Autore archivio: piero-murineddu

Sindacopoli sarda? Una buona scuola per imparare a fottere il prossimo a sua insaputa

di Piero Murineddu

Progetti finanziati e mai realizzati, mazzettone, appalti pilotati, telefonini spia, tesoretti all’estero, silenzi negli interrogatori, misure cautelari, confisca di beni, politici angioletti che non si erano accorti degli illeciti, solidarietà agli “onorevoli” caschi il mondo, archiviazione, patteggiamenti, richiesta d’archiviazione,obbligo di dimora, arresti domiciliari, carcere ma continuando a percepire denari di tutti, sospensione dal Consiglio Regionale e rientro nello stesso……..

Per chi è interessato, vada a scorrere l’archivio della Nuova Sardegna riguardante l’argomento. E’ successo di tutto. O meglio, quasi di tutto: nessuno ha ammesso un minimo di responsabilità. Praticamente quello che succede normalmente in questa malandata e corrotta Italia. Certo, è giusto che la Giustizia segua il suo corso. La Giustizia, quella aspramente vetuperata dal vecchio “Paperone” milanese ultra ottantenne, ex Cav ed ex tutto. Tutti sono innocenti fin quando non viene dimostrato il contrario. Ocheiochei… Come si vede, anche se molti pensavano che la Cosa fosse passata tutta in “cavalleria”, quegl’antipaticoni di magistrati continuano ad indagare, a spulciare, a confrontare, ad interrogare……grazieaddio!

Piuttosto, mi viene da pensare, con la mia solita “malizia” s’intende, che chi si sta predisponendo per ottenere la fiducia degli elettori, quelli che, seppure a malavoglia, pagano gli stipendioni ai politici eletti, sopratutto a quelli che occupano le preziose poltrone dorate dei Consigli Regionali e dei saloni parlamentari…. Ecco, mi viene da pensare, dicevo, che se l’intento del loro mettersi in politica è principalmente quello di rimpinguare i loro conticini bancari, si legga bene le cronache di questa vicenda . Avrà sicuramente molto da imparare le furbizie per arricchirsi ed essere considerati pure degni di “onore” dal popolino. Se invece, come si pensava una volta, tanti, tanti, ma tanti anni fa, decide di mettersi in politica per servire gli altri e migliorare il mondo, lo dimostri da subito. Veda lui come, ma non limitandosi solo ai proclami e alle belle parole, di quelle siamo veramente strastufi, nè tantomeno a regalare bombole di gas alle faniglie indigenti, a promettere posti di lavoro ai figli che stanno studiando, a chiudere un occhio su un eventuale abuso edilizio e tanti altre miserabili proposte, che altro non sono che ricatti mascherati di altruismo e comprensione dei problemi altrui.

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APPALTI PILOTATI E TANGENTI. EVASI 5 MILIONI DI EURO

di Enrico Carta (“La Nuova Sardegna” del 24/01/2018)

Nel dorato mondo di “Sindacopoli” tutto era falso. Era rivestito di un abito cucito su misura per far apparire legale ogni manovra, ma in realtà di lecito ci sarebbe stato ben poco. Forse nulla e a dimostrarlo ci sono anche cinque milioni di euro di ragioni. Sono frutto di una serie di violazioni tributarie collegate al ramo principe del procedimento. Questo sostiene la procura di Oristano che ancora indaga sulla più grossa pagina di malaffare dell’ultimo ventennio in Sardegna, quella che ha consentito di mascherare le tangenti con procedure all’apparenza ineccepibili. Sarebbe stato invece un sistema che camuffava bustarelle, incarichi e lavori pubblici pilotati.

Così, mentre il filone principale ha varcato la soglia dell’aula ed è in attesa del compimento dell’udienza preliminare rinviata giusto due giorni fa, gli uomini del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di finanza di Oristano continuavano nel loro lavoro che con la città di Eleonora ha come legame solo quello di ospitare la procura competente per territorio sull’indagine, dal momento che essa partì ormai diversi anni fa da alcuni dei paesi del Nuorese che ricadono proprio nel circondario del tribunale di Oristano. Accantonate, perché concluse dal punto di vista investigativo le questioni legate agli appalti della Sassari-Olbia o agli altri innumerevoli lavori pubblici finiti sotto la lente d’ingrandimento anche dei Carabinieri della Compagnia di Tonara, le Fiamme Gialle hanno portato avanti con il coordinamento del procuratore Ezio Domenico Basso un lavoro di verifiche incrociate su società e professionisti coinvolti nell’inchiesta principale.

C’era da ricostruire l’intreccio tra questi ultimi e i milioni di euro imbellettati e ripuliti. Ciò è stato possibile attraverso una serie di false fatturazioni necessarie per giustificare a loro volte false prestazioni di lavoro. Queste ultime erano lo strumento utilizzato da una parte delle quasi cento persone coinvolte in Sindacopoli per mascherare le tangenti che non sarebbero passate attraverso il canale della bustarelle. Considerato come un metodo antiquato, l’organizzazione avrebbe invece optato per un altro sistema molto meno appariscente: il pilotaggio verso le tasche dei soliti noti di incarichi e soldi pubblici. A far da tramite per conto dell’ingegnere desulese Salvatore Paolo Pinna ci sarebbero stati, secondo l’accusa, alcuni politici regionali come Antonello Peru e Angelo Stochino, ma nutrita è anche la schiera di politici attivi in piccoli Comuni e di funzionari pubblici.

La fantasia certo non manca ai protagonisti di questa vicenda, dal momento che per pulire il denaro si è ricorsi ai più svariati stratagemmi. Niente giochi di prestigio, ma manovre astute come le finte progettazioni di ferrovie in Qatar e in Serbia. Le consulenze per opere di ingegneria mai eseguite poi si sarebbero sprecate come quelle per la realizzazione di un centro clinico in Serbia e ancora le false progettazioni di opere pubbliche per il rifacimento

di una parte della linea ferroviaria Palermo –Messina e della più vicina Macomer– Nuoro. Un altro caso eclatante riguarda il pagamento delle tangenti per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia rinnovabile nella piana di Ottana. In quest’ultimo caso, le tangenti sono state giustificate mediante l’emissione di false fatturazioni per lavori mai eseguiti in Trentino Alto Adige relativi al rifacimento di una strada a Madonna di Campiglio.

Gli inquirenti si sono messi alla ricerca delle violazioni tributarie andando a esaminare i conti di otto società con sedi a Roma, Forlì e naturalmente Cagliari, base operativa dell’ormai famosa Essepi Engeneering che faceva capo proprio a Salvatore Pinna. A proposito di conti l’indagine tributaria è stata estesa anche a quelli di due professionisti – la procura non rivela i nomi – uno dei quali è risultato evasore totale. L’esito è stata la denuncia da parte della Guardia di finanza oristanese di sette amministratori di società, perché la legge prevede che siano tassati anche i guadagni derivanti dalla commissione di reati e in questo caso si parla di corruzione e turbativa d’asta. Sono stati poi segnalati all’Agenzia delle Entrate redditi non dichiarati e costi indeducibili per totali quattro milioni e 600mila euro oltre a Iva per un milione e 200mila euro. Ora si è in attesa delle decisioni dei vari magistrati sulle proposte di sequestri preventivi per equivalente avanzate per oltre 1 milione, somma corrispondente al totale delle imposte evase.

Rispetto per tutti, sopratutto se minori


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di Piero Murineddu

Grande pena per la morte del ragazzino. Leggendo il giornale, vengo a sapere che il vescovo di Nuoro Mosè Marcia ai funerali “ha preferito non parlare di questo gesto incomprensibile”(!). In alternativa, per aiutare tutti a superare questa grande tragedia, ha riportato una vicenda narrata nel Vecchio Testamento, invitando al necessario dialogo. Il dialogo. Sempre più assente nella società e nei nostri rapporti, e spesso anche all’interno delle famiglie.
Detto questo, voglio fermare l’attenzione su un altro aspetto, apparentemente slegato.

Da poco siamo venuti a sapere che lo scorso 23 dicembre, il Tribunale di Roma ha fatto un’ordinanza con la quale il giudice, oltre che comminare una sanzione fino a 10 mila euro, può ordinare la rimozione delle foto di minori dai social. Delicata questione quella del rispetto dei diritti dei minori.

Mi chiedo: e questa foto in prima pagina di un quotidiano, dove si espongono volti di minori, in un certo senso spettacolarizzando l’evento e il loro dolore?

Rispetto per i minori e per le loro spesso mascherate paure di vivere in una società della prevaricazione e intrisa di violenza a tutti i livelli che noi adulti, così “posati ed equilibrati”, abbiamo costruito e continuiamo (inconsapevolmente? Mah…..) a costruire.


 

 

La visita da amici e quel presunto “fare il militare aiuta a diventare uomini”

 

di Piero Murineddu

Sempre un piacere rivedere degli amici, sopratutto di quelli che si ha grande stima e considerazione, e non bisogna per forza conoscersi da una vita per avere un’ottima sintonia.

E’ quanto è piacevolmente accaduto ieri. Nonostante la solita e non gradita lombalgia che puntualmente mi fa compagnia, lo sforzo di fare qualche chilometro in macchina per raggiungerli siamo riusciti a farlo finalmente, io e mia moglie. La distanza non permette una frequentazione assidua, ma questa non è assolutamente necessaria quando vi è intesa spontanea e grande comunanza di vedute, verso la vita e verso ciò che avviene intorno a noi.
No, non voglio stare a raccontare i particolari. Quelli non non è il caso di metterli in piazza. Qualche cosa però la voglio rilevare del ricreante incontro con questi due amici e il loro carissimo figlio.

Scambiandoci qualche notizia in disparte con ………, vengo a sapere che, pur non essendo giovanissimo, è in procinto di prendersi la laurea in giurisprudenza, che ha imparato a nuotare dopo la quarantina, che negli ultimi tempi ha fatto un corso d’inglese, oltre ad essere fortemente impegnato, insieme alla moglie, a tentare di eliminare le tante ingiustizie che subiscono i più deboli in questa consumistica e violenta società dove siamo immersi.  Insomma, forza di volontà discreta l’amico. Ma veniamo al punto dove voglio soffermarmi.

L’amico mi dice che intorno ai vent’anni, come molti di noi. ha fatto il “servizio” – si chiamava così – militare. Dove? A La Cecchignola, cittadella all’interno del quartiere omonimo di Roma. L’argomento, giusto appena accennato,  mi ha portato a conoscenza che nel cinema interno si proiettavano specialmente, se non esclusivamente, film porno. Avete inteso bene? Non film mitologici alla Maciste contro non so chi o altri di cowboy. No. Non so a quale livello, hard o più leggero, ma porno sicuramente. Ecco, questo è uno dei modi con cui “fare il servizio militare aiutava a diventare uomini”. Si diceva così, lo sapete. E, presumibilmente ma non troppo, le uscite serali non servivano solo a mangiarsi una pizzetta e fare due passi. Qualcuno ha il coraggio di dire che anche queste “piccantissime” esperienze non hanno contribuito a considerare il corpo della donna come una “cosa’ per soddisfare il bisogno fisiologico maschile, e come più spesso sentiamo dalla cronaca, sentirsi in diritto di punire quando ciò viene meno? Attenzione. Non voglio generalizzare, nel senso che tutti coloro che hanno fatto il militare sono diventati “luridi zozzoni depravati e stupratori”. Assolutamente non lo dico e non lo penso. Molti che l’hanno fatto sono convinti che è servito. Per esempio a socializzare, aspetto importante, specialmente per gente  introversa come noi sardi spesso siamo. Di altri eventuali benefici, chi ne ha fatto esperienza potrebbe raccontare.  Però, e di questo sono abbastanza certo, una vera scuola di vita, di rispetto vero per il prossimo e di condivisione non lo è stata sicuramente, se non altro perchè dove vi è rapporto gerarchico, rapporto paritario non vi può essere, e come succede nella società, chi si ritrova un grado in più, facilmente pensa di essere “superiore” e più meritevole di altri “senza gradi”.

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Per capire il rapporto fortemente gerarchizzato in ambito militare, basta leggersi il Decreto del Presidente della Repubblica n.545 dell’11 luglio 1986. Credo che sia ancora in vigore. Lo si trova qui…..

http://www.assodipro.org/Leggi/Leggi_ARCHIVIO/REGOLAMENTO%20DI%20DISCIPLINA%20MILITARE.htm

 

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C’è poi l’aspetto punitivo, specialmente prima che si legiferasse a favore dell’Obiezione di Coscienza, anche dietro la spinta della magistrale lettera di don Milani indirizzata ai cappellani militari, che avevano osato definire vile chi rifiutava di “obiettare” a tale Dovere, civile, e per loro specialmente, morale.Chi, per motivi ideali o religiosi rifiutava di adempiere all’obbligo di servire (!) la Patria in armi ( vedi per esempio i Testimoni di Geova, così tanto vituperati dal comune “benpensare”, religioso o meno che sia), nel carcere militare di Gaeta c’era sempre posto, e il soggiorno era tutt’altro che piacevole. Andate, andate a leggere le terrificanti testimonianze di chi c’è stato.

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Ma rimanendo nella “normale” vita di caserma, prendetevi un po’ di tempo ed andate a leggere di questa storia di stupro avvenuta proprio a La Cecchignola e raccontata dalla vittima 35 anni dopo. Da rabbrividire per l’indignazione. Leggete, leggete. E fate attenzione: guai se la vittima avesse osato denunciare il fattaccio……

http://roma.corriere.it/…/io-militare-stuprato-cecchignola-…

Caso isolato? Sicuramente, o almeno mi auguro. Certo, quelli di “carattere” imparavano a farsi rispettare e forse, dico forse, a loro volta diventavano aguzzini, specialmente per le nuove reclute. Ma i più fragili, fisicamente e sopratutto emotivamente? Ma basta con questa retorica militaristica che ancora continua a perdurare, nella mentalità comune ma anche nei discorsi dei nostri governanti !

“Fare il militare aiuta a diventare uomini”. Ma dai……

Cose che riguardano il passato? Non credo. Sicuramente l’apporto che i militari danno in casi di calamità naturali è importante, ma questo non può giustificare l’esistenza di una Struttura che assorbe buona parte del PIL nazionale, tra mantenimento del personale, specialmente generali e ammiragli superpagati, caserme e acquisto di armamenti sempre più sofisticati, quindi oltremodo costosi e inevitabilmente micidiali. Micidiali, che vuol dire distruzione e morte.

Naturalmente, i “realisti” obiettano subito che occorre pensare alla difesa, specialmente in questi tempi d’instabilità mondiale.Ma certo, che si obietti pure. Inevitabile e scontato che lo si faccia. Inoltriamoci sempre più  verso l’ormai super armamento esasperato. La contingenza lo richiede, certo. Assalti terroristici, uomini bomba…… Pensare a forme alternative di difesa? Illusioni da utopisti. Bisogna essere realistici. Come no? Realistici bisogna essere! Continuiamo così e vedremo da vicino il baratro verso cui siamo avviati.

Ma per cortesia e per non mortificare l’intelligenza, smettiamo di pensare  che fare il militare aiutava e aiuta a diventare uomini !!!

Indimenticato e indimenticabile Petronio

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di Piero Murineddu

Adolescenza vissuta alla scuola di “don” Ambrogino, oltre che dell’ottimo babbo masthr’Antoni, frairaggiu, aggiusta tutto e un pò factotum del paese. Musica, teatro, gite, confronti, approfondimenti…. “Ricreazione” vera e continua in quel palazzone di via Farina. Chi non conosce “la sala di don Ambrogino”, uno dei rarissimi posti messi sempre a disposizione di tutti?

Otto gennaio di sette anni fa, quando Petronio, insieme al Padreterno, decise che era arrivato il momento di varcare la Soglia Definitiva. Giorni trascorsi in rianimazione, durante i quali, son certo, il Nostro Amico ha iniziato a gustare la Grande Gioia che lo aspettava da lì a poco.

Adolescenza “impegnata”, dicevo, e non a stare dietro alle ragazzine (figuriamoci, Petronio non è stato mai un femminaggiu!). Sicuramente le sue simpatie le avrà avute, come tutti, ma dietro l’angolo, non tanti anni dopo, l’aspettava la ragazza con la quale avrebbe trascorso la sua vita. Gavina, la sua amata “signora Gavì“. La mia amica, in questi giorni è ancora distesa in un letto d’ospedale, in un “mondo” forse tutto suo, accudita amorevolmente dalle sue due figlie e dai suoi due figli, che si danno il cambio. Petronio è invece sempre presente, giorno e notte. Non è stato mai un tipo da stancarsi facilmente lui.

Da come l’abbiamo conosciuto, parrebbe che la sua vita Petronio l’abbia fondata su quel decalogo che leggete sotto la sua foto. Tra le tante altre cose, ancora giovanissimo ha fatto anche l’ “Esploratore”, sempre alla preziosa “scuola” del figlio di Antonio Cicu, notaio. Ambrogino appunto, che aveva dedicato le sue energie ad aiutare i ragazzi sussinchi del tempo a crescere nel modo migliore possibile.

Nel Decalogo vi è quel settimo punto che mi lascia così. Questa storia di obbedire a degli ordini a me, non più giovanissimo, ha creato sempre qualche problema, a meno che coloro che hanno tentato di darmeli non siano state persone in cui ho messo massima fiducia. Lasciamo stare l’ambiente di lavoro, dove a volte, seppur a denti stretti, si è costretti a sottostare a degli andazzi che non condividi. E questo a meno che non siano del tutto insensati, nel qual caso, in tutta coscienza, si ha il sacrosanto dovere di disubbidire.

E’ possibile che anche Petronio l’obbedienza l’abbia vissuta in questo modo. Non era di carattere disposto a sottostare a soprusi di nessun genere. Forse timido, specialmente negli anni della preadolescenza, aspetto che ha superato grazie anche alla recitazione, dove imitava anche personaggi famosi. Mai prepotente Petronio. Mai prevaricatore né tanto meno aggressivo. Di una intelligente pazienza sconfinata, e molti ancora lo possono testimoniare.

In queste ore, impegnato a trascorrerle accanto alla sua amata Gavina, vedrò di andare a fargli un po’ di compagnia, sperando di non disturbare il loro fitto colloquio. Sempre un motivo di elevazione umana chiacchierare col mio e nostro amico Petronio, indimenticato e assolutamente indimenticabile.

Guccini in decadenza? Ma vai a………

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di Piero Murineddu

” Il cantautore bolognese non si piace, non ha autostima e neanche orgoglio“. Questo è un passaggio dell’articolo di tal Nicola De Angelis, riprendendo quello pubblicato da “Repubblica” l’ultimo giorno dell’anno appena trascorso, riguardante il Francescone Nazionale. Secondo me, l’articolista avrebbe usato meglio il suo tempo facendosi una “piccola pugna”, quella battaglia all’ultimo testosterone combattuta solitamente a pugno nudo, oppure andare nel muro di fronte a casa sua, quello ancora grezzo e con diversi punzonetti che fuoriescono, e sbattervi in modo deciso e più volte la testa.

A dire di costui Francesco non ha più nulla da dire e bla bla bla. E tutto perché non compone più canzoni e non si esibisce più in pubblico. Una miserabile successione di cazzate, specialmente per il tono e per l’intento non troppo nascosto di togliere valore all’uomo Guccini, quel valore che tal De Angelis difficilmente riuscirà ad eguagliare, neanche a distanza considerevole.

Un Guccini ha valore in se. Quale decadenza? Quale mancanza di autostima? Quale senso di “fallimento”? Una volta, fin quanto si è sentito, ha dimostrato il suo valore con la musica che ha fatto da tramite alle tante storie di vita raccontate, e quelle rimangono. Adesso, in età avanzata, lo fa attraverso ciò che scrive, e quello che descrive è sempre la vita, quella reale e più vera, e non quella da rotocalco. Ma anche se non scrivesse un cazzo, per molti, l’idea che esista un Guccini, è motivo d’incoraggiamento e di speranza che le persone non sono tutte una merda, come lo sono certi che usano la penna, o meglio, che battono sulla tastiera di un pc, molto spesso a sproposito.

A me l’intervista di Francesco a “Repubblica” non ha trasmesso nessun senso di tristezza. Mi son confermato che è stato e continua ad essere una degnissima persona, uno come noi, con tutti i pregi e limiti che abbiamo. Umanissimo. Uno che non si è mai esaltato per il successo riscosso nella sua lunga carriera artistica. Una persona che ha sempre dato tantissimo, e cose che probabilmente molti, certi, non riusciranno mai ad apprezzare. La libertà di pensiero e di esprimerlo sopratutto. E scusate se è poco. Tanti o pochi gli anni che Francesco ha davanti, saranno sempre un grande dono. Per me sicuramente.

ps
Modenese. È nato a Modena Guccini, non a Bologna. Ignorantone!

 

Di seguito l’articolo di De Angelis

https://www.lascimmiapensa.com/2018/01/02/francesco-guccini-fine/

Bruno e il gusto della creatività

di Piero Murineddu

Bruno non è il tipo dalla parlantina spedita e torrenziale. Incespica facilmente e può apparire un tantino sgarbatello. Se qualcosa non gli va a genio, non riesce a scendere a compromessi e la diplomazia non è il suo forte. E allora? Che si fa, lo si cerca di evitare in tutti i modi possibili, perchè quelle che piacciono sono le persone gentili, signorili negli atteggiamenti, col frasario corretto e gradevole da ascoltare? Fate, fate pure come credete opportuno. Sarà forse perchè un pochetto strambetto lo sono anch’io, almeno agli occhi di certuni, ma a me le cose che attraggono in una persona sono tutt’altre, e spesso le riconosco dai loro frutti più che dalle parole. Bruno di questa campagna sotto degli immensi blocchi di roccia alle porte di Ossi, una località dell’entroterra sassarese, ha creato un museo permanente e un luogo dove nella bella stagione si organizzano manifestazioni di alto livello culturale e artistico. Bruno vi ci abita, conducendo una vita semplice e impegnatissimo a curare l’orto e custodire le tantissime opere e installazioni artistiche nate nel tempo dal suo genio e dalle sue mani e dai tanti scultori e pittori che non hanno fatto mancare il loro apporto creativo. I visitatori sono sempre graditi per Bruno, che sia lui di buono o di cattivo umore. E’ abituato a stare immerso nella natura Bruno, da dove le convenzioni cittadine sono lontane, molto lontane….grazie a Dio.

https://www.youtube.com/watch?v=ruBpGmNEUFo

 

 

Francescone e il suo carcadè contro il bruciore di stomaco

di Piero Murineddu

“Com’erano i rapporti con tuo padre’” chiede l’intervistatore. “Poca roba. Era un tipo taciturno. Era stato in un campo di concentramento ma di questo preferiva non parlarne. Non è mai venuto ad un mio concerto, e del mio successo se n’è sempre fregato”. E’ un passaggio dell’intervista che Guccini ha rilasciato nei giorni scorsi ad un giornalista di “Repubblica”. Settantasett’anni lo scorso 14 giugno, lo stesso giorno in cui è nato il “Che”, che Francesco ha cantato in almeno due suoi brani.

E’ il primo dell’anno quest’oggi. Siamo a metà mattina e dalla strada non sale nessun rumore. Dopo il mio atteso caffè, “corretto” con un piccolo frammento di cioccolato, son sceso a pulire la stufa alla mia vecchia suocera e le ho scaldato il latte. Tutto fatto con la massima calma e cura.

I cani. Si, loro pretendevano la mia attenzione, ma voglia di dedicarmi a loro neanche a parlarne. Una carezza a ciascuno è stata più che sufficiente.

Ieri sera tardi son stato molto bene. Oltre le mie musiche rilassanti, mi ha fatto piacevolissima compagnia leggere due interviste che il vecchio Guccio ha rilasciato a distanza di dieci anni una dall’altra. Festeggiamenti di fine anno? No, non sono il tipo. Una volta non era cosa rara che fossi io stesso ad organizzarli, in campagna o in qualche casa privata. Ora vi sono anche queste attrazioni di grandi nomi che riempiono le fredde piazze serali di San Silvestro, ma, appunto specialmente per il freddo, non sono cose che mi attirano. Una volta ci ho provato, ma per la sguaiata e festaiola calca umana son stato costretto a far visita all’ambulanza soccorritrice, per cui…….

Non è più tempo per me  fare  cose per costrizione e non ho da rispondere a nessuno di certe mie scelte, per quanto possano apparire “strambe” a certuni molto perfettini e ben integrati nel vivere sociale.  Con mia moglie Giovanna abbiamo raggiunto un equilibrio anche in questo. Lei e nostra  figlia da amici per festeggiare, con buona pace per tutti.

Dicevo delle due interviste al vecchio e caro Francesco. Diciasette anni che vive in un paesetto tra gli Appennini. Di prendere in mano  chitarra in mano manco a parlarne, dopo averlo fatto, con passione e fruttuosamente, per un’intera vita. Ora scrive con l’obiettivo di mettere insieme dei libri, l’impegno che lo assorbe maggiormente. Leggere è parecchio che non lo fa, a parte qualche quotidiano che gli porta giù dal basso un vecchio amico d’infanzia che legge  – pensate un po’ – “Il Giornale“. A proposito, chissà se è ancora vivo e se continuano a far finta di bisticciare……

Quel bruciore allo stomaco lo disturba, ma cerca si attenuarlo con una tisana di carcadè, che sembra faccia effetto. Lo immagino impoltronato davanti al caminetto con la fiamma bella viva, accarezzando l’affezionato e discreto gatto, rispondendo alle telefonate degli amici e col taccuino vicino, pronto ad annotare qualche concetto che gli viene in mente e che potrebbe sviluppare meglio al momento opportuno.

Poca roba” il rapporto col babbo, come leggerete nell’intervista dei giorni scorsi. Più affettuosa la madre, come capita il più delle volte, ma anche a lei, del successo del figlio non è che importasse granchè. Mentre i suoi concerti iniziavano ad attirare folle di tutte le età, ai genitori sicuramente importava molto di più vedere il proprio figliolone sereno, in salute e possibilmente felice. Quello che alla fine interessa. E noi genitori lo sappiamo bene, almeno quelli che  in prima persona hanno praticato e  considerato  certi valori più importanti ed essenziali.

Tanti passaggi di queste due interviste che mi fanno sentire Francesco ancora più vicino di quanto l’ho sempre sentito attraverso ciò che ha cantato. Leggile con attenzione. Sono certo che ne trarrai giovamento. Intanto per questo nuovo anno che si avvia ti auguro principalmente buona salute fisica. E anche mentale. Non è cosa semplice oggi riuscire a conservare uno stabile  e sano equilibrio, con  la violenza e l’aggressività nei rapporti che stanno rischiando di prevalere sul rispetto e la fiducia che si deve al prossimo, e di conseguenza a se stessi.

Buon anno, di pace e di lotta

 

ps Bisogna che ricordi di procurarmi questo carcadè……..

 

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«Bisogna resistere alle tentazioni inutili e dispersive, al degrado, allo svuotamento”

intervista di Antonio Gnoli  per “La Repubblica” del 31 dicembre 2017

Gli ultimi fuochi sono quelli che bruciano più lentamente.
Ricordo a Francesco Guccini un paio di nostri incontri persi nel passato. Ha l’aria svagata. E bruciori di stomaco che attenua con il carcadè: «Bevanda coloniale», ironizza. Come il chinotto, aggiungo. Siamo in cucina. Nella sua casa. A Pavana. Siamo alla fine di una storia. «Dove ci siamo visti?», chiede. Gli cito le occasioni e i luoghi. «Ah», fa lui e accarezza il gatto con svogliata tenerezza. È cortese, un po’ assente: «Sono tre mesi che non fumo e dieci anni che non leggo», dice trattenendo
un’imprecazione. Pavana mi sembra lo sputo di un angelo tra due ali di Appennini.

Perché hai scelto di ritirarti a vivere qui?

«È l’ultimo luogo della mia resistenza: un paese che è stato infanzia e sogno, durezza e forza. Mi sembrava appropriato sceglierlo come il punto di approdo di tutta una vita».

Parli di resistenza, ma in che senso?

«Bisogna resistere: alle tentazioni inutili e dispersive; al degrado; allo svuotamento. Ma non sono qui per espiare, sono qui per testimoniare che è ancora possibile scegliersi una vita a misura».

Il rapporto con il paese com’è?

«Direi buono: nessun assillo, nessuna pretesa di eleggermi a gloria locale. Un tempo, all’inizio del Novecento, qui vivevano settemila persone, ne sono rimaste poco meno di millecinquecento. Il paese si è svuotato. Pochi giovani. Pochi sogni. Poche prospettive. Un tempo qui venivano a villeggiare. Oggi la gente si vergogna di posti così. La cosa più desolante è il fiume qui sotto. Era pieno di vita; ma oggi non ci va più nessuno. Ma lui se ne frega e continua a scorrere lento. C’è solo un airone cinerino che ogni tanto vola a pelo e poi si pianta in mezzo. Impalato nell’acqua, come un assurdo segnale di tristezza».

Sei nato a Pavana?

«No, i miei nonni ci vivevano. Sono nato a Modena. L’estate venivamo qui a villeggiare. A Modena sono rimasto fino a vent’anni. Nel 1960 ci trasferimmo a Bologna. Mio padre che era impiegato alle poste approfittò di un’offerta di lavoro. E portò la famiglia con sé».

Come erano i rapporti con tuo padre?

«Poca roba. Era stato in un campo di concentramento a Ravensbrück vicino ad Amburgo. Non amava parlarne. Seppi in seguito che con lui c’erano stati Giovanni Guareschi e Gian Enrico Tedeschi. Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo».

Anche la vita del cantante?

«Mi ha sorpreso quando accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Io non l’ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo».

Anche tua madre stessa linea di comportamento?

«Meno drastica. Lei una volta venne a sentirmi cantare. Mi esibivo a Porretta Terme, a pochi chilometri da qui. Nessun commento, nessuna emozione».

Quando hai cominciato a cantare?

«Mi pare nel 1964, o giù di lì. Fu il mio primo contratto di centomila lire al mese. Ora mi viene in mente l’unico commento di mio padre: quanto durerà? Sai, era un uomo abituato a dare del voi a mia nonna. La mia musica non era il suo mondo».

 

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Da Guccini, incontro con il militante della musica

 

di Maurizio Corte    da “Bresciaoggi.it” del 3 ottobre 2010

Pavana è una manciata di case arroccate su un tornante della statale Porrettana. Frazione del Comune di Sambuca, provincia di Pistoia. Appennino a metà strada tra Bologna e Firenze. Un chilometro prima dell’abitato, sulla sinistra, si apre una stradina schiacciata tra i castagni e un muretto in pietra: porta a fondo valle, dove scorre il torrente Limentra. Accanto c’è il vecchio mulino della famiglia Guccini, il Mulino di Chiccon, oggi riconvertito a bed and breakfast.

Proseguendo sulla Porrettana, al civico 86 oltre un cancello verde, c’è un viottolo che scende al cortile di una casa in pietra, grande, squadrata. Francesco Guccini, scrittore e cantautore, da 10 anni vive rintanato qui. Ha lasciato la casa di Bologna, in via Paolo Fabbri 43, ed è tornato alle radici: sui monti dell’infanzia e nella casa dei bisnonni tra castagni, torrenti e prati d’erba spagna.

Dentro casa, mobili in legno semplici. Sul tavolo della cucina libri, riviste e vecchi numeri di Tex Willer. Sul lato, un frigorifero stile anni Cinquanta. Sul fondo un grande camino in pietra, con sopra una foto in bianco e nero di un concerto, anni Settanta o giù di lì. Dalla cappa, vecchie pentole in rame. Sparpagliati intorno, gli oggetti del vivere montanaro quotidiano. L’unica traccia di modernità, un televisore Lcd.

Tra uno squillo e l’altro del telefono, Guccini dà udienza all’insistenza della gatta Paolina (“è una trovatella”). L’umore? Appannato da un pomeriggio bigio e nebbioso. Ancora velato dalla scomparsa dell’inseparabile Renzo Fantini, amico fraterno prima ancora che manager e factotum.

Il calendario srotola le sue scadenze: il 2010 per il cantautore modenese ha scandito i 70 rintocchi. Guccini ha compiuto gli anni il 14 giugno, lo stesso giorno di Che Guevara. “Invecchiare? Una grande rottura di palle”, sorride accendendosi una Marlboro Light. “D’altra parte, invecchiare è l’unico modo per non morire giovani. Se avessi trent’anni di meno sarei più felice, tutto sommato. Bisogna accontentarsi di quello che si ha. Mi ritrovo ancora a lavorare. Avrei voluto andare in pensione trent’anni fa. E invece sono ancora qua a salire sul palco per fare concerti”.

Il Guccini bambino sarebbe stato fiero del Guccini maturo, ancora acclamato nei concerti e scrittore con un suo pubblico? “Da bambino non ci pensavo mica. Ma neanche a vent’anni o a trenta. Non avevo idea, ad esempio, che avrei fatto il cantautore. Assolutamente. Volevo fare lo scrittore. Ma neanche lì avevo un progetto preciso. Era un’immagine vaga. Siccome sono sempre stato molto realistico, pensavo di fare l’insegnante. O il giornalista, mestiere che per un certo tempo ho fatto”.

E invece eccolo “burattinaio di parole”, come si definisce in una canzone. Oggi le giornate sono meno ritmate dal suono della chitarra e sempre più scandite dalla lettura e dalla scrittura. “A Pavana la sera non c’è niente da fare, non si tira tardi”, racconta. “Gli amici sono invecchiati e qualcuno se n’è andato. Non si fa notte fonda, ma mi alzo tardi lo stesso. Poi al pomeriggio, lavoro: scrivo, leggo, ho questo nuovo giallo con Loriano Macchiavelli. Diciamo che amo più mettermi a leggere, che a suonare. Quand’ero a Bologna, tutte le sere si era a far baracca con la chitarra. Era un’atmosfera diversa”.

A Bologna, per dirla con i versi dedicati a Guccini da Roberto Vecchioni, “la rabbia la scandiva soltanto la Locomotiva”, la canzone sull’anarchico ferroviere. Una canzone che Guccini ripropone alla fine di ogni concerto, e che fu il manifesto di una generazione di contestatori. Poi anche a Guccini ebbe una contestazione. Una soltanto: “Ricordo che fu a Verona, nel 1976, dove dovevo fare tre serate. A un concerto al Teatro Laboratorio c’era gente che voleva entrare e non c’era posto. Così, la sera dopo, mi affrontarono lanciando del pattume, fuori del teatro. Io avanzai verso di loro, i contestatori indietreggiarono e insomma finì tutto lì”.

Erano gli anni dell’Avvelenata, delle invettive contro i colleghi cantautori “eletta schiera”. Oggi sono un ricordo le serate bolognesi all’osteria delle Dame, il tempio del folk e del rock, dove si potevano incontrare Claudio Lolli, Lucio Dalla, Deborah Kooperman. Ma cosa rimane di quelle frequentazioni? “Ultimamente ho avuto contatti con Ligabue e con Zucchero. Ci siamo visti di recente, sono venuti qua su a trovarmi. E sono stato al compleanno di Ligabue a Reggio”.

Ma c’è qualche legame che ha sconfitto i decenni. Il telefono trilla di nuovo. “Ohé, Sergio”, il sorriso di Guccini finalmente si apre. “Ma a Firenze piove o c’è il sole? Come ti va?… Tiri avanti?… Lo so, non è un bel momento. Hai intenzione di andare da qualche parte?… No, guarda neanch’io”. La telefonata termina. “Ciao, caro Sergione”. “Era Sergio Staino”; spiega Guccini, “compie gli anni sei giorni prima di me. Anche lui è del ’40”.

Sul tavolo della cucina spunta una copia di Radici, album “pietra miliare” della canzone d’autore italiana, datato 1972. In copertina la foto sgranata degli “avi”, con la bisnonna di Guccini, Maria, sorella della bisnonna di Enzo Biagi. Vien da chiedersi: ma questa costante ricerca delle radici c’entra qualcosa con certe posizioni della Lega? “Beh, è un po’ diverso. Il mio non è campanilismo”, risponde Guccini. “Io cercavo le radici in un momento in cui tutti volevano fare tabula rasa di tutto. Sono legato a questo posto dove vivo, a questo paese, ma rabbrividisco quando sento dire che ci sono troppi extracomunitari. Ma perché? Noi siamo stati i primi extracomunitari del mondo occidentale. Qui a Pavana non c’era nessuna famiglia che in casa non avesse avuto qualche emigrato: Stati Uniti, Francia, Svizzera, Belgio, Germania. E poi: insegnare il dialetto a scuola? Ma quale dialetto? Io ho fatto il vocabolario di dialetto pavanese. Ho tradotto dal latino al dialetto pavanese tre commedie di Plauto. Quindi sono affezionato a certe cose, ma mai mi verrebbe in testa di insegnare il dialetto a scuola. Ma quale dialetto? Come si fa? È talmente volatile”.

Ma quassù nel cuore dell’Appennino giungono gli echi del mondo? “Leggo i giornali”, dice Guccini, “ho un amico che ogni giorno va all’edicola, da qua dista un chilometro e io non ho la macchina. Compera per sé Il Giornale, e per me La Repubblica, Il Fatto e L’Unità. Discutiamo, facciamo finta di bisticciare. Ma siamo amici d’infanzia. La situazione oggi in Italia? Non mi rende certo felice. C’è una crisi profonda, anche morale. Non succede niente, per il momento non se ne va fuori. Ma la speranza è l’ultima a morire. Si tira avanti. Staremo a vedere che succede. Per il momento aspetto che torni la buona stagione”.

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Di seguito, due video dove Francesco parla di papa Bergoglio e di un frate da lui conosciuto. E’ sempre un vero piacere ascoltarlo.

Anna Demuro e la sua passione civile

Premessa

di Piero Murineddu

Anna Demuro buona parte dei miei concittadini la conoscono. Un’ “accudidda”, originaria di Calangianus, sposatasi a Sorso dove ha fatto la maestra elementare. Artista a tutto campo, poetessa e anche scrittrice la timida (apparentemente) Anna.

Solo da poco gli amministratori pubblici si sono accorti del suo valore e, con delibera ufficiale, si son “degnati” di accettare (finalmente!) delle pitture di grandi dimensioni che Anna ha voluto donare alla popolazione. Per chi desidera godere della loro visione, sono esposte permanentemente nei locali del Palazzo Baronale.

Non è trascorso molto tempo da quando Anna ha presentato pubblicamente uno dei suoi libri, “Un quadrato di sole”, scritto quando il marito Nino Canu era gravemente infermo, immaginando con lui un dialogo che riportasse a galla il loro vissuto insieme, specialmente giovanile.

Da questo volume riporto una paginetta, da dove traspare tutta la passione civica, l’attenzione ed il giudizio di Anna per le vicende nazionali, di quegli anni (il lavoro è del 2012) e degli attuali.

Riconoscere i riferimenti non è cosa difficile, anche perché ancora oggi, all’inizio del 2018, ci ritroviamo con la prospettiva (e il rischio) di essere governati da quelle stesse persone.

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Nella foto, due giovani Anna e il marito Nino

La pacifica rivoluzione contro l’ abuso di potere

di Anna Demuro

La giornata odierna, 25 marzo, è eccezionale; passerà alla Storia come la “pacifica rivoluzione” contro l’abuso di potere che vuole cancellare dal pubblico servizio i programmi dell’informazione e del dissenso.

I fatti di guerra che raccontano i libri della scuola, ricordi? Sembrano tanto lontani dal nostro quotidiano, e invece no. La prevaricazione, l’insulto e il vilipendio alimentano lo scontro sempre in atto, che si combatte sui media ormai da troppo tempo, impregnando di veleno la vita democratica.

C’è ancora chi non ha imparato nulla da secoli di storia e sotto l’abito borghese cela stivali e pantaloni grigio-verde come i vecchi boia d’altri tempi. Cambia la divisa, l’uomo no. Il despota di turno ama far mostra di sé e frena il tempo per ripescare gli anni già vissuti e sempre in forma offrirsi alla platea. Il nuovo imbonitore degli schermi, vendendo sproloqui a tutto campo, incanta le masse popolari e impingua il proprio ventre togliendo il pane a chi lotta per averlo. Incoraggia l’ottimismo sfoggiando sorrisi a trentasei, e quelli che sperano di diventare come lui, si prodigano senza pudore in stomachevoli applausi a scena aperta.

Con sfacciata tracotanza e l’indice puntato, il moderno dittatore in doppio petto fomenta l’odio e incita allo scontro, confonde le menti con i suoi proclami e fa il tiro al bersaglio con i dissidenti. Nei lussuosi palazzi del potere ama sfoggiare la sua “virilità” insieme alle bandane, gonfiando le fi la del “partito dell’amore”.

Intanto l’Italia diventa l’ultimo cantiere dove gli operai depongono gli attrezzi; nei cortei sfilano i giovani defraudati del futuro e i tetti delle fabbriche in disuso raccontano di presenze disperate. Sbandierano striscioni i nuovi licenziati e gridano aiuto le famiglie senza tetto, franano i costoni mai messi in sicurezza ed esondano i fiumi senza più canali. Le incompiute che durano trent’anni si aggiungono alle nuove che già perdono i pezzi.

Le sole cose che funzionano sono tangenti e regalie di qualsiasi “colore”, che non conoscono crisi di mercato. L’etica è un concetto d’altri tempi che fa sorridere le “cricche”, sempre in attesa di alluvioni, terremoti e grandi eventi.

Ma cosa dico! Sono tutte calunnie, complotti e castelli di carta costruiti solo per invidia. Come si può pensare che uomini di tale levatura…? E tu come la pensi? Tranquillo, conosco la risposta. Il nuovo paladino della libertà è talmente generoso che ha voluto allargare lo “scudo” anche ai suoi ministri e fare il ponte sullo Stretto per accorciare le distanze…

Ma la cosa più straordinaria, che non ha confronti, è la solenne promessa di debellare il cancro entro tre anni, senza bisogno di fondi alla ricerca. Che vogliamo di più? Penso che tu daresti man forte alla mi a rabbia, se potessi farlo; mi servirebbe, credimi, mi servirebbe tanto, così invocherei l’ira dei giusti insieme a te.

Non c’erano i numeri, non c’erano…

 

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“Scrivi qualcosa su questa foto”, mi chiede facebook. E che cosa scrivo: che sono amareggiato? Che sono allibito? Che sono infinitamente incazzato? Che mi sono confermato sulla meschinità di buona parte dei politici e dei loro giochetti? “Ma no…ma guarda che i minori godono gia dei diritti…..”. Ma andate tutti a fare in c……… andate !!!!