Messaggio più recente

Leo&Facebook&Marasolthi

 

 

di Piero Murineddu

Il “pavoneggiarsi” è sicuramente una tendenza generalizzata, e nell’esemplare macho (o presunto tale) italiota è comprensibilmente un bisogno, un ideale da perseguire a tutti i costi, pena la sensazione di veder vanificata la propria esistenza. L’ “apparire” a tutti i costi è diventata una delle  preoccupazioni principali di diverse categorie di persone. E sicuramente non è prerogativa solamente giovanile. L’argomento non si limita alla sola sfera sessuale, evidentemente. La nascita nel 2004 del social network “Facebook”, come ha dato nuove e rivoluzionarie opportunità comunicative,  ha sicuramente anche incentivato  la possibilità di esibire gli aspetti meno nobili del bagaglio personale di ciascuno. A questo proposito, l’amico Leo  mi ha mandato questo suo particolare “elogio della controtendenza“. Scorrerne la lettura mi ha divertito, contribuendo in parte a superare l’affutta di dover rinunciare, per colpa di quest’ incerta estate mai iniziata, ad esibire le mie lisce gambettine striminzite e senza sodi&duri polpacciotti che reggono la pancetta prominente, un busto di muscolisguarnito  e un toracino senza pelo alcuno, facendo col bermuda di fantozziana memoria i miei amati tuffi “di pancia”  da “Punta la grabba“.

Mio grande dilemma di questo fine ferie:

come farò a dimostrare a mia moglie che nonostante la vicciaia incipiente,  prestante&efficiente sono ancora?

 

silvio

 

DECALOGO PER SOPRAVVIVERE ALLA STUPIDITA’  IMPERANTE

 

di Leo Spanu

 

 

1) Controllate attentamente che in bagno non ci siano macchine fotografiche e assimilati quando vi fate la doccia. L’esibizione gratuita su FB delle vostre nudità fatiscenti non è cosa buona e giusta ma un penoso spettacolo di deterioramento della materia.

2) Lo specchio serve per farsi la barba, schiacciarsi un punto nero sul naso ed altre attività di pulizia del vostro viso. Inutile domandarsi : Specchio delle mie brame chi è il più bello (o la più bella ) del reame. Non siete voi.

3) Non mostrate le foto ( spesso tremende) dei vostri figli su FB. Non sono scimmiette ammaestrate da esibire sul grande palcoscenico mediatico per sentirvi dire “quant’è bello” anche se rassomiglia in modo preoccupante alla figlia del rag. Fantozzi.

4) Per le signore. Un seno perfetto, secondo un antico detto francese, è quello che sta nelle mani di un “honnete homme” che non significa un uomo onesto ma uno con le mani appena più grandi della media. Ricordatevelo quando vi fate un autoscatto (un selfie per le persone colte). Francesco Nuti parlava di “poppe a pera” ma esistono anche in forme di altri vegetali: a zucchina, a banana, a carruba, a melanzana, a oliva, a cocomero, a patata bollita, a susina (in tutte le varianti), a carciofo senza spine, a cipolla, a barbabietola. Tutta roba buona da mangiare. Ma non fanno arrapare.

5) Per i signori. Durante la stagione estiva non diventate protagonisti di un film dell’orrore con zombi e mostri vari che passeggiano su e giù per le spiagge. Fare i diciottenni  indossando solo uno slippino, quando si ha una pancia vasta quanto una mongolfiera, due gambine striminzite che sembrano ossa dipinte, un torace scheletrico ricoperto da ciuffi di peli che fanno tanto scimmie spelacchiate, non è solo uno spettacolo terrificante. E’ pure penoso.

6) E’ vero che signori si nasce, lo stile e il buon gusto sono qualità innate. Ma con un po’ di buona volontà e un pò di buona educazione si può evitare di sembrare (ed essere) dei perfetti cafoni.

7) Non abusate del turpiloquio. La lingua italiana è ricca di parole e di immagini che esprimono gli stessi concetti con più eleganza e con più intelligenza. L’abuso di “c…i” nel linguaggio quotidiano indica solo  una vostra carenza culturale. E forse anche fisica.

8) Ogni tanto leggete un libro. Non quelli idioti che vi propone la pubblicità o quelli che vendono milioni di copie. Chiedete consiglio ad un libraio, saprà indirizzarvi bene. Ma se proprio non volete sfidare la vostra pigrizia allora leggete uno qualunque dei quattro vangeli. Non come un libro di religione ma come un libro d’avventure. Scoprirete una storia straordinaria e qualche motivo di riflessione.

9) Una volta all’anno provate a pensare il contrario di quello che pensano tutti. Provate a nuotare controcorrente per qualche minuto. Si aprirà nella vostra mente una visione diversa del mondo e magari ritroverete un sorriso ed una speranza che avevate perduto.

 10) Non scrivete mai decaloghi. Non li rispetta nessuno e l’ultimo che ci ha provato ( Mosè) è stato esiliato nel deserto del Sinai dove, dopo aver fatto sparire le acque del mar Rosso, adesso fa il rabdomante.

 

La lunga estate supercafona del nuovo edonismo renziano

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di Nanni Delbecchi

 

C’era una volta l’edonismo reaganiano degli opulenti anni Ottanta. Il nostro premier, che non si fa sfuggire una rottamazione, lo sta riadattando ai tempi di crisi, e questa estate ha buone chance di passare agli annali come quella dell’edonismo renziano. Di questo nuovo edonismo un emblema eccellente è il gavettone, così perfettamente in bilico tra la caserma e il campo scout, tra il Gran Mogòl delle Giovani Marmotte e il colonnello Buttiglione. Non parliamo tanto dei gavettoni subtropicali che il cielo ci ha regalato quasi ogni giorno, ma quelli gelidi che, in nome della lotta alla Sla, stanno facendo il giro del mondo, stabilendo nuovi record d’immagine. Se tanto ci dà tanto, per il vecchio Telethon si apre la strada della soffitta. IL SUCCESSO in rete dell’Ice Bucket Challenge, che quanto a contagio se la dà con l’Ebola, si spiega con il corto circuito tra un fine nobile, un mezzo puerile e un sottotesto volgarotto. È lo sdoganamento definitivo del selfie, la sua nuova frontiera. Guarda come sono bravo e come sono buono. Ma soprattutto guarda e riguarda, sui social e sui siti, dalla mattina alla sera. Una campagna mediatica così a costo zero chi se la poteva sognare anche solo cinque anni fa? Ci sarebbe qualche obiezione; per esempio, che questa pagliacciata della secchiata in testa, variante idrica della torta in faccia, mal si sposa a chi detiene un’immagine e una responsabilità pubblica. Quindi, nessuno stupore che un Barack Obama abbia declinato l’autocazzeggio, pur aderendo alla donazione. Papa Francesco (nominato anche lui, nientemeno che da Shakira e Belèn Rodriguez) è andato oltre, dichiarando che “Il cristiano fa atti generosi ma nascosti.” Difficile dargli torto, sebbene quasi tutti si regolino al contrario; nell’era di internet la strada dell’inferno non è mai stata tanto lastricata non solo di buone intenzioni, ma anche di vanità sospetta.

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Dalla secchiata, che alla fine è un selfie per procura, la tiepida estate dell’edonismo renziano ci porta alle copertine dei rotocalchi. E qui, dove un tempo tenevano banco calciatori, veline e tronisti, oggi la prima scelta sono i politici. Sui rotocalchi le quote rosa sono già un dato di fatto, una riforma compiuta, e non c’è da sorprendersi: dopo avere conquistato i salotti televisivi, adesso le onorevoli scalano il gossip, e attraversano le più diverse variazioni iconografiche. Più del ministro Giannini, più delle pose preraffaellite di Marianna Madia e più delle scene di conversazione di Federica Mogherini e famiglia, un altro specchio dei tempi è la foto che immortala il bacio appassionato tra il deputato Pd Alessandra Moretti e Massimo Giletti. La politica che slingua la Tv (e non il contrario).

 

 

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PER MARIA ELENA Boschi, è stata addirittura caccia selvaggia: il bikini mostrato da Alfonso Signorini su Chi come fosse lo scalpo di Toro Seduto.

 

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Il servizio in cui il ministro delle Riforme indaga sulla coppa del suo reggiseno meglio dell’ispettore Clouseau; la copertina dell’ultimo Panorama, che la ritrae con un sorriso enigmatico, degno dell’Ignoto marinaio di Antonello da Messina; ma di ignoto in questo caso c’è poco, e l’enigma è meno metafisico: “Come si rimorchia ai tempi della Boschi?” Da Chi a Panorama : non ci vuole Sigmund Freud per scoprire che l’universo mediatico del Berlusca. è sedotto dalle muse dell’edonismo renziano. Dunque rottamate anche le cene eleganti di Palazzo Grazioli e le feste d Villa Certosa? Addio alle olgettine, ai lelemora, con la Minetti sprofondata dalla nipote di Mubarak al figlio di D’Alessio? Pare di sì, ma è interessante notare come il Calippato berlusconiano, pur in evidente declino, stia organizzando una controffensiva mediatica tutta basata sul basso profilo e perfino su una certa sobrietà; Silvio stesso che rispolvera il look total black, come ai vecchi tempi del Cavaliere nero;Francesca Pascale versione dama bianca, con il panama sulle ventitré. Potrebbe essere una mossa da non sottovalutare, se è vero che l’unica altra tendenza di questa estate all’insegna dell’edonismo narciso sta in certi eccessi ultracafonal. Gli italiani che fanno la spesa  a Barcellona, i turisti che fanno in Italia; da questo punto di vista l’unità europea sembra cosa fatta. Ma ci sarà qualcosa in comune tra le secchiate fatte a fin di bene e le bravate concepite a fine di spazzatura? Naturalmente no, a parte il fatto che tuttavia anche quelle bravate impazzano sui media; e che forse sono in aumento esponenziale proprio perché chi le fa ha buone possibilità di diventare una stellina mediatica. Oggi tutte le strade portano all’esibizione di sé, e chi di narcisismo ferisce di narcisismo può anche perire. L’estate tiepida sta per finire, e presto comincerà un autunno più caldo: tra i tanti tagli annunciati dal governo, non sarebbe male prevedere qualche taglio anche alla propria immagine.

“Vicini al suo compagno” e il prete benedice la coppia gay (1)

 

 

emanuele e francesco

 

 

di Marco Preve

 

In una parrocchia in cui si celebra il funerale di un uomo morto tragicamente il prete pronuncia parole semplici, ma che non passano inosservate: “Preghiamo anche per Emanuele, compagno di Francesco”. Una sola frase, ma è quella con cui, in una chiesa, viene riconosciuto agli omosessuali il diritto al conforto e alla consolazione della fede. Un episodio importante in un paese in cui i gay, dallo Stato laico, non ottengono ancora gli stessi diritti degli eterosessuali.

Un infarto, la fine improvvisa e tragica di un’unione ventennale, un funerale, l’affetto degli amici. Momenti dedicati al dolore, al raccoglimento, quasi sempre privati. Ma Emanuele Ricci, 43 enne professore di inglese in un liceo di Genova, ha deciso di dare al suo lutto una valenza pubblica. Perché Emanuele e Francesco Metrano, un architetto di 54 anni morto all’improvviso pochi giorni fa mentre era in visita alla sorella in Toscana, erano dal 1994 una coppia a tutti gli effetti.

Ma essendo omosessuali Emanuele pensava che antichi e nuovi pregiudizi si sarebbero trasformati in imbarazzati silenzi al momento clou delle condoglianze. Invece. “Invece è accaduta una cosa inaspettata  –  racconta  –  a cominciare dai miei studenti che hanno dimostrato di essere una generazione che si è disfatta dei vecchi preconcetti. E poi c’è stato quel breve ma importantissimo momento in una giornata tanto terribile”.

È successo a Porto Santo Stefano, paese di cui era originario Francesco, nell’omonima parrocchia della località all’Argentario. “Il parroco
–  continua Emanuele  –  don Sandro, che mi conosce bene perché da Genova in estate andavamo sempre a trascorrere qualche giorno dai parenti di Francesco, ha citato anche me assieme ai famigliari all’inizio della cerimonia. Sentire pronunciare il mio nome è stato ottenere un riconoscimento non personale, ma per entrambi, per la storia mia e di Francesco”.

Don Sandro Lusini, docente di teologia e parroco dell’Argentario, non ha difficoltà a spiegare: “Non è stato un gesto deciso per compiacere una persona ma del tutto naturale. Ho voluto accomunare ai famigliari di Francesco anche Emanuele, che è stato il suo compagno e amico da una vita. Conosco entrambi da tempo, si preparavano a partire per una vacanza nei paesi baschi e gli avevo anche chiesto di fermarsi a Lourdes per me, per una preghiera”. Si potrebbe pensare che questa apertura sia il frutto del vento che soffia da Roma, dopo l’avvento di papa Francesco. “Anche se è vero che il nuovo Papa sta mandando segnali forti, per quanto riguarda il sottoscritto non è affatto così  –  risponde il sacerdote toscano  –  . Anche in passato, rispetto a certi temi, ho avuto lo stesso atteggiamento che ho tenuto in occasione del funerale di Francesco. Credo che, a prescindere da qualsiasi categoria, i legami affettivi vadano riconosciuti. Per questo ho citato Emanuele in chiesa”.

Paradossalmente, è la Chiesa che sembra essere più sensibile a certi temi rispetto allo Stato laico. “Non credo  –  dice il professore che a Genova insegna al liceo scientifico Primo Levi  –  che tutta la Chiesa abbia lo spirito di quel parroco, ma è un dato di fatto che la morte di Francesco è stata dolorosa anche per alcune cose accadute dopo, che mi hanno fatto scoprire di essere un cittadino diverso per il mio paese. Episodi banali come non avere il diritto di chiudere le utenze di un appartamento che Francesco possedeva nel centro storico. Ci sono poi situazioni spiacevoli di cui parlo con difficoltà perché potrebbero essere equivocate. Io ho un mio stipendio, non ho bisogno di soldi, ma Francesco aveva versato con sacrificio 25 anni di contributi alla cassa di previdenza degli architetti che ora andranno persi. Se fossimo stati una coppia etero avrei avuto diritto a una reversibilità e avrei così potuto, ad esempio, aiutare i suoi nipoti. In situazioni diverse dalla mia è un’ingiustizia che può rendere drammatica la vita di una persona”.

Il desiderio di raccontare questo momento privato è venuto ad Emanuele soprattutto di fronte all’affetto e alla solidarietà dimostrata dai suoi studenti, attuali ed ex. “Il giorno dopo la morte di Francesco  –  forse per sfogarmi, dopo aver parlato con due care amiche, Anna e Maria, ho scritto un breve post su Facebook. Da quel momento sono arrivate decine di commenti, e poi messaggi privati e ancora sms e lettere tradizionali. A scuola non ho mai parlato della mia vita privata ma neppure ho mai nascosto la mia omosessualità con i colleghi più amici. Semplicemente ho fatto come tutti gli insegnanti, a prescindere dalle loro tendenze e gusti. Per questo forse non mi aspettavo,

sbagliando, questa risposta dai ragazzi. Ho ricevuto anche un bellissimo post da un ex allievo con idee di destra, con lui in classe avevamo anche avuto discussioni accese. Ma di fronte al mio dolore non ha avuto nessun problema a riconoscere che l’amore non ha percorsi prestabiliti.
(1) tratto da REPUBBLICA.IT

“TURISMO” CRIMINALSESSUALE: ITALIANI AL PRIMO POSTO

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di Marida Lombardo Pijola

Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè. Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale. Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali. Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto. Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.

Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya. Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. Foto e filmati da portare a casa come souvenir. Costa quanto una buona cena o un’escursione. Puoi fare anche un pacchetto all inclusive: alloggio, vitto, viaggio, drink, preservativi e ragazze per un tot. Puoi cercare nei forum in Rete le occasioni, ci sono i siti apposta. Puoi scegliere tra ”20 mixt age prostitutes”, dalla prima infanzia in su. Puoi avere anche le vergini, mille euro in più. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura. Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico. Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).

Un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati. Stime ufficiali, queste. Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni. Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno. Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno.

E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati. In vendita a casa nostra, per le nostre strade, o anche su ordinazione. Solo a voler guardare. Solo a voler sapere.

di Marida Lombardo Pijola

Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè. Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale. Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali. Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto. Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.

Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya. Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. Foto e filmati da portare a casa come souvenir. Costa quanto una buona cena o un’escursione. Puoi fare anche un pacchetto all inclusive: alloggio, vitto, viaggio, drink, preservativi e ragazze per un tot. Puoi cercare nei forum in Rete le occasioni, ci sono i siti apposta. Puoi scegliere tra ”20 mixt age prostitutes”, dalla prima infanzia in su. Puoi avere anche le vergini, mille euro in più. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura. Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico. Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).

Un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati. Stime ufficiali, queste. Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni. Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno. Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno.

E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati. In vendita a casa nostra, per le nostre strade, o anche su ordinazione. Solo a voler guardare. Solo a voler sapere.

“CAZZ BOH”

di Piero Murineddu

Alessandro Carta, componente del gruppo sassarese Nasodoble, bene ha fatto ad arricchire la sua canzone, nata quasi come scherzo col nome di Nicola di Banari, con la presenza di artisti del calibro di Ilaria Porceddu, Beppe Dettori, Francesco Più e il rocker cagliaritano Joe Perrino. Da un palco significativo quel’è un letto di una privata e anonima cameretta, dove ciascuno di noi raccoglie e mette a punto tutte le più intime e spesso inespresse incazzature, ci cantano con riso sardonico e pungente e triste sarcasmo parte delle troppe nefandezze che la terra sarda – e anche se a volte lo “dimentichiamo”, anche noi romangini ne facciamo parte! – e quindi ciascuno di noi e i nostri figli, siamo costretti a subire.

 

Ecco alcuni passaggi (testo tratto dal sito de L’Unione Sarda)

“Che male c’è se questa gente è disunita. In fondo siamo cento personaggi in cerca di berritta”.”Che male c’è se ti avvelenano la terra. In fondo il cibo è più sicuro se è prodotto in una serra”. E ancora benzene nella falda, aziende finite all’asta e acquistate a prezzo indegno da prestanome della banca (“Così non hai debiti e puoi ucciderti sereno”), la lingua sarda “non può esprimere concetti di livello”, e quanto è bello far l’amore “tranne a Quirra” perché “attenti, i bimbi malformati son dovuti ai coiti tra parenti”. E non è finita: il vento sfruttato dalla mafia, i boschi in fiamme. Per concludere: “tanto ai Sardi per principio in culu l’intrat et in conca no”.

 

http://www.unionesarda.it/video/video/2014/08/14/nasodoble_cazz_boh_la_rabbia_dei_sardi-19-382026.html

Quando “la bestemmia è quasi un atto di fede espresso in forma non liturgica”, ma anche sul potere che rende menzogneri

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di Piero Murineddu

 

Mi sembra di aver già detto del mio comodino sul cui piano generalmente  vi stazionano diversi libri di cui ho iniziato la lettura, messo il segno e lasciati lì, in attesa di essere ripresi in considerazione. E c’è il libro di saggistica, e c’è quello di narrativa, e c’è quello poco voluminoso e quell’altro che se ti arriva in testa rischi parecchio. E dopo quell’altro argomento e quell’altro ancora (sempre bene impilati, mi…..), c’è finalmente quel libro che alla sera, dopo aver messo per dovere di alimentazione qualcosa nello stomaco, non vedi l’ora di distenderti al contatto col fresco delle lenzuola per riprenderlo tra le mani e continuare a scorrere e immagazzinare i termini e i concetti impressi nelle pagine. E’ quel libro che ha la capacità di saltare senza indugi l’analisi razionale da parte del cervello per puntare direttamente al “cuore”, all’animo, a ciò che è centrale ed essenziale in noi stessi. Quel libro che riesce a calmare e a  rasserenare quel turbinio di pensieri che spesso ci accompagnano verso il riposo notturno. Questo è ciò che mi capita quando decido di riprendere la lettura  di Chi non muore si rivede”, di Alberto Maggi. Il biblista  – se ne volete approfondire la biografia, affacciatevi alla “rete” – , per certi versi prete atipico nel vastissimo panorama d’incaricati più o meno degni di farsi portavoce dell’insegnamento evangelico, nel volumetto racconta i giorni e le settimane trascorse in terapia intensiva dove è stato preso per i capelli e ributtato in questa vita per continuare a far conoscere il volto del Cristo, a mio parere più corrispondente alla realtà storica.

Oltre che descrivere i momenti e le persone dell’ambiente ospedaliero, coglie l’occasione per ripensare ad avvenimenti passati, e di qui farci conoscere il suo pensiero e la sua particolare lettura del Vangelo. Tra le altre cose , tutte degne di essere sottolineate , riflettute e messe in pratica, non manca, seppur sempre col sorriso e con l’animo aperto alla speranza e alla possibilità di cambiamento,di colpire con decisione contro il “potere che rende menzogneri, nessuno escluso”, nemmeno quando ad esercitarlo è l’abadessa  di un monastero che “costringe a stare in ginocchio in mezzo al refettorio e a girare tutto il pomeriggio col coperchio di pentolone legato alla schiena una monaca che, per semplice distrazione, l’aveva in precedenza fatto cadere fatto cadere, ammaccandolo”. A questo proposito, ha ragione il presidente  Obama quando, in occasione della recente uccisione di un giovane afroamericano da parte della violenta repressione poliziesca, afferma che “chi esercita il potere deve essere giudicato con severità”. Non solo quello politico, quindi, ma anche quello religioso. Di questo eravamo convinti, ma è bene ribadirlo, caso mai qualcuno si senta esonerato dal dovere di usare il potere solo come servizio. Alberto Maggi coglie tutte le occasioni per dirlo, per quanto possibile sempre col sorriso in bocca e senza astio alcuno, e la passione che mette è forse per cercare di recuperare tutto il tempo in cui è stato considerato normale ed “educativo” servirsi del potere per opprimere e soggiogare.

Chi decidesse  di procurarsi questo libro, si farebbe prima di tutto un bellissimo regalo, e probabilmente,  “religioso” o meno, sarebbe aiutato a rivedere molte posizioni di “esclusione”, facendole diventare di “inclusione”.

 

Per dare un’idea dell’atmosfera di cui è inondato tutto il racconto, vi propongo due paginette in cui parla della bestemmia, o meglio, dello spirito che producono certe frasi, solo apparentemente contro Dio e le cose che riguardano le cose di “lassù”.

 

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ARST: parlate all’autista, specialmente se è arrogante

 

 

di Piero Murineddu

 

Per quanto riguarda i (mal)trasporti pubblici in Sardegna, quest’agosto si è aperto con la notizia delle due turiste fiorentine che per raggiungere in autobus Barisardo da Olbia hanno impiegato ben 13 ore. Percorrendo la normale strada lungo la costa sarebbero in verità 160 km, ma per una serie di ritardi, mancate coincidenze, orari sbagliati e una grossa dose di maleducazione agli sportelli preposti, le due attempate signore hanno raggiunto prima Nuoro, poi Cagliari e quindi, risalendo, finalmente la meta agognata. In totale 425 km. Conclusione: Il vostro mare è meraviglioso, ma non sappiamo se in futuro ritorneremo in Sardegna”.

Il tema dei disservizi nei trasporti pubblici sardi è vecchio, talmente cronicizzato che sarà difficile immaginarsi una cura efficace. Volevo comunque raccontare due episodi riguardanti gli autisti dei mezzi ARST, tratta Sassari – Sorso.

Lunedì 4 agosto, ore 14,10. A differenza di come faccio da quando ho ripreso a viaggiare in autobus, cioè puntare ai silenziosi e rilassanti posti in fondo, decido di occupare un sedile davanti. Due viaggiatori, nonostante la mattinata di lavoro ed il caldo, hanno voglia di fare conversazione. Ad un certo punto del tragitto, l’autista sente il bisogno di partecipare anche lui. Per rendersi simpatico e farsi sentire “dei nostri”, dice: “l’ARST vuole male ai sorsesi perchè vi fa viaggiare su mezzi scassati”. In effetti, essendo corrispondente alla realtà (chissà perchè poi…), l’affermazione trova subito d’accordo i pochi passeggeri presenti. Ringalluzzito dal successo riscontrato, il signor conducente si  butta con decisione in un quasi monologo, e tutto con volume di voce tutt’altro che discreto. Ci fa sapere che lui, a differenza di molti suoi colleghi, controlla che i biglietti siano in regola e precisa anche che il biglietto stesso è garanzia della copertura assicurativa. Dice anche che la responsabilità è sua e che non vuole passare guai, specialmente adesso che è prossimo alla pensione. Ok. Giusto e grazie dell’informazione. Confermando la  loquacità ( e leggermente alterandosi, cosa preoccupante per il controllo nella guida) racconta di un furbastro sussinco a cui piace viaggiare “a gratisi”, ma che in quello stesso pomeriggio, al rientro a Sassari, l’avrebbe aspettato al varco. Con una certa boria aggiunge anche che se avesse reagito male, lui (l’autista) era pronto a dargli il fatto suo (!). Il suo ormai soliloquio si scalda ulteriormente quando parla malamente di “questi neri” che pagano il biglietto fino a Castelsardo e invece proseguono per Santa Teresa di Gallura (“ e poi dicono che sono razzista”) e di “questi invalidi che si vendono i biglietti che hanno avuto pagandoli due lire. Può darsi. Aggiunge che la sua azienda è sempre in continua difficoltà per colpa di questi parassiti della società che non viaggiano con biglietti regolari, e poi “c’è quel Soru che ha collocato i suoi uomini e che si son mangiati tutto” (!)

Quando finalmente ho messo i piedi per terra, ho sentito un grande senso di liberazione, ma anche un senso di frustrazione perchè a causa della stanchezza non ho avuto la forza di intervenire, preferendo subìre la bullagine fattasi ……autista, che naturalmente “  fa l’interesse della sua azienda, sempre sull’orlo del fallimento”

 

Il secondo episodio succede alle 6, 50 di giovedi 7 agosto, direzione Sassari. La temperatura mattutina non è proprio estiva, e il portarmi dietro il giubbotto  leggero è stata una saggia precauzione. All’interno dell’autobus troviamo l’aria condizionata accesa, per cui mi son stretto ancora di più nell’indumento. Dopo il solito parlottare delle donne presenti, qualcuna inizia a lamentarsi della temperatura freddina. Altre hanno subito concordato. Il robusto e pelato autista, privo completamento di attenzione per gli altri, non trova di meglio che uscirsene con la frase: “provate voi a viaggiare fino a mezzogiorno”. E che vuol dire? Ti si chiede solo di posticipare l’accensione dell’aria condizionata di un po’. Ti è così difficile accontentare dei poveri passeggeri ancora infreddoliti da questa bizzarra&bizzosa estate? Vista la poca cordialità (arroganza!) del conducente surriscaldato a causa delle vampate d’andropausa, timidamente qualcuno accenna che si è pagato il biglietto e che quindi……E che...” risponde lui, “il pagamento del biglietto dà diritto per chiedere quello che si vuole?” Evidentemente, la temperatura elevata del suo corpo ha impedito che la sua lingua si collegasse al cervello, facendogli scordare che il pagamento del biglietto permette a lui di percepire lo stipendio mensile.

Sarà l’energia mattutina, alimentata dall’estrema caffonaggine dell‘autista – padrone”, fatto sta’ che gli dico di vergognarsi di questo atteggiamento, e di avere rispetto per le esigenze della maggior parte dei presenti. La reazione è stata silenziosa, a parte qualche leggero borbottìo vagante. Eravamo ormai arrivati a destinazione, per cui non so se l’aria condizionata è rimasta accesa o è stata spenta. Scesi dal mezzo, una compagna di viaggio mi dice che non dovevo intervenire(!). Accenno una risposta, ma probabilmente non ho contribuito a farle cambiare opinione. Conclusioni? Niente. Se volete, traetele voi e, se vuole, anche il dirigente competente, dr Giuseppe Roggero.

Ah, dimenticavo ….buon viaggio con l’ARST s.p.a. Trasporti Regionali della Sardegna.

 

arst

 

 

Piccola appendìce

Mi è stata chiesta spiegazione  di quanto affermato a fine corsa dalla  “compagna di viaggio”. Per la verità, non c’è stato il tempo per uno scambio, per cui la cosa è rimasta a livello di battuta frettolosa. Presumo tuttavia, che il motivo sia sempre il solito, cioè quello per cui stiamo diventando, o peggio siamo diventati, un popolo di sudditi impauriti e rassegnati: è meglio farsi gli affari propri e non immischiarsi mai in niente. Così in tutti gli àmbiti. La diffidenza reciproca la fa da padrona. E’ sempre meglio non esporsi, rinunciare a esprimere il proprio pensiero, rimanere a bearci nei soliti imbecilli luoghi comuni. Si ha paura di possibili  ritorsioni,sempre in agguato. Eccoci allora tutti silenti e a testa china, salvo quando tutti  IN PERFETTA E VIGLIACCA SINTONIA  facciamo a pezzettini uno che esce dai soliti  cliché (naturalmente assente!) e ci schifiamo davanti alla zingara stracciona e a “questi luridi neri” che ci rubano il lavoro e ci portano le malattie. In definitiva, desideriamo “vivere a lungo”, non importa se probabilmente infelici e con poca stima di noi stessi.

 

Geridu (villaggio medievale a Sorso – SS), ovvero, la VERGOGNA DI CHI AMMINISTRA

di Piero Murineddu
GERIDU:1. Oblio
2. Riscoperta
3. Trascuratezza
4. Abbandono
5.Timidi ( ma poco convinti) tentativi di ……
6. Boh
7. No anda bè

La foto 5 si riferisce a qualche settimana fa, quando si stava iniziando a liberare il luogo dall’erba alta.
Ieri ci sono riandato: l’erba ormai secca è raccolta in vari mucchi e sono visibili i perimetri dei vari ambienti del villaggio. Le ultime piogge di quest’insolita e quasi deprimente estate hanno ricoperto il suolo di un manto verde. Ho approfittato della visita per farmi una bella scorta di rucola selvatica. Vi assicuro che il luogo ne è pieno. Se volete dare gusto alla solita insalata, fate altrettanto. Così facendo, magari i nostri antenati non avranno l’impressione di essere completamente abbandonati

NB
Dare particolare attenzione al consiglio dell’antico abitante di Geridu della foto 6, sussinco “ante litteram” (si dice così, nevvero?)

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foto 4
foto 5
foto 6

Siamo tutti palestinesi. O siamo tutti responsabili?

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Fermare il massacro. Non solo non si è mai pensato a sanzioni, ma si continua a vendere armi e tecnologia a un governo che sta “sterminando” un popolo. L’Italia tace, ma candida Federica Mogherini a guidare la politica estera europea

L’articolo di Luciana Castel­lina (il mani­fe­sto, 30/7/2014) ci ha inter­pel­lati tutti, soprat­tutto noi che abbiamo fatto della soli­da­rietà con il popolo pale­sti­nese, soprat­tutto con Time for peace (1990), il tas­sello più impor­tante della nostra mili­tanza paci­fi­sta. La nostra impo­tenza di fronte a quello che suc­cede a Gaza è lace­rante. Anch’io non voglio par­lare di cosa suc­cede, e come potrei? Io sono a Roma men­tre loro – bam­bini, donne e uomini – muo­iono sotto le bombe israeliane.

Noi diciamo che «siamo tutti pale­sti­nesi», ma la realtà è ben diversa. Sono stati mai con­tati i morti pale­sti­nesi dal ’48 in poi? Sap­piamo esat­ta­mente il numero dei pro­fu­ghi? Abbiamo i dati sulle distru­zioni pro­vo­cate da Israele? Sap­piamo che a Gaza non c’è più acqua, elet­tri­cità, medi­cine… Non c’è più la pos­si­bi­lità di vivere. La puni­zione col­let­tiva con­tro un popolo è una vio­la­zione delle con­ven­zioni inter­na­zio­nali, ma quante riso­lu­zioni ha vio­lato Israele eppure, a dif­fe­renza di quanto avviene rispetto all’Ucraina, nes­suno ha mai pen­sato di imporre san­zioni a Israele. Non solo non si è mai pen­sato a san­zioni ma si con­ti­nua a espor­tare armi, tec­no­lo­gia e ad aiu­tare un governo che sta “ster­mi­nando” un popolo. So di usare un ter­mine pesante, ma che cos’è l’attacco alla popo­la­zione di Gaza rin­chiusa in una stri­scia di terra sovrap­po­po­lata senza via d’uscita? C’è forse un altro ter­mine per indi­care que­sta eli­mi­na­zione fisica di un popolo?

 

L’Europa tace, l’Italia anche, ma can­dida Fede­rica Moghe­rini a gui­dare la poli­tica estera euro­pea. Sap­piamo che l’Europa non ha bril­lato per la poli­tica estera, anzi, ma è lecito chie­dere alla can­di­data a tale inca­rico che cosa intende fare.

 

C’è un altro pas­sag­gio dell’articolo di Luciana Castel­lina che mi ha fatto riflet­tere, per la verità è da tempo che su que­sto punto mi inter­rogo. Non ho tra­vi­sato le sue parole, non avevo dubbi, Luciana non può con­di­vi­dere le scelte di Hamas. Quello che mi sono chie­sta è se, come lei dice, essendo vis­suta nei campi pro­fu­ghi si diventa o si può diven­tare ter­ro­ri­sti. Fino a qual­che tempo fa avrei con­di­viso la sua con­clu­sione, è pos­si­bile. Oggi non lo credo più. Per­ché il ter­ro­ri­smo isla­mico ha fatto del mar­ti­rio la pro­pria fede, è la carta che con­vince molti gio­vani ad immo­larsi non in nome della Pale­stina libera ma di dio, di allah. Il fana­ti­smo reli­gioso induce molti gio­vani a sacri­fi­carsi in azioni senza spe­ranza: a pre­va­lere è la cul­tura della morte non quella della vita che ha ispi­rato decenni di lotta dei mili­tanti pale­sti­nesi. Tanto è vero che la mag­gior parte dei kami­kaze non arriva dai campi pro­fu­ghi, non sono indotti al sacri­fi­cio dalla dispe­ra­zione ma dalla loro ideologia.

 

Non credo che nell’epoca in cui viviamo i con­flitti si pos­sano risol­vere mili­tar­mente, eppure il ter­ro­ri­smo è l’unica arma che può sfi­dare anche l’esercito più potente, quello israe­liano o quello ame­ri­cano. Para­dos­sal­mente Israele che ha soste­nuto la nascita di Hamas e gli Usa che hanno finan­ziato e adde­strato bin Laden sono diven­tati ostag­gio dei mostri che hanno creato.

 

La par­tita che si sta gio­cando in Medio­riente ormai coin­volge tutti i paesi arabi, non pro o con­tro i pale­sti­nesi che sono sem­pre stati solo una carta da gio­care in campo inter­na­zio­nale, ma per difen­dere i pro­pri inte­ressi e le pro­prie stra­te­gie. Altri­menti come si potrebbe spie­gare la chiu­sura del pas­sag­gio di Rafah da parte del pre­si­dente al Sisi? A che cosa por­terà que­sta logica che ignora i diritti dei palestinesi?

 

La comu­nità inter­na­zio­nale, i governi cosid­detti demo­cra­tici, i par­titi di sini­stra, i paci­fi­sti tutti sono respon­sa­bili di quanto sta avve­nendo. Se ora chiu­diamo gli occhi di fronte ai mas­sa­cri di Israele, ancora per i sensi di colpa rispetto all’Olocausto, la spi­rale della vio­lenza non si fer­merà mai. Sarà un vor­tice che con­ti­nuerà a travolgerci.

 

Che fare? Si deve man­dare una forza di inter­po­si­zione, se Israele non vuole si può schie­rare in ter­ri­to­rio – quel poco che è rima­sto – pale­sti­nese. Come è stato fatto in Libano. Se la comu­nità inter­na­zio­nale si assume le sue respon­sa­bi­lità è pos­si­bile. La cosa migliore sarebbe una inter­po­si­zione da parte dei corpi civili di pace, ma sic­come non sono ancora stati for­mati – spe­riamo lo siano pre­sto – va bene anche un corpo di poli­zia inter­na­zio­nale, pur­ché si metta fine a que­sto massacro.

Israeliani e palestinesi: necessità di “ricordare” il futuro

Israeliani e palestinesi obbediscono da decenni alla legge della vendetta, ma nell’attuale conflitto c’è qualcosa di diverso”, secondo David Grossman. “Sento che stiamo maturando. Con dolore e sofferenza, siamo costretti a crescere”

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                                                                                                                                                    di David Grossman

 

 

 

La situazione in cui sono intrappolati israeliani e palestinesi assomiglia sempre di più a una bolla ermetica, sigillata. In questa bolla, con gli anni, entrambe le parti hanno messo a punto giustificazioni convincenti e raffinate per qualunque azione da esse intrapresa. Israele può dire, a ragione, che nessun Paese al mondo rimarrebbe immobile di fronte agli incessanti attacchi di Hamas, o alla minaccia dei tunnel sotterranei. E Hamas, dal canto suo, giustifica gli attacchi contro lo Stato ebraico sostenendo che il suo popolo è ancora sotto occupazione e che i cittadini della Striscia di Gaza languono a causa del blocco imposto da Israele.
In una situazione situazione in cui i cittadini israeliani si aspettano che il loro governo faccia qualunque cosa perché nessun bambino rimanga vittima di un commando di Hamas che spunta da sottoterra nel mezzo di un centro abitato limitrofo alla Striscia, chi mai potrebbe discutere con loro? E cosa risponderemo alla gente bombardata di Gaza che sostiene che le gallerie e i razzi sono le ultime armi che ha a disposizione per contrastare una potenza come Israele? Dentro a questa bolla ermetica, crudele e disperata, ciascuna delle parti, ognuna dal suo punto di vista, ha ragione. Ciascuna obbedisce alla legge della bolla: quella della violenza e della guerra, della vendetta e dell’odio.
La domanda più importante che dovremmo porci ora, in piena guerra, non concerne gli orrori che si verificano ogni giorno. Dovrebbe piuttosto essere questa: com’è possibile che da oltre cento anni noi e i palestinesi soffochiamo insieme dentro questa bolla? Siccome non posso porre questa domanda ai rappresentanti di Hamas, e non ho la presunzione di capire il loro modo di pensare, la faccio ai dirigenti del mio paese, all’odierno primo ministro e ai suoi predecessori: come avete fatto a sprecare il tempo trascorso dall’ultimo conflitto senza intraprendere nessuna iniziativa di dialogo, senza tentare un approccio
con Hamas per cercare di cambiare l’esplosiva realtà tra noi? Perché Israele, negli ultimi anni, ha intenzionalmente evitato di avviare un negoziato con la parte più moderata e aperta al dialogo del popolo palestinese, anche solo per fare pressione su Hamas? Perché per dodici anni ha ignorato l’iniziativa della Lega Araba che avrebbe potuto coinvolgere Paesi arabi moderati e imporre forse un compromesso a Hamas? In altre parole, come mai, per decenni, i governi israeliani non sono stati in grado di pensare al di fuori della bolla?
Eppure, malgrado tutto, nell’attuale confronto tra Israele e Gaza c’è qualcosa di diverso. Al di là dei toni infiammati di alcuni politici che fomentano il fuoco della guerra e dietro alla grande messinscena di “unità” — in parte genuina, ma per lo più artefatta — della popolazione israeliana, accade qualcosa che riesce a incentrare l’attenzione di molti israeliani su un meccanismo alla base di tutta la “situazione”, un meccanismo di ripetitività sterile, letale.
Qualcosa, in questo ciclo di violenza, di vendetta e di contro-vendetta, rivela a molti israeliani un’immagine che finora avevamo rifiutato di riconoscere. Improvvisamente riusciamo a vedere con brutale chiarezza il ritratto di Israele: un Paese audace, con fantastiche capacità creative e di inventiva, che da più di cento anni gira intorno alla macina di un conflitto che avrebbe potuto essere risolto anni fa. Se rinunciassimo per un momento a considerare le ragioni e le motivazioni con le quali ci proteggiamo da sentimenti di compassione e di semplice umanità verso i moltissimi palestinesi le cui vite sono sconvolte da questa guerra, forse riusciremmo a vederli girare insieme a noi, all’infinito, intorno a questa macina, accecati e intorpiditi dalla disperazione.
Non so cosa pensino esattamente i palestinesi in questi giorni, che cosa pensi la gente di Gaza. Sento però che Israele sta maturando. Con dolore, con sofferenza, digrignando i denti, Israele cresce. O meglio, è costretto a crescere. Nonostante le dichiarazioni bellicose e i proclami infiammati di politici e di commentatori, al di là delle feroci invettive di energumeni della destra contro chi la pensa diversamente da loro, al di là di tutto questo, il flusso centrale dell’opinione pubblica israeliana sta acquistando lucidità.
La sinistra è più consapevole dell’intensità dell’odio verso Israele (che non deriva solo dall’occupazione), della minaccia dell’integralismo islamico e della fragilità di qualunque accordo verrà firmato. Molte più persone, a sinistra, capiscono oggi che i timori e le ansie degli esponenti della destra non sono soltanto paranoie ma scaturiscono da una concreta realtà. Spero che anche la destra riconosca — seppure con rabbia e frustrazione — i limiti della forza, il fatto che anche un Paese forte come il nostro non può agire unicamente secondo la propria volontà e che, nell’epoca in cui viviamo, non ci sono più vittorie inequivocabili. Ci sono soltanto “fotogrammi di vittoria” che lasciano il tempo che trovano e il cui negativo ci mostra che nelle guerre ci sono unicamente perdenti e non esiste una soluzione militare al reale malessere del popolo che abbiamo di fronte. E fintanto che il senso di soffocamento della gente di Gaza non si dissiperà nemmeno noi, in Israele, potremo respirare con agio, con entrambi i polmoni.
Noi israeliani lo sappiamo da decenni, e da decenni ci rifiutiamo di capirlo. Ma forse, questa volta, lo abbiamo capito un po’ di più, oppure, per un momento, abbiamo visto la nostra vita da una prospettiva un po’ diversa. È una comprensione dolorosa, e sicuramente minacciosa, ma potrebbe essere l’inizio di un cambiamento e indicare agli israeliani la necessità impellente, l’urgenza di raggiungere una pace con i palestinesi come piattaforma per un’intesa anche con gli altri Stati arabi. Potrebbe mostrare la pace — così disprezzata oggi — come l’opzione migliore e più sicura fra quelle a disposizione. Anche Hamas maturerà una comprensione del genere? Non posso saperlo. Ma la maggior parte del popolo palestinese, rappresentato da Mahmoud Abbas, ha già optato, in pratica, per l’abbandono del terrorismo e per il negoziato. E potrà il governo israeliano dopo i recenti, sanguinosi scontri e la perdita di tanti giovani a noi cari, esimersi dal tentare almeno questa strada? Continuare a ignorare Mahmoud Abbas come elemento essenziale per la soluzione del conflitto? Continuare a rinunciare alla possibilità di un accordo con i palestinesi in Cisgiordania che conduca a un graduale miglioramento dei rapporti con il milione e 800mila abitanti di Gaza?
In quanto a noi, in Israele, non appena la guerra sarà terminata, dovremo cominciare a creare un nuovo tipo di solidarietà che modifichi il quadro degli odierni, ristretti interessi settoriali. Una solidarietà fra coloro che sono consapevoli del pericolo mortale di continuare a girare la macina. Fra coloro che capiscono che le linee di confine oggigiorno non sono più tra arabi ed ebrei ma tra chi aspira a vivere in pace e chi invece si nutre, emotivamente e ideologicamente, di violenza e ne vuole il proseguimento. Sono convinto che in Israele ci sia ancora una massa critica di persone, di sinistra e di destra, religiosi e laici, ebrei e arabi, in grado di approvare, in maniera coerente e senza farsi illusioni, tre o quattro punti di un accordo per una soluzione del conflitto con i nostri vicini. Molti “ricordano ancora il futuro” (un ossimoro, una locuzione strana, ma azzeccata in questo contesto) che desiderano e che augurano a Israele e alla Palestina. C’è chi si rende conto (chissà per quanto tempo ancora) che, se ci faremo sopraffare dall’apatia, se lasceremo le cose in mano agli altri, ci sarà chi ci trascinerà tutti, con fermezza e impeto, nella prossima guerra e, strada facendo, attizzerà ogni possibile focolaio di scontro nella società israeliana. E noi tutti, israeliani e palestinesi, continueremo a girare con gli occhi bendati, a testa china, accomunati dalla disperazione e intorpiditi dalla stupidità, intorno alla macina del conflitto che frantuma e polverizza le nostre vite, le nostre speranze e la nostra umanità.