Autore archivio: piero-murineddu

MINISTERO, SERVIZIO E NON ALTRO (diversamente, c’è la via dell’eremitaggio)

di Piero Murineddu

Chi in po’ lo conosce, sa che don Giorgio De Capitani, ottantenne prete lombardo, le cose le dice chiaramente, senza nessuna prudente diplomazia e senza troppi giri di parole. A molti può apparire irritante e troppo pieno di se. Io di tanto in tanto lo vado a leggere nel suo sito, lo leggo o l’ascolto e solitamente mi faccio una mia idea di quanto il suo pensiero esprime. Non sono né un suo fan né un suo detrattore, cose di cui in fondo non m’importa un fico, secco o fresco che sia.

Fatta questa premessa, più che altro questo video che trovate sotto lo prendo come spunto per qualche considerazione sul rapporto che vi è tra il vescovo e i suoi sacerdoti, di cui è riferimento e responsabile. Più precisamente sul livello di dialogo che, se proprio vogliamo fare il paragone, un padre deve avere coi suoi figli. Un padre può avere un atteggiamento autoritario o, appunto, dialogante.

Io faccio parte dell’arcidiocesi di Sassari che, come mi è stato spiegato e conoscendo la struttura piramidale della Chiesa Cattolica, estremamente gerarchizzata, è un rimasuglio del passato, una forma di scala di potere che si fa molta fatica a mettere da parte, ammesso che lo si voglia.

Chi ricopre questa carica, se lo fa con spirito di servizio o, al contrario, con spirito di potere, lo si vede benissimo dagli atteggiamenti e dalle iniziative. Dal come si comporta concretamente, insomma, in quanto ormai delle parole non importa più a nessuno, o almeno, non interessa a persone adulte e mature. Ma come sappiamo, i “sudditi” sono sempre esistiti e sempre, temo, esisteranno, e probabilmente in questo ruolo vogliono rimanere e ci stanno pure bene.

Grazie a Dio e alla volontà di certi “gerarchi” ecclesiastici, abbiamo esempi di vescovi e arcivescovi, o se si preferisce, di guide pastorali, che hanno vissuto il loro ministero realmente come servizio alla comunità. Se poi consideriamo che ministro vuol dire servitore, non hanno fatto altro che quanto dovevano fare. Lasciamo da parte i ministri in senso politico, altrimenti ci confondiamo le idee e iniziano a girarci i cosiddetti, in questi tempi specialmente.

Torniamo a don Giorgio, che alla sua età non ha sicuramente obiettivi carrieristici ( al contrario di molti dei nuovi giovani preti che stanno sostituendo le vecchie generazioni!).
Mi chiedo cosa scriverebbe di questo attuale arcivescovo – l’ “arci” gli è stato aggiunto da poco – uno spirito libero come lui. Sicuramente esprimerebbe la sua opinione sulle parole e principalmente sui fatti, senza alcuna soggezione, spesso travestita da docile ubbidienza. Se così potesse avvenire, mi auguro che la guida pastorale dei cattolici del sassarese considerasse il “giudizio” per riflettere, e se intelligente e in buona fede, come stimolo per modificare il suo operato. In altre parole, opportunità per crescere e migliorarsi. Nel caso di un arcivescovo, a beneficio suo personale e, ancor di più, di tutta la comunità.

In pratica, come con l’esempio del padre di famiglia nei confronti dei figli. Non sono solo questi ultimi a dover imparare. Molto spesso è l’esatto contrario.

 

Un ricco sabato di fine novembre

di Piero Murineddu

Ottimissima giornata quella di ieri, sabato.

Mattinata partecipata trascorsa presso il teatro Civico di Sassari, dove c’è stata la riunione dell’interclub – CAT, club alcolisti in trattamento – gruppi di mutuo aiuto he operano secondo il metodo pensato da Hudolin per liberarsi dalla schiavitù dell’alcol e poter così riconquistare la dignità che questa sostanza, troppo spesso sottovalutata, ruba alle persone.

Gia nel ritrovarsi si è sentito forte il senso di appartenenza che lega chi ha alle spalle un passato di sofferenza, per loro e le rispettive famiglie, concetto ribadito di continuo durante le liete e coinvolgenti ore trascorse insieme: L’ALCOLISMO DI UN COMPONENTE COINVOLGE L’INTERA FAMIGLIA.
e in questi gruppi è richiesta proprio la partecipazione della famiglia.

Gli interventi sono stati tutti molto toccanti.

Punti ricorrenti: empatia verso l’altro e coraggio. Aspetti che portano inevitabilmente a sperimentare un sentimento gioioso tanto assente nelle nostre giornate ma di cui abbiamo tutti profondo bisogno e nostalgia.
Ma la gioia è necessario lavorare sodo per tenersela stretta. Sicuramente vi è una componente caratteriale, ma è principalmente conseguente alle spicciole scelte quotidiane.

Ogni settimana, in ciascun club si ritrovano vari componenti familiari e ciascuno comunica quanto sta vivendo, col massimo rispettoso ascolto degli altri.

Le storie raccontate in mattinata sono state tutte egualmente toccanti e molto coinvolgenti, compreso l’intervento del medico, specializzato in psichiatria, della polizia di Stato, che messi da parte gli appunti perché scritti con la tipica calligrafia incomprensibile dei medici, ha contribuito non poco e inaspettatamente a rallegrare l’atmosfera, nonostante il tema trattato. Insieme al dirigente della locale polizia, hanno ribadito che il loro compito, più che sanzionatorio, è quello di prevenire tragedie causate dall’uso dell’alcol. Uso. Non abuso. Anche questo aspetto è stato ribadito durante la mattinata. Il consumo dell’alcol è deleterio per l’organismo, e questo a prescindere dalla quantità. Sembra terroristica tale affermazione, eppure gli studi fatti è quanto stabiliscono.

Il referente di zona, anche lui “servitore insegnante” (andate a scoprirne il significato) ha insistito perché i CAT si moltiplichino e nascano in ogni comune, e di questo dovrebbero farsene carico le istituzioni e la comunità nel suo insieme.

Grande soddisfazione quando, al termine, son stati distribuiti gli attestati di “sobrietà”, in modo particolare per il mio amico Gavino che vedete nella foto.

mnmnm

Momenti per me di grande valore umano, anche se di alcol non faccio uso e non ne sento per niente bisogno. Nessuna autolode in questo, consapevole che il bere alcolici è “normale” nel relazionarsi con gli altri e considerando che per molti è la durezza della vita a portarli a questo falsissimo sostegno.

 

fffff

La serata piovosa e cupa è stata piacevolmente riempita nell’ascoltare le considerazioni del sempre egregio ( ex gregge, fuori dal gregge) Vito Mancuso, considerato dall’ortodossia cattolica una volta eretico ed un’altra sincretista, ma le cui parole aiutano sempre ad andare oltre le cose che solitamente si danno per scontate, ma che in fondo ci si limita a considerare nella loro direttamente visibile superficie.

Ed è proprio sull’importanza di trascendere se stessi che ha disquisito l’ottimo “teologo” e pensatore, la cui principale attività è lo studiare senza….. interruzione.

Non sono da poco i concetti affrontati da Vito, tutte di grande importanza.

Ha rimarcato che la libertà comporta consapevolezza, creatività e responsabilità.

Pensiamo, come individui e come società organizzata, che queste tre componenti sino presenti nel nostro sentirci (illusoriamente) liberi? mmmmmmmmm…….Non so di voi, ma su di me ho molti dubbi.

Tra le altre cose, Vito ha invitato i numerosi presenti a “pesare” (pensare) quanto abbiamo realizzato e quando abbiamo a realizzare, onorare il tempo che ci è dato e venerare il mondo circostante, cercando costantemente come obiettivo massimo maniere nuove per nutrire la nostra vera o presunta libertà.

Creare una nuova “spiritualità” capace di vincere la tirannia delle tante paure che ci rendono aggressivi a vicenda. Questo è possibile se focalizziamo il bello che c’è intorno a noi. Questo non vuol dire affatto chiuderci gli occhi davanti alle oggettive brutture, specialmente di certi comportamenti avviati verso la disumanizzazione della vita. Focalizzare la propria energia vitale proprio per migliorare il mondo.

Non sono belle parole e obiettivi irrealizzabili, in quanto diventiamo ciò che desideriamo. L’ho già detto: a livello individuale e a livello collettivo, meglio ancora comunitario.

Grazie alla molto generosa Gianfranca, grazie a Gavino, grazie a Paolo,  grazie alle due Antonella che conosco e ad eventuali altre che non ho avuto la fortuna d’incontrare, grazie Paola, grazie Carlotta, grazie MariaPaola, grazie Franco, grazie Maria Rita,grazie dr Fois, grazie Giuseppe,grazie Claudia, grazie Mario, grazie Vanni, grazie Cenza,grazie Demetrio, grazie Maria,grazie Roberto, grazie Antonello……Grazie Vito, grazie Giovanna, grazie Marta e grazie a tutti coloro che ho incontrato in questo faticoso ma bel sabato di fine novembre. Ciascuno di voi mi ha arricchito.

A ben guardare, i due temi della giornata sono stati uno il proseguo dell’altro.

Sul canto liturgico

di Piero Murineddu

Il Papa rivolto alle corali liturgiche ha messo in guardia dalla tentazione di «un protagonismo che offusca il vostro impegno e umilia la partecipazione attiva del popolo alla preghiera. Non fate la “prima donna”. Siate animatori del canto di tutta l’assemblea e non sostituitevi a essa, privando il popolo di Dio di cantare con voi e di dare testimonianza di una preghiera ecclesiale e comunitaria».

Per me Francesco ha più che ragione nel fare questo richiamo. Per come sono strutturate le liturgie cattoliche, dove l’assemblea è ridotta ad un ruolo quasi passivo e prevale fin troppo quello di chi presiede, se le si toglie la possibilità anche di cantare, tanto vale che la Messa la si “ascolti” alla tivu.

L’argomento mi riporta alla memoria ancora una volta quando mi recavo nella vicina Porto Torres per partecipare alla Messa domenicale presieduta dall’indimenticato don Tonino Sanna, di cui il prossimo 18 dicembre ricorre il secondo anniversario della sua scomparsa.

Quando non c’era la sua allieva prediletta per suonare l’organo, era lui stesso che, all’ingresso, s’accomodava davanti allo strumento musicale e avviava il canto accompagnandolo con un suono che sembrava potesse far crollare l’intero edificio, di quanto era deciso e alto il volume. Per i presenti era quasi impossibile non unirsi. Il fogliettino coi testi e la melodia conosciuta invogliava pressoché tutti a cantare coralmente. Un vero piacere e un evidente e gioioso senso comunitario.

Cosa diversa quando ti ritrovi forzatamente zittito da un coro che, per quanto bravo possa essere, ti toglie il diritto di partecipare, in quanto il canto eseguito non lo si conosce.

Son trascorsi tanti anni da quando io stesso avevo il compito di animare i canti dell’assemblea celebrante nella chiesa parrocchiale. Sostenuto da un coro, facevo di tutto perché tutti potessero partecipare, senza smania di fare continuamente canti nuovi, escludendo di conseguenza la partecipazione dei presenti.

Quando tuttora qualcuno richiede la mia presenza per animare qualche celebrazione, cosa che quando posso faccio solitamente volentieri ma con sempre più fatica, tendenzialmente son portato a fare canti ai quali chi vuole possa partecipare in quanto conosciuti.

Bene ha fatto Francesco a……..

antonio

Nella foto, l’amico don Tonino Sanna

 

 

Quello che segue è uno scambio avuto con Luca Sannai, successore di don Tonino nella direzione del coro dal prete fondato e in seguito trasferitosi in Francia dove porta l’attività di tenore presso l’Opera di Parigi. Chiarisco questo perchè quanto da lui argomentato non è fatto da uno qualunque. Vediamo…

Luca
Non sono d’accordo, ma soltanto per il semplice fatto che il Belpaese ha un’educazione musicale di base prossima allo zero che si riflette anche sulla Chiesa, (la quale non è comunque esente da colpe, basta farsi un giretto nel resto d’Europa e si capirà al volo il perché).
I pochi preti musicalmente illuminati hanno prodotto assemblee educate e migliori dei cori che ospitano.
Ma al tempo stesso vi sono direttori che hanno prodotto cori di alto livello in contesti parrocchiali dove l’assemblea farebbe meglio a non aprire bocca e no, non è un concerto, è rendere lode a Dio con i talenti che ci ha messo a disposizione.
Poi ci sono i preti-direttori-organisti-compositori, ormai mosche bianche, quadrifogli in un prato inaridito, che si sono permessi entrambe le cose, con un lavoro didattico, pedagogico, spirituale e musicale costante per decenni e decenni.
Perché l’eccellenza non nasce per caso, ma è frutto di lavoro, di fatica, di investimenti di risorse fisiche, economiche, educative, sociali. Fatica che la Chiesa cattolica italiana, almeno si questo versante, ha smesso di fare da tempo immemorabile.

Io
Luca, solo ora leggo il tuo commento. Non ho capito bene se non sei d’accordo con me o con Francesco. Ad ogni modo, sono anch’io dell’idea che le assemblee, quelle cattoliche ancor più di altre confessioni cristiane, sono poco educate al canto liturgico fatto in modo dignitoso, ma dire che “farebbe meglio a non aprire bocca” mi sembra indelicato e anche irrispettoso. Non tutti hanno avuto l’opportunità di frequentare corsi per perfezionare la propria voce, ma questo non è un motivo valido per togliergli il diritto di esprimersi attraverso il suo strumento naturale, anche se non perfettamente accordato. Il coro non può sostituirsi all’assemblea, qualunque essa sia. Accetto che in un brano musicale, il coro faccia la parte più impegnativa e l’assemblea quella più semplice, ma l’ho gia detto e lo ribadisco: a chi partecipa ad un rito comune, non gli si può imporre il silenzio perché “non all’altezza”. È doveroso trovare i modi opportuni perché chi decide di trovarsi insieme ad altri, specialmente per esprimere un credo religioso, venga aiutato a trovare più armonia possibile con tutti i presenti. Se si lavora su questo, possiamo anche intenderci. L’eccellenza la si può pretendere da chi dedica energia e tempo, ma non da persone di diversa provenienza e occupazione che non conoscono neanche il significato dei termini pentagramma e solfeggio

Luca
È proprio questo il punto. Negli altri Paesi europei l’alfabetizzazione musicale praticata fin dalle elementari e con metodologie didattiche corrette ha portato la popolazione ad essere in grado di leggere uno spartito semplice a prescindere dal mestiere esercitato e dal grado d’istruzione. Questo ha fatto si che la gran maggioranza sappia cantare in maniera decente. È stato semplicemente approcciato il problema in maniera differente. Le interazioni coro-assemblea ne trarrebbero giovamento in tutti i sensi.

Io
Guarda Luca, sono stato in contatto con una famiglia tedesca i cui i componenti, TUTTI, suonano uno strumento. Immaginati una famiglia che invece di stare passivi davanti alla tivu, sono attivissimi nel fare musica insieme. Sai più di me quanto la musica è strumento d’unità, e il cantare ancor di più. Quindi quanto dici lo condivido. In Italia questa cultura ce la sognamo. Ma il punto non era questo, ma il DIRITTO dell’assemblea di non essere impedita di esprimere la propria fede attraverso il canto, che sia più o meno intonata. Si creino momenti aperti a tutti per imparare ad essere meno gregge belante (e irritante per i puristi con l’orecchio fino) durante le liturgie comuni. Tutti ne gioveremmo e sentiremmo più il senso di unità. Ma nel cantare anche se stonatelli, si prega ugualmente “due volte”. Stai bene e auguri per la tua attività

Sull’amaro caffè di Gramellini

1542791955-42349567-10216852515293271-749783779576381440-n

Massimo su Silvia

di Massimo Gramellini

Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue SMANIE D’ALTRUISMO in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua SCELTA AVVENTATA rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto.

Ci sono però una cosa che non riesco ad accettare e un’altra che non riesco a comprendere. Non riesco ad accettare gli attacchi feroci a qualcuno che si trova nelle grinfie dei banditi: se tuo figlio è in pericolo di vita, il primo pensiero è di riportarlo a casa, ci sarà tempo dopo per fargli la ramanzina. E non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a ILLUDERTI ANCORA DI POTERLO CAMBIARE. Le delusioni arrivano poi, quando si diventa adulti e si comincia a sbagliare da professionisti, come canta Paolo Conte. Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza”.

3234065-thumb

Alcune domande

di Piero Murineddu

No, non sono tra quelli che si uniscono al feroce coro contro il vice direttore del Corrierone milanese. Lo considero degnamente pensante, anche se, a tratti, un tantino ambiguo.

L’ambiguità di Massimo la vedo tra la prima parte e il proseguo del suo scritto.

“Smanie d’altruismo”

L’affermazione la trovo completamente fuori luogo. Pur non conoscendola, non credo che Silvia avesse bisogno di dedicarsi al prossimo per colmare egoisticamente sue eventuali frustrazioni personali, e se ha fatto una scelta, credo l’abbia fatta in piena libertà e nessuno si può arrogare il diritto di giudicare il modo in cui una qualsiasi persona decida d’impostare la sua vita.

“Scelta avventata”

Non riflettuta, credo di capire. Anche qui, Massimo: hai elementi sufficienti per tale affermazione, che ritengo alquanto grave? Conosci Silvia? Hai seguito il percorso che l’ha condotta a fare questa scelta? Sei certo che non fosse consapevole del rischio che correva?

Questi due passaggi son contenuti nella prima parte. Da qui in poi Gramellini cambia tono e atteggiamento, ma un’altra affermazione mi lascia sconcertato:

…illuderti ancora di poterlo cambiare (il mondo)

Anche questa. Mi sembra una tipica affermazione di quel tipo di adulto che ha rititato i remi in barca e, rassegnato, si lascia trasportare dalla corrente, ovunque lo conduca.
Eppure sappiamo, almeno io ne sono convinto, che con l’impegno individuale, il mondo può sempre migliorarsi e probabilmente, evitare il baratro verso cui sembra destinato, dove per “destino” intendo la volontà degli uomini di scannarsi a vicenda. Ma come, vogliamo rubare ai giovani qualsiasi speranza e fiducia in un futuro più giusto e più umano? Se così facessimo, avremmo una responsabilità imperdonabile verso le generazioni che verranno, ammesso che ciò sia ancora possibile.

Massimo, ho letto le tue giustificazioni e i chiarimenti fatti a seguito di quell’amarissimo caffè mattutino. In parte ti capisco, ma

 

non ti permetto di togliere a speranza ai miei figli!

 

Ps
Anch’io mi unisco al grazie a Silvia da parte di Gianni Di Santo che segue

ragazza-italiana-volontariato-africa

Grazie a Silvia e alle altre

 

di Gianni Di Santo

Io non mi chiamo Silvia. E non so perché abbia scelto di fare volontariato lontano dal nostro paese. Perché un giorno qualsiasi un ragazzo o una ragazza decidano, all’improvviso, di partire per rotte insicure alla ricerca del volto dell’altro. Forse dovremmo avere anche il coraggio di non giudicarli con troppa fretta questi angeli custodi di terra “altra”.

Però so, sappiamo, che se non avessimo, ogni tanto, davanti ai nostri occhi bendati da conformismo borghese, questi volti dimenticati dalle comodità occidentali, che hanno in sé la cultura del donarsi, questo povero Paese sarebbe già da tanto tempo alla deriva.

Silvia e le altre, Silvia e gli altri, il sorriso e la speranza di chi sta là, in terra straniera, ci provocano ogni giorno, mettono a nudo le nostre tranquillità in nome di un silenzio e nascondimento operoso che nemmeno sogniamo nei nostri territori digitalizzati.

Le mani al posto delle chat. Il cuore al posto del calcolo. Il dono al posto del regalo. L’anima al posto dell’indifferenza. Il loro sorriso ci spiazza. E mai ci consola.

Ecco perché io, noi, a questa Silvia e le tante altre che non conosciamo, vogliamo dire solo grazie.

Ezra che visse vent’anni a Rapallo

46499296_1920603211310761_1204384674625880064_n

di Piero Murineddu

Certo, Ezra Weston Loomis Pound, nato a Hailey il 30 ottobre 1885 e morto a Venezia il primo novembre 1972, poeta e saggista, ha appoggiato Benitone e aveva simpatie per quell’altro galantuomo rispondente al nome di Adolfino, com’era chiamato dai suoi feroci cani, ma da qui ad essere portabandiera di quegli altri gentiluomini e giovanottoni con la capa rasata e ingiubbottati anche con 40 gradi all’ombra ce ne passa.

Aveva idee sull’economia particolari il buon Ezra, e voleva convincere il suo Benitone da Predacchio che, se applicate, gli italiani non avrebbero pagato più le tasse. Oh caspità oh caspiterina! Ma v’immaginate? Gli italiani non sarebbero stati costretti neanche a versare l’oro per la Patria (scusate, ma qui il maiuscolo è d’obbligo).

Pur non essendo minimamente cagato dal Dux, il buon Ezra ha continuato a credere in Lui, l’Uomo della Provvidenza, aderendo addirittura alla Repubblica Sociale quando era chiaro che ormai il tempo della dittatura – grazieaddio – era finito. Arrestato e imprigionato, ebbe un tracollo psicologico che lo portò a trascorrere tredici anni in manicomio. Ad ogni modo era un uomo di cultura e persone di pregio, quale Pier Paolo Pasolini, non lo abbandonarono nel momento della depressione.

Ma veniamo a quei giovanottoni con bicipiti e tricipiti, borchie e cianfrusaglia varia rigidamente nera, sempre pronti a portare la pasta ai poveracci (italiani) e nel contempo a pestare malamente gl’immigrati che con l’avvento dell’era EmmeEssexpadano hanno rialzato la capa rapata.

Sapevate che la figlia di Ezra è dovuta ricorrere alle vie legali contro l’appropriazione del suo cognome da parte di questo movimentucchio?

Sapevate che dal 2003 occupano abusivamente un palazzone romano dove vi hanno insediato amici e parenti e che, andati i finanzieri per controllare le carte, i gentili giovanottelli li hanno minacciati, dicendo che il tutto poteva finire in un bagno di sangue?

Sapevate che EmmeEsse ex padano e autorità varia romana sanno tutto eppure niente cambia?

Non lo sapevate? Adesso lo sapete.

Certo che quella sbandata per Benitone non la doveva prendere il buon Ezra…..

Aveva aspetti positivi Ezra. Ma cosa fanno quelli di CasaPound? Fanno propri quelli più negativi negativi e diventando quel che sono, che evito di dire perché questo argomento mi ha veramente stancato.

Ma comunque, pax nobiscum&cosìsia

Annuncio elettorale in Sardhigna

di Piero Murineddu
 images
Cattura
di Alessandro Cipolla
Saranno le elezioni regionali in Sardegna ad aprire il 2019 della politica italiana, con il 2018 che invece si chiuderà con il voto in Trentino Alto Adige e, forse, in Basilicata e Abruzzo ma in questi due casi ancora c’è incertezza sulla data.
In Sardegna invece almeno è sicuro quello che sarà il periodo: le urne si apriranno a inizio febbraio 2019. Vediamo allora chi saranno i candidati a sfidarsi in queste elezioni e cosa dicono i sondaggi in merito al voto.
Anche se ancora non c’è l’ufficialità della data esatta, secondo quanto stabilisce la legge regionale 108 le elezioni regionali in Sardegna dovranno svolgersi tra il 20 gennaio e il 24 febbraio 2019.Anche se manca ancora l’ufficialità , alla fine al data delle elezioni dovrebbe essere domenica 24 febbraio.
La legge elettorale per le elezioni in Sardegna è stata modificata per l’ultima volta nel 2013. Per garantire la governabilità, sarà eletto governatore il candidato più votato: se dovesse ottenere tra il 25% e il 40% dei voti ci sarà un premio di maggioranza del 55% dei seggi, oltre il 40% invece il premio sarà del 60%.
Con meno del 25% invece non scatterà alcun premio di maggioranza. Inoltre la legge elettorale prevede la possibilità di effettuare un voto disgiunto (si può votare per una lista e per un candidato presidente non collegati fra loro), mentre la soglia di sbarramento è del 10% per le coalizioni e del 5% per le liste non coalizzate.
Se ancora non si ha la certezza ufficiale in merito alla data di queste elezioni regionali in Sardegna, la situazione nell’isola è abbastanza simile anche per quanto riguarda gli aspiranti governatori che si andranno a sfidare.
Tra i principali partiti o coalizioni, chi aveva giocato d’anticipo era stato il Movimento 5 Stelle che a inizio agosto tramite il voto online ha ufficializzato il proprio candidato: Mario Puddu, ex sindaco di Assemini. Dopo che però che Puddu è stato condannato a un anno per abuso d’ufficio, l’ex sindaco ha ritirato la sua candidatura con i pentastellati che ora quindi dovranno trovare un altro candidato tramite delle nuove primarie online .
Nel centrosinistra la scelta sarà affidata alle primarie in data 16 dicembre. In pole position sembrerebbe esserci Massimo Zedda, attuale sindaco di Cagliari, ma si parla anche di una possibile nuova candidatura dell’attuale governatore Francesco Pigliaru che, nel novembre 2017, ha comunque dichiarato che non si sarebbe ripresentato per un secondo mandato.
Si stacca dal PD anche Andrea Murgia che sarà il candidato di Autodeterminazione, una sorta polo indipendentista formato da sette movimenti: RossoMori, Irs, Sardigna Natzione, Liberu, Sardegna Possibile, Gentes e Radicales Sardos. Possibile un appoggio esterno anche di Caminera Noa.
Il centrodestra dopo il vertice di Palazzo Grazioli si presenterà compatto. La sintonia ritrovata tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ha portato a una sorta di divisione dei candidati alle regionali con la Sardegna che dovrebbe spettare alla Lega.
Il senatore Christian Solinas, segretario del Partito Sardo d’Azione che alle ultime politiche ha stretto un accordo con la Lega, potrebbe essere un nome spendibile mentre Forza Italia sarebbe più orientato per l’europarlamentare Salvatore Cicu.
A formare la coalizione di centrodestra saranno Lega-Psd’Az, Forza Italia, Fratelli d’Italia, UdC e Riformatori. Non ci sarà invece il Partito dei Sardi, che alle elezioni del 2014 si è presentato con il centrosinistra e che dovrebbe anch’esso scegliere il candidato attraverso delle primarie a fine novembre.

Forza alé, forza alé, forzItalia, forza alé…..peperepepepé

46457930_1917572298280519_6945851618243903488_n

 

di Piero Murineddu

Sentite a me (è ai sardi che mi rivolgo, ma potrebbe interessare anche qualche “continentale”), avete comprato La Nuova, o state ancora poltrendo nel letto? Dai, se vi alzate in fretta, fate ancora in tempo a recarvi all’edicola più vicina. Intanto questo articolo ve lo regalo io.
Si tratta del raduno degli zombi forzisti che, ancora convinti di valere qualcosa, tentano si suonare la carica in vista delle imminenti regionali.

“Siamo qui per dirvi che ci siamo”. Ah si? Bene bene bene.
L’organizzatore, tal Cicu Barore, afferma che è disposto “anche” ad allearsi con la Lega (ma guarda…), ma non possiamo far prevalere nessuno in quanto – udite udite- Forza Italia Alè deve poter dare le carte ed essere cabina di regia”.

Capito avete? Cioè, in pratica Barore pensa di essere ancora al tempo di menomalechesilvioc’è, per cui il diritto di dare le carte, le solite carte truccate, spetterebbe al suo movimentopartitoochissàcos’èmaistato.

Queste chiare e inequivocabili parole lo dirà al Tizio nominato nella foto (in realtà vi erano schierati i politicantini forzisti plaudenti, ma per quel che contano, ho preferito sostituirli con quest’altra più eloquente foto).

L’Atteso (no, non Gesù, anche se l’Avvento è alle porte), in questa settimana sarà in Sardegna per i suoi show, sicuramente accolto con canti di allegrezza e rami di palme sventolanti ( più o meno come quel nazareno di duemila anni fa, che qualche giorno dopo è stato fatto fuori nel modo più ignominioso del tempo, appeso ad una croce). Grazieaddio non saranno tutti i sardi ad accoglierlo col sorriso forzato, e la scritta nel muro lo dimostra chiaramente.

Certo, fino a poco tempo fa, il Grande leader, dei sardi e dei meridionali in toto ne diceva di tutti i colori, ma cosa volete: gli italiano hanno memoria corta e buona parte dei sardi ancora i più. Eppoi, il Grande Atteso ufficializzerà il nome del candidato governatore, quell’altro giovanottone, tal Christian Solinas, presunto seguace di Emilio Lussu (pace alla sua eterna incazzatura!) , attuale capo del Psd’az e col culo assicurato tra gli scranni del Senato grazie all’intercessione del Tizio su nominato che dicevo .

A proposito della foto. Gli uomini della Digos stanno dandosi da fare per risalire agli autori. Nel caso ne sappiate qualcosa, fatevi gli affaracci vostri. Buona domenica

Yuri Roberto e la sua continua ricerca di significato

di Piero Murineddu

“Prima di convertirmi al Cristianesimo ero uno che seguiva Kerouac, Hendrix, la beat generation, il mito di Woodstock. Poi è accaduto un fatto concreto nella mia esistenza: l’incontro con Cristo che ha capovolto tutto. L’essere monaco benedettino è una conseguenza della mia scelta: trovare lo spazio adatto per uno stile di vita cristiano”

Con queste parole, Roberto spiega la sua decisione d’intraprendere la strada del monachesimo, inizialmente comunitario, vivendo insieme ad altri monaci per undici anni, per poi decidersi per una vita eremitica alle pendici dell’Etna, riempiendo le sue giornate di lavoro della terra, creazione di icone, musica e preghiera. Durante la leva militare a Udine conosce Franco Battiato, che lo introduce nel mondo della musica. I due, oltre che dall’amicizia, sono stati uniti da una collaborazione artistica. E’ sua “Nomadi”, fatta conoscere dallo stesso Battiato. Tra i tanti esperimenti musicali affrontati, c’è stato un periodo in cui faceva dei concerti accompagnandosi dall’harmonium ed improvvisando con la voce. Durante la vita eremitica, ha inciso un LP con brani della tradizione gregoriana e un “Te Deum” della durata di quindici minuti circa. Ascolto spesso questo brano, specialmente quando sento il bisogno di immergermi in un’atmosfera di preghiera profonda e silenziosa.

Le considerazioni che seguono introducono bene la profondità espressa da questa canzone, il cui testo riporto integralmente subito dopo

juri_Camisasca

LE ACQUE CHE SCORRONO IN SILENZIO

di Christian Albini

“Le acque che scorrono in silenzio. Questo popolo ha rigettato
le acque di Siloe che scorrono piano” (Isaia 6,8).

Da quando mi è passato sotto gli occhi questo versetto di Isaia, non smetto di pensarci. Siloe era una piscina alimentata dalle acque di una sorgente fuori dalle mura della città vecchia di Gerusalemme.
Sono le acque dove Gesù invia il cieco nato a lavarsi affinché ritrovi la vista (cfr. Giovanni 9,7).
La tradizione cistercense vi vede il simbolo della vita contemplativa, la cui immagine si è impressa in monasteri sorti tra le foreste, sulle rive dei fiumi, tra rocce ravvivate da sorgenti.
Thomas Merton le definisce le acque che il mondo non conosce, perché preferisce l’acqua dell’amarezza e della contraddizione.
Provo il desiderio di ritrovare queste acque che scorrono piano, in silenzio. Spesso, nella nostra interiorità c’è tutt’altro.
E’ l’acqua che ci dà da bere il Signore che diventa in noi una sorgente che zampilla (cfr. Giovanni 4,14). La sorgente è in noi, è quella del divino che è in noi, che comincia a scorrere quando rotola via la pietra dell’ego. Siloe è il nome di un desiderio, di un’attesa.

Juri-Camisasca-HamelinProg

 

 

LE ACQUE DI SILOE

Quando il mondo ancor non era
che un progetto preesistente
e il mercante d’oriente soltanto un’idea
pure io facevo parte dei tuoi sogni
per essere un tuo messaggero

Ed apparvero le acque sulla terra fertile
ed un falco che volava nelle notti di luna
e dal grembo di una donna pure io
con il codice del tuo sentimento
con la forza nella voce
per parlare di tuo Figlio

Ora tendo le mie mani con un’anfora al mattino
E una ciotola di legno riempio di pane
la ricchezza della luce è la povertà
con un magico di volo ti abbassi
ai confini del mondo e riveli
e riveli tua immagine

Il mio corpo appartiene alla terra
ed il sole che contiene è un tuo riflesso
In un tempo sconosciuto io ritornerò
con un magico volo nei tuoi giardini
e alle acque di Siloe riavrò tutte le cose di una volta

(Pia,sovrana,attraverso le nubi giunge una voce. Tutta la terra custodisco e la vita in silenzio, certo, dolcemente per sempre, priva di vecchiaia, divina esterna)

Diversamente, è pura ipocrisia (il “Padre nostro” di Michele Meschi))

Diversamente, è pura ipocrisia (ma ad essere ipocriti siamo abituati)

di Piero Murineddu

“Può rivolgersi a Dio chiamandolo Padre solo chi s’impegna ad orientare la propria vita al bene dei fratelli”.

E qui la condizione perché siamo noi a considerarlo Padre non c’entra nulla. È Lui che ci considera figli, a prescindere dagli innumerevoli “credi” che ci siamo inventati e che ci dividono, siano essi “religiosi” o laici.

Per un padre la cosa più importante che sta’ al di sopra di tutto l’altro è che i propri figli vivano in pace. La salute, la carriera lavorativa, il farsi strada nella vita, un matrimonio riuscito….. Tutte cose che passano in second’ordine, per quanto valore abbiano.

Ciò che rende felice un genitore è che i figli conservino un rapporto realmente fraterno in ogni circostanza e in qualsiasi strada abbiano intrapreso. È un fatto che sperimentiamo, sia che siamo genitori nella carne, sia che lo siamo nello spirito.

Eppoi ci sono quelle inquietanti parole di Gesù che non dovrebbero lasciarci indifferenti e farci rialzare dal banco “pregatoio” per catapultarci nelle strade dell’altrui sofferenza:

Non chi dice Signore Signore, ma chi fa la volontà....” ecc ecc

 

46477109_2193154914283797_4723650928161325056_n

 

di Michele Meschi

Come motiva magistralmente Alberto Maggi, il “Padre Nostro” è il testo più complesso del Nuovo Testamento, oltre che – elemento da non sottovalutare – l’unica preghiera che Gesù ha direttamente insegnato e autorizzato.

Oltre che in Matteo e in Luca, essa compare nella cosiddetta “Dottrina dei dodici apostoli” (Didaché), testo siriaco o egiziano a cavallo tra il primo e il secondo secolo, ovvero contemporaneo ai libri più tardivi del Secondo Testamento.

Ricorda Maggi [si cita direttamente] che il “Pater” non è una pia formula di devozione, “ma la formula di accettazione delle Beatitudini […]. Può rivolgersi a Dio, come Padre, solo chi si impegna a orientare la propria vita al bene dei fratelli. Per questo, fin dai primi tempi della Chiesa, il Pater era parte essenziale della liturgia battesimale: solo al momento del battesimo il catecumeno poteva recitare la preghiera del Signore, quale segno di conversione radicale della sua vita”.

“La preghiera inizia rivolgendosi al Padre che è “nei cieli”. Essere nei cieli o sulla terra è quel che distingue la condizione divina da quella umana. Quest’affermazione si comprende meglio, se inserita in un’epoca nella quale l’imperatore pretendeva di essere considerato di natura divina, e il rifiuto di adorarlo era causa di morte. I cristiani, affermando che nei cieli c’è solo il loro Dio, non riconoscono nessuna autorità, se non quella del loro Padre celeste. Sfidando i detentori del potere, i credenti rivendicano la loro libertà”.

“La prima petizione del Padre nostro riguarda la santificazione del suo nome, che non ha solo l’ovvio significato di rispettarlo, ma esprime l’impegno del credente a far conoscere questo Dio come Padre con il proprio comportamento (“Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”, Mt 5,16)”.

“La richiesta “venga il tuo regno” non ha il significato di chiedere quel che ancora deve arrivare, perché dal momento in cui una comunità ha accolto le Beatitudini di Gesù, il regno di Dio è già presente (“di essi è il regno dei cieli”, Mt 5,3)”. Si auspica piuttosto che questo regno, ovvero la società alternativa fondata sulle Beatitudini, possa estendersi sempre di più, offrendo così a ogni uomo una proposta di vita piena”.

“Quella che riguarda la volontà divina (“sia fatta la tua volontà”) è per molti la richiesta più difficile, perché si pensa che questa coincida con gli eventi tristi, luttuosi della vita. È infatti allora, quando non ci sono più speranze o alternative, che sospirando rassegnati si dice “sia fatta la tua volontà”.

“In realtà l’evangelista non adopera il verbo “fare”, che indica un’azione umana, bensì “compiere”, espressione dell’agire divino. Non si tratta di fare la volontà di Dio, ma si chiede che il suo disegno d’amore sull’umanità si compia, permettendo a ogni uomo di divenire suo figlio, e ci si impegna attivamente perché questo possa realizzarsi”.

“L’espressione “come in cielo così in terra” non si riferisce solo all’ultima richiesta, quella della volontà, ma ingloba tutte le altre. Cielo e terra indicano il creato: la preghiera di Gesù non è riservata a un solo popolo, ma universale, aperta a tutte le genti”.

Ancora Maggi: “Il versetto più difficile da tradurre è quello del pane, in quanto contiene un termine che non esiste nella lingua greca (“dacci oggi il pane nostro, quello epiousion”) e che è da sempre lo scoglio per ogni traduttore. Dal quarto secolo la traduzione latina, denominata Vulgata, tentò di superare la difficoltà presentata da questo termine sconosciuto, traducendolo in due diverse maniere: “supersubstantialem” in Matteo e “cotidianum” in Luca. Quest’ultimo termine, più facile a pronunciarsi e anche più comprensibile, venne trapiantato dal vangelo di Luca in quello di Matteo per formare la versione liturgica, originando però l’equivoco che la richiesta riguardasse il pane da mangiare ogni giorno, causando lo scandalo di chi, pur pregando, non riceve nulla. Il pane che nutre l’uomo non va richiesto a Dio e non è inviato dal cielo, ma è compito degli uomini produrlo e condividerlo generosamente con chi non ne ha. Questo pane che viene richiesto al Padre è invece la presenza di Gesù, il pane di vita (Gv 6,35), alimento essenziale per la comunità, sia nell’eucaristia sia nella sua Parola”.

“La sola volta in cui nel Pater una petizione viene motivata da una clausola, essa riguarda il condono dei debiti: “come noi li condoniamo ai nostri debitori”. I credenti che hanno accolto le Beatitudini non possono dividersi in creditori e debitori. Il condono concesso dal credente al fratello non è condizione di quello del Padre, ma la sua conseguenza, e permette la realizzazione della volontà di Dio sul suo popolo (“Non vi sia alcun bisognoso in mezzo a voi”, Dt 15,4)”.

“La resistenza a condonare i debiti ha portato poi a spiritualizzare questa richiesta, trasformando i debiti da economici a spirituali, fino a parlare di peccati. Mentre è possibile perdonare le colpe e restare in possesso dei propri averi, la richiesta del Pater esige la rinuncia a questi”.

“Nella Lettera di Giacomo si legge: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno al male” (Gc 1,13-14). Purtroppo aver reso la petizione del Pater con “non c’indurre in tentazione” ha da sempre sconcertato i credenti, restii a credere in un Padre che tenta i propri figli. La traduzione CEI del 2008 ha cercato di migliorare l’espressione rendendola con “non abbandonarci alla tentazione”. L’azione di Dio non è quella di indurre l’uomo nella tentazione bensì di liberarlo dalla stessa”.

“Non farci soccombere nella prova”: è questo il significato della richiesta della comunità, che chiede di non cadere in una situazione che non è capace di gestire. Non si tratta delle prove che la vita presenta, ma il singolare “prova” indica un’unica prova, particolarmente temuta, e dalla quale Gesù metterà in guardia i suoi: “Vigilate e pregate per non cadere nella prova” (Mt 26,41). È la prova della cattura di Gesù, alla quale tutti i discepoli soccombono, nonostante le reiterate dichiarazioni di essere pronti a morire con lui”.

La richiesta di non cedere durante la persecuzione “prepara l’ultima petizione, quella di essere liberati dal maligno (non dal “male”)”, in cui quest’ultimo termine acquisisce chiaramente il significato di ciò che rende più refrattari all’azione di Dio, prima fra tutte l’ambizione del potere e della supremazia sugli altri.

“La fedeltà al Padre suscita avversione e persecuzione, ma questa anziché indebolire la comunità la irrobustisce e la rende testimone visibile del suo amore incondizionato per l’umanità”.

Linguaggi Universali

In mezzo a tante diversità, di cui spesso abbiamo timore perché non le conosciamo, ci sono almeno quattro espressioni del sentire umano che ci accomunano:

IL PIANTO
IL SORRISO
LA GIOIA
IL DOLORE

Solo se prendessimo in seria considerazione questo dato di fatto, è possibile che la diffidenza e l’aggressività che in noi riscontriamo nei rapporti con l’altro diminuirebbero di molto, fino a scomparire, rendendoci reciprocamente accoglienti e forse un tantino più felici. Eh si, perché è il modo con cui consideriamo il nostro prossimo e col quale ci rapportiamo che determinano la contentezza o la pesantezza di stare in questo mondo.

Rita Clemente, persona eccelsa originaria della Puglia e che gli eventi della vita l’hanno portata a mettere su casa da tutt’altra parte della penisola, precisamente a Chieri, non distante da Torino. Si esprime ottimamente attraverso la poesia, con temi in prevalenza sociali. Pacifista e antimilitarista convinta, tra le altre cose è impegnata anche a dare il proprio apporto per sostenere le persone in difficoltà.

Persona stimabilissima Rita.
In passato ho messo in musica alcuni suoi testi, cosa che avevo interrotto per mancanza d’ispirazione compositiva. Nell’ultimo periodo mi ero imposto di prenderla quasi per i capelli questa benedetta musa ispiratrice che tardava a farmi visita. Con le belle o con le brutte maniere si è degnata di venire e quello che sentirete nel video è il resoconto dello scambio che abbiamo avuto.

Dopo diversi tentennamenti, mi son deciso a mettermi davanti alla videocamera e premere il play. Pochi accordi di chitarra e le note che escono dall’armonica sono quasi improvvisate. Se rifacessi la registrazione, sicuramente ne uscirebbe fuori qualcosa di diverso. Ma per adesso credo basti così, grato anche perché quel giorno il continuo tossicchiamento mi ha dato un po’ di tregua.