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Oggi, 21 marzo, Giornata in memoria delle vittime di mafia

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DON CIOTTI: “BASTA CON LE POLITICHE CRIMINOGENE !”

di Piero Murineddu

Continuando l’ascolto di persone che aiutano a migliorare la vita collettiva e inevitabilmente quella personale, ieri è stato il turno di Luigi Ciotti, il grande prete a cui Michele Pellegrino,il cardinale con la croce di legno o fatta di corda da ragazzi più o meno sbandati, dopo l’ordinazione, affidò la parrocchia della Strada. Ed è proprio del rapporto filiale che lo legava all’allora cardinale di Torino che Luigi si sofferma nell’ evento che propongo svoltosi nell’ottobre 2022 e che lo vide ospite a Romena, la Fraternità toscana guidata da luigi Verdi.

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Oggi Giornata in memoria delle vittime di mafia. Da sempre prete Ciotti è in prima linea per combatterne le diverse sfaccettature e diramazioni nella società, per cui ascoltarlo ieri sera non è stato casuale, ma voluto.

Un altissimo intervento aperto e chiuso con l’augurio fatto a ciascuno della Solitudine, che è altra cosa dell’isolamento. Solitudine cercata per conoscere e capire l’essenza di noi stessi, per capire cosa realmente vogliamo dalla vita e per non farci travolgere da quanta ci accade intorno.

Nelle sue preziose e accorate parole, non manca di rilevare il grande rispetto per la Sacralità delle Istituzioni, ma nel contempo, insieme al dovere della FERMA DENUNCIA di molti che la rappresentano indegnamente, anche il richiamo fatto a ciascuno del necessario dovere di essere una spina al fianco se chi ha un incarico pubblico che condiziona la vita altrui non opera realmente per il Bene di tutti, di tutti,  di

TU -TTI !

 

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Ancora quel misero ministruncolo che purtroppo ci ritroviamo tra i piedi non aveva manifestato il peggio del suo cervello definendo il nostro amico prete “un signore in tonaca” volgare, ignorante e superficiale perché si era permesso di dire che il Ponte sullo Stretto più che unire due coste unirà due cosche. Un SIGNORE si don Ciotti, di cui la piccolezza mentale di costui non è degno neanche di pronunciarne il nome. Purissima verità quella di Luigi, naturalmente per chi è in grado di capire, possibilità esclusa per questo rozzo individuo.

Fai lo sforzo di dimenticarti dell’esistenza di questo miserello e ascolta con grande attenzione questo gigante della società civile.

Un invito a ogni amico e amica. Presta particolare attenzione all’ultimo scorcio della registrazione, quando Luigi ci augura di ….morire, col suo usuale modo provocatorio che ha di introdurre i grandi concetti. Non anticipo nulla. Lo ripeto: fai moooolta attenzione a quanto dice…

 

Nel link seguente, l’elenco delle persone assassinate dalla mafia, curato da Libera

https://vivi.libera.it/it-ricerca_nomi

E di ga razza sei, me figlio’ ?

Introduzione

di Piero Murineddu

 

Rita Spanu oltre 40 anni fa decise di lasciare la sua Sorso per raggiungere altri lidi. E in questo caso, proprio di “lido” si tratta, in quanto vive a Soverato, una cittadina di poco meno 9000 abitanti sulla costa orientale calabrese, ad una trentina di chilometri da Catanzaro.

Una ragazza che ricordo dai modi gentili, discreti ed estremamente rispettosi, caratteristiche che oggi, raggiunta l’età del “ripensamento”, avrà sicuramente conservato.

Rita, accogliendo il mio invito racconta alcuni suoi ricordi degli anni trascorsi a Sossu, esprimendo sul finale le sue impressioni sulla Sorso attuale.

Rita continua a definirsi sussinca e “billellariana” della prima ora, ma da quello che qualche amico comune mi conferma, gia dai tempi della giovinezza aveva dei modi che si distinguevano dagli aspetti immancabilmente poco positivi che ogni comunità possiede, e il parlare con lieve accento “continentale” evidenziava questa sua piacevole “diversità”.

Nonostante ciò, o forse proprio per questo, dovendo percorrere da piccola il centro storico, dove vi abitavano probabilmente le famiglie meno abbienti e forse anche più numerose, Rita racconta che si sentiva attratta da questo mondo che provocava in lei un certo fascino. Era tra quelle vie strette che si viveva la vera essenza dell’essere sussinchi, coi suoi pregi e difetti.

La famiglia Spanu abitava di fronte all’attuale Biblioteca Comunale, la cui casa occupava uno dei quattro angoli che racchiudono il vasto blocco edilizio includente anche la parrocchiale di San Pantaleo.

Da piccola, dovendosi recare dalla nonna, Rita si trovava a dover percorrere la zona antica del paese, ed è proprio da qui che inizia il suo racconto, che sicuramente non mancherà di portare molti non più giovanissimi a ripensare a quello che si era, nel bene o meno bene.

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“E NON PASSARE DA VIA CORTE ALESSANDRIA”

di Rita Spanu

 

“Ecco, prendi questa busta e portala a nonna. Mi raccomando, vai dritta, non parlare con nessuno, non fermarti a curiosare, se qualcuno ti offre qualcosa rifiuta e corri via e NON passare da via Corte Alessandria”

La mamma di Cappuccetto Rosso faceva meno raccomandazioni!

Camminare per strada senza rischi

Sorso, negli anni ’60, era un paesotto tranquillo i bambini potevano andare ovunque senza che gli adulti li dovessero accompagnare. L’unico problema o pericolo serio era rappresentato dalle (poche) automobili che circolavano condotte da ex contadini e/o carrettieri che avendo ancora poca dimestichezza con questi nuovi mezzi di trasporto rischiavano di travolgere i pedoni con molta facilità.

Ragazzi di oggi e di ieri

Le siringhe si vedevano solo negli ambulatori dei medici di famiglia e se ne aveva un sacro terrore. I ragazzini e le ragazzine non si sognavano di entrare nei bar per prendere birrette da consumare nei marciapiedi antistanti, bevendo e ruttando in faccia ai passanti con serena incoscienza come se fosse la cosa più normale del mondo.

Tutti noi si andava dappertutto, si giocava in strada, e le nostre mamme ci spedivano ovunque per fare i “comandi”, seppure con tutte le raccomandazioni di cui sopra. In ogni caso, il più delle volte, al rientro a casa le genitrici sapevano perfettamente se avevi ubbidito o meno ai dettami impartiti prima di uscire. Infatti, comari, vicine o passanti se notavano qualcosa di strano riferivano immediatamente a chi di dovere. Il controspionaggio dei “ciarameddhi” era sempre in servizio.

Il centro storico, luogo di vita vera

Via Corte Alessandria è il tratto antistante via Jelithon: in quegli anni erano considerati una specie di suburra. Su me quella zona esercitava un fascino incredibile. Passando di lì si osservava un mondo che in altri punti del paese non esisteva. C’erano un paio di famiglie che abitavano al piano terra e vivevano la loro esistenza interamente per strada. Il nucleo che mi incuriosiva di più era la famiglia di uno degli spazzini* del paese. Non ho idea di quanti figli avessero, so solo che erano sempre per strada e la loro madre non taceva un minuto urlando contro di loro delle espressioni che, all’epoca trovavo pittoresche salvo poi capire che la cosa più carina che augurava loro, con mille sadiche varianti, era una lunga e dolorosa agonia senza rimedio e/o la morte:

ti vegghiani tuttu fragassaddu mari

ti n’esciani l’occi

vai che la chisgina

ti vegghia fatt’a pezzi…,

 

Figuratevi la mia curiosità. A parte le cose che capivo o credevo di capire, rimaneva una lunga sequela di parolacce irripetibili delle quali sapevo solo che, per l’appunto, non potevo ripetere né chiederne il significato ad anima viva!

Cantare durante le faccende domestiche

Proseguendo, superato il tratto incriminato, iniziava il “festival della canzone”. Porte e finestre spalancate con le padrone di casa che facendo pulizia (imbarrazzéndi) cantavano a squarciagola “Non ho l’età per amaaartiiii” o “Tu mi fai girar come fossi una bambolaaa” e successi vari del tempo.

Era bello vedere in tempi di pre-lavatrice come le casalinghe si aiutavano con il bucato:

“Me’ surè, véni a aggiuddammi a trippià li linzori”.

Già, strizzare bene le lenzuola per facilitarne l’asciugatura era lavoro da fare in due. Ed ecco che anche il bucato diventava un evento sociale: cosa prepari per pranzo-ancora non lo so – ieri ho fatto il minestrone e oggi lo riscaldo – non parlarmene mio marito non vuole vedere nulla di riscaldato e “li pizzinni” poi non ne parliamo…Hai sentito che la tale ha litigato con la tal’altra e non si parlano più – come sta’ tua suocera,ecc ecc.

Non si passava inosservati

Nel frattempo chi passava di lì e non abitava nei dintorni veniva squadrata/o dalla testa ai piedi e si cercava di intuire di che “razza era”. Niente di discriminante, per carità. Era solo il modo che le persone più anziane avevano per stabilire di chi eri figlio, nipote e individuare così i parenti più o meno prossimi, elemento fondamentale per la loro tranquillità psico-fisica pare, dal momento che la prima domanda che ti rivolgevano era:

“me figliò, e di ga razza sei”?

Ovvero, figliolo/a, chi sono i tuoi parenti, genitori, nonni ?

Non si passava inosservati. Crescendo, però, questo genere di attenzione cominciò a dare fastidio.

Davvero seccante tornare a casa e vedere che le mamme sapevano, con minuzia di particolari, dove eri stato, con chi e per quanto tempo… Eh sì. Le mamme a quei tempi parlavano, osservavano, curiosavano negli affari dei figli, la privacy si debellava, se necessario, con qualche scappellotto e un “stasera non esci” a seconda della gravità dei limiti superati. Attenzione: giudizio materno totalmente inappellabile, ergo, fila dritto e non provarci nemmeno.

Le mariedefilippi avevano ancora da venire e il loro Piano di Rincoglionimento e Appiattimento dell’Attività Neuronale non aveva ancora inficiato il rapporto di gerarchico rispetto presente, fino ad allora, nelle famiglie normali.

Le botteghe “umane” sotto casa

Altro evento sociale era fare la spesa nei negozi di alimentari dove trovavi dalla farina ai lacci per le scarpe, c’era sempre folla, tutto era ritardato dal servizio ad personam (pochissimi i prodotti preconfezionati): mezzo chilo di pasta, due etti di caffè, 3 etti di zucchero ecc.ecc. Per quanto il negoziante fosse veloce ci voleva un sacco di tempo per approntare tutte le richieste e quindi tempo per una “ciaramiddhadda”, scambio di pareri, notizie varie ne rimaneva sempre parecchio. Inutile dire che rimanevo incantata a sentire “i grandi” parlare di fatti per me misteriosi e di persone ancora più misteriose che dimenticavo quasi subito a meno ché non fosse qualche fatto raccontato con atteggiamento da cospiratori. Mi colpiva più il tono della voce che il racconto in sé stesso anche perché il più non capivo la portata dell’evento raccontato. Infatti per lungo tempo non riuscii a spiegarmi (avevo circa 7/8 anni) cosa ci fosse di strano nel fatto che una tale fosse andata a casa del fidanzato rimasto solo a casa perché la madre era in visita alla sorella in un paese vicino, e loro avessero trascorso l’intero pomeriggio insieme lontani da occhi indiscreti.

Feci ridere tutti i presenti affermando che mi sembrava una gran buona azione che la tale avesse fatto buona compagnia al suo fidanzato rimasto solo in casa. Arrivai addirittura a dire che probabilmente lui non sapesse cucinare e lei gli avesse preparato la cena. Beata ingenuità. Mi offese molto comunque, la gran risata di mia madre quando una delle presenti le raccontò l’accaduto e nessuna delle due volle dirmi il perché di tanta ilarità.

Rischio gravidanze …premature

In quegli anni, l’unico rischio per le ragazze era di ritrovarsi incinta e ricorrere a matrimoni riparatori in giovane età. Sia chiaro, lo “scandalo” era sempre notevole, ma dopo qualche tempo tutto finiva nel rientrare nei binari della totale normalità.

Cambiamenti trovati nelle rimpatriate occasionali

A Sorso le cose sono cambiate nel giro di pochissimo tempo. Io sono andata via definitivamente nel 1980. Bene, nel giro di pochi anni (tornavo sempre per le feste comandate e altre occasioni) cominciavo a trovare cambiamenti poco piacevoli. Intanto la desertificazione della “passeggiata” presso la stazione ferroviaria, storico punto d’incontro per tutti, giovani e meno giovani sostituita da bar affollati da ragazzini e ragazzine sbracati e sboccati con precoci facce da tossici.

Poca gente per strada. Portoni sprangati. Finestre ai piani bassi protette da inferriate. Vagabondaggio automobilistico di nullafacenti che ti ritrovi tra i piedi in continuazione.

Purtroppo Sorso non ha più una connotazione, un’identità che possa consentire a chi passa di lì di avvertire un senso di appartenenza propria dei piccoli centri. Ora non è né carne né pesce: diabolicamente presenta i problemi e disagi della grande città (uno per tutti: i parcheggi maledetti, ti ritrovi auto in ogni dove) unendo gli svantaggi dei piccoli centri: niente teatro, cinema, poche occasioni e pochi o nulla centri di aggregazione.

San Giuseppe dimenticato

di Alberto Maggi

L’ebraico Yôsep (Giuseppe), è un nome augurale per chi desidera una famiglia numerosa, infatti significa “il Signore aggiunga” (al bambino nato), tanti altri ancora.

Nome popolare nella Bibbia, è portato da personaggi illustri della storia d’Israele, dal figlio di Giacobbe e Rachele, venduto come schiavo dai suoi fratelli per gelosia, ma divenuto poi governatore d’Egitto (Gen 37-42), al marito di Maria; quel che li accomuna è che entrambi, in situazioni drammatiche, sono stati i salvatori della loro famiglia.

Nel Nuovo Testamento c’è però un’evidente reticenza nel trattare di Giuseppe di Nazaret, marito di Maria e padre di Gesù. Sia nelle lettere di Paolo sia degli altri autori del Nuovo Testamento non si fa alcun accenno a Giuseppe, ma quel che sorprende è il ruolo marginale che sembrano dargli anche gli evangelisti.

Nel vangelo considerato più antico, quello di Marco, non c’è alcun riferimento a lui, e Gesù è ricordato solo come “il figlio di Maria”; vengono nominati i fratelli Giacomo, Ioses, Giuda e Simone, e anche le sue sorelle (Mc 6,3), ma non c’è alcun cenno al padre.

Anche nel vangelo di Giovanni si parla della madre di Gesù (Gv 2,1; 19,25) e dei suoi fratelli (Gv 7,3-10), ma non si trova alcun indizio su Giuseppe. È solo nei vangeli di Luca, e in particolare di Matteo, che gli evangelisti, in modi diversi, trattano questa singolare figura della quale stranamente non riportano neanche una parola, e del cui mestiere si parla solo in relazione a Gesù, conosciuto come “il figlio del falegname” (Mt 13,55).

La scarsità di notizie riguardo a Giuseppe nei vangeli, ha fatto sì che la Chiesa e la tradizione abbiano attinto abbondantemente dai testi apocrifi, in modo particolare dal Protovangelo di Giacomo, di poco posteriore ai vangeli. È in questo testo che Giuseppe viene presentato già come anziano (“Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza” (9,2), mentre nell’apocrifo “Storia di Giuseppe Falegname” si legge che era vedovo con ben sei figli (quattro maschi e due femmine), quando si sposò con la dodicenne Maria di Nazaret. E quando Giuseppe morì, a ben centoundici anni (15,1), Gesù e Maria erano presenti al suo capezzale insieme a tutti i suoi figli e figlie.

Queste notizie indussero la tradizione cristiana a presentare Giuseppe come una persona molto avanti con gli anni e, in modo particolare dal quindicesimo secolo, il consolidarsi del culto a San Giuseppe, portò a raffigurarlo sempre più come un anziano che sembrava più il nonno che il padre di Gesù, forse per rendere così più sicura la verginità della Madonna, e generazioni  di bambini hanno imparato la dolce filastrocca dedicata a “San Giuseppe vecchierello…”.

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La grande lezione di Giuliano Branca dal suo trono di disabilità

Da un articolo di Cristoforo Puddu

Tutta la poetica di Biglianu è percorsa da una particolare attenzione e viscerale amore per l’uomo. Un meditato messaggio e testamento di vita, malgrado un’esistenza di dolore e solitudine, che evidenzia autenticità e immediatezza nei toccanti testi con chiare e interiori radici nella tradizione letteraria sarda orale.

A partire dal 1978 con l’iniziale partecipazione al “Romangia” e gli stimoli di Tonino Rubattu a rendere pubblici i suoi versi, è stata presenza attiva nell’incredibile e sorprendente laboratorio poetico sardo degli anni Ottanta e Novanta. La sua figura, sempre discreta, offriva costante pregio e qualità poetica.

Significativi i suoi contributi a numerosi concorsi letterari e valida la collaborazione a giornali, riviste ed antologie. La sua poetica indirizza e guida verso valori autentici positivi; malgrado le forti tensioni esistenziali e di dolore c’è fede nell’umanità e nella bellezza della vita.

La sua poesia assume carattere autobiografico ma allo stesso tempo celebra paesaggi, il mistero delle piccole cose, canta con affetto e fantasia vivace la vita quotidiana, la capacità di stupirsi e meravigliarsi per la vita. Spesso la poesia è anche strumento di lotta partecipe agli eventi storici, sociali e forte impegno per la valorizzazione delle specificità della cultura sarda. Sicuramente sempre una poesia di contenuti.

Con intima voce di verità canta gli eterni sentimenti dell’uomo, cercando di penetrare nell’esasperato silenzio che avvolge la sofferenza fisica. I suoi risultati poetici sono estremamente originali e riflessivi. Analizza con lucidità la sua esperienza con linguaggio toccante: tutto è connotato da una forte tensione spirituale e meditativa.

I versi sono strazianti di verità, e ogni verso un sussulto di essenzialità. Non c’è angoscia di sconfitta, ma forza e coscienza, personale e sociale. Le sue “cantones” si nutrono dei sentimenti dell’uomo: siano essi d’amore o di dolore. Giuliano, dal suo trono, dalla sua sedia a rotelle è riuscito ad ampliare il nostro orizzonte umano, ad arricchirci con la sua semplicità e umanità trasmessa in versi.

È poesia a cui bisogna guardare, dare maggiore visibilità e tanto attingervi, è avventura letteraria di una fede laica, di una esistenza che la malattia ha chiamato a unirsi costantemente al Cristo sofferente in Croce. Dal suo trono di passione è stato capace di donare versi di giustizia, di fratellanza e amore.

Alla scomparsa, Giuliano Branca è stato commemorato con due orazioni civili pronunciate dai poeti Tonino Mario Rubattu e Antonio Pazzola.

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L’amore di Franco per la musica

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di Piero Murineddu

Come lui stesso racconta nel testo ricavato dal sito sorsomusica.altervista.org/, credo attualmente purtroppo non attivo, lo stimolo, quando era ancora uno sbarbatello, l’ebbe dalla “terzina” del fratello presente in casa. Da lì per Franco iniziò la voglia di dedicarsi alla musica, passione che negli anni futuri non lo ha mai abbandonato.

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Anche da emigrato in Belgio, dato che non sempre le sole passioni procurano il necessario da vivere, la voglia di musicare insieme ad altri non l’ha messa da parte, anzi, probabilmente lo ha aiutato a superare i disagi inevitabili del doversi trasferire all’estero per necessità, trovandoci in essa anche il tramite per costruirsi nuove amicizie.

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Personalmente ho vaghi ricordi di Franco, sia per gli anni che ci separavano e sia per la frequentazione di ambienti e interessi diversi. È qualche anno fa che ci entrai in contatto, proprio quando gli chiesi l’autorizzazione di pubblicare la sua esperienza soprattutto col gruppo de I Paggi riportata dopo questa mia premessa. Franco accolse volentieri la proposta e anzi ci riproponemmo di vederci per approfondire la reciproca conoscenza, dato più che lo stesso intendimento qualche tempo prima era nato col suo amicone artista, entrambi residenti ad Alghero, Cici Egidio Peis, nel mentre anche lui deceduto e a cui in questo blog ho dedicato una pagina. Purtroppo gli eventi della vita hanno impedito che questo desiderio diventasse una  piacevole realtà. Chissà quante cose si saremmo raccontati!

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La mia e nostra grande passione

di Franco Cappai

Uno dei primi gruppi della nostra generazione è stato quello dei Lords. Nel 1967 si divisero. Restò disponibile la sala prove che era una stanza a casa di Francesco Petretto, aspirante batterista.Ci incontravamo lì per qualche suonatina.lo portavo la chitarra terzina di mio fratello, lui aveva costruito una cassa.

Facemmo amicizia con un ragazzo di Sorso,Gavino Senes, che aveva una chitarra elettrica e cosi inserimmo anche lui.

In quel periodo con Francesco salivamo a Sennori e fu lì, precisamente alla “Scala”, che vedemmo un ragazzino che suonava un chitarra terzina tutta sgangherata. Era Giampiero Pazzola. Al gruppo si unì Albino Cappai di Sorso.

La formazione iniziale, a cui demmo il nome “I Paggi”,era formata da me alla chitarra solista, Albino Cappai voce, Giampiero Pazzola alla chitarra ritmica, Francesco Petretto alla batteria e Gavino Senes al basso.

Col tempo riuscimmo a migliorare la strumentazione, all’inizio molto scarsa come per tutti i gruppi locali.

Suonavamo nei matrimoni e nelle salette di Sassari, dove spesso non riuscivamo a ricavarne un soldo.

La nostra prima apparizione in pubblico fu a Sorso in piazza del Comune, nel 1968. Era la festa di San Costantino e suonavano I Discepoli. Il brano che eseguimmo era “Un figlio dei fiori non pensa al domani”.

Andavamo a ballare all’ “Otto Colonne” che ancora non era diventata discoteca. Zio Nicolino Pisanu usava fare dei contratti a gruppi locali. Ci sono passati un po’ tutti: I Corsari, Gli Elfi, L’ Altra Versione…

Quell’anno, dopo una stagione con i Corsari, aveva la gestione il maestro Fiori con il suo gruppo.Noi chiedevamo di fare l’intervallo e finalmente un bel giorno ci venne proposto di fare una serata.

Potemmo avere così la possibilità di rinnovare la strumentazione. Si iniziò a comprare qualche strumento e poter suonare in varie sale del circondario, come Castelsardo,Valledoria e Tergu.

Un anno dopo avevamo ingaggiato Pier Vincenzo Sechi come chitarra solista ed io ero passato al basso. Diverse serate ed anche vari concorsi. A Santa Teresa di Gallura vincemmo la tappa di “Sardegna Canta” con “Tu sei bella come sei”. Nella finale di Alghero presentammo “Davanti agli occhi miei”.

In inverno, a Porto Torres, partecipammo al Trampolino D’Oro.

In una serata dei Boba nel piazzale dei frati Cappuccini a Sorso facemmo l’intervallo e Tore Mannu e Gianni Virdis degli Humus notarono l’abilità di Pier Vincenzo in un brano dei Cream e lo ingaggiarono.

Dopo un periodo in cui suonavamo in tre, basso,chitarra e batteria, chiamammo Mario Rubattu come chitarrista. Suonammo come gruppo spalla degli Spaventapasseri a Tergu. Il manager che li aveva ingaggiati lo fece anche con noi per la tournè che questo gruppo doveva fare nel nord Sardegna. Gli Spaventapasseri era un gruppo che suonava a Settevoci, nel programma televisivo di Pippo Baudo e per la prima volta vedemmo le potenzialità della Gibson distorta e come si può suonare in tre. Era un gruppo stile Led Zeppelin.

Quell’estate suonammo ad Ittiri, Osilo e a Porto Torres nel campo sportivo, ma di compenso neanche a parlarne

Dovetti prendere così l’amara decisione di vendere tutto e partire in Belgio per lavoro. Il gruppo si sciolse.

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Aggiornamento sugli sbarchi dei migranti

di Annalisa Camilli (Internazionale)

Dal 14 al 16 marzo sono ripresi sbarchi di numerose persone a Lampedusa, la piccola isola del Mediterraneo più vicina all’Africa che alla Sicilia. In tre giorni sono arrivate circa 1.500 migranti, poi il 17 marzo il tempo è peggiorato e gli arrivi si sono fermati. Il 16 marzo la guardia costiera ha soccorso dodici imbarcazioni, mentre un’altra è arrivata in maniera autonoma fino alla spiaggia. Una barca con circa duecento persone è arrivata a Pantelleria.

Le imbarcazioni arrivate a Lampedusa – che sono soprattutto di legno – sono partite dalla Libia e dalla Tunisia: da Zuara e in misura minore da Sabratha (in Libia), e da Sfax e Kerkenna (in Tunisia). Dal 1 gennaio al 15 marzo 2024, secondo i dati diffusi dal ministero dell’interno, sarebbero arrivati in Italia in maniera irregolare 6.560 persone, meno della metà di quelle arrivate nello stesso periodo dell’anno scorso. Il governo sostiene che questo sia il risultato degli accordi stipulati con la Tunisia per fermare le partenze, ma è ancora troppo presto per dire se quest’ipotesi sia fondata o se si tratti semplicemente di una conseguenza delle condizioni del meteo e del mare, peggiori rispetto allo stesso periodo del 2023.

“Ci sono stati molti giorni di maltempo e appena la situazione è tornata calma, numerose imbarcazioni sono partite sia dalla Libia sia dalla Tunisia”, conferma Francesca Saccomandi, operatrice di Mediterranean Hope e il Forum Lampedusa Solidale, attiva nell’accoglienza dei profughi allo sbarco al Molo Favarolo di Lampedusa. “Non vediamo più barche di ferro, l’anno scorso molto usate dai migranti che arrivavano dalla Tunisia. Sappiamo che le autorità tunisine ne hanno ostacolato la costruzione e che hanno fatto delle deportazioni sistematiche da Sfax al deserto per ridurre il numero di partenze e venire incontro alle richieste dei paesi europei”, racconta Saccomandi. L’operatrice sostiene che tra i migranti ci siano molti subsahariani, anche tra quelli partiti dalla Tunisia, e che tra loro ci siano molte donne e molti bambini o minori non accompagnati.

“Le procedure allo sbarco si sono velocizzate, rispetto a qualche mese fa. Ma le condizioni di accoglienza sono ancora pessime”, spiega. “Ci siamo solo noi e qualche volta i volontari della Croce rossa a distribuire acqua e snack, i servizi igienici al molo sono fatiscenti e manca un servizio per dare notizie alle famiglie che sono rimaste a casa. Inoltre, i problemi al centro di prima accoglienza (hotspot) sono sempre gli stessi da anni. Ci sono pochi posti e basta che gli arrivi aumentino perché la situazione vada fuori controllo. Inoltre le persone sono trattenute e private della libertà personale per un periodo più lungo di quello che sarebbe consentito dalla legge, le persone sono rinchiuse nell’hotspot anche oltre il tempo necessario all’identificazione”, spiega Saccomandi.

Intanto al centro di prima accoglienza (hotspot) di Lampedusa con gli ultimi arrivi si è raggiunta subita la massima capienza. Il 17 marzo duecento migranti sono stati trasferiti con un traghetto a Porto Empedocle e nel centro di accoglienza di Contrada Imbriacola sono rimaste 439 persone. Altri due migranti hanno lasciato l’isola con l’elicottero per ragioni sanitarie e sono stati trasferiti all’ospedale di Palermo. Uno è stato spostato per crisi epilettiche, mentre l’altro per una malattia neurodegenerativa.

Lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono attive intanto tre navi umanitarie: la Geo Barents di Medici senza frontiere, la Life Support di Emergency e la Ocean Viking di Sos Méditerranée. Altre tre sono state sottoposte a fermo amministrativo la scorsa settimana. La Geo Barents ha soccorso un totale di 249 persone in tre diverse operazioni e ora è diretta verso Marina di Carrara dove arriverà il 20 marzo. In un primo soccorso sono state salvate 28 persone a bordo di un’imbarcazione di vetroresina, nel secondo 146 persone che viaggiavano su una barca di legno, mentre nel terzo, avvenuto di notte, sono state messe in salvo 75 persone.

Nel secondo episodio l’imbarcazione umanitaria è stata attaccata dalla cosiddetta guardia costiera libica, come era già avvenuto la settimana scorsa alla nave Humanity 1. Fulvia Conte, responsabile di Medici senza frontiere a bordo della nave, ha commentato: “Le operazioni di questi giorni sono state particolarmente difficili, abbiamo provato a soccorrere un barchino con più di cento persone a 40 miglia a sud di Lampedusa. Ma abbiamo assistito a un’intercettazione da parte della guardia costiera libica in acque internazionali”. In seguito in un altro salvataggio la nave di Msf è stata minacciata e attaccata dai libici. “La Geo Barents era in comunicazione continua con tutte le autorità competenti”, spiega Conte. Anche nel terzo soccorso ci sono stati momenti drammatici: “Il barchino si è ribaltato e circa quaranta persone sono finite in mare, ma per fortuna sono state soccorse”.

Il 16 marzo la Life Support di Emergency ha aiutato un’imbarcazione in difficoltà nella zona Sar maltese con a bordo 71 persone. “A causa del buio abbiamo impiegato circa tre ore per individuarla e a raggiungerla”, ha raccontato Domenico Pugliese, comandante della nave. I naufraghi erano partiti dalla città libica di Tajura, a una dozzina di chilometri da Tripoli, alle 22 del 15 marzo. L’imbarcazione di legno su cui viaggiavano aveva il motore guasto ed era inclinata da un lato. I naufraghi sono originari del Bangladesh, dell’Egitto e dell’Eritrea e tra loro ci sono una donna e tre minori, di cui due non accompagnati, ha dichiarato l’organizzazione.

Il soccorso più drammatico degli ultimi giorni ha riguardato la Ocean Vicking dell’ong Sos Méditerranée il 13 marzo in aiuto di un’imbarcazione in difficoltà, che era in mare da più di una settimana. “I sopravvissuti hanno riferito che almeno sessanta persone sono morte durante la traversata, tra cui alcune donne e almeno un bambino”, ha affermato il 14 marzo l’ong, che ha soccorso 224 persone in tre diverse operazioni.L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) aveva reagito esprimendo forte preoccupazione. Secondo Sos Méditerranée, l’imbarcazione è partita l’8 marzo da Zawiya. Tre giorni dopo si è rotto il motore, lasciando i migranti alla deriva, senza cibo né acqua.

Dopo un primo salvataggio di 25 persone, tra il 13 e il 14 marzo la Ocean Viking ha salvato prima 113 e poi 88 migranti in altre due operazioni di soccorso.

Le autorità italiane le hanno assegnato alla nave il porto di sbarco di Ancona. Dato che la città “dista 1.450 chilometri dalla posizione attuale della Ocean Viking, abbiamo chiesto alle autorità marittime italiane di concedere un porto sicuro più vicino”, ha scritto l’ong in un comunicato. Ma le autorità hanno concesso all’organizzazione di attraccare a Catania solo per fare scendere i casi più gravi, 23 persone bisognose di assistenza medica, e poi hanno imposto all’organizzazione di riprendere la navigazione verso Ancona, sulla costa adriatica.

Il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi, parlando della situazione nel Mediterraneo, ha ribadito che questi episodi sarebbero la prova che “l’immigrazione irregolare va fermata alla partenza”. Il ministro ha comunque rivendicato una contrazione negli arrivi per il sesto mese consecutivo: “Segno che qualcosa sta funzionando”. Il 17 marzo la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, è andata in Egitto per siglare diversi accordi bilaterali e sostenere un accordo da 7,4 miliardi di euro da parte dell’Unione europea con l’Egitto per la cooperazione economica e in materia migratoria.

Ma per i critici del governo Meloni e le organizzazioni che si occupano dei diritti umani gli arrivi di questi giorni e il caos nei soccorsi nel Mediterraneo mostrano che i numerosi accordi che il governo ha fatto con governi instabili o autoritari come quello con la Libia e la Tunisia nel 2023 hanno effetti limitati sul numero degli arrivi, ma hanno un costo enorme in termini di violazioni dei diritti umani nei paesi di transito e lungo le rotte.

Bussa e ti sarà aperto. Mmmmhhhh…In che senso?

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di Piero Murineddu

“Attraverso l’incarico pubblico, come spesso succede, ha sistemato i suoi….”

Nel pensiero dei più, questa prassi è normale, mettendo in secondo piano che questa è la prova indiscutibile del tradimento della fiducia ricevuta. Se poi, sempre grazie al potere dato dalla poltrona, si concedono favori mirati, diventa il cosiddetto “voto di scambio“, una delle tante operazioni mafiose e illegali che avvelenano il consorzio civile.

Ma come abbiamo fatto ad abituarci alla gravità morale e sociale di questo agire da parte di chi provvisoriamente ha ricevuto la fiducia di altre persone?

Ma siamo consapevoli delle conseguenze catastrofiche nelle aspettative e nelle speranze di tutti, specialmente dei ragazzi, che tale modo di fare provoca?

È una imperdonabile offesa alla Giustizia e alla Solidarietà sociale.

È una profonda ferita difficilmente rimarginabile.

Un “politico” che sfrutta il suo momentaneo incarico in questo modo, fa un danno tale, che neanche le eventuali cose positive che realizza possono coprire e rimediare.

Che ricordo rimarrà di lui una volta che non avrà più in mano il potere?

Come sarà ricordato, soprattutto dai più che non hanno beneficiato dei suoi favori?

Che esempio di integrità morale avrà lasciato alle generazioni future?

Non ho difficoltà ad affermare che un “politico” che agevola i suoi parenti o semplici sodali è un LADRO, specialmente di Giustizia, anche se magari può essere considerato un benefattore.

Lo so, è un antico tema che ci trasciniamo forse da sempre nella vita sociale, e nella vita politica in modo particolare. Pochi sono rimasti immuni da questo andazzo, ma indubbiamente l’esperienza berlusconiana l’ha portata scandalosamente e sfacciatamente in evidenza, dando posti in Parlamento, nella RAI e in altre stanze dei bottoni (pagati dalla collettività….da me…da te..) ai suoi avvocati, ai suoi dentisti, alle sue bambole e ai suoi lacchè.

Si può negare questo?

Si hanno esempi di politici che hanno fatto e stanno facendo altrettanto? Molti, e il più delle volte rimangono impuniti.

Il fatto è che questi falsi benefattori continuano ad imperare perchè strumentalizzano un bisogno diffuso.D’altra parte, pur di veder soddisfatto un diritto primario qual’è il lavoro, i più non si fanno nessun scrupolo.

Personalmente, le persone che cercano il politico per soddisfare un bisogno, specialmente se lecito, io non le giudico, anche se sinceramente non godono della mia stima. I COLPEVOLI però, sono coloro che fanno carriera facendo del voto di scambio una prassi normale.

Qualcuno usa la definizione di “risposte politiche: il massimo dell’ipocrisia!

Cambierà qualcosa nei nuovi scenari politici che abbiamo davanti?

Tornerà il lavoro ad essere veramente quel diritto sancito dalla Costituzione?

Si faranno leggi per la creazione di posti di lavoro?

Impareremo tutti ad essere cittadini attivi e non insignificanti sudditi alla mercè del politicante di turno?

Ci evolveremo per avere i mezzi culturali necessari per far valere i nostri Diritti e adempiere civilmente ai nostri Doveri?

Certo, se poi leggiamo la seconda parte dell’articolo 4 della Costituzione, in cui si dice solennemente che ” ogni cittadino ha il dovere di…” e questa possibilità, soprattutto ai giovani, non si dà,  beh, allora qui ci sarebbe il tanto di…..

Buona domenica, va.

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Auguri Marco

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di Piero Murineddu

Proprio ieri ho ascoltato un magistrale intervento di Tarquinio nell’occasione di un evento insieme a Moni Ovadia e a Raniero La Valle, altri giganti del pensiero contemporaneo. Cercando in Rete qualche altro suo articolo attuale – dopo che aver nel maggio dello scorso anno ha lasciato Avvenire, prezioso organo di stampa che oggi si distingue nella diffusa e servile stampa italiana, quotidiano di cui aveva preso la direzione dopo che Dino Boffo fu costretto alle dimissioni a causa della insistente e manganellante campagna di diffamazione portata avanti da Vittorio Feltri e compagnia vomitante – scopro che proprio oggi compie 66 anni, un giovinotto in confronto alla mia vecchiaia che avanza. Auguri quindi a un grande e onesto giornalista. Leggo della possibilità di una sua candidatura alle prossime Europee. Me lo auguro e ce lo auguriamo.Sarebbe una voce importante che potrebbe ridare autorevolezza a un Parlamento sempre più insignificante e zeppo di presenze inutili.

 

Marco si racconta a Romena subito dopo lo scoppio della catastrofe a Gaza

Mattarella: “L’Italia deve costruire ponti di dialogo”

di Sergio Mattarella

Nella Costituzione c’è una affermazione solenne: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Sono le poche parole dell’art.11 che contiene le ragioni, le premesse del ruolo e delle posizioni del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo.

Mentre un sentimento di pietà si leva verso i morti, verso le vittime civili, non può che sorgere, al contempo, un moto di ripulsa da parte di tutte le coscienze per la distruzione di un territorio e delle sue risorse, per l’annientamento delle famiglie che lo abitavano, nel perseguimento della cieca logica della guerra, quella della riduzione al nulla del nemico, senza nessun rispetto per le vittime innocenti.

Lutti e sofferenze, pagate in larga misura dalla incolpevole popolazione civile, a partire dal funesto bombardamento del 15 febbraio contro l’Abbazia, nel quale, con i monaci, perirono famiglie sfollate, tante persone che vi si erano rifugiate contando sull’immunità di un edificio religioso, espressione di alta cultura universalmente conosciuta. Ma la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie”.

La nuova Abbazia ha la stessa vocazione ma ambisce anche a essere prova di un’accresciuta consapevolezza degli orrori delle guerre e di come l’Europa debba assumersi un ruolo permanente nella costruzione di una pace fondata sulla dignità e sulla libertà. Ne siamo interpellati. Sono mesi – ormai anni – amari quelli che stiamo attraversando.

Contavamo che l’Europa, fondata su una promessa di pace, non dovesse più conoscere guerre.

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Una particolare via a Sorso

di Piero Murineddu

” A cuniscilla bè, chistha carrera chi ha l’innommu di lu famosu ischrittori Saivadori Farina, v’è, cumenti e minimu, da rimanì chena arenu”.

Inizia così il capitoletto, riportato interamente in sussincu dopo questa mia “traduzione” alla fine di questa pagina, che Andrea Pilo, nel suo “Ammenti“, ha dedicato all’attuale via Farina a Sorso, quella che congiunge piazza Sant’ Austhinu cu lu Cabbucossu. Questa strada infatti, ha dato i natali o vi hanno vissuto per un breve o lungo periodo, vari personaggi di rilievo. Anche loro, almeno buona parte, hanno trascorso la loro infanzia “giugghendi e dendi impisthinenzia cumenti e tutti li pizzinni”.

Iniziando da giù a destra, nel palazzo Baraca, ha vissuto Bice, “femmina intirigentissima ma zirriosa chi no v’era la cumpagna”, e il fratello Josto,colonnello dell’esercito, entrambi figli del poeta, scrittore e giornalista GIOVANNI BARACA (1843-1882), intimo amico di Enrico Costa.

Dui janni più ainsobbra vi è la casa di don ANTONIO CICU, che a Roma era procuratore generale della Corte di Cassazione. Nella grande casa vi erano almeno tre salotti chiamati col colore dei tappeti che coprivano il pavimento, tutti addobbati di quadri, tappezzerie, divani di ogni tipo. Vi era anche un pianoforte, allora sconosciuto ai più, che ancora, credo, si può vedere nella chiesa di Santa Croce, purtroppo con i tasti stonati da far paura perchè nessuno si è mai curato di farlo accordare. L’ ultima volta che lo vidi era lì, discreto e silenzioso, sicuramente nostalgico di quando il figlio di Antonio, don AMBROGINO, maggiori di l’esercitu e vecciu vaggianu, gli dava voce con le sue esperte mani, insegnando anche ai tanti ragazzi che frequentavano la casa per varie attività ludiche e culturali, nel circolo cattolico “A.Manzoni” da lui fondato.

Attaccata a questa vi è il palazzo del notaio COTTONI. Sei figli, quattro maschi e due femmine,. Uno di loro , SALVATORE (1916-1974), avvocato ma dedicatosi a tempo pieno alla politica, ha ricoperto la carica di sottosegretario ai Trasporti.

Una janna ainsobbra c’è la casa di PINOTTO MANNU RICCI (1885-1970), generale della milizia, governatore dell’Albania e gratificato da diversi riconoscimenti avuti grazie alla sua fedeltà al regime fascista e, si dice, alla sua personale amicizia col Dux di tristissima memoria. Ha fatto onore a Sorso e alla Sardegna, come dice Andrea? Mah…

Nella stradina che si collega con via Pace, di fronte a dove operava un costruttore di tegami – per il qual motivo la moglie veniva chiamata “la stagnina” – per un certo periodo ha vissuto il pittore GIULIANO ROGGIO, figlio del sarto Salvatore e di Pasqualina Manca, sorella a sua volta del fabbro artista Telesforo Manca.

Lagadda l’isthrinta di Cunventu che conduce al Palazzo Baronale, si trova la casa MAROGNA, Dei tanti figli, PIETRO si è laureato in medicina, diventando un chirurgo di fama e ricoprendo anche la carica di Rettore dell’Università di Sassari.

Quasi ultima nella strada vi è la casa di GIANNETTO MASALA (1884-1917), poeta e patriota, sulla cui figura a presto riempirò una corposa pagina di questo blog grazie a una studiosa locale che ne ha approfondito la vita, al contrario di come sinora si sono interessati a fare i suoi concittadini, molti dei quali sanno solo che è il nome di una via.

Davanti a questa, si trova l’abitazione dove è nato SALVATORE FARINA (1845-1918), giornalista e scrittore.

Poco più giù vi è la casa del grande scultore e pittore GIULIANO LEONARDI (1899-1989), autore di opere di pregio. È suo il busto di S.Farina che si trova nella biblioteca comunale e la statua della Madonna che sovrasta la facciata della parrocchia di San Pantaleo. In questa casa, a condurre la sua vita e a custodire parte delle opere dell’artista che ha vissuto prevalentemente a Roma, c’è la nipote NUCCIA, donna semplice e di grande cuore. Dietro stimolo dello zio, anche lei si era dedicata ai colori, e i risultati, pur non essendo di grande pregio, mostrano tuttavia la meticolosità e la passione a loro dedicati.

Tutte abitazioni, a ben vedere, che hanno un alto valore simbolico, ma che purtroppo, mai nessuno ha cercato di far conoscere e di valorizzare. Da quello che so io, l’unica casa che ancora ha conservato quasi tutte le caratteristiche originarie è proprio quella di Nuccia, la quale è sempre stata ben lieta di accogliere i visitatori col desiderio di approfondire la conoscenza dello zio Giuliano, io tra questi.

Da qualche tempo, a causa di una brutta caduta che le ha provocato problemi alla spalla, la mite e carissima Nuccia si trova ospite della nipote Michela a Villanova Monteleone. Seppur coi suoi novant’anni, auguriamole che quanto prima possa tornare a Sossu nella sua casa/museo di questa storica e preziosa via.

Le frasi dialettali sono prese dal testo che segue di Andrea Pilo, aiutato dall’amico Peppino Manzoni

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Via Farina a Sossu

di Andrea Pilo

A cunniscilla bè, chistha carrera chi ha l’innommu di lu famosu ischrittori Saivadori Farina, v’è cumenti e minimu, da rimani chena arenu. È infatti una carrera isthrausdhinaria e no tantu pagosa e longa e lasgha, o pagosa vi passani tutti li pruzissioni, o paschi giompi da piazza Sant’antonio, chi è in mezzu a lu paesi, a lu Cabbucossu, chi è l’ulthima carrera prima di li giardhini chi z’azzani a Vaddhi e all’aribari di Cantarapittu. È isthrausdhinaria pagosa vi so naddi o vi sthaziani, giugghendi e dendi impisthinenzia cument’e tutti li pizzinni, guasi tutti l’ommini chi so dibintaddi impusthanti ed hani fattu onori no soru a Sossu ma a tutta la Sardhigna.

Ischuminzendi da sant’Austhinu, e sempri a manu dresta azzendi, s’acciappa, propiu all’anguru cu la piazza, lu parazzu Baraca undí hani vibiddu Bice, femmina intirigentissima ma zirriosa chi no v’era la cumpagna, e lu fradeddhu Josto, curunnellu di l’esercitu chi erani figliori di lu pueta, ischrittori e giornaristha Giuanni Baraca (1843 – 1882), intimu amiggu di Enricu Costa chi, tra li tanti cosi ischritti da eddhu, vi n’è una chi vari pa tutti: “era nato poeta”.

Dui janni più ainsobbra la casa di don Antoni Zicu chi, dabboi di la casa di lu Baroni era la più manna di Sossu. Passendi i lu saroni ed in una corthi s’intrazia in un althru parazzu chi abia baischoni e gianna nienti di mancu chi in via Cavour. Don Antoni, babbu di don Ambroscinu, vibia a Roma, era Procuradori Generari di la Corthi di Cassazioni, ma abia fattu di la casa sussinca una ipezia di museu. Sarotti groghi, rui e azzurri ciamaddi gussì pa lu curori di li tappetti chi cuabani li mattoni, di lu pabiru chi tappaba li muri pieni di quadri di dugna mannezia e di li divani, caddreoni e caddrei. V’erani, mancu a dillu, casciabanchi, fuzzeri, angorieri manni ed althri in legnu intagliaddu, letti a pabaglioni, lampadari e lanterni a tre bicchi, un’aimaddura e un pianuforthi chi a chissi tempi guasi nisciunu sabbia cosa fussia.

Ma tuttu lu ghi v’era no è pussibiri pudellu ammintà. Lu ghi inveci no si pò dimmintiggà so li tre “camarini” undì unu s’intancaba pa pudè fa li so bisogni chi tandu, pa falli, umbè di jenti curria, a zintura in coddhu, a drentu l’aribari. Ed è propiu in chistha casa chena l’uguari chi candu don Ambrosginu, maggiori di l’esercitu e vecciu vaggianu, ha fundaddu lu zischuru cattoriggu “A.Manzoni” so intraddi generazioni e generazioni di giobani a la ischuza, in buttini (pogghi) o in botti grossi (guasi tutti) ma mai nisciunu, puru pudendisi mubì undi vuriani e cumenti vuriani s’è attribiddu a tuccà un fenu che un fenu.

La cappella, didicadda a Santu Luisi, chi era a manu manca intrendi; la dumenigga candu si dizia la Messa era ibbarria ibbarria di jenti cumenti ibbarria ibbarria era lu saroni d’inverru e lu custhiri d’isthiu pa assisthì, paghendi poggu e nuddha, a lu tiatru chi faziani li zischurini visthuddi cu li custhumi dill’epuca. Indiminticabiri la Morthi e Passioni chi faziani sempri in Chedda Santa.

A pinsavi, a finu, lu più cunnisciddu e vuruddu bè era don Ambroginu, tantu è veru chi, candu è morthu in continenti, la dì chi ni l’hani arriggaddu e l’hani posthu i la cappella in terra addananzi a l’althari cumenti vuria sempri eddhu, v’è passaddu addananzi, pa dalli l’ulthimu saruddu tuttu lu paesi. La dì chi zi l’hani pusthaddu li trabagliadori chi erani isthaddi zischurini hani iviaddu pa pudellu accumpagnà pa l’ulthima bostha. Addareddu a lu bauru tappaddu da la bandera itarìana, lu sindigu cun tutta la puburazioni e addanazi, prima di una fira longa di predi, di fraddi, oifanelli ed assiziazioni religiosi, un picchettu d’onori militari cu un suldhaddu chi pusthaba un cuscinu cu innantu lu barrettu di maggiori e li midagli, chi era isthaddu fattu viní da Sassari di lu generali Gutierrez chi era amiggu intimu di don Ambruginu.

Attaccaddu a casa di don Antoni lu parazzettu di lu nutaiu Cottoni. Sei figliori, quattru masci e dui femminini guasi tutti laureaddi ed unu, Saivadori, avvucaddu ma chi ha fattu in vidda soia soru puritigga ed è giumpiddu a cantighi manni. Era infatti candu è morthu, vice ministhru a li “trasporti”. Naddu i lu 1916 mosthu i lu 1974.

Una janna ainsobbra, la casa di Pinotto Mannu Ricci (1885 – 1970), generari di la milizia, gubennadori di l’Albania, e amiggu intimu di Mussurini.

Sempri azzendi, lagadda l’isthrinta di Cunventu chi postha a lu Baroni, la casa Marogna, una di li ginii più ricca di Sossu e chi un figlioru, Preddu, s’è laureaddu in midizina ed è dibintaddu un chirurgu di vama e Rettore di l’Universiddai di Sassari.

Iglianu Leonardi (1899 -1989) artista d’isthatui e pittori di tarentu mannu isthazia dui janni appoi di Marogna.

La casa di Giannettu Masala (1884 – 1917) pueta e patriota era guasi l’usthima di la carrera.

Addananzi a chisth’usthimi casi, li baischoni di lu parazzu di Saivadori Farina (1846 -1918), ischrittori umbé funtumaddu no soru in Itaria.

Cosa althru si pò aggiugnì pa cumprindí l’impusthanzia di chistha carrera?

Una cosa soru, si pudaristhia punì una targa ischribendibi:

Chista è la carrera di

Saivadori Farina
Giuanni Baraca
Antoni e Ambrosginu Cicu
Saivadori Cottoni
Pinotto Mannu Ricci (!)
Preddu Marogna
Iglianu Leonardi
Giannettu Masara

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In conclusione

(Piero M)

A questo punto sarebbe d’obbligo percorrere a piedi e senza fretta questa strada, tutt’altra che larga come dice ziu Andria, purtroppo sempre più soffocata dalle auto parcheggiate e da quelle in transito. E farlo con rispetto, pensando che all’ interno di quelle case che si affacciano, oltre viverci oggi persone comunissime di indubbio valore, vi hanno anche vissuto, come detto all’ inizio, persone che, in un modo o nell’ altro hanno portato oltre gli stretti confini territoriali il nome di questa cittadina della Romangia, sia nell’arte e sia nella letteratura, lasciando un grande esempio, ai locali soprattutto, d’impegno civile e sociale, come nel caso del mancato prete Ambrogino. Molto, ma molto meno, in ambito militare, nonostante le medaglie ricevute da chi ha contribuito a portare morte e distruzione fuori dall’ Italia ma anche al suo interno. Il riferimento è al gerarca fascista Giuseppe Mannu Ricci, chiamato Pinotto in paese. Trasferitosi in Cirenaica, una regione della Libia, al comando di una Centuria di camicie nere – mania ricorrente del regime mussoliniano  far uso di termini dell’ antico impero romano – , combatté contro i ribelli locali. “Ribelli”, leggo nella pagina che segue a lui dedicata, come se chi si ritrova invaso con brutale violenza da forze straniere e tiranniche non abbia il diritto di difendersi. Ah, l’ illusorio sogno dell’italico Impero! Ma su questo è bene ritornarci in altro luogo.

Per informazione soprattutto dei miei concittadini, riporto parte dei dati biografici, riguardanti la  “carriera”  a servizio del regime fascista, di Mannu Ricci pubblicati nel 1934 su “La Nazione Operante”

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Nato in Sardegna, Giuseppe Mannu – Ricci proviene dallo Squadrismo della Venezia Giulia. Dopo la Marcia su Roma venne incorporato nella Milizia con il grado di Centurione e contribuì alla costituzione della 62^ Legione ” Isonzo “, che lasciò nel Febbraio 1926 per trasferirsi in Cirenaica, dove assunse il comando di una Centuria di Camicie Nere. Con detta Centuria sistemò e difese i più importanti presidi della Cirenaica, da Bir el Bid a Regina, da Zuetina a Giof el Matar, e in quest’ultimo presidio costruì la ” Ridotta Teruzzi “.
Prese parte a vari combattimenti contro i ribelli. Rientrato in Italia con il grado di Seniore, tenne prima il comando titolare della 150^ Legione ” G.Carli ” di Barletta e poi della 177^ “Logudoro”.Venne promosso Console nel Febbraio 1931. Nel Dicembre 1932 fu chiamato a Roma al Comando Generale e fu per qualche tempo Capo Ufficio dell’Opera Previdenza e Pensioni. Prese parte a tutta la guerra italo-austriaca, sempre con reparti in prima linea; e sulle Dolomiti, sul Carso, in Val Sugana e sul Grappa diede costantemente la propria opera di puro combattente sardo. Fu il primo difensore, nel Novembre 1917, del Monte Pertica, al comando di un Gruppo di Battaglioni. È decorato al Valor Militare.Durante la campagna d’Africa Orientale comanda, con il grado di Console, la 219^ Legione “Ricciotti”, della 7^Divisione “Cirene “.