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Una volta…….

 

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di Piero Murineddu

La ragazzina della foto potrebbe essere chiunque oggi si ritrova parecchi anni già vissuti.

Tempi in cui, specialmente se appartenenti al sesso femminile, cioè a quello realmente “forte”, si contribuiva fattivamente (e faticosamente!) alla conduzione della casa.

E questo sia perché le famiglie erano numerose, sia perché le mamme trascorrevano buona parte della giornata a lavorare nei campi, sia perché non erano tutti che frequentavano la scuola (per mancanza di obbligo legislativo, perché non se ne capiva l’importanza o semplicemente perché a casa c’era da dare una mano….).

Ai tempi non c’era assolutamente l’obiettivo di avere titoli di studio. Parlo della gente del “popolo” ovviamente, nel senso di famiglie il cui l’unico reddito era la magra cifra che il capofamiglia o l’eroica mamma che lavorava “a giornata” in campagna riuscivano a mettere insieme, perché per i figli di professionisti lo studiare era scontato, dal momento che dovevano subentrare all’attività di papà una volta andati in pensione e anche prima, spesso con lo studio, inteso come luogo, bell’e che pronto. La cosa avviene anche oggi, ma non con l’evidenza di una volta.

Dicevo delle ragazzine che per forza (di necessità) dovevano crescere in fretta, dovendo fare pure da mamma ai fratelli più piccoli.

In “compenso”, in vista d’incontrare un buon partito (o quelli che per prima le “metteva” incinte!), si provvedeva anno dopo anno, e questo sin da tenera età, a preparar loro un buon “corredo”, cioè asciugamani, lenzuola con federe possibilmente ricamate dall’esperte mani di mamme e nonne, indumenti intimi, copriletto, tovaglie……

Di proposito mi sto soffermando sulla figura femminile, da sempre destinata ad essere “angelo del focolare domestico”, e se qualcuna deviava da questo ruolo tradizionalmente imposto, non raramente era definita
“masciu” e addirittura, chissà perché, “maru”.

La mancanza di frequentazione scolastica, dicevo, salvo le dovute eccezioni. Diciamo che in un certo qual senso per buona parte di loro era anche preclusa. L’ho detto: era della casa che dovevano principalmente occuparsi. Eppoi l’istruzione, la conoscenza……erano considerate cose evanescenti, non collegate direttamente alla realtà di ogni giorno. Al massimo, per molte, c’erano i corsi di cucito o per diventare buone casalinghe.

Attenzione, non voglio generalizzare. Vi erano anche genitori che, pur non avendo potuto studiare, ne capivano tuttavia l’importanza, e facevano immani sacrifici perché ai propri figli (e figlie!) si creassero opportunità a loro mancate.

Potrei andare avanti, ma preferisco fermarmi qui.

Confronti coi giorni d’oggi? Fate voi, anche perché ho un impegno da assolvere con una certa urgenza.

Sulla vile aggressione a Sassari

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di Piero Murineddu

Non cerca vendetta il giovane della Guinea fatto oggetto di una feroce e vigliacca aggressione da parte di un gruppo di ventenni sassaresi, uno dei quali rinchiuso nel carcere di Bancali e che, a quanto pare, gia in precedenza aveva dato prova di bullaggine, originata probabilmente sia dall’ambiente in cui ha vissuto finora, e sicuramente incoraggiata dal clima che ai nostri giorni si respira in giro di caccia all’immigrato.

Il giovane africano ” cerca solo pace (…..), opportunità di riscatto dopo una sofferenza che lo schiaccia fin da quando era bambino”, come ben dice Gianni Bazzoni nel suo articolo su La Nuova di oggi.

Come dice il mio amico Carlo, con un passato di condivisione in terra africana con la gente del posto, questi giovanotti, lupi affamati quando sono in branco e agnellini spaesati quando son da soli, più che di pene per far pagar loro il malfatto, come si usa fare in questo Paese dove il carcere continua ad esser considerato come luogo di espiazione dei peccati sociali commessi, avrebbero bisogno di stare un periodo a contatto con persone che patiscono privazioni e sofferenze di ogni genere, come avviene, nel loro luogo d’origine, per buona parte di coloro che si vedono costretti ad affrontare viaggi della Speranza, alla ricerca di condizioni di vita degne per un essere umano.

Noialtri, così decisamente intransigenti verso i troppi che si son messi spesso acriticamente al seguito di quel tragico pifferaio che si ritrova momentaneamente ed incredibilmente ad essere garante della sicurezza interna nazionale spargendo odio ogni volta che apre bocca, noialtri, dicevo, definiti dispregiativamente “buonisti” da certi furboni, non vogliamo vendette e non siamo schiavi di tale sentimento. Vogliamo una società giusta e pacificata, dove il diritto a vivere dignitosamente venga garantito a tutti, a TU-TTI !

Vogliamo che i nostri giovani sopratutto, nutrano sentimenti di accoglienza e benevolenza verso chi è stato costretto ad abbandonare la propria terra e i propri cari non sicuramente per farsi gite di piacere.

Vogliamo che gli adulti, se tali lo sono anche oltre l’età anagrafica, sentano il dovere di dare esempi positivi ai propri e ai figli degli altri.

La scuola ha una grande responsabilità in questo senso.

Continua la campagna di guerra civile del ministro legofascista

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di Giovanni Di Mauro
(“Internazionale”)

Il decreto legislativo numero 104 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’8 settembre 2018. Sono 5.675 parole la cui sostanza è che dal 14 settembre in Italia è molto più facile comprare un’arma, comprese quelle definite “da guerra” come i kalashnikov e i fucili semiautomatici.

Era un impegno che M* S* aveva preso in campagna elettorale. L’11 febbraio, in visita alla fiera Hit Show di Vicenza, aveva firmato un documento intitolato “Assunzione pubblica di impegno a tutela dei detentori legali di armi”. Incredibilmente, i dati sul numero di armi che circolano in modo legale in Italia non sono resi pubblici dal ministero dell’interno. Secondo alcune stime, che risalgono al 2007, le armi nel nostro paese sono tra i 4 e i 10 milioni.

Di sicuro, scrive l’Agi citando l’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili, ci sono 1.300 punti vendita al dettaglio di armi e munizioni,ai quali si aggiungono più di 400 associazioni sportive dilettantistiche e tiri a volo. Per un volume d’affari complessivo di 900 milioni di euro.

Il mercato italiano è più piccolo di quello statunitense, ma tra i paesi industrializzati l’Italia è uno di quelli con il più alto tasso di omicidi compiuti con arma da fuoco, in rapporto alla popolazione: 0,71 ogni centomila abitanti, subito dopo gli Stati Uniti (2,97) e la Svizzera (0,77) ma prima di Spagna (0,20), Germania (0,19) o Francia (0,06). Ed è vero che in Italia gli omicidi, indipendentemente dall’arma usata, sono molto diminuiti (dai 1.916 del 1991 ai 397 del 2016), ma crescono percentualmente quelli compiuti tra le mura domestiche e in cui le vittime sono donne,così come aumentano gli ammonimenti delle questure per violenza domestica.

In questi giorni il parlamento sta discutendo la proposta della Lega di modifica della legge sulla legittima difesa, che prevede l’eliminazione del principio di proporzionalità tra offesa e difesa. Se sarà approvata, ci sarà davvero da aver paura.

La fede rafforza la libertà

di Gioacchino Lagreca

Sarà, la vita del Cristo, una lotta continua contro il potere costituito, sia religioso sia come ordinamento sociale.

Entrambi infatti tengono l’uomo del suo tempo, ma anche qualsiasi uomo di ogni epoca, in una condizione di assoggettamento che lo privano della sua libertà.

Caratteristica fondamentale del potere religioso, che in Israele all’epoca di Gesù assommava in sè anche quello politico, essendo strettamente colluso con l’usurpatore romano, era quello di dividere gli uomini in puri e impuri, rendendo quindi il rito della purificazione una vera e propria “forca caudina” da cui passare per avvicinarsi a Dio, perché nessuno in stato di impurità poteva accedere al tempio e quindi al cospetto di Dio.

Questo meccanismo perverso faceva del tempio di Gerusalemme, gestito dal sommo sacerdote, dai farisei e dagli scribi, un vero e proprio centro di potere, anche economico, in cui veniva spacciata per volontà di Dio la bramosia dei sacerdoti.

Precisione nell’informare. Ed anche coraggio. Grazie

 

Festa nel Centro migranti

di Donatella Sini, 6 giugno 2017

“Jaama dambé” significa “unione tra culture diverse” ed è un progetto nato all’interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Baja Sunajola, a Lu Bagnu, gestito dalla cooperativa Eco Service. L’obiettivo è quello di formare un gruppo di persone attive, attraverso la frequentazione di laboratori di pelletteria, intreccio sardo, musica, teatro, informatica, sartoria e agricoltura. Per presentare il progetto è stata organizzata una serata aperta che ha visto la presenza di un pubblico numeroso e interessato. I protagonisti provengono da diversi Paesi: Senegal, Gambia, Nigeria, Congo, ma anche Siria, Iraq, Afghanistan, Eritrea e Palestina. Il centro ne ospita poco più di 200, fra cui 3 neonati (nati a Baia Sunajola), 17 donne e 44 minori. Il ricambio è costante, perché coloro che ottengono l’ambita “rilocation”, partono quasi tutti alla volta di altri Paesi europei. «L’accoglienza non è fatta solo da mafia capitale – ci tiene a sottolineare il direttore del Centro Salvatore Barra – ma anche da persone che ci credono. Noi vogliamo differenziarci, non solo accogliere e fornire pasti ma anche offrire attività che tengano occupati i ragazzi e ne favoriscano l’integrazione, e l’eventuale ricollocazione, nel mondo del lavoro, tramite tirocini o collaborazioni. Tutte iniziative che esulano dal contratto che abbiamo sottoscritto con la Prefettura». E i laboratori iniziano a dare i loro frutti, anche materiali. Grazie alla fattiva collaborazione con Laore ed il Cnr, due ettari di terreno, adiacente al centro vengono coltivati e producono ortaggi e piante officinali. «Noi puntiamo a formare persone qualificate, non solo manodopera – prosegue Barra – non si può inondare la società di persone senza arte né parte». Ai ragazzi vengono quindi impartite lezioni di educazione civica e vengono loro spiegati i comportamenti, consentiti o auspicati, dalla cultura del Paese che li ospita. Sul campo 52 dipendenti, uno staff composto da professionisti fra cui psicologi, educatori, assistenti sociali, mediatori linguistici ma anche un presidio sanitario, con un medico e un infermiere. Persino della cucina nessuno si lamenta, il menu è offerto in base alle esigenze degli ospiti. Il 19 giugno il presidente della cooperativa, Pasquale Brau, sottoscriverà ufficialmente la nascita dello “Jaama Dambè” che diventerà una realtà economica a tutti gli effetti, si potrà fatturare, vendere beni e fornire servizi. Il progetto di inserimento sociale farà quindi un passo in avanti, da Lu Bagnu verso il mondo.

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Lite nel Centro migranti

di Salvatore Santoni, 30 agosto 2018

 

Tragedia sfiorata nel centro migranti di Lu Bagnu. Una furibonda lite scoppiata la notte tra domenica e lunedì scorsi tra due migranti ospitati nella struttura di Baja Sunaiola è finita a pugnalate.
Tutto comincia con una banale discussione. Da una parte c’è un 29enne; dall’altra un 26enne.

Entrambi sono del Gambia.(1) A un certo punto la situazione si infiamma: intorno a mezzanotte (2) il più grande dei due minaccia l’altro. Passa qualche minuto e la lite degenera. Il 29enne è fuori di sé e passa all’azione, impugna un coltello a serramanico e scaglia due fendenti all’avversario: uno al fianco e l’altro al gluteo. Gli altri migranti accorrono richiamati dalle urla del ferito e tentano di immobilizzare l’aggressore; qualcun altro dà l’allarme chiamando il 112 (3). Nel centro di Baja Sunaiola arrivano le pattuglie del nucleo operativo dei carabinieri di Porto Torres e un’ambulanza medicalizzata del 118. Il ferito viene preso in carico dal personale sanitario e trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale “Santissima Annunziata” di Sassari, dove si sottoporrà ad alcuni accertamenti clinici. Le sue condizioni appaiono fin da subito serie ma non gravi.(4) Più tardi di scoprirà che è stato molto fortunato: la medicalizzata è riuscita a intervenire in pochissimi minuti perché si trovava in zona.

Nel frattempo i militari, guidati dal capitano Romolo Mastrolia, hanno già sigillato la scena del crimine e stanno facendo i primi accertamenti sul posto per fare luce sulla vicenda. Le indagini per risalire all’aggressore si complicano a causa dell’iniziale riottosità a parlare da parte dei migranti (5) che hanno assistito alla scena. La svolta arriva poco più tardi, quando i militari riescono a convincere i testimoni a farsi avanti per indicare l’accoltellatore. A quel punto i carabinieri identificano e arrestano il 29enne – ora si trova nel carcere di Bancali – con l’accusa di tentato omicidio (6).

Il fatto capitato nella notte tra domenica e lunedì è soltanto l’ultimo di una serie di tensioni a cui sono sottoposti gli ospiti (7) – e di riflesso anche i gestori – della struttura di Lu Bagnu. Questo perché la coop sociale “La Luna” ha in carico migranti di diverse etnie (8) – il centro ospita complessivamente 150 persone (9) – che non sempre vanno d’accordo tra loro. I mediatori culturali tentano di fare il possibile ma spesso le discussioni sono incontenibili (10). E se va bene gli screzi si ricompongono, ma quando gira male si rischia la tragedia.

 

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Un decalogo, una conclusione e un…

di Piero Murineddu

 

Spero abbi avuto la pazienza di leggere i due articoli, scritti a distanza di un anno l’uno dall’altro.
Il primo è stato digitato dalla corrispondente di Castelsardo, nel cui comune sorge il Centro per migranti. Il secondo dal nostro amico Santoni, solitamente colui che fa conoscere ciò che avviene in terra di Romangia, in particolare a Sorso.

Il racconto di due eventi, a ben guardare, che comportano la convivenza più o meno normale tra persone: momenti gioiosi di festa e qualche altro di malumore e tensione. Quello che succede in ogni famiglia,insomma, a parte la presenza di un coltello a serramanico in più usato non certamente per accarezzare.

Capita che conosco qualcuno all’interno di questo Centro di Accoglienza che si trova a Lu Bagnu, presso Castelsardo. A lui ho chiesto la sua versione dei fatti. Capita anche che Musta, il giovane amico che mi ha raccontato l’episodio, è mediatore culturale, e proprio la sera del fattaccio era di turno. Ed eccoli i fatti riguardanti il secondo articolo…….

1. I due protagonisti sono uno del Gambia, il ferito, e l’altro del Ghana

2. Lo scontro è avvenuto all’incirca verso le 18 di domenica 26 agosto

3. A chiamare l’ambulanza e le forze dell’ordine è stato lo stesso Musta, in quel momento responsabile del Centro

4. L’indomani mattina il ferito ha fatto ritorno al Centro

5. Rintracciare il feritore non è stato per niente difficoltoso, dal momento che si trovava a testa china seduto nel letto della stanza che condivide col giovane che ha ferito

6. “Tentato omicidio”. Mah! Si trovava nel bagno e il giovane gambiano non ha bussato prima di entrare. In un momento di stizza, perchè disturbato nella sua intimità, si è tolto di tasca questa piccola “rasoggia”, usandola impropriamente. Da qui a voler ammazzare un uomo ce ne passa…..

7. Da quanto mi dice Musta, gli episodi di tensione sono quasi assenti, e questo da parecchio tempo

8. Nel Centro sono presenti bengalesi, ganesi, gambiani, senegalesi, nigeriani, egiziani, della Costa d’Avorio, della Guinea e uno della Serra Leone. Il fatto che appartengano a nazionalità diverse non è per forza motivo di scontro, anche se inevitabilmente ciascuno si sceglie le proprie amicizie. Ciò non impedisce a partecipare agli stessi corsi che si svolgono nella comunità, quali quello di intreccio, guidato da un gambiano, di sartoria, di musica, di teatro, di agricoltura, pratica di sport. Non molto distante da Baja Sunajola vengono prodotte verdure, vendute direttamente ai consumatori. La scuola d’italiano non manca.

9. Sono presenti circa 110 ospiti

10. Musta non mi ha parlato di “discussioni incontenibili”. Vorrei vedere me, proveniente da condizioni invivibili, aver dovuto affrontare un viaggio estenuante e subìto di tutto, esser costretto a vivere lontano di miei affetti, avere davanti un futuro pieno d’incognite, sentire di incomprensioni continue  e innumerevoli pregiudizi  nel Paese dove son capitato, oltre che sapere che è governato da un ministro dell’Interno che invece di contribuire a creare condizioni di convivenza pacifica, fa di tutto per seminare odio contro lo “sporco negro” e il “lurido zingaro”.

Sin qui l’ incresciosa vicenda del Centro di Accoglienza di Lu Bagnu.

Ora voglio aggiungere un altro aspetto, forse un tantino personale e che solo apparentemente esula da quanto detto sinora.

Conosco Salvatore, l’autore dell’articolo,  e so che cerca di svolgere al meglio il suo mestiere. Spesso è accusato di fare informazione “di parte”, specialmente da parte di chi attualmente sta amministrando il paese dove vivo io e lui, Sorso. Fino a poco tempo fa, nel sito del Comune vi era addirittura, in primissimo piano, una sorta di sondaggio, dove si chiedeva se un’informazione che nuoce (!) aiuta o meno la cittadina romangina a progredire.

Quale poteva essere la risposta? Dio mio, un “sondaggio” di estrema stupidità, oltre esser più che chiaro a chi fosse riferito! A voglia continuare a ripetere e straripetere che il compito di chi fa informazione è “rompr’i corbelli” a chi gestisce il potere, cioè “rompere le scatole” come si dice in pavanese (cit. Guccini). Chi fa informazione ha le sue idee, certo, e non potrebbe essere altrimenti. Spetta a chi ha il compito provvisorio di gestire la Cosa Pubblica prendere spunto per cercare di migliorare il proprio operato. Lo so, sono un “sognatore”, e nello stesso tempo conosco la suscettibilità di chi guida il carro, spesso strapieno di opportunisti.

Breve biografia di Gavina Demurtas

Due parole di premessa

di Piero Murineddu

 

“Non ha paura di affrontare l’altro, “il diverso” e frequenta la vicina tribù  Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei (…..) il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza”.

Storicamente, il passaggio descritto di seguito da Anna Demuro si colloca nel periodo dell’infanzia trascorso  dalla piccola Gavina in Africa, durante uno dei diversi tentativi fatti dall’Italia d’impadronirsi di una porzione del continente oltre il Mediterraneo, “nero” per il colorito della pelle dei suoi abitanti ma  con un sottosuolo ricchissimo che ha fatto gola  a chi se n’è voluto da sempre impossessare, ieri come oggi.

All’ “affrontare l’altro” ormai  gli si è dato una valenza esclusivamente negativa, mettendo in secondo piano l’aspetto positivo del termine (Iniziare a esaminare una questione, approfondirla, considerarla nei vari aspetti……). È sicuramente con questa predisposizione d’animo che Gavina avvicinava i suoi coetanei e tutte le persone più grandi d’età, e questo atteggiamento la portava ad “ascoltare, imparare, aiutare, socializzare” e di conseguenza a far proprio “il senso del dovere, della responsabilità e della condivisione”. Sorella di tutti.

È proprio vero che gli anni dell’infanzia sono basilari per far crescere una buona e forte personalità. Buona e forte Gavina lo è stata, e pure con un certo caratterino. Po’ In tutta la sua lunga vita. Per lei e i suoi familiari, per il marito, per i figli e le figlie. Per tutte le persone che hanno avuto la fortuna d’incontrarla.

 

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Gavina Demurtas, la grande madre

di Anna Demuro

Nasce a Sorso (SS) il 25 ottobre del 1930 e si spegne a Sorso il 28 luglio del 2018.
Non difetta di coraggio fin dall’infanzia, quando assume l’incarico di portare cibo e bevande al padre, prigioniero degli inglesi nel campo di concentramento di Asmara, in Eritrea.

Non ha paura di affrontare “l’altro”, “il diverso” e frequenta la vicina tribù. Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei che già frequenta la scuola primaria, il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza.

Nella conduzione della famiglia, composta di sei figli, Gavina è il braccio destro della madre. Pian piano emerge in lei un carattere di ferro, battagliero, che non si ferma dinanzi agli ostacoli, non si arrende ad una vita di stenti.

A guerra finita, la famiglia rientra in Italia, spogliata di tutto. Conosce la fame, e proprio a questa condizione di estrema miseria Gavina si ribella. Nonostante la giovane età ha imparato a guardare lontano, dove la fame può essere vinta dalla forza delle braccia e della volontà, a qualsiasi costo. Non tollera la condizione dei fratelli, né quella dei genitori provati, dalla lunga prigionia che ha tolto loro ogni speranza.

Decide di trovarsi un lavoro. Fa la commessa a Sassari in un negozio di tessuti e quando consegna ai genitori il primo salario, è scossa da un sentimento che lei stessa, a parole, non saprà mai spiegare. È molto di più del sano orgoglio che nasce dalla consapevolezza di essere in grado di provvedere ai bisogni primari della famiglia. È un sentimento che resta attaccato lì, al cuore, come la radice si attacca alla roccia. Forse proprio li, in quel momento, quando Gavina vede la sazietà dei suoi cari seduti intorno alla tavola, esplode in lei quell’amore per gli altri che le pulsa nel petto.

Non è stato facile per lei superare le ostilità di una società completamente chiusa, contraria all’idea che una donna potesse varcare la soglia di casa per cercare lavoro, autonomia dalla famiglia di origine, indipendenza da qualsiasi figura maschile.
La donna doveva badare alla casa e ai figli, al massimo poteva fare la sarta o ricamare ma sempre chiusa tra le mura domestiche. L’unica alternativa poteva essere la vita monacale, come in pieno Medioevo.

Gavina ha saputo guardare molto lontano e non ha avuto bisogno di scendere in piazza per gridare a tutti la sua idea di libertà. Ha capito che l’unica strada per arrivare a lei doveva necessariamente passare attraverso la cultura. Una strada lunga e difficile, un percorso ad ostacoli che non le faceva paura.

Non le bastava più sapere leggere e scrivere e fare la commessa per tutta la vita. Voleva conseguire la licenza di Scuola Media senza però togliere alla famiglia il salario: dunque lavorava di giorno e la notte studiava. Quando, sopraffatta dalla stanchezza e dal sonno si accasciava sui libri, il padre provava a svegliarla col tintinnio del cucchiaino sulla tazzina di caffè.

Era una donna decisa, determinata e con queste qualità e la preparazione adeguata ha superato anche gli esami del concorso bandito dalle Poste Italiane. Ha servito lo stato per quarant’anni con puntualità e rigore. L’ha servito tre volte: lavorando allo sportello, prendendosi cura del marito e dei quattro figli nati dalla loro unione, e del prossimo a lei sempre presente.

Non c’era povero che, nel deposito presso la sua abitazione non trovasse ciò che gli serviva per vestirsi o ripararsi dal freddo la notte. Non c’era disabile che non potesse ottenere il supporto sanitario di cui aveva bisogno e non c’era famiglia con un infermo allettato cui lei, se chiamata, non regalasse il suo tempo. “Sono volontaria. Chiamami.”
Si presentava sempre così.

Queste sono le opere di Gavina che tutti possiamo vedere ma ci sono anche quelle che pochi conoscono: scadenze da onorare, bisogni da soddisfare, viaggi di necessità anche oltre confine e tant’altro di cui nessuno doveva sapere.

Questa è carità e la carità non si mostra.
Ma l’amore al suo prossimo è una luce che ha accompagnato Gavina per tutta la vita e tutti lo abbiamo veduto. Siamo testimoni diretti!

Nel giorno delle sue esequie è stata accompagnata dal mesto urlo dell’ambulanza, al cui servizio ha donato circa trent’anni della sua vita, salvando tante persone.Va bene anche questo ma crediamo che a Gavina Demurtas si debba molto di più.

Sicuramente una figura da aggiungere alle tante che hanno dato lustro alla nostra città e che possiamo vedere scorrere in “Sorso e il territorio. Storia – Arte – Cultura”, sul portale del Comune di Sorso. Tutto questo va bene ma non basta a rendere giustizia di tanta abnegazione nella totale donazione di sé agli altri. Occorre un riconoscimento da parte delle Istituzioni nelle forme concrete che tutti conosciamo, riservate finora soltanto agli uomini.

La madre dei poveri, dei malati, dei disabili, dei bisognosi di ogni genere di assistenza, dispensatrice d’amore, ha diritto, finalmente prima donna nella città di Sorso, ad un segno tangibile di perenne gratitudine che ne custodisca la memoria.

Partenza o ritorno?

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di Piero Murineddu

Diciamo che qualche difficoltà ci sarebbe nel capire se gli occupanti di questa cinquecento stanno partendo per le vacanze o ne stanno tornando. Il fatto è che il non riescire a zoomare bene non mi aiuta a capire se l’espressione di chi guarda l’obiettivo è FELICE, quindi in partenza, oppure leggeremente RATTRISTATA, quindi di ritorno.

Oh, a dirla tutta potrebbe essere anche RASSEGNATA, sia perché “costretto” a partire e quindi doversi immergere controvoglia nella bolgia vacanziera, mentre forse avrebbe preferito godersi la tranquillità della città finalmente semideserta e che, passeggiandosela nel parco, avrebbe potuto anche appoggiarsi ad un albero per “fare un po’ di acqua”, senza paura di esser visto e magari denunciato per atti pisciatori in luogo pubblico.

Ma potrebbe essere anche un’espressione rassegnata, perché in procinto di riprendere il lavoro nell’odiata e ripetitiva catena di montaggio della fabbrica dove consuma otto o più ore al giorno della sua preziosa e unica vita, gia rimpiangendo quell’avventuretta al mare non andata purtroppo in porto perché tenuto/a sotto strettissima e costante sorveglianza dal/dalla gelosissimo/a consorte.

Allora, costoro stanno iniziando le vacanze o ne stanno tornando?

Aspetta, aspetta. Forse un indizio ci sarebbe. La damigiana. Pur non riuscendo a zoomare ( l’ho gia detto) ed essendo particolarmente acciecato, mi sembrerebbe di capire che il tappo, naturalmente di sughero, non vi sia, per cui…….

Ma siiiiii…..ceeeeeeerto. il preziosissimo nettare d’uva che conteneva è stato consumato durante le baldorie serali, arrostendo poveri animali cadaverizzati al fuoco lento della carbonella o di legnetti raccolti qua e là, raccontando barzellette zozze o sui soliti carabinieri imbranati.

Non riesco a capire se dentro lo scatolone vi siano derrate alimentari integre, oppure piccoli reperti archeologici trovati e di nascosto inscatolati…..

Ma comunque, la damigiana senza tappo è la prova definitiva:
la cinquecento e tutto il suo contenuto è di ritorno dalle vacanze.

“Promoveatur ut amoveatur” (che sia promosso, per poterlo rimuovere)

 

di Piero Murineddu

Il metodo è conosciuto, credo. Quando qualcuno in un certo qual modo crea un qualsiasi fastidio, ci si sbarazza di lui con un’apparente “promozione”.
È così che agisce il potere, da qualunque esso sia rappresentato, e sopratutto se l’interessato in questione è una persona ben vista e di cui sia ha una buona considerazione. Da parte del “popolino” intendo. Se poi il soggetto crea oggettivamente dei danni per il ruolo che ricopre, il potere non si fa scrupolo a dargli platealmente un calcio in culo e liberarsene, ricevendo in questo caso il plauso da parte della plebaglia. In un modo o nell’altro, l’importante che il potere sia garantito e perpetuato.

In questa occasione parlo di un prete 44enne, tal Cristian Leonardelli, sceso dalle alture trentine fino alla costa toscana, e da qui, per quel meccanismo che dicevo prima, attualmente soggiornante nell’entroterra collinare livornese.

Formatosi alla scuola di don Milani, seppur solo idealmente, da quando è divenuto sacerdote, una decina d’anni fa, ha sempre puntato alla crescita umana dei ragazzi, mettendo su dei doposcuola, col sostegno fattivo di volontari che continuano a credere nelle “stravaganze” di questo ancora giovane don.

Quando un lustro fa circa il suo vescovo ( per quel meccanismo che dicevo prima) lo mandò a curare le anime in questa benedetta valle non distante da Livorno, Cristian si è trovato davanti un’antica abbazia in completo abbandono, e come un novello san Francesco, chiesto l’aiuto dei suoi amici trentini e di quelli che si era creato in alcuni spostamenti avvenuti in territorio livornese (sempre per quel meccanismo che dicevo all’inizio), si rimboccò le maniche, predisposero il materiale e la malta necessari, e l’abbazia rivenne su ……più bella e più grande che pria.

Dalle notizie acquisite, sembrerebbe che abbia gia adocchiato un altro rudere di valore da rimettere in piedi.

Vista la sua attraente “stravaganza” (diciamo la verità: non se ne può più di certa pretaglia – ops, intendevo dire buoni preti trasmettitori della buona e sana tradizione….), intorno a lui si è costruita una piccola comunità, i cui componenti non esitano a fare dei chilometri in macchina per tener viva la loro fede, grazie anche alle stramberie di Cristian don.

Ora, bisogna sapere che un’alluvione avvenuta tempo fa aveva provocato uno smottamento di terreno, restringendo di molto la strada che conduce all’abitato collinare, in realtà un insieme di case sparse. Da allora l’amministrazione pubblica,di questo problema subito dagli abitanti del luogo, si è sempre disinteressato. E qui interviene la stravaganza di Cristian, che ad ogni anniversario dell’alluvione, nel mese di maggio, chiama a raccolta le anime e i corpi dei suoi parrocchiani, invitando anche figure istituzionali, e celebrano la Messa proprio lì, nel punto indicato dal prete nella foto.

 

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Scorrendo la notizia su un quotidiano del luogo, mi è capitato di leggere un commento di un tale evidentemente risentito, perché, a suo dire, queste “ingerenze” danneggiano la religione. Cioè, il pretino dovrebbe fare il suo mestiere ( che sarebbe?) e lasciar da parte la “politica”.

In pratica è quanto pensa la maggior parte dei “credenti”, siano essi cattolici, protestanti, atei devoti,atei praticanti e menefreghisti in toto: una cosa son gli affari di lassù, un’altra sono quelli di quaggiù.

Cosa penso io? Semplice: se ci fossero in giro tanti Cristian, la Lieta Notizia sarebbe più evidente e sopratutto praticata, e per tornare al titolo che ho dato a queste due righe, ai veri seguaci di Gesù le “promozioni” non importano granché, per cui è inutile che certi vescovoni cerchino di prendere per i fondelli chi si ritrova una testa e un cuore diversi da loro.

Imparare a diventare fratelli

Sassari: il campo nomadi sarà sgomberato entro l’anno

Nel seguente link puoi leggere l’articolo…..

http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2018/08/19/news/campo-nomadi-sgomberato-entro-l-anno-1.17169140?ref=hfnsssea-1

Cattura

…e qui il mio modesto parere

di Piero Murineddu

Evidentemente la cosa non poteva durare in eterno. Non è più accettabile che degli esseri umani vivano nel degrado assoluto, naturalmente a debita distanza dal delicato olfatto della cittadinanza civilizzata.

Il Nicola sindaco, quello che ormai ha fatto l’orecchio divertito ai fischi della “faradda”, è stato spinto dalla seppur evanescente autorità del Parlamento Europeo (“se mi conviene aderisco,se no faccio lo gnorri”) che a suo tempo ha sancito l’eliminazione dei ghetti quali sono i campi nomadi (“nomadi” una minchia…ormai perlopiù le varie etnie “zingaresche” sono divenute stanziali), ma intanto finalmente una soluzione si sta’ cercando, è questo è segno di civiltà.

E noialtri è inutile che facciamo troppo gli schizzinosi. Non possiamo pretendere di avere come vicini solo gente ben pulita, educata, inquadrata e che possibilmente voti quel cazzone del “celodurismo” antico, conosciuto come Matteo lo Sbruffone&Barroso. Sono i rapporti umani veri che contano, e non la spesso formale e glaciale “educazione” di semi’indifferente buon vicinato. E i rapporti umani si costruiscono, non piovono dall’aria.

Tutta da organizzare questa auspicata integrazione dei Rom & C. nel contesto civile, e sicuramenre non sarà cosa facile. Ma è necessaria. Do-ve-ro-sa ! Ci riteniamo cristiani o adoratori di una qualsiasi divinità fatta a nostra immagine e somiglianza? Dimostriamolo coi fatti, accogliendo l’altro e divenendone fratello. Fratello che si ama, non col quale ci si scanna per dividere cinque sedie lasciate dai genitori defunti. Così sia e anche buona settimana di un’estate agli sgoccioli.