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E pensare che……..

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di Piero Murineddu

E pensare che qualche ministruncolo, in questi tristi e reazionari tempi, vorrebbe impedire ai poveri immigrati ambulanti di cercare di vendere la loro solita mercanzia in spiaggia e addirittura multarli.

E pensare che a me non danno fastidio, come a molti altri.

E pensare che la loro presenza “colora” piacevolmente la spiaggia.

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E pensare che ti danno l’opportunità d’imparare a contrattare sul prezzo, ma così, quasi per gioco, finendo col dargli un euro in più del prezzo chiesto inizialmente.

E pensare che la loro presenza ti aiuta a superare la mezza sonnolenza mattutina, cercando di contare quante decine di cappelli da smerciare riescono a tenere su un’unica testa, la loro.

E pensare che alla fine, mi fanno venire talmente il buon umore, che decido di farmi coraggio, gonfiarmi il petto, raddrizzare la schiena, prendermi la rincorsina e finalmente fare il primo bagno della stagione. Si, lo so, l’estate sta andando da un bel pezzo, ma io sono sempre quello dell’ultimo momento. E che volete farci….così mi ha fatto mammà e a me va più che bene.

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Restiamo umani, santiddio…

 

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Quanto scritto su, pubblicandolo anche su FB, sulla pagina che gestisco “Banca della Memoria di Sorso e Sennori” a cui possono accedere anche gente che non mi son scelto come amica, un “simpatico” lettore, sulla falsariga del modo in cui ho fatto alcune considerazioni riguardo alla vendita ambulante nelle spiagge, che a mio parere assolutamente non subiamo, ha ironizzato sul fatto che “loro” sono abusivi, non pagano le tasse, mentre lui invece ecc ecc. Tutto giusto, se l’osservazione non sottintendesse la diffusa insofferenza ( quando non aperto rifiuto) verso i migranti, non considerando che nella maggior parte sono persone che vorrebbero condurre una vita dignitosa con un lavoro regolare ma che si vedono costretti a sfiancarsi di fatica per guadagnare qualche soldo. E questa sarebbe far concorrenza ai commercianti “regolari”? Ma dai, per favore…..

In ogni caso ho ritenuto opportuno non dare visibilità a questo “simpatico” commentatore, cancellandolo da questo spazio che, fino a prova contraria gestisco io e nessuno è obbligato a frequentare. Chi vuole esprimere la sua opinione, lo faccia liberamente nella pagina che FB gli mette a disposizione, ma non abusando degli spazi altrui. Se poi questo signore, che tra l’altro non credo di conoscere, vuole discutere privatamente della questione, mi faccia sapere e sono disponibilissimo a parlarne a quattr’occhi.

Chiudo e passo ad altro.

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Al rientro dal mare, mi fermo in quell’ospitale minimarket proprio di fronte a “Porchile”, sulla litoranea per Castelsardo, per comprare un quotidiano e sbirciarlo sorbendo con tutta tranquillità una bibita seduto sotto l’ombra di un pino. Un angoletto semplice e rilassante, fornito di attrezzatura per far divertire i bimbi. A parte che nel negozio vi trovi un po’ di tutto, ma il fatto che chi gestisce pensa a questi piccoli accorgimenti, è sicuramente un valore aggiunto. Una “furbizia” per attirare maggiori clienti? È possibile. Ma io dico: usatela pure questa piccola furbizia, se serve ad accogliere nel migliore dei modi possibile le persone, dato più che vi farà entrare qualche soldino in più in cassa.

Comunque, la bibita era fresca al punto giusto. È stata purtroppo la notizia della morte dei due medici avvenuta in mare che mi è dispiaciuta, uno dei quali conoscevo come ottima persona e professionista, colpito tempo fa da un grave lutto che gli ha portato via la giovanissima figlia appena tredicenne, che seppur nella sua tenera età, ha dato grande esempio di generosità e di benevolenza verso qualunque prossimo che incontrava nelle sue giornate. Condoglianze alle rispettive famiglie.

In margine al “Come eravamo” di Leo Spanu

Piccola premessa

di Piero Murineddu

Il nostro Leo, giovanotto settantenne (forzatamente) sussincu, continua nel suo blog la rivisitazione degli ultimi decenni, mettendone in rilievo gli eventi che li hanno caratterizzati.

Come presentazione, ho scelto la foto e la didascalia che l’accompagna, riguardo l’uso della bicicletta. Nello specifico del 1973 era quasi imposto per la questione legata al divieto di usare i veicoli a motore in certi giorni.

Tuttavia a me da’ lo spunto per fare alcune considerazioni sul perché, per esempio a Sorso, in un certo qual modo ci si vergogni quasi di far uso della due ruote, anche se ultimamente ho notato qualcuno che ha pensato bene di comprarsene una col motorino elettrico e li vedo felicemente sfrecciare con tutta tranquillità anche nelle salitine e salitone.

Allora, ci si vergogna o no di gironzolare in bici a Sossu o cos’altro è che ci blocca e ci porta, ogni volta che usciamo di casa, ad accendere il motore dell’auto e via, anche se dobbiamo fare solo qualche centinaio o addirittura decina di metri? Non c’è la mentalità? Il troppo traffico automibilistico lo sconsiglia? La conformazione delle strade non lo incoraggia? Oppure temiamo semplicemente di essere considerati stravaganti? mmmmmmmm….. mi sa che il motivo ruoti molto intorno a quest’ultima possibilità.

Il giudizio degli altri. Siamo sempre lì. Ci rinchiudiamo noi stessi dentro la gabbia del ” cosa potrebbero pensare gli altri” e lanciamo lontano la chiave. Meglio non attirare in nessun modo l’attenzione. Più comodo uniformarci e tirare a campare.

Eppure, per tornare al punto dell’uso della due ruote, rimaniamo ammirati quando, visitando qualche città del “continente”, vediamo le vecchiette pedalare tranquillamente con la busta della spesa ben assicurata nel cestello.
Boh. Finisco qui e dò spazio a Leo, il baffuto e occhialuto sussincu di nascita ma da sempre altrove con la testa.

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Novembre 1973. Misure di austerità per contenere i consumi di petrolio: tra i tanti divieti anche quello di circolazione per automobili e moto nei giorni festivi. Tutti a piedi o in bicicletta.

http://leospanu.blogspot.com/2018/08/come-eravamo-1970-1979.html

L'immagine può contenere: una o più persone, persone in bici, bicicletta e spazio all'aperto

“Giorni d’agosto” ma non solo

 

di Giulio M.Manghina

Tra una foto e l’altra è cambiato il mondo, inteso come Pianeta.

Al tempo della prima foto in Italia c’erano 50/M di abitanti, oggi ce ne sono più di 60/M e quello scorcio di sabbia è rimasto sempre lo stesso, anzi sì è un po’ ridotto.

Nel primo spazio si stava tranquilli, nel secondo è uno stress – ma cos’è lo stress in confronto a un selfie da pubblicare su FB o su Instagram, in una vita vissuta per i like?

“Nulla teme più l’uomo che essere toccato dall’ignoto”, scriveva Elias Canetti nell’incipit del suo “Massa e Potere”, e chi può dire di conoscere qualcuno in una massa fitta, disarticolata e disomogenea come quella che occupa un piccolo lembo di terra lambito da un mare che ha ormai perso il suo colore turchese primigenio?

E’ così che nasce la paura, la diffidenza, l’astio, il rancore di chi sente l’altro – bianco o nero che sia – come un invasore di un territorio che ritiene proprio, ma che è un territorio di tutti, di tutta l’umanità, come il Pianeta.

E nelle spiagge pollaio di oggi è lo stesso che in un treno sovraffollato, dove c’è sempre qualcuno che sclera contro un altro che sente estraneo, ma che in fondo è uguale, ma proprio uguale, uguale a lui.

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UNA RIFLESSIONE

di Piero Murineddu

Alle considerazioni fatte da Giulio nella sua pagina ho di getto commentato che ero d’accordissimo. Qui voglio prendermi più tempo per aggiungere una mia riflessione.

Dico subito che a me la spiaggia in sé non attira granché, se poi è sovraffollata, considerando la variatissima e diversissima umanità costretta a trascorrere ore e ore a stretto contatto, solo il pensiero mi fa correre il più lontano possibile.

Eppure, eppure….

Eppure è possibile considerare la cosa da un altro punto di vista, e posso dire che l’esperienza l’ho fatta.

Secondo me dipende molto da come ti senti dentro, che poi è la stessa cosa di quanto succede normalmente nel vivere quotidiano, e in questi tempi anche per quanto riguarda il rapporto con la “diversità” rappresentata da un’immigrato.

Il mio vicino di spiaggia, seppur sconosciuto, DEVO considerarlo una persona tutto sommato uguale a me, con le stesse esigenze, gli stessi diritti e doveri e, nello specifico, col desiderio di trascorrere uno spazio della sua giornata piacevolmente al mare. Ho detto prima che dipende da come ci si sente dentro. Se io non mi ritengo l’unico in diritto di….., allora faccio attenzione al diritto del mio vicino e sopratutto al rispetto; se invece mi sento “padrone” ed egoisticamente in diritto di…., allora sorgono i conflitti, dimostrando principalmente a me stesso di essere un emerito imbecille che non ha capito come si vive in mezzo alla gente.

L’ho fatta troppo facile? Forse, ma intanto con qualsiasi mio “vicino” occasionale io cerco di essere il più cordiale e rispettoso possibile, e solitamente ciò che accade dopo è conseguente a questo atteggiamento. Se poi l’interlocutore ( vicino d’ombrellone, vicino di fila alla cassa del negozio, in autobus, in piazza, al bar…..) è un coglione, ne piange le conseguenze principalmente lui, sia consapevole o non lo sia, e non certamente perché lo prendo a cazzotti, che non sarei neanche capace di farlo.In ogni caso, io rimango quello che sono.

“Sono volontaria. Chiamami….”

di Piero Murineddu

E’ trascorsa poco più di una settimana dalla dipartita della cara Gavina, conosciuta dai più semplicemente come “signora Gavì”. Erano diversi mesi allettata, con possibilità di ripresa praticamente ridotta a zero. Bene ha detto la figlia minore, Claudia,riferendosi a chi in questo lungo e penoso periodo di agonia cercava di consolarla affermando che era arrivato il suo momento. Volitiva com’è sempre stata la mamma, sembra quasi che il momento di lasciare questa terra l’abbia deciso lei, chiedendo al Padre Misericordioso di permetterle di raggiungere il marito Petronio proprio il giorno del compleanno di quest’ultimo, il 28 luglio. Così è stato, e tutti siamo contenti per la grande festa che i due hanno sicuramente fatto riincontrandosi dopo sette anni.

Durante la cerimonia liturgica di commiato, celebrata nella chiesa dei frati cappucini, vi è stato inevitabilmente un filo di tristezza dovuta al distacco fisico, ma l’atmosfera non era “funebre” e cupa come solitamente la vediamo e l’intendiamo. Le parole di padre Fabio, l’atteggiamento dei presenti, la serenità dei familiari,  i nostri canti ….. Tutto ha contribuito ad infondere in ciascuno un senso di speranza per una nuova vita che stava prendendo avvio, liberata (finalmente) dalle sofferenze e dai tanti limiti che comporta la conduzione di questa esistenza che ci è stata donata attraverso l’amore dei nostri genitori.

Al termine, con comprensibile timore di dover parlare davanti ad un pubblico, la nostra Anna Demuro, ex insegnante ed artista a tutto tondo, originaria di Calangianus ma residente a Sorso da moltissimo tempo, che negli ultimi tempi, con la sua costante e discreta presenza, ha sostenuto gli stretti familiari della grande “signora Gavì” che si apprestava a lasciare questa terra, ha pronunciato le parole che seguono, a nome di tutti, presenti e assenti…….

 

IMG-20180804-WA0005Nella foto, al centro si riconosce Gavina con la divisa dell’Avis, indossata per tre decenni circa a servizio dei più bisognosi

“Sono volontaria. Chiamami….”

 

di Anna Demuro

Gavina Demurtas è una di quelle donne che hanno sfondato il muro del silenzio di una società che voleva le donne solo casalinghe

e come un’aquila ha mostrato gli artigli a chi voleva impedirle di fare una scelta diversa.

Non era figlia unica di genitori benestanti. Il suo pasto quotidiano era pane duro senza companatico e solo l’acqua,

gonfiandolo, poteva rispondere, almeno in parte alla pressante richiesta dello stomaco vuoto.

Gavina ha combattuto come una guerriera contro vita e costumi di una società che doveva cambiare.

Ha incollato al muro il pane duro rammollito nell’acqua ed è corsa a cercarsi un lavoro, riscattando così se stessa e i fratelli.

Non ha mai dimenticato il suo prossimo che da questa condizione non riesce a difendersi.

Chi conosce la povertà inevitabilmente è portato a fare altri incontri e lei ha visto soffrire, oltre la fame, il disagio del freddo,

della mancanza di abiti idonei, di scarpe, di coperte.

Di tutto doveva farsi carico lei. E c’era il disabile che aveva bisogno di stampelle, carrozzine e sanitari vari

e il malato allettato che mancava di adeguata assistenza. Lei c’era sempre.

Col servizio del soccorso ambulanza, durato circa trent’anni, Gavina ha salvato tante vite. Le sue parole erano:

” sono volontaria, chiamami…..

E per volontà e amore era ovunque presente.

Nel giorno delle sue esequie Sorso la ringrazia cosi:

Gavina cara,

oggi tutta la comunità di Sorso si stringe intorno a te per, per celebrare la tua bontà e l’abnegazione,

la condivisione del dolore e della sofferenza, della disabilità, della malattia e della povertà.

Le tue erano attenzioni speciali, che offrirvi insieme al tuo tempo, senza contare le ore, anche quando il tuo corpo ti chiedeva una tregua per

farcela ancora. Sei stata preziosa per tutti e lo resterai nella nostra memoria. Hai dato esempio di solidarietà vera, quella che si tocca con

mano, che accarezza col gesto e con gli occhi, sorride, conforta, solleva lo spirito ed entra nell’anima.

L’amore che tu davi non era una patina senza spessore, una vetrina dove tanti si specchiano passando per strada.

No! Il tuo amore era e resta quello vero, profondo, evangelico, al quale tutti dovremmo guardare.

Ti sei trascinata per le vie di Sorso seguendo le richieste di aiuto, anche quando le gambe non volevano più saperne di leggerti ancora.

Hai dato tutto di te, anche i muscoli e il sangue. Chi ha potuto vedere sa che, per il tuo prossimo hai offerto tutta te stessa,

fino a lasciare sul letto di morte l’immagine di Gesù crocifisso.

Tutta Sorso ti ringrazia e ti abbraccia, e alla tua memoria sia dedicata una stele che esalti di te tutto quello che sei.

Ai figli un abbraccio forte, forte, forte per una mamma così grande.

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CALICIDIBIRRA&INCIVILTÀ

di Piero Murineddu

Ma si, bevazzate pure quanto volete, a scopo ricreativo e lasciando possibilmente da parte il termine “culturale”, ma perché costringere gli operatori ecologici, degni del nostro massimo rispetto, a ramazzare l’indomani mattina presto oltre misura (e oltre ogni decenza per i maleducati) per permettere ai festaioli delle “birrette di stelle” di trovare tutto ben lindo e pulito quando appena alzati, verso mezzogiorno e mezza, faranno la loro ulteriore tappa al bar per iniziare di buon umore la nuova giornata?

E se i contenitori non bastassero, chi organizza un evento che si ripete da anni, dovrebbe provvedere a mettere sufficienti contenitori, anche se il malvezzo istintivo di buttare rifiuti per terra temo continuerebbe ugualmente.

Fico d’India lassativo!? mmmmmmmmm……

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di Piero Murineddu

Oggi son veramente contento di aver speso un euro e trenta per comprare La Nuova, non fosse altro perché mi ha fatto leggere un bell’articolo su Spartaco, che ha messo da parte il diploma di geometra per dedicarsi alla terra e alla sua coltivazione.

Ormai sono così tanti i terreni agricoli abbandonati, che quando si viene a sapere che un giovanotto punta alla sua sussistenza su ciò che possono produrre, sinceramente mi fa un immenso piacere.

“È bello lavorare la terra”, dice Spartaco. Non faticoso come per i nostri nonni, ma la fatica c’è ugualmente. Macchinari moderni, innaffiature automatiche e programmabiili….Ma la fatica rimane, e in un epoca in cui si continua ad imprecare contro chi ha inventato il lavoro, nonostante la sua necessità, per vivere, piace l’intenzione di tornare alla terra.

Spartaco è riuscito ad ottenere un fico d’india, un figu morisca, senza spine. O meglio, qualche spinettina te la puoi sempre ritrovare, ma molto meno del solito frutto che conosciamo. In più, meno semi e più polposo.

Ma, ricordate quando le piante di questo gustosissimo frutto si trovavano pressoché in tutte le cunette, a far da siepi o a separare la tua proprietà da quell’altra del vicino antipatico?

Col tempo sono diminuite di molto, e se oggi ti addentri in proprietà altrui a fartene una mangiatina o a portarne un secchiello a tua moglie, rischi di prenderti pallettoni nel culottone.

Io, quando mi salta la voglia e la moglie me ne richiede qualcuno, vado ugualmente, facendo attenzione a non massacrare le piante, come spesso mi capita di vedere. A volte vedo in vendita, ma sinceramente mi sembra un sacrilegio doverli comprare.

E dopo, colti dalla pianta hanno un gusto tutto particolare, senza contare la bella sensazione di ….rubare. “Rubare” si fa per dire. Dieci, trenta, sessanta, novanta fichi d’India….non è rubare, dai. Furà forse, ma rubare proprio no.

Ma vi ricordate quando predisponavamo la canna, aperta e allargata all’estremità per riuscire a pizziccare quella lassù che col cavolo ci si arrivava con le semplici mani?

Che senso dell’avventura! E poi, i giorni seguenti impegnati a togliere le spine che si erano insinuate in ogni parte del corpo… Ma come cavolo facevano? Boh, non l’ho mai capito non l’ho.

Ma adesso c’è Spartaco che ci evita questo “nostalgico” rischio. Non mi convince questa storia che su figu morisca sarebbe lassativo. Se ne mangi tre o quattro, forse. Ma prova ad andare oltre.

Ma comunque, bravissimo Spartaco. E voi giovanotti e signorinette, fate un pensierino alla possibilità di dedicarvi alla coltivazione della terra. Probabilmente non vi arricchirete, ma vuoi mettere l’aria sana, la giusta quantità di sudore che elimina anche le tossine, una giusta fatica e un buon umore che lavorando in ufficio non lo vedi manco con binoccoli super potenti?

Guardate. Io ho un pezzetto di terreno che la salute non mi permette di coltivare. Se qualcuno, certificato “nonrompicoglioni” e rispettoso dei patti,è disposto a mettere su un orticello, mi contatti. Non gli faccio pagare nulla. Seriamente parlo!

Toppe ingiustizie

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Dico la verità. Da quando Brigaglia è venuto a mancare, mi è passata la voglia di mandare qualche lettera a La Nuova. Mi fa comunque piacere leggere il pensiero di un abitué di questa rubrica aperta ai lettori, qual’è Francesco Manai di Bonorva, col quale sono spesso in sintonia con quanto scrive. Bisogna che mi decida ad andare a conoscerlo di persona. (pimu)

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di Piero Murineddu 

Ho davanti la pag 9 su La Nuova Sardegna di oggi. Completamente dedicata a tre episodi riguardanti immigrati. Una sparatoria a Napoli contro un giovane 22enne senegalese in alto. Un’altra sparatoria a Pistoia contro un giovane del Gambia 23enne. Al centro l’episodio del tentativo di aggressione subita da una ragazza italiana (e bianca! Anche perché italiane ce ne sono di tante variazioni di pelle colorata….) da parte di un nigeriano di 31 anni. Pronta nei riflessi, gli ha spruzzato in faccia uno spray al peperoncino, riuscendo a scappare e facendo arrestare il vigliaccotto da prendere a schiaffotti.

Su quale episodio interviene il padan ministro col suo virgolettato? Non è difficile come domanda. Dai che ci arrivate…..
Misero i…….e, da prendere non solo a schiaffoni !

“Umbebèllo…”

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di Piero Murineddu

Veramente impegnativo per me riassumere la seconda metà della giornata di ieri. Ci provo ugualmente, perché l’insieme dei sentimenti è talmente ricco e vario che voglio che mi rimangano. Sentimenti positivi in prevalenza, iniziando però da uno talmente negativo che più incazzante non potrebbe essere.

Giornata caldissima. Finito il lavoro, assicuro nello stomaco un pasto fresco e frugale, mi rinfresco, un po’ di deodorante nelle ascelle per non ammazzare eventualmente qualcuno che osa avvicinarsi troppo e viiiiia, a prendere il treno per recarmi a Sassari per una visita medica, una delle tante che mi necessitano a tenere per quanto é possibile efficiente questo corpo che sta invecchiando.

Piacevolissima chiacchierata con Gavino, col quale concordiamo che la passione per la musica aiuta a vivere meglio ma soldi in tasca spesso non ne porta.

Arrivato all’appuntamento, un’infermiera con sembianze umane mi dice che il medico non c’è e che “pace” (!) se nessuno si è premunito di avvisarmi. Il proseguo lo salto per evitarmi parolacce. Dico alla per niente gentile “signora” infermiera che raramente mi è capitato d’incontrare persone glaciali come lei. La saluto si, ma solo per educazione, quella che non ha dimostrato costei.

La rabbia e il caldo opprimente hanno trovato conforto e sollievo nel negozietto in zona ospedale della carissima Luisella, mia compaesana e amica. Mi disseta e mi aiuta a rasserenarmi, con buonissimi dolcetti e specialmente con un rilassante scambio di opinione sui nostri rispettivi figli che stanno crescendo.

Il caffè sorbito lentamente seduto in una fresca panchina ombreggiata, mi fa dimenticare quasi completamente la pubblica dipendente che dicevo prima, più adatta a lavar le scale che aver a che fare con delle persone.

Non passa molto tempo che arrivano i miei compagni del viaggio che ci accingiamo a fare alla volta di un paesino, carinissimo ma per niente vicino: San Vero Milis, nell’oristanese.

Al solito, la guida dell’amico Giuseppe è sicura e il conversare aiuta il trascorrere del tempo.

Durante il tragitto, ad un certo punto il traffico automobilistico si rallenta e non ne capiamo il motivo. Lo scopriamo un quarto d’ora dopo, quando vediamo persone liberare la carreggiata dalla….grandine. Eia, grandine in un giornata tra le più calde di questa estate.

Giunti in paese, ci rechiamo subito nel punto stalilito per partecipare all’evento che ci ha spinti a metterci in viaggio, cioè una conferenza del teologo e docente universitario Vito Mancuso. Se non lo conosci, ti consiglio di procurarti uno dei suoi tanti libri. Probabilmente ti aiuterà ad acquisire una visione più “unificante” del vivere, e se vuoi un consiglio, non dare retta a certi, tra i quali molti preti, che lo considerano fuorviante nei confronti della “giusta” dottrina. Imbecillaggini e questi si fuorviaggini. Se una persona ti aiuta a prendere consapevolezza maggiore della vita che porti avanti, credente o meno, vai tranquillo e di tanto in tanto pure in libreria.

Il luogo è splendido. Un’antica chiesetta adibita a museo sulla quale si affaccia un rilassante e fiorito cortile. Condizioni ottimali per predisporti ad ascoltare un tema intrigante, cioé “rivoluzione”, ma quella interiore.

L’atmosfera dell’attesa è distesa e gradevole. Persone che arrivano alla spicciolata, occupando il posto a sedere e con l’espressione del viso che mostra la contentezza di trovarsi lì.

Mentre mia moglie Giovanna e l’ amico Giuseppe prendono posto in prima fila, le nostre rispettive figlie Marta e Giovanna si fanno la loro passeggiatina nei dintorni.

Nel mio giracchiare a mani in tasca, non ho difficoltà a scambiare qualche parola con uno degli organizzatori dell’evento, Giulio, che mi spiega che l’invito a Vito è all’interno del Dromos Festival, per iniziativa dell’associazione Muvi Art. Il concerto sul tardi in un paese vicino del musicista Vinicio Capossela è compreso nel programma, ma l’ orario non ci consente di rimanere.

Ad un certo punto, discretamente e fermo a braccia incrociate, mi trovo davanti il relatore, che abbraccio affettuosamente e scherzando gli raccomando di non parlare troppo in difficile. Il suo sorriso contenuto e vagamente timido, che chi lo ha incontrato conosce bene, mi dimostra che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Va bene che dopo, nell’ascoltarlo, mi rendo conto che per capirne il linguaggio è necessaria la giusta attenzione, ma d’altronde sempre di un filosofo si tratta, e la materia trattata non è proprio terra terra. Anzi, comprende l’universo intero, in continuo movimento com’è il respirare spontaneo che ci permette di vivere momento dopo momento.

Per non rischiare di perdermi qualche passaggio non direttamente comprensibile, avvio la registrazione audio da subito e nei prossimi giorni troverò i momenti adatti  per ritornarci.

L’esposizione del relatore è introdotta da Alessandro, ottimo attore, che, sotto forma di recitazione, ripercorre uno stralcio di un libro di Mancuso, facendolo egregiamente.

Alcuni interventi finali da parte del pubblico, specialmente di Alfredo, veneto che ha deciso da oltre un decennio di venire in zona per vivere in campagna, concludono la bella serata. Per me in particolare, un bicchierino di gustosa vernaccia è la classica ciliegina finale.

“Finale” si fa per dire, perché, ancora in paese e cercando una pizzettina al taglio, c’imbattiamo in Alessandro numero due, giovane trentenne di Cabras, a cui chiediamo dove trovare la mangiozia.

“Tranquilli, siete proprio nel posto giusto….”. Ed effettivamente la pizzetta consumata con una panchina come tavolo, era buonissima, e la compagnia di questo giovanotto spigliatissimo e simpaticissimo mi ha fatto scompisciare dalle risate. Praticamente un altro Alessandro attore naturale. Quando ha sentito e ripetuto più volte a maniera sua la tipica frase giovanile sassarese “umbebèllo”, il mio ridere scomposto ha fatto affacciare alle finestre mezzo vicinato. Un giovane che da’ primaria importanza ai rapporti umani. Praticamente, pur non essendo presente e non essendo neanche a conoscenza della conferenza, ci ha sintetizzato senza volerlo quanto da noi ascoltato poco prima da Mancuso, teologo, filosofo, biblista, docente e prete per uno o due mesi, formatosi alla “scuola” di Carlo Maria Martini, compianto ed eccelso cardinale.

Il tragitto del ritorno è stato allietato dal nostro cantare a voci molto ma moooooolto “dispari”. Sull’intero repertorio percorso, credo che “Garibaldi fu ferito…gherebelde fe ferete….goroboldo fo foroto………” abbia prevalso su tutto il resto

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La “cutura” del bere

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di Piero Murineddu

TRA CALICI DI STELLE E CANTINE ACCOGLIENTI, CONTINUA IMPERTERRITA L’INCENTIVAZIONE AL CONSUMO DI ALCOLICI. SENZA CONTARE I CONTINUI RIFORNIMENTI DI CASSE DI BIRRA NEGLI INFINITI BAR AD OGNI ANGOLO.


MA SIiiiii ! L’IMPORTANTE È STARE ALLEGRI E SU DI MORALE…..
Aver la “libertà” di riflettere non è mai troppa. Sopratutto avere la padronanza del proprio pensare non è mai troppa. La “cultura” del bere facile si è talmente sparsa, da divenire fenomeno preoccupante. Per tutti, ma specialmente per le giovani generazioni, e questo lo sappiamo benissimo. Nei più, ogni momento è caratterizzato dal consumo di alcol e spesso, se non sei spinto dall’effetto del che da’, non si è in grado neanche di relazionarsi col prossimo. Quello che mi stragira è la “normale” sponsorizzazione dell’Ente pubblico, con l’ipocrita motivazione di voler fare “cultura” attraverso essa. È conosciuto l’alto e il dannosissimo consumo di alcol che c’è in paese, e quelli che presumono di bere “moderatamente” sono illusoriamente pochi. Gli alcolisti patologici sono molti, consapevoli o meno. Per come la si vuol girare, il consumo di bevande alcoliche produce gravi danni all’organismo, spesso irreversibili.

La propaganda attraverso i media continua, cosa grave che non accetto. So che l’abuso di alcol è molto diffuso, e il semplice uso è preso troppo alla leggera. So i danni che tale sostanza provoca all’organismo, con conseguenze gravi che gravano pesantemente all’individuo e alla collettività. So che in tutte le occasioni dello stare insieme è la presenza più gradita. So che, quasi automaticamente, una “innocente” birrettina ne tira un’altra, idem col vinellino ecc. L’alcolismo, diagnosticato o meno è diffusissimo. Capisco l’aspetto promozionale di queste sagre, ma un limite bisogna porlo. A Sorso in particolare, paese del nord Sardegna dove vivo e amministrata da dieci anni da una coalizine di centro destra e con una opposizione del tutto ininfluente,  la “cultura” si esaurisce prevalentemente nello sponsorizzare questi “eventi”. Sarei curioso, a fine serata, di conoscere il tasso alcolico nel sangue dei partecipanti, forze dell’ordine comprese, naturalmente non in servizio ma che quando sono nei posti di blocco, usano giustamente molta severità…..