sai che qualche insegnante mi ha detto che la nostra presenza l’avrebbe aiutata a svolgere meglio il suo ruolo  d’insegnante, che oltre farci conoscere la matematica, l’italiano, e le altre materie, e anche e sopratutto quello di aiutarci a guardare e capire il mondo, i popoli che vi vivono e le tante ricchezze umane e culturali che hanno ? Che non ci sono razze superiori ad altre ma che facciamo parte tutti della stessa razza umana?” Timidi squarci di civiltà.

Ora il rognoso problema a Sorso non c’è più. Zoran e Vesna hanno dovuto rinunciare al loro sogno ed accettare l’alloggio provvisorio ad Alghero, il cui canone d’affitto è anticipato dal Vescovo, in attesa dei rimborsi stanziati dalla Comunità Europea per favorire l’integrazione.

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E’ proprio qui che andiamo a ritrovare i nostri nuovi amici. Prima di recarci da loro,  e dato che mia moglie li aveva gia conosciuti a Sorso, per  me è l’occasione per conoscere la generosa  insegnante d’inglese Irene che, insieme al marito Giuseppe, oltre che occuparsi del loro unico figlio,  stanno spendendo le loro energie per abbattere le altissime barriere che ci separano da questo pacifico e disagiato popolo. Mossi da forti motivazioni principalmente umanitarie e con l’aiuto di altre persone che insieme a loro vogliono superare i tanti pregiudizi ideologici che rendono gli esseri viventi distanti tra loro e spesso nemici, hanno creato un’associazione che opera nell’ambito dell’integrazione tra immigrati e residenti. Accolti con molta semplicità e cordialità nella loro casa, vi troviamo una coppia di sposi Rom, loro amici da vecchia data. E’ la prima volta che mi trovo a far “salotto”con membri di una popolazione romanì, e la cosa mi è molto gradita. Più tardi  arriva Davide, un giovane della locale comunità Rom, sposato con sei figli (“ma con mia moglie abbiamo deciso di usare la spirale. Non possiamo avere figli ogni volta che facciamo l’amore”. Come voi, anche le nostre generazioni si stanno evolvendo, e non possiamo mettere al mondo tanti figli che poi non riusciamo al allevare come meriterebbero”). Nel mentre contatto telefonicamente i miei amici Bianca e Ignazio che vivono nella città catalana. Senza il minimo indugio acconsentono generosamente di regalare una loro bici di cui necessita  un giovane Rom per recarsi sul posto di lavoro. Il gesto acquista maggior valore, dal momento che tempo addietro avevano subìto un’esperienza negativa da parte di  alcuni rom ancora residenti nel campo nomadi, quella sorta di lager che progressivamente stanno scomparendo. La liberazione dal risentimento aiuta a rimarginare le ferite, oltre che agevolare nuovi incontri e nuovi giudizi.

Come promesso, prima di prendere la strada di ritorno, andiamo a far visita alla famiglia costretta ad allontanarsi contro voglia da Sorso. Assenti i genitori, i ragazzi ci accolgono col muso lungo. Non tardiamo a capire il loro poco entusiasmo di vivere in appartamento. L’aria aperta di campagna in effetti è tutta un’altra cosa. Mentre la sensibile Jennifer esprime a mia moglie il dispiacere di aver dovuto interrompere alcune amicizie nate nella scuola di Sorso, gli scatenati maschietti mi trascinano nel largo terrazzo per tirare qualche calcio al pallone: “ Ma questa volta facciamo piano, pa cariddai! Non vorrei rischiare l’infarto come l’ultima volta”.

Cosa dici, zio Piè, riusciremo ad abitare  a Sorso? Sai, ci stavamo affezionando ai nostri compagni “sorsosi”…..   

” E cosa volete che vi dica, chissà che qualcuno che si distingue e ragiona con la propria testa, non riesca a superare i pregiudizi dominanti e vi dia in affitto una casa in campagna, che sicuramente curerete e dove potrete scorrazzare liberamente senza disturbare i vicini. Ci vediamo presto, comunque.  E tu, ridammi il mio cappello, malandrinozzo che non sei altro!”

Pubblici cagatoi e non solo

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di Piero Murineddu

La lettura del capitolo sui preziosi e purtroppo scomparsi  “vespasiani”, all’interno del volume “Nuovo dizionario delle cose perdute” di Francesco Guccini,inevitabilmente mi ha fatto pensarealle cose di casa nostra, nel senso del paesotto sardo dove vivo, Sorso, in provincia di S assari. Nei tempi passati , quando il bisogno fisiologico  “solido” premeva e nell’ingresso delle povere case di allora vi era solamente una buca (“crosiddu”),  specialmente gli uomini non si facevano scrupolo a recarsi nella zona periferica, lungo la discesa che conduceva alla fontana (“Billellera”) da dove la gente si approvvigionava d’acqua. Qui, prima di espletare l’espletabile ed essersi preventivamente procurato quano necessario per la pulizia post (“pabiru d’istrhazza” o “marraggiu” atti alla bisogna), non ci si vergognava di abbassarsi i pantaloni (con la velocità proporzionata all’urgenza) e via, tranquilli e fischiettanti. Spesso lo si faceva in compagnia, e con gli occasionali vicini di defecazione, si parlava del tempo, delle donne e della vigna.

In seguito, nello stesso luogo, gl’illuminati amministratori dell’epoca pensarono bene di ufficializzare la cosa, facendo costruire un vero e proprio pisciatoio, e con la giusta riservatezza, cagatoio sopratutto. Allorchè il benessere portò nelle case anche comodi e funzionali bagni, il prezioso sito andò in disuso.

Quello che vedete nella foto è ciò che è rimasto, tristemente e squallidamente in stato di abbandono, come abbandonato è tutto ciò che racchiudono due grossi cancelli perennemente chiusi: la famosa fontana, le cui acque hanno reso famosi nel mondo gli indigeni per la pazzia ( lu macchini) provocata bevendole, l’anfiteatro, il boschetto, il mai completato campetto da bocce e gli altri spazi.

Così è, purtroppo, in attesa di tempi e amministratori a venire migliori,  o magari sperando che gli attuali,così incollati alle poltrone, quanto prima….s’illumino d’immenso.

 

ANCHE TU SEI COINVOLTO

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di Piero Murinedu

La lettura del libro di Aimè Duval, prete e cantautore francese che era riuscito a superare l’alcolismo grazie al sostegno avuto al’interno di un gruppo di mutuo aiuto, diversi anno fa mi aveva ispirato questa canzone che trovate in fondo. Erano i tempi in cui prendevo spesso la chitarra in mano e nella tranquillità invernale della mia casetta in campagna, davanti ad una economica  fotocamera – si, fotocamera e non ancora videocamera – registravo canzoni che avevo realizzato tempo prima. La cosa mi dava anche lo stimolo per comporne di nuove, cosa che da molto ho accantonato. Ma chissà, il tempo “infinito” della vecchiaia potrebbe ancora farmi ritornare il chiribizzo. A questa avevo dato  il titolo “Anche tu sei coinvolto“, e se leggete con attenzione il testo che ho riscritto, non vi dovrebbe essere difficile capirne la ragione e il riferimento. Ho sentito sempre la stizza e la sofferenza per la normale tendenza comune di puntare il dito verso i diversi da noi, verso chi sbaglia e non riteniamo degni di viverci accanto. Certo, costoro, quelli che facciamo di tutto per tenere  a debita distanza per non sporcare il nostro essere persone a modo e per bene, spesso cadono nel vittimismo, e a torto  ma anche a ragione, vedono negli altri la causa del loro stato, non raramente di degrado effettivo. A volte ciò è vero, perchè così come l’abbiamo ridotta, questa società è veramente emarginante, e dicendo questo non affermo assurdità: chi non riesce a seguire il passo, chi non si adatta, chi non ha i mezzi (materiali e specialmente culturali), chi fa fatica, viene emarginato o si auto emargina. Da qui le tante tensioni, che spesso diventano drammatiche: a livello personale, familiare e collettivo. La canzone finisce con un invito preciso e accorato: “Almeno tu non mi commiserare, ma dimmi dov’è, dov’è il mio vero male”. Una chiara richiesta di aiuto  e di maggior vicinanza umana, evitando i giudizi, spesso pregiudizi mortificanti. Mortificanti non tanto per chi li subisce, ma per chi li usa, che così facendo mortifica la propria intelligenza.

 

ANCHE TU SEI COINVOLTO

 

Hai ragione, son deviato e son drogato.

Ma tu, dimmi,non hai proprio nessuna colpa?

Un minimo dubbio non ti sfiora?

Dimmi, godi di completa immunità?

Aver coraggio è faticoso e faticare proprio non mi va. Il mestiere che faccio non l’ho scelto e per niente mi appassiona Non parliamo del paese: è un groviglio di pettegolezzi Il prepotente mi umilia e l’assistente sociale mi strapazza A cambiar me stesso non ci riesco, e il mondo, questo sporco mondo che mi disprezza, cambiare vorrei io

Come vedi, son deviato e son drogato,

dai “normali” completamente emarginato,

vizioso, ubriacone e sbandato

e tu mi eviti per non eser contagiato

Ma in qualche modo, in qualche modo sei invischiato,

si, in qualche modo sei invischiato,

in qualche modo sei invischiato pure tu.

 

Sono diventato da cassintegrato, “utile socialmente”, anche se tu credi che io non serva a niente. Il collega mi evita e il vicino mi ossesssiona L’ignoranza mi opprime, vivo in una gabbia di conigli. Per l’Asl sono “paziente”, ovunque “utente” che viene usato. “Consumatore” sono per il Mercato, la nevrosi mi ha ormai del tutto destabilizzato. I “decorati” sui vari campi con superbia umiliano la mia “modestia” I continui rumori di guerra turbano la mia pace apparente I “guerrafondai” di ogni specie mettono in fug tutte le colombe e la Ferrari del vicino continua a sfottere il mio motorino Il mio fragile raziocinio mi confonde. Tutto e subito senza fatica voglio io ed il coraggio ancora non arriva e questo sporco mondo m’illudo di cambiare, e questo mondo ancora vorrei cambiare io

Si, è vero, son deviato e son drogato

Dai “normali” – ci mancherebbe altro – emarginato

Vizioso, ubriacone e sbandato

e tu ancora mi eviti per non esser contagiato

Ma in qualche modo, in qualche modo sei invischiato

Si, è certo, in qualche modo sei invischiato

Sicuramente sei invischiato pure tu

Almeno tu non mi commiserare, ma dimmi dov’è, dov’è il mio vero male

 

Quel forzato caffè per una “inderogabile necessità idraulica”

 

 

di Piero Murineddu

Ma guarda cosa mi fà il caro Francescone adesso che ha messo da parte la sua amata chitarra. No no, non nel senso che non la usa proprio piùpiùpiù, ma nel senso che non ha più voglia di starsene in giro per l’Italia per concerti e far cantare le piazze zeppe di vecchi, meno vecchi, giovani e giovanissimi che conoscono a memoria le sue canzoni. Sono certo anzi, che nella tranquillità della sua Pavana dove si è ritirato a vivere la sua (meno o più?) serena vecchiaia, le sue strimpellatine davanti al caminetto acceso e al fiascotto di quello buono continua a farsele. Dicevo, che mi combina il vecchio Guccione? Si mette a scrivere libri. O meglio, a scrivere si era messo da un bel pò, anche quando concertava. Adesso però mette in scrittura  i ricordi del mondo che fu e non è più ( meno male o purtroppo?). Di questa sorta di “dizionario delle cose andate” ne ha fatto due volumi. L’ha fatto principalmente per la mia gioia, e poi per altri motivi che saprà lui. Comunque – lo giuro e immediatamente lo nego – l’ha fatto sopratutto per me, per impegnarmi quei momenti che trascorro in autobus o in treno per recarmi a lavorare chenonepossopiù, nel senso che beato me che un lavoro ce l’ho, ma adesso che non mi manca molto per i sessanta e la vecchiaia si fa sentire oh quanto, non mi potrebbero far arrivare alla pensione dandomi un lavoretto sotto casa? Ma questo cosa c’entra, dirà qualcuno. In effetti niente, dicevo così per dire. Torno al libro, per la miseriaccia zozzazza! Anzi, la smetto proprio perchè stasera non ho voglia di continuare a scrivere. Volevo fare una presentazione a questo capitolo che vi regalo, ma non so più cosa dire.  Solo una raccomandazione: non andatelo a dire alla Mondadori che vi siete letti gratuitamente queste pagine, se nò chissà che mi fanno. O forse, chissà, mi ringrazierebbero perchè ho fatto  pubblicità al libro. Vi assicuro che se andate a comprarvelo, quei 12 euro sono ben spesi.

Buon divertimento e buon rilassamento,allora: almeno per una frazioncina del vostro tempo vi dimenticherete di tutte le violente stronzate che va dicendo in giro quel pernientesimpaticone di Salvini che stà magnazzando dalla politica dal lontano ’93, tutte le imbecillagini razziste del suo sindaco buffone Bonanno, e magari, ricordando per un attimo il loro antico celodurismo,  i bellissimi termini usati nel suo libro da Francescone, ve lo faranno vedere completamente ammosciato, alla ricerca disperata di una latrinetta  per svuotare la vescica e con le prime gocce che, divertite,  stanno scappando già fuori dall’uretrina.

 

 

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