Ernesto e la realistica utopia della Comunità di Solentiname

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di Gianantonio Ricci (confronti.net)

Era il gennaio del 1975 quando, leggendo una sua intervista, seppi dell’esistenza del poeta Ernesto Cardenal e della sua comunità nell’arcipelago di Solentiname nel Gran Lago del Nicaragua. L’intervista mi colpì profondamente, perché per me le sue idee e opere rappresentavano una sorta di sintesi delle aspirazioni di molti giovani cristiani che come me erano figli sia del ’68 che di Woodstock.

In quelle righe Ernesto trapelava una fede profonda, un misticismo cosmico, ma allo stesso tempo una profonda decisione a contribuire come cristiano alla liberazione del suo amato Nicaragua dal giogo della dittatura dinastica dei Somoza ed alla costruzione di una società giusta. Inoltre affermava chiaramente che la poesia e l’arte in tutte e sue espressioni erano connaturati agli essere umani. A distanza di anni potrei affermare senza indugi che per Ernesto Cardenal la caratteristica più genuina dell’essere umano è la sua capacità di creazione artistica, in primis della poesia.

Decisi che volevo conoscere quell’esperienza. Gli scrissi. Mi disse che potevo andare a trovarlo. Vi arrivai nel marzo del 1976. Da allora sono diventato solentinamegno ed ho vissuto in Nicaragua la maggior parte della mia vita.

Per quanto riguarda la fede, Ernesto Cardenal era un mistico. In alcune sue poesie, scritti e interviste parla di come il 2 giugno del 1956 ebbe un’esperienza mistica totalizzante. Lui stesso affermava di essere stato posseduto da Dio, che da allora la sua vita si era trasformata e aveva deciso di farsi monaco trappista. Così dal 1959 al 1960 fu novizio nel Monastero Trappista di Gethsemani in Kentucky (USA) ed ebbe il sublime Thomas Merton come maestro di novizi. Per ragioni di salute fu costretto a lasciare la trappa dopo solo due anni. Se ne andò, ma con sé portò la missione, indicatagli dallo stesso Merton, di creare una comunità di contemplazione in qualche posto remoto del Nicaragua.

Fu così che nel 1966 fondò con due seminaristi colombiani la Comunità contemplativa di “Nuestra Señora de Solentiname” nell’omonimo arcipelago sito nel Gran Lago del Nicaragua.

Ben presto la Comunità, alla luce delle folate di dirompente ottimismo che generò la Conferenza di Medellín dei Vescovi Latinoamericani del 1968, si trasformò in una Comunità di “cristiani per il socialismo”, come si diceva allora.

Quando vi arrivai il nucleo della Comunità, cioè le persone che vivevano con lui nei due ranchos (1) che fungevano da dormitori, erano otto. Elbis, Laureano ed Alejandro, tre giovani contadini originari del luogo, che poi furono rispettivamente un martire, un eroe ed un distaccato dirigente della Rivoluzione Sandinista, decisero di essere i suoi novizi ed abitavano nel suo stesso rancho. Nell’altro rancho viveva William (uno dei due seminaristi colombiani) che nel frattempo aveva sposato Teresa con cui aveva avuto due figli, Juan ed Irene. Inoltre c’era un bungalow prefabbricato in legno con la funzione di casa per gli ospiti. In questa foresteria c’erano perennemente ospiti delle più varie nazionalità. Soprattutto artisti come scrittori, pittori e cantanti; ma anche sacerdoti, agronomi e ragazzi che come me credevano in un cristianesimo catalizzatore di solidarietà e giustizia.

C’era poi un gruppo di ragazzi e ragazze dell’arcipelago che erano coinvolti dalla Comunità del poeta in moltissime attività, soprattutto nei laboratori che si promuovevano per cercare opzioni di economia locale: artigianato in legno di balsa, tessitura, ceramica, pittura naïve, ecc. Alcuni di questi giovani costituirono addirittura una vera e propria cooperativa agricola, cosa impensabile ed ancora meno realizzabile nel Nicaragua dei Somoza.

Il terzo “cerchio” della Comunità era tutta la popolazione delle 36 isolette. Circa mille abitanti che ogni domenica si riunivano nella cappella, che Ernesto ed i suoi compagni di Comunità avevano ricostruito e decorato copiando disegni di bambini semplici e vivaci. Questi tre ambiti della Comunità di Ernesto Cardenal non erano gerarchici. Erano solo diversi contesti di lavoro. Infatti i colloqui di esegesi del Vangelo domenicale che Ernesto realizzava con contadini, pescatori ed artigiani, uomini e donne, giovani e non di Solentiname erano una vera scuola di teologia della liberazione. A tal punto che quei commenti furono raccolti in due tomi intitolati “Il Vangelo di Solentiname”.

Ernesto era perciò un mistico di grandissima fede ed allo stesso tempo un cristiano che incarnava la convivialità e l’attenzione per i poveri che il Nazareno ci ha insegnato molto chiaramente, ma che spesso rimane sepolta da tradizioni, riti e conformismo.

Tutta la sua poesia, ovvero il suo sentire, pensare ed agire, almeno dopo essere stato amato da Dio, è una continua interlocuzione fra una fede cosmica che contempla l’immensità di Dio e la piccolezza dell’essere umano, fra le meraviglie dell’universo e della vita, la partecipazione attiva alla liberazione del Nicaragua e la vita quotidiana a Solentiname.

Dirigeva la Comunità, partecipava attivamente alla politica, commentava la parola di Dio, studiava sempre, ma soprattutto creava. Non solo scriveva poesie assiduamente, ma era anche un rinomato scultore. Le sue sculture stilizzate di animali e piante sono la chiara materializzazione del suo costante stupore nei confronti della bellezza intrinseca delle creazione. Colgono, nell’essenza, le forme e i colori delle creature e le materializzano come una lode ad alta voce al creato, fatta di duro legno tropicale e dipinta con vernice da carrozziere.

Cardenal fu perciò anche maestro di artisti e promotore artistico. A Solentiname ideò i laboratori di poesia con gli abitanti del luogo; laboratori che poi furono diffusi da lui stesso in tutto il Nicaragua, insieme ai laboratori di pittura primitivista, quando fu ministro della Cultura del Governo Sandinista negli anni ’80.

Oltre all’impegno politico e culturale, negli ultimi anni si dedicò ad approfondire le sue conoscenze scientifiche per poter portare la sua poesia a essere l’espressione di quello stupore dell’umanità di fronte alle nuove scoperte della fisica, la chimica, la biologia e tutte le scienze e, allo stesso tempo, a essere quel canto al Creatore che nei poemi di Ernesto Cardenal è sempre stato presente sin da quando ricreò i Salmi contestualizzandoli nella realtà del Nicaragua oppresso dal tiranno. Creò così ciò che lui chiamava poesia scientifica e che è l’espressione ultima di quello che lui ha sempre sostenuto e praticato, ovvero che tutto ciò che ci circonda è fonte di poesia. Tutto è poesia e la poesia è tutto.

(1) Rancho=casa tipica dei contadini dei tropici. Di solito è una struttura di legno, con pareti di tavole di legno e tetto di “paglia”, ovvero di foglie di palme meticolosamente collocate. Di solito un tetto di palma ben fatto può durare una decina d’anni.

https://www.vita.it/il-potere-corrompe-ogni-cosa-ernesto-cardenal-da-cristo-alla-rivoluzione/

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Ernesto e la realistica utopia della Comunità di Solentinameultima modifica: 2024-03-01T05:30:34+01:00da piero-murineddu
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