Senza categoria

Precisione nell’informare. Ed anche coraggio. Grazie

 

Festa nel Centro migranti

di Donatella Sini, 6 giugno 2017

“Jaama dambé” significa “unione tra culture diverse” ed è un progetto nato all’interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Baja Sunajola, a Lu Bagnu, gestito dalla cooperativa Eco Service. L’obiettivo è quello di formare un gruppo di persone attive, attraverso la frequentazione di laboratori di pelletteria, intreccio sardo, musica, teatro, informatica, sartoria e agricoltura. Per presentare il progetto è stata organizzata una serata aperta che ha visto la presenza di un pubblico numeroso e interessato. I protagonisti provengono da diversi Paesi: Senegal, Gambia, Nigeria, Congo, ma anche Siria, Iraq, Afghanistan, Eritrea e Palestina. Il centro ne ospita poco più di 200, fra cui 3 neonati (nati a Baia Sunajola), 17 donne e 44 minori. Il ricambio è costante, perché coloro che ottengono l’ambita “rilocation”, partono quasi tutti alla volta di altri Paesi europei. «L’accoglienza non è fatta solo da mafia capitale – ci tiene a sottolineare il direttore del Centro Salvatore Barra – ma anche da persone che ci credono. Noi vogliamo differenziarci, non solo accogliere e fornire pasti ma anche offrire attività che tengano occupati i ragazzi e ne favoriscano l’integrazione, e l’eventuale ricollocazione, nel mondo del lavoro, tramite tirocini o collaborazioni. Tutte iniziative che esulano dal contratto che abbiamo sottoscritto con la Prefettura». E i laboratori iniziano a dare i loro frutti, anche materiali. Grazie alla fattiva collaborazione con Laore ed il Cnr, due ettari di terreno, adiacente al centro vengono coltivati e producono ortaggi e piante officinali. «Noi puntiamo a formare persone qualificate, non solo manodopera – prosegue Barra – non si può inondare la società di persone senza arte né parte». Ai ragazzi vengono quindi impartite lezioni di educazione civica e vengono loro spiegati i comportamenti, consentiti o auspicati, dalla cultura del Paese che li ospita. Sul campo 52 dipendenti, uno staff composto da professionisti fra cui psicologi, educatori, assistenti sociali, mediatori linguistici ma anche un presidio sanitario, con un medico e un infermiere. Persino della cucina nessuno si lamenta, il menu è offerto in base alle esigenze degli ospiti. Il 19 giugno il presidente della cooperativa, Pasquale Brau, sottoscriverà ufficialmente la nascita dello “Jaama Dambè” che diventerà una realtà economica a tutti gli effetti, si potrà fatturare, vendere beni e fornire servizi. Il progetto di inserimento sociale farà quindi un passo in avanti, da Lu Bagnu verso il mondo.

image (2)

Lite nel Centro migranti

di Salvatore Santoni, 30 agosto 2018

 

Tragedia sfiorata nel centro migranti di Lu Bagnu. Una furibonda lite scoppiata la notte tra domenica e lunedì scorsi tra due migranti ospitati nella struttura di Baja Sunaiola è finita a pugnalate.
Tutto comincia con una banale discussione. Da una parte c’è un 29enne; dall’altra un 26enne.

Entrambi sono del Gambia.(1) A un certo punto la situazione si infiamma: intorno a mezzanotte (2) il più grande dei due minaccia l’altro. Passa qualche minuto e la lite degenera. Il 29enne è fuori di sé e passa all’azione, impugna un coltello a serramanico e scaglia due fendenti all’avversario: uno al fianco e l’altro al gluteo. Gli altri migranti accorrono richiamati dalle urla del ferito e tentano di immobilizzare l’aggressore; qualcun altro dà l’allarme chiamando il 112 (3). Nel centro di Baja Sunaiola arrivano le pattuglie del nucleo operativo dei carabinieri di Porto Torres e un’ambulanza medicalizzata del 118. Il ferito viene preso in carico dal personale sanitario e trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale “Santissima Annunziata” di Sassari, dove si sottoporrà ad alcuni accertamenti clinici. Le sue condizioni appaiono fin da subito serie ma non gravi.(4) Più tardi di scoprirà che è stato molto fortunato: la medicalizzata è riuscita a intervenire in pochissimi minuti perché si trovava in zona.

Nel frattempo i militari, guidati dal capitano Romolo Mastrolia, hanno già sigillato la scena del crimine e stanno facendo i primi accertamenti sul posto per fare luce sulla vicenda. Le indagini per risalire all’aggressore si complicano a causa dell’iniziale riottosità a parlare da parte dei migranti (5) che hanno assistito alla scena. La svolta arriva poco più tardi, quando i militari riescono a convincere i testimoni a farsi avanti per indicare l’accoltellatore. A quel punto i carabinieri identificano e arrestano il 29enne – ora si trova nel carcere di Bancali – con l’accusa di tentato omicidio (6).

Il fatto capitato nella notte tra domenica e lunedì è soltanto l’ultimo di una serie di tensioni a cui sono sottoposti gli ospiti (7) – e di riflesso anche i gestori – della struttura di Lu Bagnu. Questo perché la coop sociale “La Luna” ha in carico migranti di diverse etnie (8) – il centro ospita complessivamente 150 persone (9) – che non sempre vanno d’accordo tra loro. I mediatori culturali tentano di fare il possibile ma spesso le discussioni sono incontenibili (10). E se va bene gli screzi si ricompongono, ma quando gira male si rischia la tragedia.

 

image

Un decalogo, una conclusione e un…

di Piero Murineddu

 

Spero abbi avuto la pazienza di leggere i due articoli, scritti a distanza di un anno l’uno dall’altro.
Il primo è stato digitato dalla corrispondente di Castelsardo, nel cui comune sorge il Centro per migranti. Il secondo dal nostro amico Santoni, solitamente colui che fa conoscere ciò che avviene in terra di Romangia, in particolare a Sorso.

Il racconto di due eventi, a ben guardare, che comportano la convivenza più o meno normale tra persone: momenti gioiosi di festa e qualche altro di malumore e tensione. Quello che succede in ogni famiglia,insomma, a parte la presenza di un coltello a serramanico in più usato non certamente per accarezzare.

Capita che conosco qualcuno all’interno di questo Centro di Accoglienza che si trova a Lu Bagnu, presso Castelsardo. A lui ho chiesto la sua versione dei fatti. Capita anche che Musta, il giovane amico che mi ha raccontato l’episodio, è mediatore culturale, e proprio la sera del fattaccio era di turno. Ed eccoli i fatti riguardanti il secondo articolo…….

1. I due protagonisti sono uno del Gambia, il ferito, e l’altro del Ghana

2. Lo scontro è avvenuto all’incirca verso le 18 di domenica 26 agosto

3. A chiamare l’ambulanza e le forze dell’ordine è stato lo stesso Musta, in quel momento responsabile del Centro

4. L’indomani mattina il ferito ha fatto ritorno al Centro

5. Rintracciare il feritore non è stato per niente difficoltoso, dal momento che si trovava a testa china seduto nel letto della stanza che condivide col giovane che ha ferito

6. “Tentato omicidio”. Mah! Si trovava nel bagno e il giovane gambiano non ha bussato prima di entrare. In un momento di stizza, perchè disturbato nella sua intimità, si è tolto di tasca questa piccola “rasoggia”, usandola impropriamente. Da qui a voler ammazzare un uomo ce ne passa…..

7. Da quanto mi dice Musta, gli episodi di tensione sono quasi assenti, e questo da parecchio tempo

8. Nel Centro sono presenti bengalesi, ganesi, gambiani, senegalesi, nigeriani, egiziani, della Costa d’Avorio, della Guinea e uno della Serra Leone. Il fatto che appartengano a nazionalità diverse non è per forza motivo di scontro, anche se inevitabilmente ciascuno si sceglie le proprie amicizie. Ciò non impedisce a partecipare agli stessi corsi che si svolgono nella comunità, quali quello di intreccio, guidato da un gambiano, di sartoria, di musica, di teatro, di agricoltura, pratica di sport. Non molto distante da Baja Sunajola vengono prodotte verdure, vendute direttamente ai consumatori. La scuola d’italiano non manca.

9. Sono presenti circa 110 ospiti

10. Musta non mi ha parlato di “discussioni incontenibili”. Vorrei vedere me, proveniente da condizioni invivibili, aver dovuto affrontare un viaggio estenuante e subìto di tutto, esser costretto a vivere lontano di miei affetti, avere davanti un futuro pieno d’incognite, sentire di incomprensioni continue  e innumerevoli pregiudizi  nel Paese dove son capitato, oltre che sapere che è governato da un ministro dell’Interno che invece di contribuire a creare condizioni di convivenza pacifica, fa di tutto per seminare odio contro lo “sporco negro” e il “lurido zingaro”.

Sin qui l’ incresciosa vicenda del Centro di Accoglienza di Lu Bagnu.

Ora voglio aggiungere un altro aspetto, forse un tantino personale e che solo apparentemente esula da quanto detto sinora.

Conosco Salvatore, l’autore dell’articolo,  e so che cerca di svolgere al meglio il suo mestiere. Spesso è accusato di fare informazione “di parte”, specialmente da parte di chi attualmente sta amministrando il paese dove vivo io e lui, Sorso. Fino a poco tempo fa, nel sito del Comune vi era addirittura, in primissimo piano, una sorta di sondaggio, dove si chiedeva se un’informazione che nuoce (!) aiuta o meno la cittadina romangina a progredire.

Quale poteva essere la risposta? Dio mio, un “sondaggio” di estrema stupidità, oltre esser più che chiaro a chi fosse riferito! A voglia continuare a ripetere e straripetere che il compito di chi fa informazione è “rompr’i corbelli” a chi gestisce il potere, cioè “rompere le scatole” come si dice in pavanese (cit. Guccini). Chi fa informazione ha le sue idee, certo, e non potrebbe essere altrimenti. Spetta a chi ha il compito provvisorio di gestire la Cosa Pubblica prendere spunto per cercare di migliorare il proprio operato. Lo so, sono un “sognatore”, e nello stesso tempo conosco la suscettibilità di chi guida il carro, spesso strapieno di opportunisti.

Breve biografia di Gavina Demurtas

Due parole di premessa

di Piero Murineddu

 

“Non ha paura di affrontare l’altro, “il diverso” e frequenta la vicina tribù  Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei (…..) il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza”.

Storicamente, il passaggio descritto di seguito da Anna Demuro si colloca nel periodo dell’infanzia trascorso  dalla piccola Gavina in Africa, durante uno dei diversi tentativi fatti dall’Italia d’impadronirsi di una porzione del continente oltre il Mediterraneo, “nero” per il colorito della pelle dei suoi abitanti ma  con un sottosuolo ricchissimo che ha fatto gola  a chi se n’è voluto da sempre impossessare, ieri come oggi.

All’ “affrontare l’altro” ormai  gli si è dato una valenza esclusivamente negativa, mettendo in secondo piano l’aspetto positivo del termine (Iniziare a esaminare una questione, approfondirla, considerarla nei vari aspetti……). È sicuramente con questa predisposizione d’animo che Gavina avvicinava i suoi coetanei e tutte le persone più grandi d’età, e questo atteggiamento la portava ad “ascoltare, imparare, aiutare, socializzare” e di conseguenza a far proprio “il senso del dovere, della responsabilità e della condivisione”. Sorella di tutti.

È proprio vero che gli anni dell’infanzia sono basilari per far crescere una buona e forte personalità. Buona e forte Gavina lo è stata, e pure con un certo caratterino. Po’ In tutta la sua lunga vita. Per lei e i suoi familiari, per il marito, per i figli e le figlie. Per tutte le persone che hanno avuto la fortuna d’incontrarla.

 

IMG-20180804-WA0011

Gavina Demurtas, la grande madre

di Anna Demuro

Nasce a Sorso (SS) il 25 ottobre del 1930 e si spegne a Sorso il 28 luglio del 2018.
Non difetta di coraggio fin dall’infanzia, quando assume l’incarico di portare cibo e bevande al padre, prigioniero degli inglesi nel campo di concentramento di Asmara, in Eritrea.

Non ha paura di affrontare “l’altro”, “il diverso” e frequenta la vicina tribù. Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei che già frequenta la scuola primaria, il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza.

Nella conduzione della famiglia, composta di sei figli, Gavina è il braccio destro della madre. Pian piano emerge in lei un carattere di ferro, battagliero, che non si ferma dinanzi agli ostacoli, non si arrende ad una vita di stenti.

A guerra finita, la famiglia rientra in Italia, spogliata di tutto. Conosce la fame, e proprio a questa condizione di estrema miseria Gavina si ribella. Nonostante la giovane età ha imparato a guardare lontano, dove la fame può essere vinta dalla forza delle braccia e della volontà, a qualsiasi costo. Non tollera la condizione dei fratelli, né quella dei genitori provati, dalla lunga prigionia che ha tolto loro ogni speranza.

Decide di trovarsi un lavoro. Fa la commessa a Sassari in un negozio di tessuti e quando consegna ai genitori il primo salario, è scossa da un sentimento che lei stessa, a parole, non saprà mai spiegare. È molto di più del sano orgoglio che nasce dalla consapevolezza di essere in grado di provvedere ai bisogni primari della famiglia. È un sentimento che resta attaccato lì, al cuore, come la radice si attacca alla roccia. Forse proprio li, in quel momento, quando Gavina vede la sazietà dei suoi cari seduti intorno alla tavola, esplode in lei quell’amore per gli altri che le pulsa nel petto.

Non è stato facile per lei superare le ostilità di una società completamente chiusa, contraria all’idea che una donna potesse varcare la soglia di casa per cercare lavoro, autonomia dalla famiglia di origine, indipendenza da qualsiasi figura maschile.
La donna doveva badare alla casa e ai figli, al massimo poteva fare la sarta o ricamare ma sempre chiusa tra le mura domestiche. L’unica alternativa poteva essere la vita monacale, come in pieno Medioevo.

Gavina ha saputo guardare molto lontano e non ha avuto bisogno di scendere in piazza per gridare a tutti la sua idea di libertà. Ha capito che l’unica strada per arrivare a lei doveva necessariamente passare attraverso la cultura. Una strada lunga e difficile, un percorso ad ostacoli che non le faceva paura.

Non le bastava più sapere leggere e scrivere e fare la commessa per tutta la vita. Voleva conseguire la licenza di Scuola Media senza però togliere alla famiglia il salario: dunque lavorava di giorno e la notte studiava. Quando, sopraffatta dalla stanchezza e dal sonno si accasciava sui libri, il padre provava a svegliarla col tintinnio del cucchiaino sulla tazzina di caffè.

Era una donna decisa, determinata e con queste qualità e la preparazione adeguata ha superato anche gli esami del concorso bandito dalle Poste Italiane. Ha servito lo stato per quarant’anni con puntualità e rigore. L’ha servito tre volte: lavorando allo sportello, prendendosi cura del marito e dei quattro figli nati dalla loro unione, e del prossimo a lei sempre presente.

Non c’era povero che, nel deposito presso la sua abitazione non trovasse ciò che gli serviva per vestirsi o ripararsi dal freddo la notte. Non c’era disabile che non potesse ottenere il supporto sanitario di cui aveva bisogno e non c’era famiglia con un infermo allettato cui lei, se chiamata, non regalasse il suo tempo. “Sono volontaria. Chiamami.”
Si presentava sempre così.

Queste sono le opere di Gavina che tutti possiamo vedere ma ci sono anche quelle che pochi conoscono: scadenze da onorare, bisogni da soddisfare, viaggi di necessità anche oltre confine e tant’altro di cui nessuno doveva sapere.

Questa è carità e la carità non si mostra.
Ma l’amore al suo prossimo è una luce che ha accompagnato Gavina per tutta la vita e tutti lo abbiamo veduto. Siamo testimoni diretti!

Nel giorno delle sue esequie è stata accompagnata dal mesto urlo dell’ambulanza, al cui servizio ha donato circa trent’anni della sua vita, salvando tante persone.Va bene anche questo ma crediamo che a Gavina Demurtas si debba molto di più.

Sicuramente una figura da aggiungere alle tante che hanno dato lustro alla nostra città e che possiamo vedere scorrere in “Sorso e il territorio. Storia – Arte – Cultura”, sul portale del Comune di Sorso. Tutto questo va bene ma non basta a rendere giustizia di tanta abnegazione nella totale donazione di sé agli altri. Occorre un riconoscimento da parte delle Istituzioni nelle forme concrete che tutti conosciamo, riservate finora soltanto agli uomini.

La madre dei poveri, dei malati, dei disabili, dei bisognosi di ogni genere di assistenza, dispensatrice d’amore, ha diritto, finalmente prima donna nella città di Sorso, ad un segno tangibile di perenne gratitudine che ne custodisca la memoria.

Partenza o ritorno?

39594098_1054995134625096_8487542653267738624_n - Copia

di Piero Murineddu

Diciamo che qualche difficoltà ci sarebbe nel capire se gli occupanti di questa cinquecento stanno partendo per le vacanze o ne stanno tornando. Il fatto è che il non riescire a zoomare bene non mi aiuta a capire se l’espressione di chi guarda l’obiettivo è FELICE, quindi in partenza, oppure leggeremente RATTRISTATA, quindi di ritorno.

Oh, a dirla tutta potrebbe essere anche RASSEGNATA, sia perché “costretto” a partire e quindi doversi immergere controvoglia nella bolgia vacanziera, mentre forse avrebbe preferito godersi la tranquillità della città finalmente semideserta e che, passeggiandosela nel parco, avrebbe potuto anche appoggiarsi ad un albero per “fare un po’ di acqua”, senza paura di esser visto e magari denunciato per atti pisciatori in luogo pubblico.

Ma potrebbe essere anche un’espressione rassegnata, perché in procinto di riprendere il lavoro nell’odiata e ripetitiva catena di montaggio della fabbrica dove consuma otto o più ore al giorno della sua preziosa e unica vita, gia rimpiangendo quell’avventuretta al mare non andata purtroppo in porto perché tenuto/a sotto strettissima e costante sorveglianza dal/dalla gelosissimo/a consorte.

Allora, costoro stanno iniziando le vacanze o ne stanno tornando?

Aspetta, aspetta. Forse un indizio ci sarebbe. La damigiana. Pur non riuscendo a zoomare ( l’ho gia detto) ed essendo particolarmente acciecato, mi sembrerebbe di capire che il tappo, naturalmente di sughero, non vi sia, per cui…….

Ma siiiiii…..ceeeeeeerto. il preziosissimo nettare d’uva che conteneva è stato consumato durante le baldorie serali, arrostendo poveri animali cadaverizzati al fuoco lento della carbonella o di legnetti raccolti qua e là, raccontando barzellette zozze o sui soliti carabinieri imbranati.

Non riesco a capire se dentro lo scatolone vi siano derrate alimentari integre, oppure piccoli reperti archeologici trovati e di nascosto inscatolati…..

Ma comunque, la damigiana senza tappo è la prova definitiva:
la cinquecento e tutto il suo contenuto è di ritorno dalle vacanze.

“Promoveatur ut amoveatur” (che sia promosso, per poterlo rimuovere)

 

di Piero Murineddu

Il metodo è conosciuto, credo. Quando qualcuno in un certo qual modo crea un qualsiasi fastidio, ci si sbarazza di lui con un’apparente “promozione”.
È così che agisce il potere, da qualunque esso sia rappresentato, e sopratutto se l’interessato in questione è una persona ben vista e di cui sia ha una buona considerazione. Da parte del “popolino” intendo. Se poi il soggetto crea oggettivamente dei danni per il ruolo che ricopre, il potere non si fa scrupolo a dargli platealmente un calcio in culo e liberarsene, ricevendo in questo caso il plauso da parte della plebaglia. In un modo o nell’altro, l’importante che il potere sia garantito e perpetuato.

In questa occasione parlo di un prete 44enne, tal Cristian Leonardelli, sceso dalle alture trentine fino alla costa toscana, e da qui, per quel meccanismo che dicevo prima, attualmente soggiornante nell’entroterra collinare livornese.

Formatosi alla scuola di don Milani, seppur solo idealmente, da quando è divenuto sacerdote, una decina d’anni fa, ha sempre puntato alla crescita umana dei ragazzi, mettendo su dei doposcuola, col sostegno fattivo di volontari che continuano a credere nelle “stravaganze” di questo ancora giovane don.

Quando un lustro fa circa il suo vescovo ( per quel meccanismo che dicevo prima) lo mandò a curare le anime in questa benedetta valle non distante da Livorno, Cristian si è trovato davanti un’antica abbazia in completo abbandono, e come un novello san Francesco, chiesto l’aiuto dei suoi amici trentini e di quelli che si era creato in alcuni spostamenti avvenuti in territorio livornese (sempre per quel meccanismo che dicevo all’inizio), si rimboccò le maniche, predisposero il materiale e la malta necessari, e l’abbazia rivenne su ……più bella e più grande che pria.

Dalle notizie acquisite, sembrerebbe che abbia gia adocchiato un altro rudere di valore da rimettere in piedi.

Vista la sua attraente “stravaganza” (diciamo la verità: non se ne può più di certa pretaglia – ops, intendevo dire buoni preti trasmettitori della buona e sana tradizione….), intorno a lui si è costruita una piccola comunità, i cui componenti non esitano a fare dei chilometri in macchina per tener viva la loro fede, grazie anche alle stramberie di Cristian don.

Ora, bisogna sapere che un’alluvione avvenuta tempo fa aveva provocato uno smottamento di terreno, restringendo di molto la strada che conduce all’abitato collinare, in realtà un insieme di case sparse. Da allora l’amministrazione pubblica,di questo problema subito dagli abitanti del luogo, si è sempre disinteressato. E qui interviene la stravaganza di Cristian, che ad ogni anniversario dell’alluvione, nel mese di maggio, chiama a raccolta le anime e i corpi dei suoi parrocchiani, invitando anche figure istituzionali, e celebrano la Messa proprio lì, nel punto indicato dal prete nella foto.

 

39581420_1053852464739363_200113199314370560_n

 

Scorrendo la notizia su un quotidiano del luogo, mi è capitato di leggere un commento di un tale evidentemente risentito, perché, a suo dire, queste “ingerenze” danneggiano la religione. Cioè, il pretino dovrebbe fare il suo mestiere ( che sarebbe?) e lasciar da parte la “politica”.

In pratica è quanto pensa la maggior parte dei “credenti”, siano essi cattolici, protestanti, atei devoti,atei praticanti e menefreghisti in toto: una cosa son gli affari di lassù, un’altra sono quelli di quaggiù.

Cosa penso io? Semplice: se ci fossero in giro tanti Cristian, la Lieta Notizia sarebbe più evidente e sopratutto praticata, e per tornare al titolo che ho dato a queste due righe, ai veri seguaci di Gesù le “promozioni” non importano granché, per cui è inutile che certi vescovoni cerchino di prendere per i fondelli chi si ritrova una testa e un cuore diversi da loro.

Imparare a diventare fratelli

Sassari: il campo nomadi sarà sgomberato entro l’anno

Nel seguente link puoi leggere l’articolo…..

http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2018/08/19/news/campo-nomadi-sgomberato-entro-l-anno-1.17169140?ref=hfnsssea-1

Cattura

…e qui il mio modesto parere

di Piero Murineddu

Evidentemente la cosa non poteva durare in eterno. Non è più accettabile che degli esseri umani vivano nel degrado assoluto, naturalmente a debita distanza dal delicato olfatto della cittadinanza civilizzata.

Il Nicola sindaco, quello che ormai ha fatto l’orecchio divertito ai fischi della “faradda”, è stato spinto dalla seppur evanescente autorità del Parlamento Europeo (“se mi conviene aderisco,se no faccio lo gnorri”) che a suo tempo ha sancito l’eliminazione dei ghetti quali sono i campi nomadi (“nomadi” una minchia…ormai perlopiù le varie etnie “zingaresche” sono divenute stanziali), ma intanto finalmente una soluzione si sta’ cercando, è questo è segno di civiltà.

E noialtri è inutile che facciamo troppo gli schizzinosi. Non possiamo pretendere di avere come vicini solo gente ben pulita, educata, inquadrata e che possibilmente voti quel cazzone del “celodurismo” antico, conosciuto come Matteo lo Sbruffone&Barroso. Sono i rapporti umani veri che contano, e non la spesso formale e glaciale “educazione” di semi’indifferente buon vicinato. E i rapporti umani si costruiscono, non piovono dall’aria.

Tutta da organizzare questa auspicata integrazione dei Rom & C. nel contesto civile, e sicuramenre non sarà cosa facile. Ma è necessaria. Do-ve-ro-sa ! Ci riteniamo cristiani o adoratori di una qualsiasi divinità fatta a nostra immagine e somiglianza? Dimostriamolo coi fatti, accogliendo l’altro e divenendone fratello. Fratello che si ama, non col quale ci si scanna per dividere cinque sedie lasciate dai genitori defunti. Così sia e anche buona settimana di un’estate agli sgoccioli.

Immigrati che sfruttano altri immigrati

Articolo apparso su La Nuova Sardegna del 17 agosto, a firma di Luigi Soriga.

 

Sassari – Nel megastore Bricocina, a detta dei dipendenti che hanno presentato una denuncia, vige un’interpretazione molto singolare del contratto del lavoro. Se sei italiano valgono i diritti, se sei senegalese, cinese, bengalese, filippino allora il registro cambia: le ferie, la malattia e gli straordinari te li puoi scordare. Anche se l’assunzione è a tempo indeterminato. E se ti azzardi a chiedere che questo pacchetto base di prerogative possa essere riconosciuto, la risposta è prima un demansionamento, e infine una lettera di licenziamento per giusta causa.

Bamba ha 23 anni, e da tre anni lavora per Bricocina. «Sono uno bravo, ci so fare con i clienti, non temo la fatica, e infatti ho iniziato come factotum, poi cassiere e infine stato promosso a caporeparto. Assunto a tempo indeterminato, 800 euro al mese. Finché ho lavorato dodici ore al giorno, testa bassa senza fiatare, tutto è filato liscio. Nonostante il mio contratto di ore ne prevedesse 8. Ma l’anno scorso volevo tornare in Senegal per rivedere i miei familiari, e ho provato a chiedere il mese di ferie che mi spettava da contratto. La risposta del mio capo, detta con grande disinvoltura, è stata devastante».

Il dialogo suonava all’incirca così: «Ciao capo, avrei una domanda: vorrei tornare a casa, posso avere le ferie? Risposta: no. E perché no? Perché da Bricocina solo gli italiani hanno ferie. Per i senegalesi, cinesi, bengalesi, filippini non si può fare lo stesso trattamento. Se vuoi le ferie, la tredicesima, la quattordicesima puoi provare a rivolgerti da un’altra parte. Qui funziona così».

Allora Bamba, assieme ad altri tre connazionali e altri tre bengalesi, a gennaio si è rivolto al sindacato Cisal, e Nino Fiori ha preso a cuore la vicenda. «Questi ragazzi hanno raccontato una situazione di assoluto sfruttamento. Da parte dei datori cinesi, nessun rispetto per gli orari di lavoro definiti dal contratto, niente ferie e malattie. Reclutano manovalanza senza tutele sindacali, in modo da imporre le loro regole. Per questo abbiamo raccolto le testimonianze e abbiamo messo in contatto i dipendenti di Bricocina con l’Ispettorato del Lavoro».

E infatti, da lì a qualche settimana, scatta il blitz degli ispettori del lavoro, che sentono i dipendenti e i titolari e raccolgono il dossier. «L’indagine è ancora in corso – spiega il direttore dell’Ispettorato – anche se a breve contiamo di concluderla e adottare i dovuti provvedimenti. Abbiamo riscontrato violazioni delle norme contrattuali e uno scenario di sfruttamento del lavoro».

Dice Bamba: «Dopo la denuncia in effetti la situazione cambia: le ore settimanali diventano 40 per tutti, e vengono rispettate. Non ci viene più chiesto di stare lì per dodici ore a fare qualunque cosa, dal cassiere, al magazziniere all’addetto alle pulizie. Però improvvisamente da lavoratore modello io entro nella lista dei cattivi, e vengo demansionato. In chat il mio capo mi dice che non sono più caporeparto». I rapporti con i datori cinesi sono glaciali, nel punto vendita c’è tensione. E l’11 agosto arriva l’epilogo sotto forma di una raccomandata a mano. L’oggetto, in neretto, recita: licenziamento per giusta causa. La ricevono tutti i dipendenti che si sono rivolti prima al sindacato e che hanno presentato denuncia all’Ispettorato.

«In pratica veniamo accusati di improduttività, di incompetenza, di danneggiare la merce, di non pulire, di essere maleducati

con la clientela. Ma come? Il giorno prima della denuncia sono talmente bravo che mi promuovi caporeparto, e poi improvvisamente divento uno che non sa fare il proprio lavoro? E tutto per aver chiesto parità di trattamento con i colleghi italiani e rispetto per i miei diritti».

Cattura

BOH…….

di Piero Murineddu

È lampante. Vi sono immigrati di prima serie ed altri di secondissima. E capita che quelli di prima serie, nello specifico i cinesi, trattano gli altri, loro dipendenti nelle attività commerciali che sorgono improvvise in ogni dove, forse peggio di come molti italiani fanno con gli immigrati, quelli invisi ai S…..i e ministraglia varia. Così almeno sembrerebbe leggendo questo articolo. Se sei italiano hai diritto, se non lo sei affaracci tuoi, emuddu e cagliaddu altrimenti ti licenzio anche.

Ma vi è chiara o no questa distinzione? E tutti gli italiani, quelli solitamente rabbiosi verso i “normali” immigrati, silenti e indifferenti. Ma c’è o no qualcosa che non quadra?
Ma come, acquistano tutto l’acquistabile, e viene permesso che sfruttino i loro dipendenti (non italiani), mentre noi facciamo finta di niente, giriamo la faccia altrove e ce la fischiettiamo perché intanto non sono cazzacci nostri?
Ma che caspita di criteri usiamo nei nostri giudizi? Ma che strano senso di giustizia si è inculcato nei nostri civilizzati cervelli?

Tentiamoci almeno….

di Piero Murineddu

Oh, mannaggia! Composta e registrata tanti anni fa, ma di un’attualità impressionante. Sempre cieco come una talpina, ed oggi ancor di più. I capelli erano ancora neri, ma il pensiero in proposito è rimasto tale e quale. La registrazione è quella che è ( il macchinario usato era una “supertecnologica”…..
fotocamera!) e la voce arrivava ancora a qualche tonalità più altina dell’attuale. Le parole, non mie, le condividevo al 100%, allora. Oggi al 300%. Purtroppo, oltre i porti, i cuori oggi si son chiusi maggiormente. Per diffidenza, per paura, per l’odio iniettato da certa politicaglia del c…., espertissima nel manipolare addirittura le coscienze. Di buona parte, ma non di tutti. Ed è quel “resto” che mi da’ fiducia e speranza che ancora non tutto è perduto. Restiamo umani. Tentiamoci almeno.

 

Sempra appena ieri

 

39277172_1796703380367412_8365483750049447936_n

di Piero Murineddu

 

Se passa il tempo? Oh, quanto! E anche velocissimo. Si fa così, giusto per dire, ma sembra ieri che ti portavo sulle spalle che particolarmente forti non sono mai state, ma pur di sentirsi il destriero del proprio primo figlio, la fatica la si affronta volentieri, se non altro almeno per far credere all’erede che gli è capitato il più forzuto e il più eroico babbo del mondo.

E poi quei girettini ciascuno con la propria bici e le proprie gambe, che nonostante anche quelle per me non sono mai state particolarmente muscolose, le garettine le facevamo e tu gioivi “sadicamente” quando raggiungevi per primo il traguardo.

Sono trascorsi ben ventott’anni da quella notte in cui mamma Giovanna si chiese cos’era quel liquido che improvvisamente si era visto sparso nel pavimento.

“Piè..Piè….svegliati…..forse ci siamo….”. E difatti. Verso le otto di mattina vedemmo finalmente il tuo faccione stravolto per la fatica di aver oltrepassato quel magico tunnel che ti ha introdotto alla vita, giustamente piangente, sia per respirare a pieni polmoni e sia perché eri stato costretto ad abbandonare la calda casettina che ti aveva ospitato per ben nove mesi, dando forma giorno dopo giorno ad un nuovo bel corpicino, fornito di un cervello e sopratutto di un “cuore” che, ne ero da subito convinto, avrebbe contribuito a migliorare questo mondaccio dove ti avevamo ficcato.

Grazie a Colui che ha voluto che tu percorressi le strade di questo mondo. È molto discreto, e non gli piace “apparire”, ma è più presente di quanto lo siamo a noi stessi.

Grazie, carissimo figliolone Giuseppe, per l’impegno che stai ponendo per aiutarci tutti a recuperare quelle sembianze umane che questi difficili tempi rischiano di farci perdere.

Grazie a mamma Giovanna per la grande generosità che ti ha trasmesso.

Grazie alla tua “sorellina” Marta per gli stimoli che non ti fa mancare per migliorarti sempre più.

Grazie alla tua e nostra Beatrice per il bene che vuole per te.

Grazie agli amici che ti hanno accompagnato in questi anni e continuano a farlo. Non è facile questa vita e percorrerla insieme ad altri la rende sicuramente meno temibile e senza dubbio alcuno più piacevole.

Grazie perché la tua esistenza ci aiuta tutti ad essere migliori.

Auguri figliolo

In memoria di Mario, ad un anno dal “trapasso”

39311340_1796652753705808_5916603460702175232_n

 

 

da un ricordo di Irene Baule

 

Oggi sono un po’ stanca, ma posso dire di avere trascorso una mattinata veramente unica. E ringrazio i figli di Sevkija Mario che ci hanno invitato all’ultimo saluto di questo grande signore che avevamo imparato a voler bene come un fratello.

Posso dirvi solo che, più che una cerimonia, è stato un momento di vita, condotto senza fretta e con grande dignità. Vigili e dipendenti del cimitero hanno capito e hanno assecondato i ritmi del congedo rom. Veramente toccante…

Figli nipoti nipotini, tutti belli e molto partecipi, in un modo tanto diverso dai nostri funerali! Un pacifico riappropriarsi degli spazi e delle relazioni, fino alla completa riappacificazione con chi se ne va – come ci ha spiegato bene il genero Giuliano – lasciando questa vita di sofferenza per rinascere a una vita di pace e armonia.

Abbiamo ancora una volta imparato molto dai nostri fratelli rom. A partire dai piccolini, che tutti portavano fiori e baci al nonno. Le ragazzine offrivano a tutti bibite e macedonia come ad un battesimo…

Poi la cerimonia musulmana, la preghiera con le mani rivolte verso il cielo, poi il saluto delle figlie e delle madri, tutte gli hanno detto qualcosa, poi la sepoltura, con amore, senza fretta. I vigili e i dipendenti del cimitero hanno capito e rispettato Il loculo ben pulito, ornato con un bel tappeto su cui è stata adagiata con cura la bara.

E poi il cuscino con il pizzo, il piumone a fiori, i vestiti, le sigarette, lo zainetto con le sue cose, la Vecchia Romagna, le canne da pesca… E la figlia che gli parlava con amore e ogni oggetto era lo spunto per raccontare a lui, a noi, a tutta la famiglia.

Noi preghiamo per Mario, speriamo che lui dal regno della Pace preghi per noi e soprattutto protegga i più piccoli e i più indifesi nel cammino non facile di questa vita.

Che nessuno della tua bella e grande famiglia debba d’ora in poi soffrire quello che hai sofferto tu, fratello mio.

“R.I.P.” di che?

di Piero Murineddu

Quest’oggi mi gira uno “strano” pensiero e credo sia il caso esternarvelo.

L’umore è inevitabilmente rattristato per le morti causate dal pontaccio di Genova, per la morte della Borsellino, da sempre in prima linea per combattere le mafie e denunciare con coraggio i malaffari, dai tanti morti sconosciuti, spesso a causa dalla cattiveria umana….

Il mio pensiero va in particolare alla mia amica Gavina, deceduta una ventina di giorni fa, alla bella età di 88 anni e dopo un’esistenza trascorsa nel miglior modo possibile, cioè dando attenzione alle necessità altrui, specialmente dei più bisognosi.

Penso – e chiedo scusa – in modo particolare a quell’irritante, pappagallesco e formalissimo “R.I.P.”. Lo so, sono un tantino pignoleretto, ma, santiddio, sforzarsi di scrivere per intero “riposa in pace” non accorcerebbe la vita a nessuno. E questa è la prima parte del pensiero che mi frulla in queste ore.

L’altra è questa storia del “riposo” per chi oltrepassa la Soglia Sconosciuta.

Lo mmetto, questa storiella non mi è mai andata mai giù. Un corpo inerte, inevitabilmente destinato alla decomposizione, che si riposa. Oppure la sua essenza “spirituale”, chiamatela anima o come vi pare, che se ne sta a pennicchellare oziosamente vita eterna durante?

Lo so, per molti e nella visione comune è un modo di dire, ma una cosa voglio comunicarvela.

Tempo fa ebbi la fortuna di leggere un libro dove il carissimo Alberto Maggi racconta la sua esperienza di essersi trovato ricoverato in ospedale, più in là che qua.

Tra i tanti passaggi raccontati e descritti, a tratti anche in modo molto divertente, mi aveva colpito l’idea che chi ha lasciato questa terra se ne stia tutta la santa eternità a contemplare la Luce Perpetua, oziosamente “a riposo”.

L’ho gia detto, modi di dire, fors’anche poeticamente. Ma Alberto, che aveva vissuto, essendo molto grave, l’eventualità della morte con la massima tranquillità, e da quanto da lui detto, sopratutto nella gioia, cosa che non dovrebbe meravigliare per chi crede realmente che la morte è solo un passaggio e non la fine di tutto. Ecco, lui diceva che una volta varcata la Soglia, si diventa molto più attivi di quanto forse lo si è stato quando si era in ….vita. E a me la cosa sembra ragionevole. È impensabile che per chi si è svelato il Mistero, si disinteressi totalmente di ciò che combiniamo noialtri ancora respiranti, spesso delle enormi cazzate e azioni che servono solo ad una lenta autodistruzione collettiva. In modo per noi incomprensibile, sono presenti e partecipi, perlomeno per evitarci a non combinare pasticci più grossi.

A me l’idea piace. A ciascuno pensarla come crede.

A questo proposito, penso a Gavina e al suo e nostro Petronio. Non credo proprio che se ne stiano continuamente ed eternamente ad amoreggiare, specialmente ora che hanno riavuto la giovinezza di una volta. Eppoi due come loro, infaticabili come sono sempre stati. Trovo impensabilissimo che se ne impippino e pensino esclusivamente alla loro …..beatitudine.

Gavina, Petronio, Rita, mia madre, mio padre, tuo fratello, il tuo caro amico, il tuo piccolo figliolo, la tua divertente nonna e pure il tuo trisnonno che non hai neanche conosciuto…….. Tutti presenti, a modo loro, per sostenerci nei momenti di particolare fatica……

E mi raccomando, quel patetico “R.I.P.”………Ve ne prego, se vi riesce, evitatelo. Per cortesia, s’intende……

39221323_1047784288679514_7049347896147181568_n

Nella foto, una giovanissima e affascinante Gavina Demurtas