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Sardegna: Pratobello 1969 – Servitù militari 2014

basta sparare

Testi tratti da SardiniaPost.it e Wikipedia

La Rivolta di Pratobello è riferita ad una rivolta popolare messa in atto col metodo della Resistenza Nonviolenta dai cittadini di Orgosolo (NU) nel giugno del 1969

 Il 27 maggio del 1969 sui muri del paese, dalle autorità, fu affisso un avviso in cui si invitavano i pastori, che operavano nella zona di Pratobello, a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, quell’area sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento dell’ Esercito Italiano. Il 9 giugno 3.500 cittadini di Orgosolo iniziarono la mobilitazione; il 18 dello stesso mese, la popolazione del paese si riunì in piazza Patteri. Dall’assemblea scaturì la decisione di attuare una forma di protesta non violenta e quindi di occupare pacificamente la località di Pratobello. Dal 19 giugno iniziò l’occupazione e dopo alcuni giorni, durante i quali non si verificò alcun episodio di violenza, l’esercito si ritirò.

 

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Ora che a gran voce si torna a chiedere la chiusura delle basi militari e la loro riconsegna alle comunità civili, la cronaca della lotta ingaggiata dagli orgolesi contro l’installazione di un poligono di tiro in località “Pratobello” curata dal Circolo giovanile del paese – non poteva essere più attuale. In verità, i ricorsi della storia non stupiscono: che il futuro della Sardegna sarebbe stato segnato dalle bombe e dai continui voli dei cacciabombardieri delle aeronautiche di mezzo mondo lo si sapeva già quando videro la luce i poligoni di Quirra e Teulada (1956).

 

 

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Ma, in ogni caso, vale davvero la pena ripercorrere quella settimana del giugno 1969 in cui un’intera comunità si oppose alla decisione del ministero della Difesa di realizzare – senza preavviso – un campo militare di addestramento permanente a sette chilometri dal centro abitato.  Soprattutto, oggi vale la pena lasciare che le parole dei pastori, degli operai, degli studenti e delle donne che dissero “no alle manovre militari” tessano un filo di continuità ideale con questi giorni, quando in migliaia stanno dicendo no a tutti i poligoni presenti nell’isola.

 

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Questa è la cronaca di quei giorni.

La Brigata Trieste arriva a Pratobello

La notizia sulla realizzazione di un poligono fisso per esercitazioni militari nei dintorni del villaggio abbandonato di Pratobello, circola ad Orgosolo già dall’aprile del 1969. La certezza arriva circa due mesi dopo, il 27 maggio, quando sui muri del paese barbaricino compaiono i manifesti con cui la Brigata Trieste ordina ai pastori di abbandonare la zona interessata dalle esercitazioni di tiro. Posti di fronte alla domanda “Come agire?”, i pastori rispondono: “Difendere il pascolo – considerata l’unica possibilità di sopravvivenza – e il bestiame”. In tutto “40mila capi per i quali lo Stato aveva previsto lo sgombero con un risarcimento di 30 lire giornaliere a pecora, mentre il mangime costa 75 lire al Kg”, si legge in un comunicato ciclostilato del Circolo giovanile di Orgosolo.

 

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Dai primi di giugno in avanti è un susseguirsi di assemblee che arriveranno a coinvolgere l’intera popolazione del paese barbaricino. Il 7 giugno, una prima assemblea popolare indice una prima manifestazione dimostrativa nei luoghi in cui sono previste le esercitazioni. “Tale manifestazione è stata decisa per dare un primo avvertimento alle autorità militari e politiche che hanno deciso arbitrariamente di invadere i nostri territori con grave danno per tutti i lavoratori”, si legge nel comunicato alla popolazione dell’assemblea popolare.

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Da allora fino al 19 giugno, la prima delle 6 giornate di Pratobello, il commissario prefettizio di Orgosolo, la questura di Nuoro, gli stessi militari e le organizzazioni dell’Alleanza Contadini, della Coldiretti e della Cgil cercano di raggiungere un accordo sindacale, “qualunque sia, purché faccia contenti tutti”, sostiene il commissario prefettizio del paese in un primo incontro con pastori e contadini. Ma non si arriva a nessuna mediazione: nel corso di una riunione tenutasi a qualche giorno di distanza dal primo incontro, i pastori ribadiscono la loro volontà di presidiare i pascoli e rifiutano gli indennizzi.

 

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Sindacati e partiti intensificano la loro azione a ridosso dell’inizio delle esercitazioni (anche perché di lì a breve si andrà a votare per eleggere il nuovo consiglio regionale): Democrazia Cristiana e Partito Comunista propongono l’invio di un telegramma unitario al Ministro della Difesa Luigi Gui e al sottosegretario Francesco Cossiga per scongiurare o limitare le esercitazioni della Brigata Trieste. Gli orgolesi rispondono che “il terreno di lotta dei pastori non è il parlamento”.

Giugno 1969

Si arriva così al 19, primo giorno di esercitazioni: lungo la strada che conduce al bivio di Sant’Antioco – Pratobello, si snoda un’interminabile fila di camion, moto-carrozzelle e vetture di ogni genere. Arrivati nei pressi della zona di Duvilinò, i manifestanti hanno un primo contatto con i militari: un’autocolonna che si sta portando nell’area interdetta a pastori e contadini viene bloccata. In quell’occasione, qualche militare incita i dimostranti a tener duro e a continuare la lotta in modo che anche i soldati possano tornare prima a casa. Arriva la polizia, cui si oppone un fronte compatto di uomini e donne. I poliziotti indietreggiano dopo essere stati circondati, subito dopo l’autocolonna fa retromarcia. Un bracciante commenta così: “Questa passerà alla storia come la più grande sconfitta dell’esercito italiano”, riportano le cronache di quei giorni.  Alle 11 gli orgolesi arrivano a Pratobello e si dispongono sulla linea di confine del territorio comunale. Si mantiene il presidio per tutto il giorno e i soldati non effettuano le esercitazioni.

 

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Il primo giorno di scuola non conta, amate gli altri duecento

di Alex Corlazzori, maestro elementare

Oggi a scuola ho portato un fiore. L’ho messo sulla cattedra accanto al registro, alle penne, ai pastelli, al tablet e al giornale. Era da stamattina all’alba che mi domandavo cosa avrei detto ai miei ragazzi. Quando entri in classe all’inizio dell’anno non hai mai le parole giuste. Vorresti spiegare loro che solo insieme si potrà fare un cammino di vita.

Vorresti far capire loro che tu sei “solo” un maestro che prova ad appassionarli alla bellezza del sapere ma qualche volta può non riuscirci. Avresti voglia di scusarti in anticipo per quelle volte che non saprai fare un passo indietro, lasciare spazio alle loro voci, ai loro sorrisi, alla loro voglia di correre, saltare, giocare, piangere.

Ho scelto di dire tutto ciò con quel fiore sulla cattedra. Perché quella pianta resterà con noi tutto l’anno. Ho chiesto loro di portare ognuno un fiore perché possiamo imparare che solo prendendoci “cura” di una pianta, di una persona, di noi, della scuola, possiamo crescere.

Non conta il primo giorno di scuola ma ciò che ha valore sono gli altri 200 che passeremo insieme. Chi fa il maestro non dovrà dimenticare di appassionarsi ogni giorno, di reinventarsi, di rimettersi in gioco, di imparare ad ascoltare, a fare silenzio per lasciare spazio alle parole che nasceranno dal mettersi a parlare insieme della meraviglia delle Alpi, dell’importanza delle tabelline, della “magia” che la nostra lingua sa fare quando si scrive un racconto, quando si leggono autori che hanno fatto la storia del nostro Paese. Perché nessuna lezione esiste già. La lezione si fa con i ragazzi, si scolpisce nel legno per farla diventare la scultura più bella di quel giorno.

E non abbiamo bisogno nemmeno di chi fa passerella il primo giorno di scuola per poi lasciare le nostre aule senza connessione wifi, senza libri, senza maestri, senza fondi per fare un viaggio d’istruzione, senza docenti di sostegno, senza formazione. Una delle cose che i bambini insegnano ai maestri è quella di non fare promesse inutili. Nemmeno il primo giorno di scuola.

Io non so se voi ricordate quando avete messo piede tra i banchi la prima volta. Io no. Ma non posso dimenticare la maestra Teresa: quando in classe recitavamo la preghiera, quando il sabato leggeva Cipì di Mario Lodi, quando mi insegnò ad amare l’Africa parlando del nipote missionario in Mozambico.

Primo giorno di scuola

INAUGURAZIONE ANNO SCOLASTICO 2012/2013

 

 

di Piero Murineddu

 

A Sassari, per lavoro mi ritrovo ad essere proprio dirimpettaio della scuola media n° 3, fondata nel ’56 e dal 1968 trasferita in via Monte Grappa dopo essere stata provvisoriamente ospitata nell’antico e storico Palazzo D’Usini sito in Piazza  Tola. La scuola è intitolata al giurista e parlamentare sassarese Pasquale Tola, che contribuì tra l’altro all’abolizione del feudalesimo in Sardegna.

Sono diversi anni che assisto al movimento che si crea il primo giorno di scuola. Gia dalle otto la strada, solitamente percorsa da auto rumorose ed inquinanti, oggi è allietata  dai piacevoli accordi dell’arpa di Alan Stivell che accompagna il graduale afflusso dei ragazzi e di molti  genitori che li accompagnano. Molte spalle sono gia appesantite dal peso sempre esagerato di mostruosi zainoni. Qualcuno  (infischiandosene dell’imbecillotta derisione di compagnetti), il  il peso se lo alleggerisce  trainandoselo con due frovvidenziali rotelline. Abbracci tra compagne che probabilmente non si vedono dall’inizio di questa insolita estate. Braccia svolazzanti in alto per salutare l’amico intravisto di lontano.  Qualche mamma libera l’occhio del pargoletto  da rimasugli di cispa.  Visi sorridenti e ancora mezzo assonnati. Genitori separati che per l’occasione si ritrovano per far  sentire la vicinanza  al figliolo “canniddhoni” con l’orecchino esageratamente vistoso e l’immancabile auricolare. Naturalmente è il padre che va via prima, dopo aver salutato l’erede col “batti cinque” seguito  dall’incontro dei pugni reciproci. Il  vigile con le mani unite dietro sembra rilassato ed è particolarmente tollerante con le auto in doppia fila, mentre alcune moto di grossa cilindrata sono appoggiate al cavalletto e non hanno problemi di parcheggio. Vista un’auto che va via, la signora in attesa si precipita ad occupare ben due posti con la sua utilitaria nuovissimo modello ( e ga si n’affutti degli altri?). Alcuni capannelli di compagni ritrovatisi,  più o meno tutti impegnati a smanettare meccanicamente sulle tastiere di ultra moderni cellulari, sono particolarmente chiassosi. Diversi padri in piedi (vigilanti&sbuffanti), impazientemente aspettano con le braccia incrociate, mentre le mogli non esitano ad intrattenersi con altre mamme (ah, beata socievolezza delle donne!)

Attenuato il volume della musica, c’è l’accoglienza ufficiale da parte della Dirigenza. Gli studenti entrano nella classe assegnata man mano che si sentono nominati: Soggiu, Capitta, Ena, Carboni, Zoroddu, Mura, Lai, Asu, Daga, Serra, Fenu, Giannottu, Stella, Frau, Salis, Onida,Brotzu ……….

Dati gli ultimi bacini e fatte le ultime carezze in testa, la vita comunitaria di almeno nove mesi viene così avviata. Nonostante i tempi e la diffusa perdita di motivazioni, le aspettative continuano ad esserci. L’insegnante, almeno inizialmente, si prenderà particolare cura del ragazzino che fatica più degli altri ad ambientarsi in una situazione nuova, e nello stesso sarà impegnato/a  a frenare l’eccessiva vivacità di qualcun altro. D’ora in poi, le troppe ore trascorse in classe, inevitabilmente saranno motivo di tensioni, spesso difficili da gestire. Probabilmente, a secondo la sensibilità, l’intelligenza e la fantasia, qualche insegnante userà delle strategie per far sentire meno pesanti le ore di studio, e così facendo, trarrà  sicuro vantaggio da questa fatica di uscir fuori dai soliti ripetitivi canoni e,  cosa quasi certa, si conquisterà anche la simpatia e la benevolenza dei ragazzi, oltre che diventare autorevole davanti ai loro occhi. Ci sono diversi modi di presentare la Storia, la Geografia, la Letteratura e persino quell’antipaticona della Matematica. Quanti saranno gli insegnanti che avranno la volontà e la capacità di far appassionare i ragazzi a loro affidati alla loro materia scolastica ma, ancora di più,  far capir loro l’importanza della Cultura e del Rispetto per se stessi e per gli altri?

La dolce musica di Alan Stivell stà intanto sfumando……

Ritagli sulla manifestazione di sabato 13 settembre a Capo fresca, in Sardegna

 

Manifestazione Capo Frasca in Sardegna contro Servitù militari

 

 

 

  1. Famiglie con bambini, militanti dei gruppi indipendentisti, esponenti di associazioni e partiti politici, insieme per dire NO alle basi militari
  2. No all’esproprio di 30mila ettari di territorio
  3. Si dice che le basi militari dà migliaia di posti di lavoro, ma anche la camorra lo fa e nessuno si sogna di legittimarla per questo
  4. Ritrovata coscienza “nazionale” dei sardi
  5. Lo stato italiano ha messo la nostra terra al centro delle strategie di guerra
  6. Dismissione dei poligoni, bonifiche a terra e in mare, riconversione economica dei territori
  7. Contro il collaborazionismo con chi spaccia azioni di guerra per missioni di pace
  8. Non è ammissibile che la nostra terra venga venduta per esercitazioni militari
  9. Per il futuro nostro e dei nostri figli dobbiamo salutare con favore il ritorno alla consapevolezza del popolo sardo su questi problemi
  10. Siamo qua per dare la nostra testimonianza contro tutte le servitù, militari e industriali
  11. Vinceremo questa “guerra”
  12. Danziamo non bombardiamo
  13. Non fate cadere in prescrizione il reato di disastro ambientale
  14. Come accettare che vastissime aree di terra, di mare e di cielo vengano interdette agli uomini e agli animali per buona parte dell’anno?
  15. Non possiamo e NON DOBBIAMO più subìre le imposizioni dall’alto

 

e per finire………..

 

diamo la sveglia alla coscienza civile da troppo tempo profondamente addormentata

 

Sorso: NUOVA VITA PER LA STRUTTURA SPORTIVA DI VIA PORTO TORRES?

di Piero Murineddu
Dopo anni di abbandono e di conseguente degrado, nel campo di via Porto Torres qualcosa sembra che inizi a muoversi. Le stanze adibite a spogliatoi sono state ripulite e i muri imbiancati. La catasta di forattini all’esterno fanno ben sperare, come tutto il movimento che vi si nota tutt’intorno. Ho sentito che la gestione è stata affidata ad una giovane e ben intenzionata associazione. ALLELUIA!
Si spera che i tempi di utilizzo non siano “biblici”, come stiamo constatando per i giardini di via Europa. A proposito, anche li qualcosa si muove. A rilento, ma si muove. Avete visto i pali di legno ben saldati a terra, prima fase di una bella e lunga staccionata? I camminamenti stanno iniziando a prendere forma e si vede anche piantata qualche palma.ALLELUIA!
Adesso aspettiamo che la gestione dell’anfiteatro de La Billellera venga regolarizzata secondo metodi di giustizia e di imparzialità e ne venga garantito l’uso a tutta la cittadinanza e agli ospiti di passaggio.
In questo caso, l’ALLELUIA sarà triplice, accompagnato da vari OSANNA ed EVVIVA. Gaudio massimo, insomma
Ecco i segni di rinascita della struttura di via Porto Torres
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Ed ecco il nascituro parco di via Europa
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Scuola: Il “miracolo” può farlo anche il singolo docente

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di Piero Murineddu

Durissime e spietate le considerazioni fatte in questa lettera, e pur tuttavia  corrispondenti al reale. Probabilmente molti ragazzi sono contenti di riprendere l’attività scolastica, ma lo sono principalmente (se non solamente) perchè ritrovano i compagni coi quali hanno intrecciato relazioni e coi quali condivideranno giorni, giorni e ancora giorni di….ansia. Ma si sa, mal comune mezzo gaudio. Certo che la cosa è triste, se non drammatica. La Grande Opportunità quali sono gli anni studio fino alla cosiddetta Maturità, il più delle volte è  vissuta come un incubo, come afferma il Piero con le sue parole estremamente puntuali. Ed ecco ragazzi stressati ( e chi ha figli lo sa benissimo) e insegnanti perennemente sull’orlo di una crisi di nervi e potenzialmente studenticidi.

“Eh, ma la scuola è stata sempre così!“, direbbe l’immancabile fatalista. Magari ha ragione, ma il fatto è che NON DEVE ESSERE COSI’.

Da qualche parte, nei giorni scorsi ho letto di un corso per aiutare gli insegnanti ad affrontare particolari “urgenze” educative. Va bene, diamo il benvenuto a questi corsi di formazione, ma qui si tratta si averla la capacità educativa, non quella per le “urgenze”, ma quella normalissima, strettamente connessa a quella dell’insegnamento scolastico, e chi non la possiede, i ripetuti corsi&ricorsi, specialmente se fatti per adempiere ad un dovere, non possono fare il miracolo.

Io penso che possa essere anche il singolo insegnante a fare questo benedetto miracolo di portare i ragazzi a gioire di frequentare la scuola, e questo nonostante i tanti e oggettivi problemi. Certo, il “coraggioso”  maestro o prof dovrà lottare fino all’inverosimile (retribuzione bassa, mancanza di spazi adeguati, Dirigente ottuso, colleghi invidiosi, insufficiente materiale didattico, iperattivismo infantile e adolescenziale……..) ma la matura consapevolezza di essere responsabile della crescita umana e culturale di persone che ripongono in lui comprensibili e giuste aspettative, può portare a compiere il “sogno”: ragazzi che non vedono l’ora di entrare in classe la mattina.

Statue,processioni, esorcismi……e i fedeli rischiano la rissa

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di Piero Murineddu

I legittimi “proprietari”,  gli stessi fedeli, sfrattati dalla loro chiesa insieme alla statua di Maria Vergine. “Festa molto sentita tra i cittadini”. Il parroco che dimezza i tempi della Messa ( meno canti? Meno omelia? Menodituttounpo, insomma….) per poter praticare un esorcismo  nell’intimità della comunità da lui fondata. Ci si aspettava la recita del rosario in processione, e invece….

Per tutto questo e probabilmente per malumori reciproci accumulati nel tempo, “i fedeli rischiano la rissa”. Da una parte i “normali”  parrocchiani, dall’altra i seguaci del parroco-pugile – musicista Max (senza la erre in mezzo…pa cariddai!), giovane e carismatico prete con particolari capacità di liberazione, fornitegli direttamente da Iddio l’Altissimo.

Si dice che l’amore solitamente è anche “litigarello”, per cui può capitare che all’interno di una qualsiasi comunità ( che s’intende attività e si spera ideali comuni) ogni tanto può sorgere qualche incomprensioncella. Suvvia, se capita non casca mica il mondo!

Piuttosto, la cosa che voglio brevemente considerare è a margine di questa vicenda, ovvero questo tradizionale carico di devozioni e processioni con le quali nel tempo è stato appesantito il Messaggio Evangelico. La cosa continua a provocarmi un non so che di…….fastidio? Si, forse è proprio fastidio. E perchè mai? Va bene che la “religione” ha bisogno di segni esteriori, ma chissà perchè, col tempo mi sto  convincendo sempre più che Gesù Cristo non aveva nessuna intenzione di fondare una nuova religione, ma semplicemente darci indicazioni per renderci la vita più significativa e più fraterna. Nello stesso tempo tra gli scritti che ci sono arrivati, aveva affermato che lui era venuto non per portare la pace ma la “spada”  (MT 10, 34…), e non vi è contraddizione alcuna. E sarebbe?  Approfonditevi la cosa……. se ne avete voglia.

Grida per la vita

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Grida per la vita

  di Alex Zanotelli
“Grida, grida, grida, grida per la vita
per i vivi, per i morti
per il deserto, per il mare
per i pesci avvelenati
per gli uccelli con ali spezzate
poeti senza parole
cantautori senza canto
Grida, grida, grida per la per la vita
per i bambini
che combattono sulle strade
che giocano con giocattoli, con fucili, con granate
per le madri afroamerindie
che urlano per il dolore
e che  si domandano che cosa sarà
del futuro dei loro figli
Grida, grida, grida per la vita
per il coraggio
per la speranza
per la foresta
per il fiume
i corpi possono morire, lo spirito non muore
e la nostra lotta
aspettando che un nuovo giorno
incominci ad arrivare
che l’alba arrivi
E mentre aspettiamo per questo giorno
noi canteremo nella gioia
grida, grida, grida per la vita!”
 

“Son carta e penna i miei migliori amici” – Tetta Sechi

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I pensieri del cuore

di Leo Spanu

Perchè una persona, anzi una donna nello specifico, cerca rifugio nella scrittura? Tetta Sechi ci confida: “ Son carta e penna i miei migliori amici”.

Una risposta che inquieta. Dove sono gli altri, gli “esseri umani”? E’ davvero così difficile comunicare?

“ Mostrare i sentimenti profondi / sarebbe così bello / mostrarli senza pudori”.

Convenzioni consolidate e abitudini antiche, figlie dell’ipocrisia, ci costringono a metterci una e cento maschere per vivere e sopravvivere. Sorridere meccanicamente per nascondere le paure, la solitudine, il dolore. Avere dentro un mondo da raccontare e magari da regalare:

“E invece sono qui / con carta e penna / unici confidenti / dei miei giorni.”

Strana società la nostra dove, nessuno lo ammette, ma tutti cercano di fuggire, magari un metro più in là, alla ricerca di amore, di comprensione, di solidarietà. Tutte cose che abbiamo gettato via per inseguire sogni di carta e brandelli di successo. Per raggiungere uno “status” sociale che spesso ci lascia stanchi e delusi e che paghiamo col rimpianto di un tempo e di un’innocenza che abbiamo perduto. Allora scrivere parole su un foglio bianco diventa l’ultima frontiera, un tentativo per recuperare i frammenti della nostra umanità, sparsi in giro come sassi nella foce di un fiume.

“ E noi come pietre / veniamo levigati dal fiume / lento della vita / macerati dal rimorso / di quello che non siamo.” Si prova a reagire allo sconforto, all’angoscia.“ Non è tondo e levigato / come una pietra di fiume / il mio amore per te / una roccia aspra / affiorata dal terremoto / dell’anima.”

Si cerca in continuazione l’amore, ancora e sempre amore, per non soccombere, per resistere:

“ ti avrei donato volentieri / tutto il tempo che da vivere / mi resta…per qualche attimo / soltanto d’amore. / L’ intera mia vita / per un solo attimo / della tua lunga vita.”

L’ amore, eterna e inutile medicina contro il male di esistere. L’amore aggiunge nuovi dubbi, sconvolge i pensieri, consuma desideri e speranze. I giorni diventano anni e il tempo si confonde nelle pieghe della memoria. Alla fine restano solo ricordi che fanno male.

“ I miei ricordi / mettili nel tuo letto / vicino a te. / Rimbocca bene le coperte / e spegni la luce.”

C’è un profondo pessimismo nella poetica di Tetta Sechi, dolorose esperienze personali hanno lasciato ferite profonde ma, malgrado tutto, lei cerca ancora di fuggire dal peso di pensieri tristi che, come mosche moleste, s’infilano tra parole e immagini.

“Ci vuole silenzio / per scrivere parole / ci vuole amore / per scrivere il silenzio. / Riempio fogli / e svuoto il cuore colmo di rumore / colmo, dell’antico rancore. / Urlo di rabbia sudata / rabbia stantia / come quel pezzo di pane / che non ho mai mangiato / come il cielo / che non ho mai guardato.”

Bisogna raccogliere, uno ad uno, i momenti felici, sparpagliati come perle di una collana spezzata. “ Quei giorni persi sulle vie / erano giorni di poesie / erano giorni tanto amati / erano giorni dimenticati.”
Da qui la rabbia ma anche la volontà di non arrendersi: “ cuore raccontami / i tuoi melodiosi canti, raccontami la fiaba / delle nuvole bianche / che danzano nel cielo. / Raccontami i tuoi giorni / quelli che io non ricordo / racconta cuore mio, raccontami.”
E’ un continuo ritornare al passato per trovare la risposta ad un futuro che sembra non offrire più speranze. Un passato con troppe ombre e un dolore sempre vivo. Un passato che propone nuove domande.
“ La strada muore / in un angolo, / dietro l’angolo la tua ombra / un muro rotto. / Vola un ricordo / e cresce un pensiero.”
Riprendendo la domanda iniziale, perchè ci si confida con un foglio di carta? Per “ fare poesia” o altro? Ognuno di noi può trovare la risposta più giusta e corrispondente alla propria sensibilità.
Tetta Sechi forse trova nella poesia un momento di consolazione. Va bene così. Non tutti possiamo fare “ alta letteratura” ma tutti, nel nostro piccolo, possiamo “ fare poesia” e ritrovare il fanciullo pascoliano smarrito tra gli affanni e le preoccupazioni quotidiane. Magari non finiremo in nessun libro ma ci aiuterà ad ascoltare il mondo intorno a noi, a sentire e condividere le emozioni degli altri. Magari ci aiuterà ad essere migliori.

NOTE
I versi citati sono tratti da “I pensieri del cuore. 1985-1995 ” una raccolta uscita in forma artigianale e in poche copie. Mi fa piacere che poi siano stati pubblicati nel libro citato ma ho preferito lasciare la versione originale in italiano piuttosto che la traduzione in sardo.

“Noli me Tollere” è l’unica Madonna da venerare a Sossu. O no?

 

di Piero Murineddu

Sempre attento a buttare l’occhio su materiale che possa aiutare a ricostruire la Memoria di Sorso, cittadina  amata ma per certi versi anche “subìta” da buona parte dei suoi stessi abitanti, mi sono imbattuto in questo bollettino di oltre dieci anni fa curato da padre Giulio dei conventuali francescani, custodi del Santuario Mariano “Noli Me Tollere”.

 

 

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Avete letto con attenzione? Certo, gli spunti sono tanti, ma per forza di cose devo commentarne solo qualcuno.

Dalla lettura di altri scritti del “carismatico” frate oggi ottantacinquenne, ho dedotto che ci andava giù molto duro nelle sue categoriche affermazioni. Da una parte è segno apprezzabile, perchè indice di coraggio e probabilmente di conoscenza degli argomenti trattati, dall’altra potrebbe essere segno di spregiudicata presunzione, magari protetta dalla “riverenza” e rispetto che  qualsiasi tunica religiosa incute nel popolo di “fedeli”  buona parte dei quali considera il “religioso” portavoce incontestabile di verità rivelate. Per la verità, ammetto di non annoverarmi tra questi ultimi, specialmente quando il frate, la suora, il prete, il vescovo e lo stesso Papa pronunciano giudizi su questioni che esulano dallo stretto Messaggio Evangelico., ma questo è un altro discorso.

Nell’occasione, il religioso azzarda delle considerazioni abbastanza pesanti che, fatte da qualcun altro senza saio, probabilmente avrebbe scatenato reazioni risentite. Ma si sa, dai buoni fraticelli si accetta tutto, dato più che impegnano le loro giornate a diffondere il Vangelo, certo, ma specialmente ad incrementare il culto della Madonna di Sossu, cosa quest’ultima che a me crea qualche perplessità, ma ai sussinchi va più che bene. Personalmente condivido abbastanza l’analisi sugli aspetti caratteriali di noi sorsesi, se non di tutti, almeno di una buona parte:

menefreghismo (per i localiminnaffuttismo“)         

– snobbamento de facto delle proprie eccellenze culturali e artistiche  

 – triste e stupida applicazione del “nessuno è profeta in patria”

e ancora blablabla……….

 

Come raccontato dal prezioso prof Andrea Pilo, appare verosimile che l’ingegnere Sisini, modernizzatore dell’agricoltura sarda e non solo, abbia deciso di allontanarsi “per dispetto”. E’ anche un fatto che molti, specialmente giovani, continuano a realizzare la propria vita in “Continente” o in Paesi lontani. Abbiamo anche letto che il sussinco prof. Nicola Tanda ha donato il suo ricco e preziosissimo archivio di libri e di documenti letterari, filologici, bibliografici al Comune di Ozieri, di cui è cittadino onorario. Un motivo ci sarà sicuramente.

Non mi ci soffermo, anche perchè altri in varie circostanze hanno già rilevato queste strane anomalie che portano alla mancata valorizzazione dei personaggi che in vari campi hanno dato lustro a Sorso. Ma perchè insistere ancora con questa vecchia e ormai noiosa storia? Diciamolo chiaramente: non per mero campanilismo, per pavoneggiarci stupidamente davanti agli altri e per cantare miseramente in coro “Semmu di Sossu e semmu li più forthi!”,  ma per riconoscere che grazie al loro impegno (letterario, artistico, musicale….) ci siamo elevati umanamente e culturalmente. Naturalmente, è necessario che ne conosciamo l’opera di questi nostri concittadini, cosa che non è scontata.

Tornando all’articolo in questione, lungi da me l’azzardo di provocare la suscettibilità del vecchio Baldus (e di tutti li sussinchi!) mettendo in discussione la storicità della vicenda che la Madonna sarebbe apparsa ad un povero muto chenonsochecosa. E nonmeladiadio che così dicendo io stia mancando di rispetto ai sentimenti religiosi dei sorsinchi devoti!).  Mi colpisce tuttavia la sua conclusione, che stringi stringi, è l’obiettivo che a lui preme: a Sossu l’unica “Madonna” che sarebbe sensato venerare è  “Noli me Tollere”. Mah…..

Lungi da me comunque che io voglia provocare la facile  (e per certi versi “pericolosa”) suscettibilità dei “buoni” fedeli sorsinchi, per cui silente mi ritiro in disparte, non prima di aver chiesto preghiere per la mia “conversione”