Le Comunità Romanès: un enorme patrimonio dilapidato

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di Santino Spinelli “Alexian”

La popolazione romanì, costituita da diversi gruppi che si autodeterminano come

                                                        Rom

Sinti

Kale

Manouches

Romanichals

 

rappresenta, con oltre undici milioni di persone, la più grande minoranza etnica europea. Presenti in ogni Stato dell’Unione Europea sono conosciuti con l’eteronimo peggiorativo di zingari e parlano la lingua romanì. In Italia il 60% dei 170 mila Rom e Sinti sono di antico insediamento (XV secolo), sono sedentarizzati e hanno cittadinanza italiana.

Lo sguardo strabico imposto sulla loro esistenza, deforma la realtà, mistifica la loro cultura e deprezza la loro dignità. Il contributo che queste comunità potrebbero recare alla società europea è trascurato anche a causa di pregiudizi: i Rom rubano i bambini! Salvo scoprire che la Magistratura non ha mai condannato nessuno. La persistente esclusione della popolazione romanì, numericamente consistente come quella belga o greca, è inaccettabile nell’Europa del ventunesimo secolo, basata sui principi dell’uguaglianza, della democrazia e dello Stato di diritto. Trovare soluzione ai loro problemi va a tutto vantaggio delle società e delle economie europee. I Governi perdono in termini di redditi e di produttività sprecando i potenziali talenti di queste comunità. L’esclusione e l’assistenzialismo costano molto più dell’inclusione. Ma l’integrazione è come l’amore: si fa in due. Le comunità romanès non hanno bisogno di un mercato del lavoro a parte né di scuole che perpetuino la segregazione. Occorre superare i campi nomadi che sono ghetti ripugnanti che producono effetti collaterali devastanti.

La segregazione razziale è illegale, è un crimine contro l’umanità ed è indegna di un Paese civile.

Chi commette reati deve essere punito, ma non si può condannare un popolo intero. Un’indagine condotta in sei Paesi dell’Unione Europea (Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia) ha rilevato che solo il 42% dei bambini Rom completa la scuola elementare, rispetto a una media europea del 97,5%. Per l’istruzione secondaria, la frequenza dei Rom è stimata ad appena il 10%. Nel mercato del lavoro le comunità romanès presentano tassi di occupazione più bassi e una maggiore discriminazione. Spesso non hanno accesso ai servizi essenziali come l’acqua corrente e l’elettricità. Anche dal punto di vista sanitario esiste un divario: la speranza di vita dei Rom è di 10 anni inferiore alla media dell’Unione Europea, che è di 76 anni per gli uomini e di 82 per le donne. Il Fondo Sociale Europeo è un importante strumento a sostegno dell’integrazione. Assicurare a queste comunità l’accesso a posti di lavoro e a un’istruzione non segregati, ad alloggi e servizi sanitari è essenziale per la loro inclusione. L’integrazione delle comunità romanès potrebbe offrire notevoli vantaggi economici. Con un’età media di 25 anni contro i 40 anni dell’Unione Europea, la popolazione romanì rappresenta una percentuale crescente della popolazione in età lavorativa. Secondo le ricerche della Banca mondiale, la completa integrazione delle comunità romanès potrebbe apportare un beneficio di circa 0,5 miliardi di euro l’anno alle economie di alcuni Paesi, aumentando la produttività, tagliando le spese sociali e accrescendo le entrate fiscali. Molti i provvedimenti presi dai più importanti organismi istituzionali. Le Risoluzioni e le Raccomandazioni adottate sono tante, ma poco applicate dai Governi nazionali. Nel 1948, l’ONU dopo i crimini perpetuati dai nazi-fascisti (oltre mezzo milione di Rom e Sinti seguirono la stessa sorte degli ebrei nel Porrajmos -divoramento-) promulgò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Nel documento sono sanciti diritti fondamentali che, ancora oggi, sono   violati nei confronti dei Rom. Essi non sono percepiti come una minoranza etnica ma piuttosto come disadattati da controllare o escludere.

 

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GENTE LIBERA E PACIFICA

 

Da un’Intervista di Silvana Mazzocchi ad Alexian Santino Spinelli

Alzare il velo del pregiudizio è necessario per conoscere realtà di cui spesso non sappiamo nulla se non quel poco che appare, deformato, dagli stereotipi e dalle mezze verità. Utile per svelare tutto quello che è doveroso sapere sui Rom, è appena uscito il libro di Santino Spinelli, in arte Alexian, un italiano Rom, musicista e compositore, poeta, attore e saggista, oltre che insegnante di Lingue e processi interculturali. Severo nei confronti di chi identifica grossolanamente i Rom con gli zingari e ambizioso nel suo proposito di restituire l’identità “invisibile” alle sue genti. Un popolo da sempre vittima di pregiudizi e sospetti, oggetto di persecuzioni (furono 500.000 i Rom e i Sinti massacrati dai nazisti) e invece una delle più antiche e dinamiche minoranze del Vecchio continente, con la sua cultura trasnazionale, distribuita ovunque nel mondo. Eppure c’è da scommettere che i tanti adepti di quella romfobia dura a morire che trasforma gli errori di alcuni in responsabilità di tutti e che identifica i Rom con l’emarginazione e i campi nomadi, neanche sanno che, dalla popolazione romanì, discende un piccolo esercito di personaggi amati e famosi della storia, delle professioni e delle arti. Ne fanno parte (e sono solo alcuni dei nomi di una lunga lista) l’attrice Rita Hayworth e suo nonno Antonio Cansino, il creatore della danza spagnola moderna, gli attori Charlie Chaplin, Michael Caine e Yul Brynner. E il danzatore Joaquim Cortès oltre a innumerevoli gruppi musicali e a campioni sportivi, artisti, uomini e donne della politica europea, fino al premio Nobel per la Medicina nel 1920, il Rom danese Schack A. Steenberg Krogh.

In un suo volume, ricostruisce meticolosamente la storia comune del popolo Rom, dalla schiavitù nei principati romeni all’arrivo in Occidente e in Italia, dalle persecuzioni scatenate in Europa alle misure repressive subite in Italia. Un genocidio infinito. E racconta tutto sulla popolazione romanì, sparsa in ogni continente e che conta almeno 16 milioni di persone. Un viaggio documentato e completo nella storia e nella cultura per raccontare la forza e la tenacia di chi ha difeso libertà e identità.

D
Rom uguale zingari, uno dei tanti luoghi comuni?

R
“Per rispondere a questa domanda bisogna necessariamente porsene un’altra: “Quante opportunità ha l’opinione pubblica di “vivere” realmente la cultura romaní, nella sua ricchezza e nella sua complessità espressiva?”. La risposta, purtroppo è facile: quasi mai. La conoscenza è un sacrosanto diritto di cui l’opinione pubblica viene privata. E qui subentrano tanti fattori: innanzitutto una cattiva informazione che si trasforma facilmente in disinformazione, con la reiterazione di immagini e di cliché stereotipati che certamente non favoriscono il dialogo, ma al contrario, pregiudizi e atteggiamenti di ostilità. Vanno poi sottolineate le politiche repressive attuate nei confronti dei Rom (rom=sostantivo, romanì=aggettivo, romanès=avverbio) arrivati in Europa nel XV secolo: politiche di espulsione, di reclusione, di sterminio, di deportazione, di assimilazione. Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Romanichals, i cinque gruppi che con i loro svariati sottogruppi costituiscono il paradigmatico mondo romanò vengono volgarmente definiti “zingari”, ma pochissimi sanno che fra loro questi etnonimi (la maniera in cui un popolo definisce se stesso) sono sinonimi e significano “uomo”, da distinguere l’eteronimo (il modo in cui una popolazione viene definita da altri) “zingari” che ha un’accezione negativa. E’ la differenza che c’è tra “italiano” e “mafioso””.

D
Rom, genti libere. Chi ha preservato la loro identità?

R
“La cultura romaní è transnazionale, multiforme e paradigmatica con infinite sfaccettature e sfumature essendo distribuita in ogni continente e in tantissimi Paesi. Si è tramandata oralmente di generazione in generazione, per almeno quindici secoli, esponendosi all’influenza delle culture dei Paesi attraversati nel corso del lungo viaggio dall’India verso occidente. Le vicende storiche, economiche e sociali hanno condizionato la diaspora romaní tanto che le diverse comunità romanès che son venute via via delineandosi sono, oggi, portatrici di diverse tradizioni culturali, affini e diversificate allo stesso tempo. L’identità e la cultura Romanì si sono preservate anche grazie all’apporto che hanno dato a tutti i campi dell’arte occidentale, dalla musica alla danza, alla pittura, alla letteratura. In molti Paesi è entrata a far parte del folklore locale, spesso il folklore di quei Paesi si identifica con la cultura o l’arte romanì: il flamenco in Spagna, i violinisti ungheresi, i cymbalisti romeni, la musica in Russia e nei Paesi della ex Jugoslavia. Alcuni generi musicali derivano dai Rom come la Czardas e Verbunkos, ma anche flamenco e tanta musica balcanica oltre che il jazz manouches. Basti pensare ai grandi compositori come Listz, Brahms, Schubert e più tardi Dvorak, Mussoskj, Ravel, Debussy, Bartok, Stravinskj, oggi Goran Bregovic che hanno attinto a piene mani dalla tradizione musicale romanì”.

D
Chi sono realmente i Rom?

R
“I rom, sinti, kale, manouches e romanichals con le loro differenti comunità nel mondo sono 12 milioni, in Europa sono otto milioni e mezzo, in Italia circa 170 mila di cui 60% di cittadinanza italiana (55.000 Rom e 45.000 Sinti) e di antico insediamento. Bisogna ricordare, infatti, che i rom sono presenti in Italia da oltre sei secoli, che la maggior parte di loro vive in case, manda i propri figli a scuola e lavora, il restante, circa il 20%,è costituito da rom provenienti dai Paesi dell’Est Europa (circa 70.000 da Romania ed ex Jugoslavia). Qui in Italia, affrontano politiche di esclusione spesso supportate da vincoli e cavilli burocratici vari; spesso sono costretti a vivere in condizioni disumane in campi nomadi appositamente creati per tenerli ai margini della società e trasformarli non in cittadini ma in esseri continuamente in lotta per la sopravvivenza quotidiana. Il tutto per rafforzare lo stereotipo e giustificare determinati tipi di politiche da cui alcune organizzazioni di pseudo volontariato traggono vantaggi”.

 

Le Comunità Romanès: un enorme patrimonio dilapidatoultima modifica: 2024-03-04T05:50:43+01:00da piero-murineddu
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