“Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità”

Sicurezza, per chi? Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità; e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. (John Donne – 1572/1631)

 

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di Rita Clemente

Di questi primi cinque mesi dell’anno due date mi balzano alla memoria e m’inducono a qualche riflessione. La prima è il 7 gennaio 2015. Tutti ricorderanno che in questo infausto giorno un gruppo di jihadisti è entrato nella redazione di Charlie Hebdo e ha freddato dodici persone (tra cui sette vignettisti), ferendone altre undici. Un fatto allucinante che giustamente ha acceso l’opinione pubblica di sdegno e di raccapriccio. Uccidere, soprattutto chi è inerme, è sempre un atto efferato, comunque lo si giustifichi non avrà mai giustificazione. Uccidere poi in nome di Dio è quanto di più aberrante ci possa essere, perché ti dà un senso di onnipotenza disumana, che non può essere messa in discussione da alcuna logica, da alcuna razionalità. Quel giorno tutti siamo rimasti smarriti, come di fronte a una potenza maligna senza volto, che non sai quando e come attaccherà ancora. L’Occidente si è sentito colpito in uno dei suoi valori più alti: la libertà. E ciò ha provocato una immediata reazione di coesione identitaria: ci siamo tutti riconosciuti in Charlie Hebdo, la matita è diventata il simbolo del bene, contrapposto alle armi di chi rappresenta, senza ombra di dubbio, il Male. Dopo sono cominciate le riflessioni più articolate ed anche i “distinguo” e ovviamente le contrapposizioni. Innanzi tutto, sulla natura degli assassini. C’è chi accusa tutti i Musulmani a prescindere, come portatori di una ideologia fondamentalista e potenzialmente terrorista ( e le destre non aspettavano altro). C’è chi, pur condannando il fanatismo intollerante dei jihadisti, ritiene ingiusto fare di tutte le erbe un fascio e condannare tutti i musulmani, a prescindere. C’è chi mette in rilevo anche le grosse responsabilità dell’Occidente (gli USA in testa) nell’aver destabilizzato il Medio Oriente e creato questo vento di follia. Non meno forti le contrapposizioni sulla religione. C’è chi accusa la religione tout court di essere un seme di discordia e d’intolleranza, e c’è chi ravvisa in tutte le religioni (a ragione, secondo me) una potenzialità fondamentalista, c’è chi distingue tra modo e modo di vivere la fede religiosa. Strettamente legato al discorso sulla religione, si è scatenato poi il dibattito sulla libertà. Grande, immensa parola, ma a volte dal significato ambiguo e sfuggente. La libertà è un grande valore da difendere, senza dubbio, ma non ci sono condizioni, non ci sono limiti, non ci sono confini da rispettare? Innanzi tutto, bisogna precisare che tipo di libertà. In questo caso, la libertà di satira. La satira si sa, è fatta per fustigare i vizi, i difetti, le arroganze del potere, anzi, dei poteri. “Castigat ridendo mores” (corregge i costumi ridendo),diceva la famosa iscrizione latina sui teatri. Ma anche lì ci si chiede: può la satira diventare pura irrisione, illimitato disprezzo, offesa gratuita di ciò che altri ritengono un valore altamente significativo per sé? La mia risposta è no, perché, a mio avviso, la parola libertà va sempre coniugata con un’altra parola altrettanto importante, che è rispetto. Non semplice tolleranza, ma rispetto per l’altrui sensibilità, gli altrui valori. Certo, niente giustifica un efferato assassinio e non si può mettere sullo stesso piano chi fa satira, anche irrispettosa, con chi uccide a sangue freddo. Ciò però non esime dal dovere di rispettare ciò che per gli altri è sacro, così come non è giusto imporre ad altri i propri convincimenti religiosi. Ma come ha diviso il mondo occidentale, l’assassinio di Parigi ha anche diviso il mondo islamico, soprattutto degli immigrati che in Occidente ci vivono. C’è stato chi si è sentito offeso, umiliato nella sua stessa identità etnica e religiosa dall’assassinio dei jihadisti e ne ha provato profonda vergogna. C’è chi, pur condannando l’attentato senza remore, non ha accettato, a ragione, di essere colpevolizzato solo perché musulmano. Ad un’analisi più attenta, non dovrebbe sfuggire il fatto che l’azione dei jihadisti non ha di mira solo il mondo occidentale, ma anche gran parte del mondo musulmano, e le prime e più numerose vittime dell’ISIS si contano appunto tra i musulmani stessi. Quindi, la questione è molto complessa e non consente né una facile lettura, né un giudizio sbrigativo. L’altra data da ricordare è il 21 aprile 2015. Cosa è successo? Un’altra delle infinite stragi di migranti nelle acque del Mediterraneo, ma questa volta molto più tragica, con un numero di vittime raccapricciante: più di 900 annegati. La reazione di stampa e opinione pubblica in Occidente è stata radicalmente diversa. Al di là delle solite parole di circostanza sul dispiacere, il cordoglio per le vittime, lo sdegno contro gli scafisti che provocano le stragi, la chiamata in causa dell’Europa, il rimpallo di responsabilità tra le varie forze politiche (forze di governo, forze di opposizione) non c’è stata nessuna reazione di identificazione identitaria, come se quei morti non fossero anche “nostri”, non ci appartenessero. E anzi, dopo le prese di posizione e i cordogli formali dei primi giorni, è stato come se volessimo archiviare il tutto, demandarlo a chi di dovere e rituffarci nelle solite diatribe sugli scontri politici della nostra Italietta o sui risultati dei vari campionati di calcio. Ma, se pure è vero che ogni morto pesa come un macigno, 900 morti sono una strage che pesa immensamente di più! Sì, non ci sono esecutori “materiali” di quelle morti, ma questo è, di fatto, l’olocausto dei nostri giorni. Per il quale si invocano solo soluzioni militari: bombardare i barconi prima che si riempiano di disperati. Come se fosse possibile fermare il mare della paura, della disperazione, della miseria! Si dà la colpa di tutto agli scafisti: eliminiamo i “cattivoni” e il gioco è fatto! Ritorneremo tutti puri e innocenti come la neve. Questo dimostra la cecità e, oserei dire, anche la malafede di chi propone tali soluzioni. Gli scafisti di certo non sono dei gentiluomini, sono dei criminali, ma non sono essi la causa del problema!

Scrive Raniero La Valle:

“Parliamoci chiaro, la tesi secondo cui i migranti sono vittime degli scafisti non ha nessuna logica, non sta in piedi. Gli scafisti non vanno a prendere le persone da casa per costringerle a partire. Sono le persone che si rivolgono agli scafisti, pagano cifre spropositate e mettono a rischio consapevolmente la propria vita e quella dei loro cari pur di provare a raggiungere l’Europa. Gli scafisti fanno affari d’oro nel mercato aperto dal controllo delle frontiere esterne. Gli scafisti esistono perché chi fugge da guerre o povertà non può entrare nello spazio Schengen (https://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Schengen) con mezzi di trasporto ordinari (navi, aerei, macchine).

Le leggi di mercato (del mercato tanto osannato) ci dicono che quando c’è una domanda, si crea subito un’offerta. E la domanda c’è, disperata: la domanda di salvezza, di vita, di futuro. A questa domanda rispondono gli scafisti, approfittando della disperazione di milioni di uomini e donne. Un grande affare! Perché anche il dolore e la miseria possono diventare “affari” nel grande mercatone dove chi la fa da padrone è l’inesorabile legge del profitto! Affondiamo i barconi, colpiamo gli scafisti, eliminiamo l’offerta. Che importa se poi la domanda resterà, tragica e insistente, a soffocare al di là del mare? Se condanneremo questi uomini e queste donne a non avere scampo, né futuro e neanche vita? Ora io mi chiedo: ma davvero tra i due eventi, a parte la tragica sproporzione di perdita di vite umane, davvero non c’è collegamento, connessione? Certo che c’è: ma noi la vediamo solo nella nostra paura. Respingiamo i barconi carichi di migranti, perché tra di loro possono annidarsi i pericolosi jihadisti. Che importa se su quei barconi ci sono soprattutto quegli uomini e quelle donne che proprio dai jiadisti intendono fuggire? Ma le connessioni più tremende noi non le vediamo. Rifiutando di creare altre vie legali di scampo, dei corridoi umanitari, di organizzare su tutto il territorio europeo un’accoglienza degna di esseri umani (come richiedono i trattati internazionali) non facciamo che aumentare la rabbia, lo sconforto, la disperazione, che tutto fa osare, senza remore e senza freni inibitori. Non facciamo che alimentare la percezione rabbiosa di uno stato permanente di ingiustizia, che fa proliferare la sete di giustizie sommarie e vendicative. Non fa, in ultima analisi, che alimentare il terrorismo. Noi gridiamo Je suis Charlie pensando alla nostra sicurezza violata. Respingiamo i barconi con i profughi perché temiamo che la nostra sicurezza venga minacciata. Non ci rendiamo conto però che, se l’umanità, al di là del Mar Mediterraneo, diventa un oceano di sofferenza che non si può alleviare in nessun modo, nessuno, proprio nessuno potrà mai sentirsi al sicuro. La sicurezza di chi vive in condizioni di terrore continuo, di guerra, di violenza, di tortura, di mancanza di futuro, ci piaccia o no, è la condizione imprescindibile per la nostra stessa sicurezza. Altrimenti, saremo tutti dei profughi sballottati dalle onde tempestose dei fanatismi e delle vendette. Dai fondamentalismi di chi si aspetta di purificare il mondo con il lavacro del sangue, non importa di chi, purché nemico, o considerato tale. E qui la religione non c’entra, è solo un orribile pretesto, come dimostrano le moschee (non solo le chiese) distrutte dagli stessi musulmani.

Condividere quel poco o tanto del benessere che ci resta con chi non ha più niente da perdere è l’unica chance per sentirci sicuri e in pace, se non altro con la nostra coscienza. Ma soprattutto, per sentirci ancora uomini, degni di questo nome.

 

Editoriale di CDB INFORMA    Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri  –  Giugno 2015

“Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità”ultima modifica: 2015-06-11T22:00:26+02:00da piero-murineddu
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