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Aggiornamento sugli sbarchi dei migranti

di Annalisa Camilli (Internazionale)

Dal 14 al 16 marzo sono ripresi sbarchi di numerose persone a Lampedusa, la piccola isola del Mediterraneo più vicina all’Africa che alla Sicilia. In tre giorni sono arrivate circa 1.500 migranti, poi il 17 marzo il tempo è peggiorato e gli arrivi si sono fermati. Il 16 marzo la guardia costiera ha soccorso dodici imbarcazioni, mentre un’altra è arrivata in maniera autonoma fino alla spiaggia. Una barca con circa duecento persone è arrivata a Pantelleria.

Le imbarcazioni arrivate a Lampedusa – che sono soprattutto di legno – sono partite dalla Libia e dalla Tunisia: da Zuara e in misura minore da Sabratha (in Libia), e da Sfax e Kerkenna (in Tunisia). Dal 1 gennaio al 15 marzo 2024, secondo i dati diffusi dal ministero dell’interno, sarebbero arrivati in Italia in maniera irregolare 6.560 persone, meno della metà di quelle arrivate nello stesso periodo dell’anno scorso. Il governo sostiene che questo sia il risultato degli accordi stipulati con la Tunisia per fermare le partenze, ma è ancora troppo presto per dire se quest’ipotesi sia fondata o se si tratti semplicemente di una conseguenza delle condizioni del meteo e del mare, peggiori rispetto allo stesso periodo del 2023.

“Ci sono stati molti giorni di maltempo e appena la situazione è tornata calma, numerose imbarcazioni sono partite sia dalla Libia sia dalla Tunisia”, conferma Francesca Saccomandi, operatrice di Mediterranean Hope e il Forum Lampedusa Solidale, attiva nell’accoglienza dei profughi allo sbarco al Molo Favarolo di Lampedusa. “Non vediamo più barche di ferro, l’anno scorso molto usate dai migranti che arrivavano dalla Tunisia. Sappiamo che le autorità tunisine ne hanno ostacolato la costruzione e che hanno fatto delle deportazioni sistematiche da Sfax al deserto per ridurre il numero di partenze e venire incontro alle richieste dei paesi europei”, racconta Saccomandi. L’operatrice sostiene che tra i migranti ci siano molti subsahariani, anche tra quelli partiti dalla Tunisia, e che tra loro ci siano molte donne e molti bambini o minori non accompagnati.

“Le procedure allo sbarco si sono velocizzate, rispetto a qualche mese fa. Ma le condizioni di accoglienza sono ancora pessime”, spiega. “Ci siamo solo noi e qualche volta i volontari della Croce rossa a distribuire acqua e snack, i servizi igienici al molo sono fatiscenti e manca un servizio per dare notizie alle famiglie che sono rimaste a casa. Inoltre, i problemi al centro di prima accoglienza (hotspot) sono sempre gli stessi da anni. Ci sono pochi posti e basta che gli arrivi aumentino perché la situazione vada fuori controllo. Inoltre le persone sono trattenute e private della libertà personale per un periodo più lungo di quello che sarebbe consentito dalla legge, le persone sono rinchiuse nell’hotspot anche oltre il tempo necessario all’identificazione”, spiega Saccomandi.

Intanto al centro di prima accoglienza (hotspot) di Lampedusa con gli ultimi arrivi si è raggiunta subita la massima capienza. Il 17 marzo duecento migranti sono stati trasferiti con un traghetto a Porto Empedocle e nel centro di accoglienza di Contrada Imbriacola sono rimaste 439 persone. Altri due migranti hanno lasciato l’isola con l’elicottero per ragioni sanitarie e sono stati trasferiti all’ospedale di Palermo. Uno è stato spostato per crisi epilettiche, mentre l’altro per una malattia neurodegenerativa.

Lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono attive intanto tre navi umanitarie: la Geo Barents di Medici senza frontiere, la Life Support di Emergency e la Ocean Viking di Sos Méditerranée. Altre tre sono state sottoposte a fermo amministrativo la scorsa settimana. La Geo Barents ha soccorso un totale di 249 persone in tre diverse operazioni e ora è diretta verso Marina di Carrara dove arriverà il 20 marzo. In un primo soccorso sono state salvate 28 persone a bordo di un’imbarcazione di vetroresina, nel secondo 146 persone che viaggiavano su una barca di legno, mentre nel terzo, avvenuto di notte, sono state messe in salvo 75 persone.

Nel secondo episodio l’imbarcazione umanitaria è stata attaccata dalla cosiddetta guardia costiera libica, come era già avvenuto la settimana scorsa alla nave Humanity 1. Fulvia Conte, responsabile di Medici senza frontiere a bordo della nave, ha commentato: “Le operazioni di questi giorni sono state particolarmente difficili, abbiamo provato a soccorrere un barchino con più di cento persone a 40 miglia a sud di Lampedusa. Ma abbiamo assistito a un’intercettazione da parte della guardia costiera libica in acque internazionali”. In seguito in un altro salvataggio la nave di Msf è stata minacciata e attaccata dai libici. “La Geo Barents era in comunicazione continua con tutte le autorità competenti”, spiega Conte. Anche nel terzo soccorso ci sono stati momenti drammatici: “Il barchino si è ribaltato e circa quaranta persone sono finite in mare, ma per fortuna sono state soccorse”.

Il 16 marzo la Life Support di Emergency ha aiutato un’imbarcazione in difficoltà nella zona Sar maltese con a bordo 71 persone. “A causa del buio abbiamo impiegato circa tre ore per individuarla e a raggiungerla”, ha raccontato Domenico Pugliese, comandante della nave. I naufraghi erano partiti dalla città libica di Tajura, a una dozzina di chilometri da Tripoli, alle 22 del 15 marzo. L’imbarcazione di legno su cui viaggiavano aveva il motore guasto ed era inclinata da un lato. I naufraghi sono originari del Bangladesh, dell’Egitto e dell’Eritrea e tra loro ci sono una donna e tre minori, di cui due non accompagnati, ha dichiarato l’organizzazione.

Il soccorso più drammatico degli ultimi giorni ha riguardato la Ocean Vicking dell’ong Sos Méditerranée il 13 marzo in aiuto di un’imbarcazione in difficoltà, che era in mare da più di una settimana. “I sopravvissuti hanno riferito che almeno sessanta persone sono morte durante la traversata, tra cui alcune donne e almeno un bambino”, ha affermato il 14 marzo l’ong, che ha soccorso 224 persone in tre diverse operazioni.L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) aveva reagito esprimendo forte preoccupazione. Secondo Sos Méditerranée, l’imbarcazione è partita l’8 marzo da Zawiya. Tre giorni dopo si è rotto il motore, lasciando i migranti alla deriva, senza cibo né acqua.

Dopo un primo salvataggio di 25 persone, tra il 13 e il 14 marzo la Ocean Viking ha salvato prima 113 e poi 88 migranti in altre due operazioni di soccorso.

Le autorità italiane le hanno assegnato alla nave il porto di sbarco di Ancona. Dato che la città “dista 1.450 chilometri dalla posizione attuale della Ocean Viking, abbiamo chiesto alle autorità marittime italiane di concedere un porto sicuro più vicino”, ha scritto l’ong in un comunicato. Ma le autorità hanno concesso all’organizzazione di attraccare a Catania solo per fare scendere i casi più gravi, 23 persone bisognose di assistenza medica, e poi hanno imposto all’organizzazione di riprendere la navigazione verso Ancona, sulla costa adriatica.

Il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi, parlando della situazione nel Mediterraneo, ha ribadito che questi episodi sarebbero la prova che “l’immigrazione irregolare va fermata alla partenza”. Il ministro ha comunque rivendicato una contrazione negli arrivi per il sesto mese consecutivo: “Segno che qualcosa sta funzionando”. Il 17 marzo la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, è andata in Egitto per siglare diversi accordi bilaterali e sostenere un accordo da 7,4 miliardi di euro da parte dell’Unione europea con l’Egitto per la cooperazione economica e in materia migratoria.

Ma per i critici del governo Meloni e le organizzazioni che si occupano dei diritti umani gli arrivi di questi giorni e il caos nei soccorsi nel Mediterraneo mostrano che i numerosi accordi che il governo ha fatto con governi instabili o autoritari come quello con la Libia e la Tunisia nel 2023 hanno effetti limitati sul numero degli arrivi, ma hanno un costo enorme in termini di violazioni dei diritti umani nei paesi di transito e lungo le rotte.

Bussa e ti sarà aperto. Mmmmhhhh…In che senso?

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di Piero Murineddu

“Attraverso l’incarico pubblico, come spesso succede, ha sistemato i suoi….”

Nel pensiero dei più, questa prassi è normale, mettendo in secondo piano che questa è la prova indiscutibile del tradimento della fiducia ricevuta. Se poi, sempre grazie al potere dato dalla poltrona, si concedono favori mirati, diventa il cosiddetto “voto di scambio“, una delle tante operazioni mafiose e illegali che avvelenano il consorzio civile.

Ma come abbiamo fatto ad abituarci alla gravità morale e sociale di questo agire da parte di chi provvisoriamente ha ricevuto la fiducia di altre persone?

Ma siamo consapevoli delle conseguenze catastrofiche nelle aspettative e nelle speranze di tutti, specialmente dei ragazzi, che tale modo di fare provoca?

È una imperdonabile offesa alla Giustizia e alla Solidarietà sociale.

È una profonda ferita difficilmente rimarginabile.

Un “politico” che sfrutta il suo momentaneo incarico in questo modo, fa un danno tale, che neanche le eventuali cose positive che realizza possono coprire e rimediare.

Che ricordo rimarrà di lui una volta che non avrà più in mano il potere?

Come sarà ricordato, soprattutto dai più che non hanno beneficiato dei suoi favori?

Che esempio di integrità morale avrà lasciato alle generazioni future?

Non ho difficoltà ad affermare che un “politico” che agevola i suoi parenti o semplici sodali è un LADRO, specialmente di Giustizia, anche se magari può essere considerato un benefattore.

Lo so, è un antico tema che ci trasciniamo forse da sempre nella vita sociale, e nella vita politica in modo particolare. Pochi sono rimasti immuni da questo andazzo, ma indubbiamente l’esperienza berlusconiana l’ha portata scandalosamente e sfacciatamente in evidenza, dando posti in Parlamento, nella RAI e in altre stanze dei bottoni (pagati dalla collettività….da me…da te..) ai suoi avvocati, ai suoi dentisti, alle sue bambole e ai suoi lacchè.

Si può negare questo?

Si hanno esempi di politici che hanno fatto e stanno facendo altrettanto? Molti, e il più delle volte rimangono impuniti.

Il fatto è che questi falsi benefattori continuano ad imperare perchè strumentalizzano un bisogno diffuso.D’altra parte, pur di veder soddisfatto un diritto primario qual’è il lavoro, i più non si fanno nessun scrupolo.

Personalmente, le persone che cercano il politico per soddisfare un bisogno, specialmente se lecito, io non le giudico, anche se sinceramente non godono della mia stima. I COLPEVOLI però, sono coloro che fanno carriera facendo del voto di scambio una prassi normale.

Qualcuno usa la definizione di “risposte politiche: il massimo dell’ipocrisia!

Cambierà qualcosa nei nuovi scenari politici che abbiamo davanti?

Tornerà il lavoro ad essere veramente quel diritto sancito dalla Costituzione?

Si faranno leggi per la creazione di posti di lavoro?

Impareremo tutti ad essere cittadini attivi e non insignificanti sudditi alla mercè del politicante di turno?

Ci evolveremo per avere i mezzi culturali necessari per far valere i nostri Diritti e adempiere civilmente ai nostri Doveri?

Certo, se poi leggiamo la seconda parte dell’articolo 4 della Costituzione, in cui si dice solennemente che ” ogni cittadino ha il dovere di…” e questa possibilità, soprattutto ai giovani, non si dà,  beh, allora qui ci sarebbe il tanto di…..

Buona domenica, va.

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Auguri Marco

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di Piero Murineddu

Proprio ieri ho ascoltato un magistrale intervento di Tarquinio nell’occasione di un evento insieme a Moni Ovadia e a Raniero La Valle, altri giganti del pensiero contemporaneo. Cercando in Rete qualche altro suo articolo attuale – dopo che aver nel maggio dello scorso anno ha lasciato Avvenire, prezioso organo di stampa che oggi si distingue nella diffusa e servile stampa italiana, quotidiano di cui aveva preso la direzione dopo che Dino Boffo fu costretto alle dimissioni a causa della insistente e manganellante campagna di diffamazione portata avanti da Vittorio Feltri e compagnia vomitante – scopro che proprio oggi compie 66 anni, un giovinotto in confronto alla mia vecchiaia che avanza. Auguri quindi a un grande e onesto giornalista. Leggo della possibilità di una sua candidatura alle prossime Europee. Me lo auguro e ce lo auguriamo.Sarebbe una voce importante che potrebbe ridare autorevolezza a un Parlamento sempre più insignificante e zeppo di presenze inutili.

 

Marco si racconta a Romena subito dopo lo scoppio della catastrofe a Gaza

Mattarella: “L’Italia deve costruire ponti di dialogo”

di Sergio Mattarella

Nella Costituzione c’è una affermazione solenne: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Sono le poche parole dell’art.11 che contiene le ragioni, le premesse del ruolo e delle posizioni del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo.

Mentre un sentimento di pietà si leva verso i morti, verso le vittime civili, non può che sorgere, al contempo, un moto di ripulsa da parte di tutte le coscienze per la distruzione di un territorio e delle sue risorse, per l’annientamento delle famiglie che lo abitavano, nel perseguimento della cieca logica della guerra, quella della riduzione al nulla del nemico, senza nessun rispetto per le vittime innocenti.

Lutti e sofferenze, pagate in larga misura dalla incolpevole popolazione civile, a partire dal funesto bombardamento del 15 febbraio contro l’Abbazia, nel quale, con i monaci, perirono famiglie sfollate, tante persone che vi si erano rifugiate contando sull’immunità di un edificio religioso, espressione di alta cultura universalmente conosciuta. Ma la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie”.

La nuova Abbazia ha la stessa vocazione ma ambisce anche a essere prova di un’accresciuta consapevolezza degli orrori delle guerre e di come l’Europa debba assumersi un ruolo permanente nella costruzione di una pace fondata sulla dignità e sulla libertà. Ne siamo interpellati. Sono mesi – ormai anni – amari quelli che stiamo attraversando.

Contavamo che l’Europa, fondata su una promessa di pace, non dovesse più conoscere guerre.

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Una particolare via a Sorso

di Piero Murineddu

” A cuniscilla bè, chistha carrera chi ha l’innommu di lu famosu ischrittori Saivadori Farina, v’è, cumenti e minimu, da rimanì chena arenu”.

Inizia così il capitoletto, riportato interamente in sussincu dopo questa mia “traduzione” alla fine di questa pagina, che Andrea Pilo, nel suo “Ammenti“, ha dedicato all’attuale via Farina a Sorso, quella che congiunge piazza Sant’ Austhinu cu lu Cabbucossu. Questa strada infatti, ha dato i natali o vi hanno vissuto per un breve o lungo periodo, vari personaggi di rilievo. Anche loro, almeno buona parte, hanno trascorso la loro infanzia “giugghendi e dendi impisthinenzia cumenti e tutti li pizzinni”.

Iniziando da giù a destra, nel palazzo Baraca, ha vissuto Bice, “femmina intirigentissima ma zirriosa chi no v’era la cumpagna”, e il fratello Josto,colonnello dell’esercito, entrambi figli del poeta, scrittore e giornalista GIOVANNI BARACA (1843-1882), intimo amico di Enrico Costa.

Dui janni più ainsobbra vi è la casa di don ANTONIO CICU, che a Roma era procuratore generale della Corte di Cassazione. Nella grande casa vi erano almeno tre salotti chiamati col colore dei tappeti che coprivano il pavimento, tutti addobbati di quadri, tappezzerie, divani di ogni tipo. Vi era anche un pianoforte, allora sconosciuto ai più, che ancora, credo, si può vedere nella chiesa di Santa Croce, purtroppo con i tasti stonati da far paura perchè nessuno si è mai curato di farlo accordare. L’ ultima volta che lo vidi era lì, discreto e silenzioso, sicuramente nostalgico di quando il figlio di Antonio, don AMBROGINO, maggiori di l’esercitu e vecciu vaggianu, gli dava voce con le sue esperte mani, insegnando anche ai tanti ragazzi che frequentavano la casa per varie attività ludiche e culturali, nel circolo cattolico “A.Manzoni” da lui fondato.

Attaccata a questa vi è il palazzo del notaio COTTONI. Sei figli, quattro maschi e due femmine,. Uno di loro , SALVATORE (1916-1974), avvocato ma dedicatosi a tempo pieno alla politica, ha ricoperto la carica di sottosegretario ai Trasporti.

Una janna ainsobbra c’è la casa di PINOTTO MANNU RICCI (1885-1970), generale della milizia, governatore dell’Albania e gratificato da diversi riconoscimenti avuti grazie alla sua fedeltà al regime fascista e, si dice, alla sua personale amicizia col Dux di tristissima memoria. Ha fatto onore a Sorso e alla Sardegna, come dice Andrea? Mah…

Nella stradina che si collega con via Pace, di fronte a dove operava un costruttore di tegami – per il qual motivo la moglie veniva chiamata “la stagnina” – per un certo periodo ha vissuto il pittore GIULIANO ROGGIO, figlio del sarto Salvatore e di Pasqualina Manca, sorella a sua volta del fabbro artista Telesforo Manca.

Lagadda l’isthrinta di Cunventu che conduce al Palazzo Baronale, si trova la casa MAROGNA, Dei tanti figli, PIETRO si è laureato in medicina, diventando un chirurgo di fama e ricoprendo anche la carica di Rettore dell’Università di Sassari.

Quasi ultima nella strada vi è la casa di GIANNETTO MASALA (1884-1917), poeta e patriota, sulla cui figura a presto riempirò una corposa pagina di questo blog grazie a una studiosa locale che ne ha approfondito la vita, al contrario di come sinora si sono interessati a fare i suoi concittadini, molti dei quali sanno solo che è il nome di una via.

Davanti a questa, si trova l’abitazione dove è nato SALVATORE FARINA (1845-1918), giornalista e scrittore.

Poco più giù vi è la casa del grande scultore e pittore GIULIANO LEONARDI (1899-1989), autore di opere di pregio. È suo il busto di S.Farina che si trova nella biblioteca comunale e la statua della Madonna che sovrasta la facciata della parrocchia di San Pantaleo. In questa casa, a condurre la sua vita e a custodire parte delle opere dell’artista che ha vissuto prevalentemente a Roma, c’è la nipote NUCCIA, donna semplice e di grande cuore. Dietro stimolo dello zio, anche lei si era dedicata ai colori, e i risultati, pur non essendo di grande pregio, mostrano tuttavia la meticolosità e la passione a loro dedicati.

Tutte abitazioni, a ben vedere, che hanno un alto valore simbolico, ma che purtroppo, mai nessuno ha cercato di far conoscere e di valorizzare. Da quello che so io, l’unica casa che ancora ha conservato quasi tutte le caratteristiche originarie è proprio quella di Nuccia, la quale è sempre stata ben lieta di accogliere i visitatori col desiderio di approfondire la conoscenza dello zio Giuliano, io tra questi.

Da qualche tempo, a causa di una brutta caduta che le ha provocato problemi alla spalla, la mite e carissima Nuccia si trova ospite della nipote Michela a Villanova Monteleone. Seppur coi suoi novant’anni, auguriamole che quanto prima possa tornare a Sossu nella sua casa/museo di questa storica e preziosa via.

Le frasi dialettali sono prese dal testo che segue di Andrea Pilo, aiutato dall’amico Peppino Manzoni

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Via Farina a Sossu

di Andrea Pilo

A cunniscilla bè, chistha carrera chi ha l’innommu di lu famosu ischrittori Saivadori Farina, v’è cumenti e minimu, da rimani chena arenu. È infatti una carrera isthrausdhinaria e no tantu pagosa e longa e lasgha, o pagosa vi passani tutti li pruzissioni, o paschi giompi da piazza Sant’antonio, chi è in mezzu a lu paesi, a lu Cabbucossu, chi è l’ulthima carrera prima di li giardhini chi z’azzani a Vaddhi e all’aribari di Cantarapittu. È isthrausdhinaria pagosa vi so naddi o vi sthaziani, giugghendi e dendi impisthinenzia cument’e tutti li pizzinni, guasi tutti l’ommini chi so dibintaddi impusthanti ed hani fattu onori no soru a Sossu ma a tutta la Sardhigna.

Ischuminzendi da sant’Austhinu, e sempri a manu dresta azzendi, s’acciappa, propiu all’anguru cu la piazza, lu parazzu Baraca undí hani vibiddu Bice, femmina intirigentissima ma zirriosa chi no v’era la cumpagna, e lu fradeddhu Josto, curunnellu di l’esercitu chi erani figliori di lu pueta, ischrittori e giornaristha Giuanni Baraca (1843 – 1882), intimu amiggu di Enricu Costa chi, tra li tanti cosi ischritti da eddhu, vi n’è una chi vari pa tutti: “era nato poeta”.

Dui janni più ainsobbra la casa di don Antoni Zicu chi, dabboi di la casa di lu Baroni era la più manna di Sossu. Passendi i lu saroni ed in una corthi s’intrazia in un althru parazzu chi abia baischoni e gianna nienti di mancu chi in via Cavour. Don Antoni, babbu di don Ambroscinu, vibia a Roma, era Procuradori Generari di la Corthi di Cassazioni, ma abia fattu di la casa sussinca una ipezia di museu. Sarotti groghi, rui e azzurri ciamaddi gussì pa lu curori di li tappetti chi cuabani li mattoni, di lu pabiru chi tappaba li muri pieni di quadri di dugna mannezia e di li divani, caddreoni e caddrei. V’erani, mancu a dillu, casciabanchi, fuzzeri, angorieri manni ed althri in legnu intagliaddu, letti a pabaglioni, lampadari e lanterni a tre bicchi, un’aimaddura e un pianuforthi chi a chissi tempi guasi nisciunu sabbia cosa fussia.

Ma tuttu lu ghi v’era no è pussibiri pudellu ammintà. Lu ghi inveci no si pò dimmintiggà so li tre “camarini” undì unu s’intancaba pa pudè fa li so bisogni chi tandu, pa falli, umbè di jenti curria, a zintura in coddhu, a drentu l’aribari. Ed è propiu in chistha casa chena l’uguari chi candu don Ambrosginu, maggiori di l’esercitu e vecciu vaggianu, ha fundaddu lu zischuru cattoriggu “A.Manzoni” so intraddi generazioni e generazioni di giobani a la ischuza, in buttini (pogghi) o in botti grossi (guasi tutti) ma mai nisciunu, puru pudendisi mubì undi vuriani e cumenti vuriani s’è attribiddu a tuccà un fenu che un fenu.

La cappella, didicadda a Santu Luisi, chi era a manu manca intrendi; la dumenigga candu si dizia la Messa era ibbarria ibbarria di jenti cumenti ibbarria ibbarria era lu saroni d’inverru e lu custhiri d’isthiu pa assisthì, paghendi poggu e nuddha, a lu tiatru chi faziani li zischurini visthuddi cu li custhumi dill’epuca. Indiminticabiri la Morthi e Passioni chi faziani sempri in Chedda Santa.

A pinsavi, a finu, lu più cunnisciddu e vuruddu bè era don Ambroginu, tantu è veru chi, candu è morthu in continenti, la dì chi ni l’hani arriggaddu e l’hani posthu i la cappella in terra addananzi a l’althari cumenti vuria sempri eddhu, v’è passaddu addananzi, pa dalli l’ulthimu saruddu tuttu lu paesi. La dì chi zi l’hani pusthaddu li trabagliadori chi erani isthaddi zischurini hani iviaddu pa pudellu accumpagnà pa l’ulthima bostha. Addareddu a lu bauru tappaddu da la bandera itarìana, lu sindigu cun tutta la puburazioni e addanazi, prima di una fira longa di predi, di fraddi, oifanelli ed assiziazioni religiosi, un picchettu d’onori militari cu un suldhaddu chi pusthaba un cuscinu cu innantu lu barrettu di maggiori e li midagli, chi era isthaddu fattu viní da Sassari di lu generali Gutierrez chi era amiggu intimu di don Ambruginu.

Attaccaddu a casa di don Antoni lu parazzettu di lu nutaiu Cottoni. Sei figliori, quattru masci e dui femminini guasi tutti laureaddi ed unu, Saivadori, avvucaddu ma chi ha fattu in vidda soia soru puritigga ed è giumpiddu a cantighi manni. Era infatti candu è morthu, vice ministhru a li “trasporti”. Naddu i lu 1916 mosthu i lu 1974.

Una janna ainsobbra, la casa di Pinotto Mannu Ricci (1885 – 1970), generari di la milizia, gubennadori di l’Albania, e amiggu intimu di Mussurini.

Sempri azzendi, lagadda l’isthrinta di Cunventu chi postha a lu Baroni, la casa Marogna, una di li ginii più ricca di Sossu e chi un figlioru, Preddu, s’è laureaddu in midizina ed è dibintaddu un chirurgu di vama e Rettore di l’Universiddai di Sassari.

Iglianu Leonardi (1899 -1989) artista d’isthatui e pittori di tarentu mannu isthazia dui janni appoi di Marogna.

La casa di Giannettu Masala (1884 – 1917) pueta e patriota era guasi l’usthima di la carrera.

Addananzi a chisth’usthimi casi, li baischoni di lu parazzu di Saivadori Farina (1846 -1918), ischrittori umbé funtumaddu no soru in Itaria.

Cosa althru si pò aggiugnì pa cumprindí l’impusthanzia di chistha carrera?

Una cosa soru, si pudaristhia punì una targa ischribendibi:

Chista è la carrera di

Saivadori Farina
Giuanni Baraca
Antoni e Ambrosginu Cicu
Saivadori Cottoni
Pinotto Mannu Ricci (!)
Preddu Marogna
Iglianu Leonardi
Giannettu Masara

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In conclusione

(Piero M)

A questo punto sarebbe d’obbligo percorrere a piedi e senza fretta questa strada, tutt’altra che larga come dice ziu Andria, purtroppo sempre più soffocata dalle auto parcheggiate e da quelle in transito. E farlo con rispetto, pensando che all’ interno di quelle case che si affacciano, oltre viverci oggi persone comunissime di indubbio valore, vi hanno anche vissuto, come detto all’ inizio, persone che, in un modo o nell’ altro hanno portato oltre gli stretti confini territoriali il nome di questa cittadina della Romangia, sia nell’arte e sia nella letteratura, lasciando un grande esempio, ai locali soprattutto, d’impegno civile e sociale, come nel caso del mancato prete Ambrogino. Molto, ma molto meno, in ambito militare, nonostante le medaglie ricevute da chi ha contribuito a portare morte e distruzione fuori dall’ Italia ma anche al suo interno. Il riferimento è al gerarca fascista Giuseppe Mannu Ricci, chiamato Pinotto in paese. Trasferitosi in Cirenaica, una regione della Libia, al comando di una Centuria di camicie nere – mania ricorrente del regime mussoliniano  far uso di termini dell’ antico impero romano – , combatté contro i ribelli locali. “Ribelli”, leggo nella pagina che segue a lui dedicata, come se chi si ritrova invaso con brutale violenza da forze straniere e tiranniche non abbia il diritto di difendersi. Ah, l’ illusorio sogno dell’italico Impero! Ma su questo è bene ritornarci in altro luogo.

Per informazione soprattutto dei miei concittadini, riporto parte dei dati biografici, riguardanti la  “carriera”  a servizio del regime fascista, di Mannu Ricci pubblicati nel 1934 su “La Nazione Operante”

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Nato in Sardegna, Giuseppe Mannu – Ricci proviene dallo Squadrismo della Venezia Giulia. Dopo la Marcia su Roma venne incorporato nella Milizia con il grado di Centurione e contribuì alla costituzione della 62^ Legione ” Isonzo “, che lasciò nel Febbraio 1926 per trasferirsi in Cirenaica, dove assunse il comando di una Centuria di Camicie Nere. Con detta Centuria sistemò e difese i più importanti presidi della Cirenaica, da Bir el Bid a Regina, da Zuetina a Giof el Matar, e in quest’ultimo presidio costruì la ” Ridotta Teruzzi “.
Prese parte a vari combattimenti contro i ribelli. Rientrato in Italia con il grado di Seniore, tenne prima il comando titolare della 150^ Legione ” G.Carli ” di Barletta e poi della 177^ “Logudoro”.Venne promosso Console nel Febbraio 1931. Nel Dicembre 1932 fu chiamato a Roma al Comando Generale e fu per qualche tempo Capo Ufficio dell’Opera Previdenza e Pensioni. Prese parte a tutta la guerra italo-austriaca, sempre con reparti in prima linea; e sulle Dolomiti, sul Carso, in Val Sugana e sul Grappa diede costantemente la propria opera di puro combattente sardo. Fu il primo difensore, nel Novembre 1917, del Monte Pertica, al comando di un Gruppo di Battaglioni. È decorato al Valor Militare.Durante la campagna d’Africa Orientale comanda, con il grado di Console, la 219^ Legione “Ricciotti”, della 7^Divisione “Cirene “.

Lettera annuale agli amici di Spello

dei Piccoli Fratelli 
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Marzo 2024

Care amiche ed amici,

eccoci finalmente al nostro appuntamento annuale della lettera. Iniziamo raccontandovi qualcosa dei due periodi principali di accoglienza dello scorso anno (l’estate e la raccolta delle olive), appoggiandoci su ciò che abbiamo scritto per un piccolo bollettino di notizie che ogni mese condividiamo con le altre fraternità.

LUGLIO – AGOSTO
La nostra vita di fraternità a Spello in questi due mesi è stata caratterizzata dall’accoglienza vissuta a diversi livelli:

– Con le persone che vengono a condividere la nostra vita per una settimana: tempo tessuto di lavoro semplice, di lettura-meditazione insieme del vangelo della giornata, di silenzio e preghiera, di condivisione dei cammini delle nostre vite. Un momento particolarmente intenso è la giornata di deserto con l’adorazione notturna e il cammino verso il Subasio nella notte che ci fa passare fisicamente dalle tenebre alla luce, e all’alba la celebrazione dell’Eucaristia con un magnifico panorama che solleva “in alto i nostri cuori”, come si dice all’inizio di ogni prefazio.

– Con gruppi composti prevalentemente da giovani (gruppi scout, parrocchie, Azione Cattolica) che passano e chiedono di conoscere la Fraternità, fratel Carlo, la nostra vita, la motivazione della nostra scelta di vita come Piccoli Fratelli.

– Accogliere i passanti, vicini, parenti e amici, “anziani” di Spello.

-Ospitare i fratelli fermatisi dopo l’incontro di Assisi, ritrovarci con Franco al suo arrivo dalla Bolivia e prima della sua ripartenza per Cochabamba, visite reciproche con Giorgio che vive a Foligno.
OTTOBRE
È tempo di raccolta delle olive e da un po’ di anni, anche a causa dei cambiamenti climatici, tutto diventa un po’ più complicato. Le olive maturano molto prima e rimangono asciutte non avendo il tempo di ingrossare. Le infestazioni della mosca, parassita tipico dell’olivo, sono più diffuse. È più difficile trovare dei volontari, in genere persone in pensione, che ci danno una mano soprattutto a raccogliere ma anche a preparare i pasti. E poi per Gabriele e Yves l’età inizia a farsi sentire.
Alberto appena il lavoro glielo consente ci dà una mano.

NOVEMBRE
La raccolta di quest’annata non è stata tra le migliori a causa della presenza della mosca che ha distrutto gran parte del raccolto che inizialmente si prospettava abbondante. Ma quando si sceglie il biologico, ci sono sorprese piacevoli e altre meno. Questo ci ricorda che non siamo padroni della natura.

Come sempre, abbiamo avuto persone che ci hanno aiutato in questo lavoro.Sono spesso amici, tra cui in particolare qualche pensionato/a che hanno più disponibilità, perché in questo periodo i più giovani sono all’università o al lavoro.

Come ogni anno un piccolo gruppo è venuto da una comunità che accoglie persone che vogliono uscire da varie dipendenze o in alternativa alla prigione. Questo ci rende vicini a realtà umane di sofferenza, di malessere. Ammiriamo sempre gli educatori/accompagnatori di queste persone. Una coppia che lavora in questa comunità è venuta, con i loro due figli piccoli, a trascorrere un fine settimana con noi per riposare un po’ e condividerci il loro vissuto.
E continuiamo il nostro racconto con alcuni momenti particolari del 2023.

Il tradizionale appuntamento della “Marcia della pace Perugia-Assisi” si è svolto in vari momenti. Il primo, la notte tra il 23 e il 24 febbraio ad un anno dall’invasione russa in Ucraina.

Con lo slogan” Contro tutte le guerre” abbiamo marciato in silenzio alla luce delle fiaccole in solidarietà con chi è costretto a vivere immerso nelle tenebre delle guerre e per chiedere dei passi concreti di dialogo per la soluzione dei vari conflitti.

Il secondo, quello più partecipato, il 21 maggio, preparato nelle scuole proponendo una settimana civica sul tema “Trasformiamo il futuro” e chiedendo ai ragazzi e ai giovani come vedono il futuro, come lo vorrebbero e cosa si può fare per trasformarlo.

Eravamo in compagnia delle piccole sorelle e di alcuni amici ed amiche a camminare sotto un bel sole in mezzo a tanti giovani e ragazzi.

Poi i tragici avvenimenti in Medio Oriente sono stati al centro di un’altra iniziativa promossa dagli stessi organizzatori della marcia e svoltasi il 10 dicembre a S. Maria degli Angeli.Preceduta da una mattinata di interventi sul tema del conflitto israelo-palestinese c’è stata nel pomeriggio una breve marcia da Santa Maria degli Angeli ad Assisi per ricordare, nel 75° anniversario della dichiarazione dei diritti umani, le situazioni dove non sono rispettati e chiedere il “cessate il fuoco” in Palestina e in tutti i conflitti di cui non si parla.

Passiamo ora ad un evento che riguarda l’insieme delle nostre fraternità: un incontro a cui erano invitati tutti i fratelli sparso nel mondo! Non tutti hanno potuto affrontare il viaggio, ma eravamo comunque una buona quarantina su poco più di 50 fratelli che siamo in totale.

A parte il capitolo, che è la riunione che si svolge ogni 6 anni, dove un buon numero di fratelli delegati dalle varie fraternità condividono su temi e questioni riguardanti tutta la congregazione, non ci sono stati in questi anni incontri in cui ritrovarci tutti quanti per vivere una decina di giorni in gratuità.

All’ombra della basilica di S. Francesco ci siamo riscoperti fratelli. Nella gioia dell’incontro, abbiamo preso il tempo per ascoltare e meravigliarci di fronte a quello che ciascuna fraternità vive con i vicini e gli amici. Abbiamo gustato insieme la speranza che ci unisce e ci aiuta a portare la nostra fragilità.
E prima di salutarvi, vi trasmettiamo il calendario dell’accoglienza 2024.
In primavera a partire dal 17 marzo fino al 21 aprile e poi un secondo periodo dal 5 maggio al 2 giugno.

Cercheremo come sempre, se possibile, di formare un piccolo gruppo, in base alle richieste che ci perverranno.

Le settimane dell’accoglienza estiva cominceranno domenica 14 luglio per concludersi il 25 agosto.

Tutte le settimane estive sono aperte a tutti (singoli, piccoli gruppi o famiglie) secondo le disponibilità dei 2 eremi rimasti per l’accoglienza.

Buon cammino verso la Pasqua a ciascuno di voi.Vi salutiamo con affetto fraterno

Alberto, Gabriele e Yves

Piccoli Fratelli del Vangelo
Via Ponte Parasacco, 7
06038 Spello (PG)
E-mail: fraternitaspello@gmail.com
Telefono e Fax: 0742 65 27 19

https://www.fraternitaspello.it/wp/

Quando i fumetti erano il nostro fantastico mondo

di Piero Murineddu

Certo, col tempo che trascorre cambia la sensibilità  e cambiano anche i modi che le persone hanno di stare insieme. Cambiano anche le cosiddette mode, da me considerato quasi un aspetto negativo, dal momento che spesso è un semplice accodarsi a ciò che qualcun altro ha deciso, di solito col portafogli ben gonfio e con la bramosia di gonfiarlo sempre più.

Nell’ambito della dolce età infantile, preadolescenziale ma anche adolescenziale, sono le diavolerie elettroniche che attirano e occupano il tempo, per cui, l’atmosfera descritta da Leo Spanu nel frammento tratto dal suo libro I ragazzi delle case Incis”  del 2012 che riporto a conclusione di questa pagina, bisogna averla vissuta direttamente per capirla fino in fondo.

È stato detto e stradetto che prima dell’avvento della televisione e quindi dell’immancabile appuntamento con la TV dei ragazzi e sopratutto Carosello, la vita si svolgeva per le strade e la strada era realmente una scuola di tutte le discipline: imparare a relazionarsi con gli altri, ad accettare e ad accettarsi, a difendersi, a scoprire la propria e l’altrui sfera sessuale e ad approcciarsi con essa. S’imparava anche l’arte del commercio, ed ecco quindi lo scambio di cioccurini (tappi schiacciati di bottiglie di vetro), di cristhallini (palline coloratissime di vetro), di frigurini (soprattutto di giocatori ma non solo), di gionarini, e Blek macigno, Capitan Miki, Zagor e soprattutto Tex Willer erano i nostri eroi, e spesso volevamo prendere il posto di Roddy, Doppio Rhum, Dottor Salasso, Cico, Tiger, Kid, Carson…. per stare al loro fianco ed essere più partecipi alle loro avventure, da dove uscivano sempre vincitori e il cattivo veniva giustamente sempre sconfitto e umiliato.

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Più avanti arrivarono anche quelli un tantino  zozzetti, ma trafficare con questi ci creava qualche problemino, sia per il turbamento che provocavano nella fragile psiche in formazione,  sia perchè costretti a nasconderli alla vista delle nostre mamme, desiderose di farci crescere il meglio possibile, con pensieri buoni e specialmente ….con una buona vista.  Questi personaggi erano una prerogativa dei maschietti, mentre li “femmini” iniziavano a deliziarsi e a sognare con le storie d’amore interpretate dai vari Franco Gasparri e Franco Dani, Adriana Rame, Paola Pitti, Katiuscia.

Quante serate imbusginaddi i li ianniri delle case a contrattare e a scambiarci quelli già letti! E che affutta quando la storia iniziata a metà volume riprendeva nel numero successivo che naturalmente non si riusciva a trovare facilmente nel “mercato” serale, per cui si era costretti ad andare da Signor Bacio, rinunciando così a comprarsi lu semini e lu fasgioru tondu da  “Buio” (il vicino concorrente nella piazzetta domenicale era leggermente antipatichetto) prima di rinchiuderci nel cinema “Verdi” ad affumicarci e a misurare col pensiero la circonferenza dei muscoli del culturista Steven Reevers che interpretava Ercole, Maciste e Sansone.

Adesso, oltrepassati da diversi anni la sessantina, mi ritrovo spesso il comodino pieno di libri iniziati che pazientemente aspettano mogi mogi di essere ripresi in considerazione. Questa trascuratezza non esiste proprio quando mi capita di riprendere in mano i già letti e riletti Diabolik che non ricordo mai come vanno a finire, per cui li apro come se fosse quasi  la prima volta, e man mano che li scorro, non so mai dove l’inafferrabile eroe delinquente ladro e spietato assassino  ha predisposto l’ingegnoso trappolone per fuggire con la sua sempre bellissima Eva Kant, lasciando di stucco L’ispettore Ginko e i suoi agenti.

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Quando i fumetti erano il nostro fantastico mondo

di Leo Spanu

Leandro non aveva mai provato simpatia per Matteo. Istintivamente. Avevano la stessa età, stavano crescendo insieme nello stesso ambiente ma non erano amici, Il loro era più che altro una specie di rapporto di affari. Matteo possedeva la più grande raccolta di fumetti e giornalini della città, almeno così si favoleggiava. Faceva scambi solo alla pari con tutti gli altri ragazzi ma di fatto nessuno riusciva a sorprenderlo e a chiudere un buon altare perché lui possedeva tutti i fumetti. Quindi accettava qualsiasi cosa per il baratto: biglie di vetro(almeno quattro per il più piccolo e insignificante giornalino), francobolli, figurine della serie degli animali e dell’Isola del tesoro. Oggetti che pagavano solo il prestito perché l’acquisto aveva prezzi proibitivi per tutti. Lucianino lo chiamava lo stronzino ed era l’unico che rifiutava qualsiasi rapporto commerciale con Matteo, Leandro invece riusciva a chiudere discretamente qualche trattativa perché possedeva qualcosa che a Matteo mancava: l’intera collezione del Giorno dei Ragazzi.

Si trattava dell’inserto del Giorno, il quotidiano che comprava suo padre. Usciva ogni giovedì ed era un vero giornale a parte, di formato diverso, con storie a puntate di vari personaggi tra i quali il viaggiatore spaziale Dan Dare e il mitico Cocco Bill di Jacovitti, che appariva per la prima volta solo su quel giornale. Matteo aveva cercato di convincere il padre a comprare anche lui il Giorno ma inutilmente. Un buon trevigiano legge solo il Gazzettino non quel giornalaccio della borghesia milanese e di quel Mattei.

Così Leandro, per una copia avuta in prestito del Giorno chiedeva in cambio una copia di Blek Macigno e una di capitan Miki, sempre in prestito, alternati a volte con Tex Willer o il Vittorioso.

Un giorno Matteo invitò Leandro e Giulio Cesare a vedere la sua collezione di fumetti, un avvenimento. Nessuno dei ragazzi era mai entrato in casa sua, perché i genitori di Matteo, lui alto funzionario del Tribunale e lei insegnante di scuola superiore, non gradivano gli amici del figlio, quasi tutti meridionali. Quel giorno non c’era nessuno in casa, neanche la cameriera. I due ragazzi entrarono nella stanza di Matteo (Possedeva una stanza tutta per sé. Beato lui!) e subito lo sguardo cadde su due enormi bauli spalancati che traboccavano di giornalini, al posto delle monete d’oro, come in un film di pirati.

— Possiamo toccarli?

— Certo.

Leandro e Giulio Cesare si tuffarono letteralmente in quel paradiso di carta stampata e disegnata. C’erano tutti i numeri dell’Intrepido e del Monello e oltre ai soliti Topolino, Tex Willer, capitan Miki e il grande Blek; c’erano molte copie dell’Uomo Mascherato, di Mandrake, di Flash Gordon, di Nembo Kid e di tanti altri, qualcuno mai sentito nominare.

La sofferenza dei giovani

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di Andrea Castiello d’Antonio, psicoterapeuta

Dovremmo tutti occuparci dello stato di salute psicofisica ed esistenziale e della sofferenza dei giovani. Dovrebbero farlo in primis chi si occupa della cosa pubblica, dell’educazione, della sanità, del lavoro: cioè, tutti responsabili del funzionamento dei grandi sistemi sociali che tengono in piedi e fanno sviluppare una nazione.

Sono molti i segnali del disagio tra i giovani, e qui ne prenderemo in considerazione soltanto due: la salute psicofisica e l’aspetto del lavoro.

LA SALUTE PSICOFISICA

Dalla Pandemia Covid-19 ad oggi sono notevolmente aumentati i DISAGI PSICHICI nelle fasce evolutive. Si tratta di sofferenze di vario genere che vanno dalle forme di ansietà ai disturbi alimentari, dalla disforia di genere all’autolesionismo: quest’ultimo fenomeno può sembrare incredibile agli occhi di molti, ma è drammaticamente presente anche i ragazze/i apparentemente “normali”.

Infliggersi lesioni, il più delle volte tagli sulle braccia e sulle gambe, come ESPRESSIONE FISICA DELLA SOFFERENZA INTERIORE o come, assurdamente, lenimento della “sofferenza mentale” sostituita con una più controllabile “sofferenza del corpo”. E nei casi più gravi si giunge al tentativo di suicidio e al suicidio realizzato.

I recenti dati UNICEF indicano il suicidio come la seconda causa di morte per i giovani di età compresa tra i 14 e i 24 anni (la prima causa di morte sono gli incidenti stradali!).

Sembra che siano i giovani della cosiddetta “Generazione Z” a essere i più esposti, in questi tempi, ad attacchi di angoscia e a forme importanti di depressione.

L’allarme è stato dato da tempo e da parte di diversi e autorevoli esponenti come il Prof. Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria all’ospedale “Bambino Gesù” di Roma.

Diverse situazioni di disagio psicologico sono legate a problematiche scolastiche, dal BULLISMO alla SPINTA AD OTTENERE PRESTAZIONI ELEVATE in un clima di competizione di classe; in altri casi è l’ambiente della famiglia a costituire, purtroppo, il bacino di sviluppo di comportamenti insalubri: come ha sottolineato di recente il Prof. Matteo Lancini, i primi modelli di riferimento della DIPENDENZA DA SOCIAL E DA INTERNET sono proprio i genitori!

Anche abitudini alimentari appaiono, in molte situazioni, del tutto deragliate e forse anche qui un controllo e un esempio in famiglia potrebbe risultare un fattore di prevenzione: l’uso smodato di alcol assunto nelle forme miste e meno consone è già di per sé un fattore di forte allarme perché impatta con strutture nervose centrali che sono ancora in formazione (senza contare tutti gli altri danni).

Quando l’alcol si associa all’ assunzione di sostanze si palesa pure il rischio di sperimentare una delle forme di angoscia più dure che un adolescente può vivere, cioè la bouffée psicotica.

LO STUDIO E IL LAVORO

Nel mondo dell’istruzione è sempre più presente il bullismo, l’attacco aggressivo deliberato scatenato da un gruppo di compagni contro un singolo soggetto, sia a livello fisico e sociale, sia per mezzo dei social media.

L’impossibilità di vivere una normale vita di studi per molti giovani porta con sé effetti ampi e profondi dato che molte delle SKILL e delle sicurezze interiori dei giovani si formano nei contesti educativi di primo e secondo grado, e poi via via nel corso delle altre tappe di studio

Emerge qui il fenomeno dei NEET – NEITHER IN EMPLOYMENT, NOR IN EDUCATION AND TRAINING, cioè i giovani che non studiano, non lavorano, non colgono occasioni di formazione e non ricercano un lavoro, che sono in Europa circa il 19%, ma in Italia, sulla base delle statistiche Eurostat del 2022, sono moltissimi: il 25%, un giovane su quattro, nella fascia compresa tra i 25 e i 29 anni (ma, naturalmente, il fenomeno interessa anche soggetti di età più avanzata).

Tra i 20 e i 24 anni i NEET sono uno su cinque (21,5%), mentre tra i 15 e i 19 anni – quindi nel periodo in cui il sistema scolastico dovrebbe legare a sé i giovani – sono il 10%.

Le ragazze (e in specie le giovani madri) com’era prevedibile, considerato il divario globale che continua a sussistere nel lavoro tra maschi e femmine, sono ancora più soggette al fenomeno NEET. Tutto ciò si verifica nelle età in cui le capacità e le potenzialità di un essere umano dovrebbero, potrebbero e avrebbero tutto il diritto di… esplodere! Il mondo NEET, almeno in Italia, è comunque assai variegato.

Dai soggetti in condizione di dispersione scolastica fino a coloro che hanno acquisito titoli elevati che il mercato del lavoro non assorbe, permanendo IN ATTESA DELLA PRIMA OCCUPAZIONE DIGNITOSA; dai giovani DEPRESSI E SCORAGGIATI, a coloro che si sono abituati a svolgere mille lavoretti saltuari e in nero, e proseguono così.

L’OMS ha richiamato l’attenzione sul fatto che circa il 75% delle PSICOPATOLOGIE GRAVI prende avvio prima del compimento dei 25 anni, ma gli esordi si possono vedere molto prima nel corso dello sviluppo.

Coloro che oggi chiamiamo “giovani” saranno gli adulti di domani con tutto il loro bagaglio di (speriamo) sicurezze in loro stessi, competenze, motivazioni, orientamenti costruttivi e fattivi verso la vita e verso il futuro.

Ma se si tollerano o si ignorano i segnali di sofferenza di oggi, questi segnali, un domani, potranno tramutarsi in condizioni di disagio profondo, relativamente stabili.

Condizioni di devianza, di marginalizzazione, di impoverimento progressivo di sé stessi e delle proprie qualità, fino a scivolare nell’antisocialità, nella delinquenza e nella criminalità.
Condizioni che porteranno altri a navigare pigramente, a lasciarsi vivere supportati, fin che c’è, da qualche sostegno esterno.

Insomma, in un clima di incertezza e difficoltà globale a livello mondo, cosa offriamo ai nostri giovani, quali supporti diamo, CHI SE NE STA VERAMENTE OCCUPANDO?

Soprattutto, dove e come sono dislocate le risorse economiche, professionali e sociali non solo del PNRR ma anche delle annuali leggi di bilancio?

A cosa si vuole dare priorità, al ponte sullo stretto di Messina o alla salute delle generazioni future; a cementare ulteriormente il territorio o alla messa in sicurezza dei centri abitati, scuole comprese; alla creazione fittizia e temporanea di posti di lavoro di scarso significato o alla creazione di un tessuto sociale e lavorativo che possa accogliere produttivamente i giovani nella loro prima e tarda adolescenza?

Le Comunità Romanès: un enorme patrimonio dilapidato

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di Santino Spinelli “Alexian”

La popolazione romanì, costituita da diversi gruppi che si autodeterminano come

                                                        Rom

Sinti

Kale

Manouches

Romanichals

 

rappresenta, con oltre undici milioni di persone, la più grande minoranza etnica europea. Presenti in ogni Stato dell’Unione Europea sono conosciuti con l’eteronimo peggiorativo di zingari e parlano la lingua romanì. In Italia il 60% dei 170 mila Rom e Sinti sono di antico insediamento (XV secolo), sono sedentarizzati e hanno cittadinanza italiana.

Lo sguardo strabico imposto sulla loro esistenza, deforma la realtà, mistifica la loro cultura e deprezza la loro dignità. Il contributo che queste comunità potrebbero recare alla società europea è trascurato anche a causa di pregiudizi: i Rom rubano i bambini! Salvo scoprire che la Magistratura non ha mai condannato nessuno. La persistente esclusione della popolazione romanì, numericamente consistente come quella belga o greca, è inaccettabile nell’Europa del ventunesimo secolo, basata sui principi dell’uguaglianza, della democrazia e dello Stato di diritto. Trovare soluzione ai loro problemi va a tutto vantaggio delle società e delle economie europee. I Governi perdono in termini di redditi e di produttività sprecando i potenziali talenti di queste comunità. L’esclusione e l’assistenzialismo costano molto più dell’inclusione. Ma l’integrazione è come l’amore: si fa in due. Le comunità romanès non hanno bisogno di un mercato del lavoro a parte né di scuole che perpetuino la segregazione. Occorre superare i campi nomadi che sono ghetti ripugnanti che producono effetti collaterali devastanti.

La segregazione razziale è illegale, è un crimine contro l’umanità ed è indegna di un Paese civile.

Chi commette reati deve essere punito, ma non si può condannare un popolo intero. Un’indagine condotta in sei Paesi dell’Unione Europea (Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia) ha rilevato che solo il 42% dei bambini Rom completa la scuola elementare, rispetto a una media europea del 97,5%. Per l’istruzione secondaria, la frequenza dei Rom è stimata ad appena il 10%. Nel mercato del lavoro le comunità romanès presentano tassi di occupazione più bassi e una maggiore discriminazione. Spesso non hanno accesso ai servizi essenziali come l’acqua corrente e l’elettricità. Anche dal punto di vista sanitario esiste un divario: la speranza di vita dei Rom è di 10 anni inferiore alla media dell’Unione Europea, che è di 76 anni per gli uomini e di 82 per le donne. Il Fondo Sociale Europeo è un importante strumento a sostegno dell’integrazione. Assicurare a queste comunità l’accesso a posti di lavoro e a un’istruzione non segregati, ad alloggi e servizi sanitari è essenziale per la loro inclusione. L’integrazione delle comunità romanès potrebbe offrire notevoli vantaggi economici. Con un’età media di 25 anni contro i 40 anni dell’Unione Europea, la popolazione romanì rappresenta una percentuale crescente della popolazione in età lavorativa. Secondo le ricerche della Banca mondiale, la completa integrazione delle comunità romanès potrebbe apportare un beneficio di circa 0,5 miliardi di euro l’anno alle economie di alcuni Paesi, aumentando la produttività, tagliando le spese sociali e accrescendo le entrate fiscali. Molti i provvedimenti presi dai più importanti organismi istituzionali. Le Risoluzioni e le Raccomandazioni adottate sono tante, ma poco applicate dai Governi nazionali. Nel 1948, l’ONU dopo i crimini perpetuati dai nazi-fascisti (oltre mezzo milione di Rom e Sinti seguirono la stessa sorte degli ebrei nel Porrajmos -divoramento-) promulgò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Nel documento sono sanciti diritti fondamentali che, ancora oggi, sono   violati nei confronti dei Rom. Essi non sono percepiti come una minoranza etnica ma piuttosto come disadattati da controllare o escludere.

 

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GENTE LIBERA E PACIFICA

 

Da un’Intervista di Silvana Mazzocchi ad Alexian Santino Spinelli

Alzare il velo del pregiudizio è necessario per conoscere realtà di cui spesso non sappiamo nulla se non quel poco che appare, deformato, dagli stereotipi e dalle mezze verità. Utile per svelare tutto quello che è doveroso sapere sui Rom, è appena uscito il libro di Santino Spinelli, in arte Alexian, un italiano Rom, musicista e compositore, poeta, attore e saggista, oltre che insegnante di Lingue e processi interculturali. Severo nei confronti di chi identifica grossolanamente i Rom con gli zingari e ambizioso nel suo proposito di restituire l’identità “invisibile” alle sue genti. Un popolo da sempre vittima di pregiudizi e sospetti, oggetto di persecuzioni (furono 500.000 i Rom e i Sinti massacrati dai nazisti) e invece una delle più antiche e dinamiche minoranze del Vecchio continente, con la sua cultura trasnazionale, distribuita ovunque nel mondo. Eppure c’è da scommettere che i tanti adepti di quella romfobia dura a morire che trasforma gli errori di alcuni in responsabilità di tutti e che identifica i Rom con l’emarginazione e i campi nomadi, neanche sanno che, dalla popolazione romanì, discende un piccolo esercito di personaggi amati e famosi della storia, delle professioni e delle arti. Ne fanno parte (e sono solo alcuni dei nomi di una lunga lista) l’attrice Rita Hayworth e suo nonno Antonio Cansino, il creatore della danza spagnola moderna, gli attori Charlie Chaplin, Michael Caine e Yul Brynner. E il danzatore Joaquim Cortès oltre a innumerevoli gruppi musicali e a campioni sportivi, artisti, uomini e donne della politica europea, fino al premio Nobel per la Medicina nel 1920, il Rom danese Schack A. Steenberg Krogh.

In un suo volume, ricostruisce meticolosamente la storia comune del popolo Rom, dalla schiavitù nei principati romeni all’arrivo in Occidente e in Italia, dalle persecuzioni scatenate in Europa alle misure repressive subite in Italia. Un genocidio infinito. E racconta tutto sulla popolazione romanì, sparsa in ogni continente e che conta almeno 16 milioni di persone. Un viaggio documentato e completo nella storia e nella cultura per raccontare la forza e la tenacia di chi ha difeso libertà e identità.

D
Rom uguale zingari, uno dei tanti luoghi comuni?

R
“Per rispondere a questa domanda bisogna necessariamente porsene un’altra: “Quante opportunità ha l’opinione pubblica di “vivere” realmente la cultura romaní, nella sua ricchezza e nella sua complessità espressiva?”. La risposta, purtroppo è facile: quasi mai. La conoscenza è un sacrosanto diritto di cui l’opinione pubblica viene privata. E qui subentrano tanti fattori: innanzitutto una cattiva informazione che si trasforma facilmente in disinformazione, con la reiterazione di immagini e di cliché stereotipati che certamente non favoriscono il dialogo, ma al contrario, pregiudizi e atteggiamenti di ostilità. Vanno poi sottolineate le politiche repressive attuate nei confronti dei Rom (rom=sostantivo, romanì=aggettivo, romanès=avverbio) arrivati in Europa nel XV secolo: politiche di espulsione, di reclusione, di sterminio, di deportazione, di assimilazione. Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Romanichals, i cinque gruppi che con i loro svariati sottogruppi costituiscono il paradigmatico mondo romanò vengono volgarmente definiti “zingari”, ma pochissimi sanno che fra loro questi etnonimi (la maniera in cui un popolo definisce se stesso) sono sinonimi e significano “uomo”, da distinguere l’eteronimo (il modo in cui una popolazione viene definita da altri) “zingari” che ha un’accezione negativa. E’ la differenza che c’è tra “italiano” e “mafioso””.

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Rom, genti libere. Chi ha preservato la loro identità?

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“La cultura romaní è transnazionale, multiforme e paradigmatica con infinite sfaccettature e sfumature essendo distribuita in ogni continente e in tantissimi Paesi. Si è tramandata oralmente di generazione in generazione, per almeno quindici secoli, esponendosi all’influenza delle culture dei Paesi attraversati nel corso del lungo viaggio dall’India verso occidente. Le vicende storiche, economiche e sociali hanno condizionato la diaspora romaní tanto che le diverse comunità romanès che son venute via via delineandosi sono, oggi, portatrici di diverse tradizioni culturali, affini e diversificate allo stesso tempo. L’identità e la cultura Romanì si sono preservate anche grazie all’apporto che hanno dato a tutti i campi dell’arte occidentale, dalla musica alla danza, alla pittura, alla letteratura. In molti Paesi è entrata a far parte del folklore locale, spesso il folklore di quei Paesi si identifica con la cultura o l’arte romanì: il flamenco in Spagna, i violinisti ungheresi, i cymbalisti romeni, la musica in Russia e nei Paesi della ex Jugoslavia. Alcuni generi musicali derivano dai Rom come la Czardas e Verbunkos, ma anche flamenco e tanta musica balcanica oltre che il jazz manouches. Basti pensare ai grandi compositori come Listz, Brahms, Schubert e più tardi Dvorak, Mussoskj, Ravel, Debussy, Bartok, Stravinskj, oggi Goran Bregovic che hanno attinto a piene mani dalla tradizione musicale romanì”.

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Chi sono realmente i Rom?

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“I rom, sinti, kale, manouches e romanichals con le loro differenti comunità nel mondo sono 12 milioni, in Europa sono otto milioni e mezzo, in Italia circa 170 mila di cui 60% di cittadinanza italiana (55.000 Rom e 45.000 Sinti) e di antico insediamento. Bisogna ricordare, infatti, che i rom sono presenti in Italia da oltre sei secoli, che la maggior parte di loro vive in case, manda i propri figli a scuola e lavora, il restante, circa il 20%,è costituito da rom provenienti dai Paesi dell’Est Europa (circa 70.000 da Romania ed ex Jugoslavia). Qui in Italia, affrontano politiche di esclusione spesso supportate da vincoli e cavilli burocratici vari; spesso sono costretti a vivere in condizioni disumane in campi nomadi appositamente creati per tenerli ai margini della società e trasformarli non in cittadini ma in esseri continuamente in lotta per la sopravvivenza quotidiana. Il tutto per rafforzare lo stereotipo e giustificare determinati tipi di politiche da cui alcune organizzazioni di pseudo volontariato traggono vantaggi”.

 

Ernesto e la realistica utopia della Comunità di Solentiname

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di Gianantonio Ricci (confronti.net)

Era il gennaio del 1975 quando, leggendo una sua intervista, seppi dell’esistenza del poeta Ernesto Cardenal e della sua comunità nell’arcipelago di Solentiname nel Gran Lago del Nicaragua. L’intervista mi colpì profondamente, perché per me le sue idee e opere rappresentavano una sorta di sintesi delle aspirazioni di molti giovani cristiani che come me erano figli sia del ’68 che di Woodstock.

In quelle righe Ernesto trapelava una fede profonda, un misticismo cosmico, ma allo stesso tempo una profonda decisione a contribuire come cristiano alla liberazione del suo amato Nicaragua dal giogo della dittatura dinastica dei Somoza ed alla costruzione di una società giusta. Inoltre affermava chiaramente che la poesia e l’arte in tutte e sue espressioni erano connaturati agli essere umani. A distanza di anni potrei affermare senza indugi che per Ernesto Cardenal la caratteristica più genuina dell’essere umano è la sua capacità di creazione artistica, in primis della poesia.

Decisi che volevo conoscere quell’esperienza. Gli scrissi. Mi disse che potevo andare a trovarlo. Vi arrivai nel marzo del 1976. Da allora sono diventato solentinamegno ed ho vissuto in Nicaragua la maggior parte della mia vita.

Per quanto riguarda la fede, Ernesto Cardenal era un mistico. In alcune sue poesie, scritti e interviste parla di come il 2 giugno del 1956 ebbe un’esperienza mistica totalizzante. Lui stesso affermava di essere stato posseduto da Dio, che da allora la sua vita si era trasformata e aveva deciso di farsi monaco trappista. Così dal 1959 al 1960 fu novizio nel Monastero Trappista di Gethsemani in Kentucky (USA) ed ebbe il sublime Thomas Merton come maestro di novizi. Per ragioni di salute fu costretto a lasciare la trappa dopo solo due anni. Se ne andò, ma con sé portò la missione, indicatagli dallo stesso Merton, di creare una comunità di contemplazione in qualche posto remoto del Nicaragua.

Fu così che nel 1966 fondò con due seminaristi colombiani la Comunità contemplativa di “Nuestra Señora de Solentiname” nell’omonimo arcipelago sito nel Gran Lago del Nicaragua.

Ben presto la Comunità, alla luce delle folate di dirompente ottimismo che generò la Conferenza di Medellín dei Vescovi Latinoamericani del 1968, si trasformò in una Comunità di “cristiani per il socialismo”, come si diceva allora.

Quando vi arrivai il nucleo della Comunità, cioè le persone che vivevano con lui nei due ranchos (1) che fungevano da dormitori, erano otto. Elbis, Laureano ed Alejandro, tre giovani contadini originari del luogo, che poi furono rispettivamente un martire, un eroe ed un distaccato dirigente della Rivoluzione Sandinista, decisero di essere i suoi novizi ed abitavano nel suo stesso rancho. Nell’altro rancho viveva William (uno dei due seminaristi colombiani) che nel frattempo aveva sposato Teresa con cui aveva avuto due figli, Juan ed Irene. Inoltre c’era un bungalow prefabbricato in legno con la funzione di casa per gli ospiti. In questa foresteria c’erano perennemente ospiti delle più varie nazionalità. Soprattutto artisti come scrittori, pittori e cantanti; ma anche sacerdoti, agronomi e ragazzi che come me credevano in un cristianesimo catalizzatore di solidarietà e giustizia.

C’era poi un gruppo di ragazzi e ragazze dell’arcipelago che erano coinvolti dalla Comunità del poeta in moltissime attività, soprattutto nei laboratori che si promuovevano per cercare opzioni di economia locale: artigianato in legno di balsa, tessitura, ceramica, pittura naïve, ecc. Alcuni di questi giovani costituirono addirittura una vera e propria cooperativa agricola, cosa impensabile ed ancora meno realizzabile nel Nicaragua dei Somoza.

Il terzo “cerchio” della Comunità era tutta la popolazione delle 36 isolette. Circa mille abitanti che ogni domenica si riunivano nella cappella, che Ernesto ed i suoi compagni di Comunità avevano ricostruito e decorato copiando disegni di bambini semplici e vivaci. Questi tre ambiti della Comunità di Ernesto Cardenal non erano gerarchici. Erano solo diversi contesti di lavoro. Infatti i colloqui di esegesi del Vangelo domenicale che Ernesto realizzava con contadini, pescatori ed artigiani, uomini e donne, giovani e non di Solentiname erano una vera scuola di teologia della liberazione. A tal punto che quei commenti furono raccolti in due tomi intitolati “Il Vangelo di Solentiname”.

Ernesto era perciò un mistico di grandissima fede ed allo stesso tempo un cristiano che incarnava la convivialità e l’attenzione per i poveri che il Nazareno ci ha insegnato molto chiaramente, ma che spesso rimane sepolta da tradizioni, riti e conformismo.

Tutta la sua poesia, ovvero il suo sentire, pensare ed agire, almeno dopo essere stato amato da Dio, è una continua interlocuzione fra una fede cosmica che contempla l’immensità di Dio e la piccolezza dell’essere umano, fra le meraviglie dell’universo e della vita, la partecipazione attiva alla liberazione del Nicaragua e la vita quotidiana a Solentiname.

Dirigeva la Comunità, partecipava attivamente alla politica, commentava la parola di Dio, studiava sempre, ma soprattutto creava. Non solo scriveva poesie assiduamente, ma era anche un rinomato scultore. Le sue sculture stilizzate di animali e piante sono la chiara materializzazione del suo costante stupore nei confronti della bellezza intrinseca delle creazione. Colgono, nell’essenza, le forme e i colori delle creature e le materializzano come una lode ad alta voce al creato, fatta di duro legno tropicale e dipinta con vernice da carrozziere.

Cardenal fu perciò anche maestro di artisti e promotore artistico. A Solentiname ideò i laboratori di poesia con gli abitanti del luogo; laboratori che poi furono diffusi da lui stesso in tutto il Nicaragua, insieme ai laboratori di pittura primitivista, quando fu ministro della Cultura del Governo Sandinista negli anni ’80.

Oltre all’impegno politico e culturale, negli ultimi anni si dedicò ad approfondire le sue conoscenze scientifiche per poter portare la sua poesia a essere l’espressione di quello stupore dell’umanità di fronte alle nuove scoperte della fisica, la chimica, la biologia e tutte le scienze e, allo stesso tempo, a essere quel canto al Creatore che nei poemi di Ernesto Cardenal è sempre stato presente sin da quando ricreò i Salmi contestualizzandoli nella realtà del Nicaragua oppresso dal tiranno. Creò così ciò che lui chiamava poesia scientifica e che è l’espressione ultima di quello che lui ha sempre sostenuto e praticato, ovvero che tutto ciò che ci circonda è fonte di poesia. Tutto è poesia e la poesia è tutto.

(1) Rancho=casa tipica dei contadini dei tropici. Di solito è una struttura di legno, con pareti di tavole di legno e tetto di “paglia”, ovvero di foglie di palme meticolosamente collocate. Di solito un tetto di palma ben fatto può durare una decina d’anni.

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