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Gavina. Di cognome Demurtas. “Signora Gavì”, insomma……

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di Piero Murineddu

Il forte carattere e le grandi energie fisiche che l’hanno portata nella vita ad un continuo e generoso attivismo, non hanno evitato alla moglie dell’indimenticabile Petronio Pani, Gavina,  di sottrarsi quest’oggi all’Inevitabile Momento.

Tristezza per la separazione in tutti, specialmente nei quattro figlioloni che ha cresciuto egregiamente, nei rispettivi coniugi e negli affezionatissimi nipoti, ma con la certezza che ora  si è ritrovata in un abbraccio che non avrà mai fine col suo amato, e per noi indimenticabile, Petronio, ancor prima forse che col Padre Misericordioso.

 

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Gennaio 2011. Erano diversi giorni che Petronio si trovava in sala di rianimazione e anche se il lumicino di speranza che potesse riprendersi continuava comprensibilmente ad essere acceso in Gavina e nei figli Mauro, Guido, Nietta e Claudia, erano tuttavia preparati, intuendo che questa volta il marito e il padre non ce l’avrebbe fatta.

Il dolore per la sua perdita è stato grande, ma nel contempo erano sollevati dall’idea che dopo tanto tempo, per lui erano finite le sofferenze.

Dopo qualche giorno dalle esequie, ero andato a trovare la mia e nostra carissima Gavina.

Al suono del campanello, come sempre era seguito l’abbaiare dei cagnetti che in quella bella casa di via Donizetti hanno sempre trovato buona ospitalità.

“Piè, tu sei…..vieni, vieni su. E tu stai zitto e vattene a cuccia….zitto….a cuccia, su…”.

Nonostante il tono imperioso, il cane continuava ad abbaiare e, ancora peggio, a ringhiarmi, cosa che non mi lasciava affatto tranquillo.

Una volta raggiunto il salottino e capito che non ero un potenziale nemico, finalmente smette e va finalmente ad accucciarsi davanti alla stufa, quella bellissima stufa che era veramente un piacere starci davanti. Altri angoli del salottino – sala da pranzo erano occupati da un altro cane e da forse due gatti, sonnacchiosi e completamente indifferenti a quello che avveniva intorno a loro.

Sempre amante degli animali Gavina, e sempre premurosissima nei loro confronti.

“A te lo faccio il caffè?”

 “E fozziammìru, dai….”

“E allora? Cosa mi dici, Piè….. Dimmi qualcosa tu perché io sono senza parole…”

Cosa dire ad una donna che ha perso il suo uomo dopo una vita che stavano insieme? Il rischio di far uscire di bocca le solite baggianate consolatorie c’è sempre, ma con Gavina questo problema non c’è stato e non poteva esserci, anche grazie al rapporto confidenziale che man mano si era costruito le volte che andavo a trovare il marito ormai infermo, ma sempre pieno di progetti per un futuro che sapeva benissimo che per lui non ci sarebbe più stato, almeno su questa terra.

Ohia, Gavì….. certo che Petronio mancherà molto anche a me. Descrivere ciò che provavo e ricevevo nei momenti in cui stavamo insieme è quasi impossibile. Ma comunque, e cerchi di capirmi, io penso che forse Petronio ha futtiddu a tutti. Adesso a lui gli si è svelato tutto il Mistero di questa vita, il suo significato, la sua finalità, mentre noi continuiamo a stare qui a porci mille domande, “trabbanendizi lu zeibbeddhu”….come saremo, cosa faremo, se ci rincontreremo, se ci riconosceremo, se saremo giudicati………Gavì, a lo sa cosa le dico? Io mi fido di quello che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo, che la vita ha un significato e che, stringi stringi, dobbiamo sforzarci di volerci bene per costruire già su questa terra una pace che sicuramente non avrà mai fine. Se poi ci scanniamo a vicenda, le conseguenze le vediamo da subito ed è peggio per noi e per tutti. Petronio è stato sempre un uomo estremamente pacifico e disponibile verso tutti, e ha lasciato semi di vero amore lungo la sua vita. Come ogni seme che produce una pianta con dei frutti, invecchia e poi muore. Almeno apparentemente “muore”, perché in realtà si trasforma, generando vita nuova. E così credo che sia per noi. Sarebbe innaturale che ci dissolvessimo nel nulla….”

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Gavina, carissima e unica Gavina!

Quante conversazioni davanti a quella piacevolissima stufa con lei che non smetteva di sferrucchiare a uncinetto, creando i suoi bellissimi lavoretti.

Oltre che di Petronio, riferimento ricorrente, si parlava di noi, della mia e specialmente della sua vita;

degli anni trascorsi in Africa e del rientro avventuroso in Italia;

del lavoro nell’ufficio postale e dei suoi modi che apparivano a volte bruschi ma che erano solo segno della sua precisione e della sua meticolosità;

delle innumerevoli sigarette andate in fumo;

di quella cornacchia che si aveva costruito il nido nel cortile di casa e a cui lei faceva trovare qualcosa da mangiare;

della grande pena per il cane morto di tumore;

delle tante attività portate avanti dal marito e a cui lei non faceva mai mancare il sostegno, seppur a volte “murrugnendi”;

dell’amore e dell’impegno per tirar su i figli e le figlie;

del suo ultradecennale lavoro di volontariato con l’AVIS e dei tantissimi fatti a questa attività legati;

della fatica piena di passione nel portar avanti questo servizio e del dispiacere di non esserci un ricambio generazionale. Quante volte mi ha chiesto “Piè, lo vuoi fare il presidente?” ed io puntualmente “Gavì, vorrei, ma le condizioni di salute non mi permettono di prendermi un impegno fisso”.

Mi riempiva di tenerezza vedere di tanto in tanto questa donna in età avanzata con la divisa, indaffarata a fare pratiche d’invalidità, portare a domicilio stampelle e carrozzine, accompagnare in ambulanza qualcuno per visite specialistiche. Non si faceva scrupolo a chiedere per chi aveva bisogno.

Parlavamo anche del continuo andirivieni di ragazzi che c’è sempre stato nella sua casa, dove lo spazioso sottopiano era diventato un luogo che ospitava diversissime e numerose attività, con pentole e pentole di frittelle, allegri schiamazzi giovanili, scuola di musica e di non so cos’altro, ma sopratutto scuola di vita.

Quanti ragazzi e ragazze hanno aiutato a crescere Gavina e Petronio, oltre i propri figli, sempre coinvolti nel movimento continuo della famiglia allargata, molto allargata.

E Gavina e Petronio a loro volta sono cresciuti, in umanità specialmente, nel contatto con queste centinaia di giovani, sussinchi o di altrove che fossero.

 

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Quando capitava di farle sapere che a qualcuno serviva qualcosa, specialmente da vestire o anche da mangiare, lei non si tirava mai indietro:

Me figliò, chissu chi Gavina ti pò da’, ti lu dazzi cun tuttu lu cori….”.

La sua mente, e il suo cuore sopratutto, erano entrati in quel circuito di sostegno per il prossimo, cosa per lei del tutto normale e persino doveroso, acquisito in anni e anni d’impegno a servizio della vita collettiva, per lei realmente considerata comunità, con tutte le relazioni di vera vicinanza che aveva costruito, il più delle volte affiancando il suo amato Petronio.

 

Stamattina, poco prima delle sei, il messaggio di Claudia, sua figlia:

“Mamma se n’è andata !”

Dopo un ricovero di qualche mese fa, Gavina non si era più ripresa e niente faceva sperare che sarebbe tornata come prima. I carissimi figli l’hanno accudita in tutto, notte e giorno.

A malapena era riuscita a dirmi “ciao” quando sono andato a trovarla, un ciao che era più di una lunga conversazione, come quelle che eravamo abituati a fare seduti comodamente nel suo salottino

Ciao, carissima amica. Prima o poi ci si rivede. E non stare come al solito sempre indaffarata. Riposati un po’ di tanto in tanto.

Avrei tante cose da raccontare di te.Tranquilla, belle cose. E come me, tanti altri che hanno avuto la fortuna d’incrociare la tua strada e di percorrere un breve o lungo tratto insieme. Non sarà facile dimenticarti, e a dir la verità, non ne abbiamo nessuna intenzione. Fai buon Viaggio, signora Gavì, e non c’è bisogno di dirti chi devi salutarmi……

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E festa sia, ma per tutti……

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di Piero Murineddu

 

E’ stato inevitabile. Percorrendo le strade di Sorso, paese sardo dove vivo, e vedendo tutte quelle bandierine rosse, il mio pensiero è andato immediatamente allo scorso 7 luglio, giornata in cui don Luigi Ciotti ha proposto d’indossare una maglietta di questo colore per ricordare gli ormai innumerevoli bambini annegati nel Mediterraneo. Un piccolo gesto simbolico che aveva l’intento di scrollarci di dosso la frequente indifferenza con la quale spesso seguiamo queste tragedie che avvengono nel nostro mare. Le mamme vestono di rosso i propri figli quando s’imbarcano con la speranza di trovare una terra ospitale dove condurre una vita dignitosa. E’ un colore che attrae più di altri i soccorritori in caso di affondamento.

Le adesioni a questa iniziativa ci son state da parte di molti singoli e associazioni. Molto più numerosi son state le astensioni, volute o per non esserne a conoscenza.

Tutte queste bandierine svolazzanti per il paese preparano alla festa di san Pantaleone, il prossimo 27 luglio.Insieme a Cosma e Damiano, è patrono dei medici. Medico lui stesso, nacque nella odierna Turchia, a Nicodemia. Perseguitato dall’imperatore di Costantinopoli Diocleziano per la sua adesione alla fede cristiana,fu condannato a morte nel 305: gli furono inchiodate le braccia sulla testa, che poi il boia gli mozzò. Morte atroce.

Si sa, parte dell’agiografia dei Santi, specialmente dei primi secoli dopo Cristo, è comprensibilmente infarcita di fatti e notizie di cui non si ha piena attendibilità storica.

L’adesione alla fede cristiana, lo portò a donare i suoi beni ai poveri e ad esercitare la sua professione gratuitamente. E questo, paragonato ad oggi, è il “miracolo” che mi affascina di più.
Sembrerebbe che questo abbia provocato l’invidia e il disappunto dei colleghi, che lo denunciarono all’imperatore.

A me interessa sin qui. Altre notizie, più o meno attendibili, si possono trovare altrove.

Torno al punto iniziale. Quelle bandierine rosse mi hanno portato a quello che giornalmente accade a non molta distanza dalle nostre coste.

Sappiamo dell’inopportuno sarcasmo usato dall’attuale ministro dell’interno (“non avevo la maglietta rossa”), ma su quest’individuo e sull’odio che sta spargendo nel nostro Paese è meglio sorvolare. Sono più interessato ai sentimenti interiori che possono avere coloro che partecipano a queste feste religiose e al livello di coinvolgimento nei confronti di quello che avviene, fuori dalle chiese e lontano dalle novene: da quanto il Messaggio del Maestro incida nei giudizi e nei comportamenti di ciascuno; da quanto le varie omelie richiamano al DOVERE della compassione (patire con) PER CHIUNQUE che ci dev’essere in ciascuno che vuole seguire l’insegnamento del Cristo……..

DOBBIAMO imparare a guardare l’altro come fratello, quello che ci siede vicino nel banco della chiesa come quell’altro/a sconosciuto/a che in questo momento sta penando nei campi di detenzione libici solamente perchè “pretendeva” di sognare una vita migliore.

Comunque, almeno per me, Pantaleo un altro miracolo l’ha compiuto: in questi giorni, ogni volta che vedrò queste bandierine sospese nelle nostre strade, penserò ai tanti che sono morto e continuano a morire cercando di sfuggire situazioni invivibili. Conoscendomi, verserò qualche lacrima, denunciando, per il po’ che mi è possibile, la troppa indifferenza con cui si permette che ciò accada,  e nello stesso tempo ( ma questo non è “miracolo”….tutt’altro) penserò al dramma di dover avere un ministro dell’interno che ama la camicia di  verde colorata e sparare s…… col falso sorriso che ridere non mi fa per niente, anzi…..

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Silenzio per saper riconoscere l’essenziale

di Piero Murineddu

Veramente il canto a cappella, ovvero il solo uso delle voci senza accompagnamento musicale, è un genere che vale la pena esplorare, Si scoprono perle preziosissime, e anche l’Italia ne è strapiena. Solitamente sono gruppi composti da giovanissimi che, perseverando nell’impegnarsi ad affinare la tecnica nell’usare al meglio ciò che producono le proprie corde vocali, si arriva a traguardi non solo soddisfacenti, ma veramente strepitosi. Andate su youtube e scoprirete cose strabilianti.

E’ il genere in cui è incappato anche mio figlio Giuseppe, quel dì che, iniziando gli studi universitari a Roma, ha avuto la fortuna d’incontrare Marco e il gruppo da lui diretto, i “Notevolmente“.

Un amore per questo  genere musicale sviluppatosi gradualmente, grazie anche all’amicizia intercorsa tra i componenti, aspetto per niente secondario.

Trasferitosi a Padova per la specialistica e vivendo in una casa comunitaria per studenti, non ha avuto difficoltà nel trovare adesioni per creare un nuovo coro legato sempre a questo particolare ed evidentemente entusiasmante genere, a cui è stato dato il nome di “Astronote“. Anche qui, l’attività non si è mai limitata esclusivamente al cantare, ed è sicuramente anche grazie all’impulso dato dalla relazione umana che questi ragazzi di ambo i sessi, andando man mano aumentando di numero e di capacità personali, sono arrivati a avere un nutrito repertorio di discreto valore, fatto conoscere al pubblico in varie manifestazioni, solitamente non finalizzate a mettere soldi in saccoccia.

Conclusa ottimamente la specialistica, il figliolone decide di stabilirsi nella città veneta, dove intanto, in attesa di affrontare l’esame di Stato, l’amore per la musica si è completato nell’incontro con la sua Bea, anche lei appassionata del cantare insieme.

Sono pochi giorni che il caro figlio ha superato anche la tappa di questo esame che gli ha dato ufficialmente l’abilitazione per esercitare la professione per la quale ha studiato per un lungo e faticoso quinquennio. La passione per la musica, tuttavia, non l’ha assolutamente messa da parte.

Uno degli ultimi brani a cui ha lavorato è “Enjoy the silence“, composto non recentissimamente dal gruppo inglese  Depeche Mode. A me personalmente, sopratutto per la presenza della batteria col suo suono ossessivo, non piace granchè, De gustibus, per cui….

Per tornare al canto a cappella, mi piace molto di più la versione che ne hanno fatto i Cluster, tre ragazzi e due ragazze provenienti tutti dal Conservatorio e che dal 2004 hanno dato avvio a quest’avventura, producendo ottimi risultati. Anche loro ad un certo punto introducono le percussioni…vocali. Tutt’altra cosa di quelle elettroniche o anche di tamburi veri e propri….

E’ possibile che qualcun altro ci abbia provato, Sicuramente Giuseppe e i suoi coristi lo hanno fatto, e tutto sommato, il risultato mi sembra dignitoso. Da notare che dirige seduto sopra uno sgabello, a causa di un’antipatica e dolorosa distorsione…..

Insomma, il canto al mio figliolone lo ha proprio preso. Adesso vuole iscriversi ad un ‘Accademia in cui vengono presi in considerazione un po’ tutti i vari generi, compreso il gregoriano. Il paparino, ricordando quella vecchia storia di “andare dove ti porta il cuore”  non può che incoraggiarlo, anche perchè, diversamente, ormai ha l’età per fare ciò che ritiene giusto per la sua vita. Per quanto mi riguarda, tutt’al più posso consigliargli ogni tanto di gustare il silenzio, come titola questo brano. E’ il modo migliore per riprendere possesso di sè stesso, oltre che valutare al meglio una scaletta di valori primari a cui dare precedenza negli anni che abbiamo da vivere.

Un abbraccio al mio caro figlio

ENJOY THE SILENCE

Words like violence

Break the silence

Come crashing in

Into my little world

Painful to me

Pierce right through me

Can’t you understand

Oh my little girl

All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm

Vows are spoken

To be broken

Feelings are intense

Words are trivial

Pleasures remain

So does the pain

Words are meaningless

And forgettable

All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm

All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm

All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm

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GODERSI IL SILENZIO

Parole come violenza

Rompono il silenzio

Arrivano schiantandosi

Nel mio piccolo mondo

Sono dolorose per me

Mi penetrano direttamente

Non puoi capire

oh mia piccola ragazza

Tutto ciò che ho sempre voluto

Tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno

È qui tra le mie braccia

Le parole sono davvero superflue

Possono solo fare male

I voti vengono fatti

Per non essere mantenuti

Le emozioni sono intense

Le parole sono trascurabili

I piaceri rimangono

e anche la paura

Le parole sono insignificanti

E dimenticabili

Tutto ciò che ho sempre voluto

Tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno

È qui tra le mie braccia

Le parole sono davvero superflue

Possono solo fare male

Tutto ciò che ho sempre voluto

Tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno

È qui tra le mie braccia

Le parole sono davvero superflue

Possono solo fare male

Tutto ciò che ho sempre voluto

Tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno

È qui tra le mie braccia

Le parole sono davvero superflue

Possono solo fare male

Pena inesprimibile

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Renzo Bossi 

 

 

 

di Piero Murineddu

 

Leggi prima l’articolo.

copia e incolla sullo spazio bianco in alto

http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/07/11/news/processo_the_family_renzo_bossi_sulla_laurea_in_albania_non_sono_mai_stato_all_universita_-143853138/

Hai letto? Oh, poveretto Trotarelletto!  Lui della laurea albanese non ne sapeva niente, poverino….

Dopo il diploma, voleva andare a proseguire gli studi in America e imparare lì, campioni di democrazia, tante cosette per metterle a disposizione della “causa” del partito una volta tornato in patria, ovvero in Padania.

Ma, non si sa il come e il perché , si è trovato all’interno dello stramaledetto Consiglio Regionale, evidentemente per volontà di paparino, ad incassare lo stipendione senza fare mezza sega.
Oppure, quelle se le faceva, ben nascosto tra gli scranni, annoiandosi perché non capiva un c…. Purtroppo, al culmine della goduria, il presidente suonava la campanella the end…Maledetta campanella!

E il paparino? L’avete visto paparino Umberto presenziare al processo a carico dell’amato figliolotto un tantino ebete? Tiene ancora il fazzolettino verde nel taschino tiene……

” La lega diventerà più forte e più grande che pria!” “Bravo!” “Grazie….”

Che peeeeena !

 

 

A ciascuno la sua valutazione

di Piero Murineddu

Scritta a metà degli anni ’80, insieme all’amico pittore e paroliere Sandro Luporini, oggi 88enne.
La tentazione della frase ” sembra scritta ieri” è sempre dietro l’angolo, ma questo alla fine spetta a ciascuno valutare secondo il personale metro di giudizio.

“Dove si nasce e si vive sorridendo”. mmmmmmm…….
Più che altro si nasce col necessario pianto (dicono per liberare li vie respiratorie e non per la disperazione di dover affrontare la vita!) e spesso si trascina un’esistenza che provoca poco il buon umore.

“Dove tanta gente insieme non fa massa”. Anche qui, non sono portato all’ottimismo. L’accodarsi al Pensiero Unico è cosa molto comune, oltre che comoda. La fatica di farsi un’opinione personale facilmente la si evita.

Finisco qui, anche perché oggi l’umore non è alle stelle e non vorrei trasmetterlo ai pochi lettori di queste righe.
Lascio volentieri a ciascuno l’onere di pensare, e se vuole, di paragonare quello che è oggi, 2018, con ciò ch’era allora, 1984 o giù di lì.

A me l’impegno di trovare quei pochi accordi non comuni per cantarmela col pianoforte

 

Benvenuto il luogo dove
dove tutto è ironia
il luogo dove c’è la vita e i vari tipi di allegria
dove si nasce, dove si vive sorridendo
dove si soffre senza dar la colpa al mondo.

Benvenuto il luogo delle confusioni
dove i conti non tornano mai
ma non si ha paura delle contraddizioni
dove esiste il caos ma non come condanna
dove si ride per come è strana la donna.

Benvenuto il luogo dove
il futuro è sempre più precario
benvenuta l’incertezza di un luogo poco serio
dove esiste ancora qualche antica forma di allergia
benvenuta l’intolleranza, benvenuta la pazzia.

Benvenuto il luogo dove
si crede a tutto e non si crede affatto
dove sorge la città delle madri dal corpo perfetto
benvenuta la donna che riflette tutto su se stessa
benvenuto il luogo dove tanta gente insieme non fa massa.

Benvenuto il luogo dove
se un tuo pensiero trova compagnia
probabilmente è già il momento di cambiare idea.
Il luogo dove l’estetica è importante
e poi malgrado l’ignoranza tutto è intelligente.

Benvenuto il luogo dove
non si prende niente sul serio
dove il rito è superato ma necessario
dove fascismo e comunismo sono vecchi soprannomi per anziani
dove neanche gli indovini pensano al domani.

Benvenuto il luogo dove
tutto è calcolato e non funziona niente
e per mettersi d’accordo si ruba onestamente
dove non c’è un grande amore per lo Stato
ci si crede poco
e il gusto di sentirsi soli è così antico.

Benvenuto il luogo dove
forse per caso o forse per fortuna
sembra che muoia
e poi non muore mai nemmeno la Laguna.
Dove tutto è melodramma con un po’ di indignazione
dove diventano leggere anche le basi americane.

Benvenuto il luogo lungo e stretto con attorno il mare 
pieno di regioni
come dovrebbero essere tutte le nazioni
un luogo pieno di dialetti strani
di sentimenti quasi sconosciuti
dove i poeti sono nati tutti a Recanati.

Benvenuto il luogo dove
dove tutto è ironia
il luogo dove c’è la vita e i vari tipi di allegria
magari un po’ per non morire, un po’ per celia
il luogo, caso strano, sembra proprio l’Italia.

 

Il muralismo di Pina

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di Piero Murineddu

Della breve visita di domenica scorsa fatta a Siligo, paesino del Mejlogu in provincia di Sassari, avevo toccato troppo frettolamente il punto del murale che occupa un’intera parete affacciata su quella che credo sia la piazza principale. Raffigura MARIA CARTA, che qui è nata e che ha fatto conoscere al mondo la particolare musicalità del canto sardo, oltre aver recitato in film di un certo successo, quale il Gesù di Zeffirelli e altri.

Il murale è stato realizzato dall’ artista PINA MONNE, nata a Irgoli e residente a Tinnura, 250 abitanti nell’oristanese, dove porta avanti specialmente un laboratorio di opere in ceramica artistica. Se riuscite, fateci un salto in questo paesino e vedrete le tante sorprese che vi stupiranno piacevolmente. È raro che in ogni via non vi sia una maxi pittura di questa eccellente artista.

Da quando ne son state scoperte le particolari capacità, sono molte le amministrazioni comunali che le hanno affidato l’incarico di affrescare qualche facciata. Per lo più i murales realizzati sono legati alla storia locale, della quale l’artista ne studia gli aspetti principali. Molto spesso raffigurazioni della Civiltà contadina ma non solo.

L’ ho gia detto e lo ripeto: programmatevi una gitarella e vedrete cosa trovate a Tinnura.

Di Siligo era inevitabile che il tema fosse la cantante nativa del posto, dove ha vissuto fino a quando gli impegni professionali non l’hanno spinta a prendere casa altrove.

La tecnica pittorica usata da Pina è la più realistica possibile, quasi fotografica, e l’immagine che riporto lo dimostra.

Un modo per far memoria di ciò che siamo stati, evidenziando le peculiarità del posto dove consumiamo i nostri anni. Molti condividono, ma purtroppo le decisioni da prendere sono esclusiva di altri.

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La vera grandezza

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“Sappiate che non voglio un grande funerale per la mia morte. Se incaricherete qualcuno di pronunciare un’orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio Premio Nobel, perché non ha importanza; e neppure dei diplomi, delle onorificenze, delle lauree, perché non ha importanza.

Dica che fui una voce che gridò nel silenzio per la giustizia.

Dica che tentai di spendere la mia vita per vestire gli ignudi, nutrire gli affamati, che tentai di amare e di servire l’umanità”

(Martin Luther King)

 

Siligo, un paesetto molto “colorato”

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di Piero Murineddu

Siligo è veramente un bel paesino collinare del Mejlogu. Non arriva a 900 abitanti. E’ questo il motivo che ha portato domenica scorsa a far tappa qui l’iniziativa “Freemmos – Liberi di restare“, nata per concentrare l’attenzione sui motivi per cui diversi paesi, in questo caso della Sardegna, vanno progressivamente spopolandosi.

Ho colto l’occasione per farci un salto e le ore trascorse son state piacevolissime.

Una sbirciata breve al dibattito tenutosi presso il Centro di aggregazione, dove tra gli altri era presente il sorsese Stefano Cucca, giovane intraprendente che ha dato avvio all’interessante realtà associativa “Rumundu”. Viaggiatore instancabile e particolarmente amante della bici, con la quale ha percorso le strade di mezzo mondo. E grazie alle conoscenze acquisite, propone nuovi metodi per creare impresa. Vi era anche uno dei titolari dei caseifici thiesini, i Pinna, ma l’elencazione di risultati raggiunti mi ha portato ad accelerare il passo verso la porta d’uscita, dove ho trovato una bella piazza ad anfiteatro brulicante di festa.

Per quella però c’era ancora tempo. La curiosità di percorrere le strade premeva, particolarmente il centro storico. Poco prima di uscir fuori dalla piazza, mi sono avvicinato a Gavino Ledda, l’autore del famoso libro “Padre padrone” che, andato oltre l’aspetto autobiografico, ha portato diversi suoi compaesani a provare avversione verso di lui, perché quanto scritto e fatto vedere nel film che i fratelli Taviani ne hanno ricavato, non corrisponderebbe alla realtà dei fatti. Punti di vista. Al di là delle polemiche, gli ho stretto la mano.

Percorrendo le belle stradette con diversi slarghi incontrati a breve distanza l’uno dall’altro, mi ha provocato molto piacere vedere le tante piante messe a dimora, particolarmente nelle facciate dei privati. Un fantasioso intreccio di colori e di profumi della cui presenza ognuno che passa può godere, e questa la considero cosa bellissima e particolarmente lodevole. Un dono gratuito che fa bene alla vista e all’umore.

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Lo spopolamento è reso evidente dai vari cartelli con la scritta “vendesi”, ma non si tratta di ruderi, segno che la decisione di disfarsi di queste case, per magari andare a vivere altrove, è stata presa relativamente di recente.

Coi pochi incontrati per strada è stato un vero piacere fermarsi a conversare, particolarmente con Michele, coi suoi 93 anni sulle spalle ma che non l’’hanno affatto reso curvo e sofferente. Alto, longilineo, guida l’auto, ama trascorrere del tempo seduto nella via principale giù dabbasso coi suoi coetanei a parlare di ciò che è stata la vita di una volta, delle greggi portate al pascolo, dei tanti anni trascorsi a lavorare nel caseificio dei Pinna che dicevo prima. Non ho bisogno d’insistere per farlo parlare. Una volta che parte, è difficile interloquire, ma ascoltarlo non dispiace affatto. Fra i tanti punti, non poteva mancare quello legato ai Ledda padre e figlio. Babbo Abramo, da giovane, era proprio lì a pochi passi che andava per far la corte alla ragazza che poi sarebbe diventata sua moglie e fu proprio lui ad accompagnare con la sua auto Gavino alla stazione di Giave, quando decise di rendersi indipendente dall’autorità paterna e partire per costruirsi una sua strada. Sappiamo dei malumori intercorsi tra Gavino suo padre, ma negli ultimi anni prima di morire si erano riconciliati. Ciascuno dei due è probabile che sia rimasto fermo nelle sue posizioni, ma il gesto di riavvicinamento ha contribuito a bilanciare la diversità di carattere e di visione della vita. Il saluto col  vecchio Michele è stato molto cordiale e pieno di gratitudine nei suoi confronti.

Tornato alla piazza, sormontata da un grande murale raffigurante Maria Carta della quale lo spazioso e ben architettato anfiteatro prende il nome, c’è l’accoglienza di un eccellente ballo tipico sardo accompagnato da un buon fisarmonicista. Subito dopo, viene presentato un gruppo “di colore che da qualche tempo sta mettendo insieme un repertorio, e la scelta dei brani è ben curata. Terminata la loro esibizione, mi avvicino per scambiare con loro qualche parola, sempre impresa ardua per la difficoltà nel non conoscere bene la lingua parlata dall’altro. Nonostante la fatica nel comunicare, su un punto l’intesa c’è stata: sia a me e sia a loro quella presentazione di gruppo di ragazzi “di colore” aveva dato fastidio, segno che sulle cose importanti ci si può sempre intendere.

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Arrivato il momento della partenza, mi è venuto del tutto naturale avvicinarmi a Giacomo Serreli, giornalista incaricato di presentare la serata, e manifestargli questo disappunto sull’usare ancora questo termine totalmente inopportuno “di colore”. L’intelligente Giacomo ha subito concordato, ammettendo che è un luogo comune diffusamente usato istintivamente, ma che in effetti contribuisce a marcare differenza. Essendoci ancora tempo prima di presentare il nuovo gruppo, ho cercato sullo smartphone quel breve testo che mi ha sempre colpito. L’abbiamo letto insieme:

Uomo di colore 

Io, uomo nero, quando sono nato ero Nero

Tu, uomo bianco, quando sei nato eri Rosa

Io, ora che sono cresciuto, sono sempre Nero

Tu, ora che sei cresciuto sei Bianco

Io, quando prendo il sole sono Nero

Tu, quando prendi il sole sei Rosso

Io, quando ho freddo sono Nero

Tu, quando hai freddo sei Blu

Io, quando sarò morto sarò Nero

Tu quando sarai morto sarai Grigio

E tu mi chiami uomo di colore?

 

Dopo avermi ringraziato, con Giacomo ci salutiamo con molta cordialità.

Proprio un bel paesino. Bisogna che ci ritorni, anche per riprendere la conversazione col vecchio 93enne Michele. Il gilet che indossava gliel’ho quasi invidiato. Chissà che ne abbia un altro da regalarmi…..

“Ischrittu sei a la bandéra?”

 

“SPARITI I SOLDI DELLA COLLETTA PER IL FUNERALE”

L’ex presidente si sarebbe appropriato dei fondi dell’associazione di mutuo soccorso funerario

(di Salvatore Santoni, 3 luglio 2018)

http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2018/07/03/news/sparita-colletta-per-il-funerale-40enne-a-giudizio-1.17028835?ref=hfnssser-1

di Piero Murineddu

Ma certo, prima di sentenziare il definitivo “crocifixum!”, aspettiamo cosa decide il giudice, santiddio….
Magari, però, prima di aderire “a la bandèra”, pensiamoci almeno 13 volte. Lo so, è cosa comoda assai versare una quotarella periodica e arrivare al Momento ch’è tutto bell’e pronto, senza che i familiari debbano accollarsi un mutuo per accompagnarti all’ultima dimora.

Ma, vuoi mettere la “bandiera” tristemente sventolante e tenuta con orgoglio da un membro dell’associazione? Guarda, solo per avere questa soddisfazione, sarei disposto a morire anche subito sarei disposto…..

Ah, li dinà li dinà….. Dove ci sono soldi c’è sempre qualcuno pronto ad appropriarsene.

Ma l’ho detto: aspettiamo la sentenza del giudice ed evitiamo di sparare d’impulso la nostra.

Certo che pensando a come ci son rimasti male quei nostri concittadini avanti negli anni, un pochino di rabbia ti fa, santiddiobenedettoedanimedelpurgatorio !

Ignorante (forse) ma coinvolto

di Piero Murineddu

E’ doveroso leggere prima l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera e ripreso dal sito dell’UCCR , Unione Cristiani Cattolici Razionali.

A te piacendo, puoi dare poi un’occhiata al mio parere

https://www.uccronline.it/2018/06/30/caro-balotelli-corri-dietro-al-pallone-che-del-medioevo-se-ne-occupano-gli-storici-grazie/

mario

 

 

Mie considerazioni

Ma guarda il Corrierone Giornalone, a firma addirittura dell’intera redazione, quanto è pronto a redarguire il giocatore di pelle scura che “si permette”, in vista delle imminenti olimpiadi antirazziste, di considerare il Medio Evo come simbolo di negatività.

“Tiri calci al pallone e lasci stare la storia”.

E via con un elenco infinito di citazioni dotte per dimostrare che l’Epoca di mezzo è stato un periodo molto importante, specialmente per l’Europa.

Umberto Eco, Cardini….Tutti a dimostrare che se siamo quello che siamo è proprio grazie al Medio Evo, e che sono luoghi comuni il presunto oscurantismo medievale che si cita e che siamo una massa d’ignorantoni. Gli istruiti sono loro, quelli del Corriere, quello che solitamente tiene i piedi in due staffe, per dirla alla cristiana. Quelli che stanno ben attenti a non pestare i piedi al potere di turno.

Ci riempiamo il cervello di luoghi comuni, noi altri popolino.

Eia, ignoranti siamo! Mario il pallonaro? Iiiiihhhhh…. addirittura ha superato Celentano, che degli ignoranti si era definito il re.

Ma intanto ha messo in rilievo che ormai in Italia, e nella grande Europa nata dal grandiiiiiissimo Medio Evo, ci si ciba quotidianamente più di razzismo spicciolo che di pane, specialmente di quello sano fatto con lievito madre.

Che avete dimostrato, egregi corrierini, con tutti i vostri puntini sulle i? Che ne sapete? Che il vostro archivio e il vostro archivista fanno un ottimo lavoro di giusta informazione? Va bene, va bene….

Ma mi chiedo: ma voi avete preso posizione per porre freno alla disumanizzazione in cui stiamo sprofondando?

Mario non ha i vostri alti studi accademici, ma intanto, nel suo paragone “inappropriato” e “disinformato”, ha richiamato un qualcosa che ci sta condizionando i nostri giorni, presenti e ho paura futuri. E voi? Voi lo date un cazzo di contributo per porre rimedio alla barbarie che ci sta’ inghiottendo?

“Tiri calci al pallone e non si occupi di storia…”

La grande e civile Europa. Come no! Quella dove ogni Stato sta innalzando muri ideologici e non solo per assicurare e difendere il proprio agio, ottenuto in quei tempi e ancora oggi a danno dei popoli africani che oggi rabbiosamente nessuno vuole in mezzo ai coglioni.

Ma andate in a…….o andate, dall’alto della vostra cattedra!