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Tentiamoci almeno….

di Piero Murineddu

Oh, mannaggia! Composta e registrata tanti anni fa, ma di un’attualità impressionante. Sempre cieco come una talpina, ed oggi ancor di più. I capelli erano ancora neri, ma il pensiero in proposito è rimasto tale e quale. La registrazione è quella che è ( il macchinario usato era una “supertecnologica”…..
fotocamera!) e la voce arrivava ancora a qualche tonalità più altina dell’attuale. Le parole, non mie, le condividevo al 100%, allora. Oggi al 300%. Purtroppo, oltre i porti, i cuori oggi si son chiusi maggiormente. Per diffidenza, per paura, per l’odio iniettato da certa politicaglia del c…., espertissima nel manipolare addirittura le coscienze. Di buona parte, ma non di tutti. Ed è quel “resto” che mi da’ fiducia e speranza che ancora non tutto è perduto. Restiamo umani. Tentiamoci almeno.

 

Sempra appena ieri

 

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di Piero Murineddu

 

Se passa il tempo? Oh, quanto! E anche velocissimo. Si fa così, giusto per dire, ma sembra ieri che ti portavo sulle spalle che particolarmente forti non sono mai state, ma pur di sentirsi il destriero del proprio primo figlio, la fatica la si affronta volentieri, se non altro almeno per far credere all’erede che gli è capitato il più forzuto e il più eroico babbo del mondo.

E poi quei girettini ciascuno con la propria bici e le proprie gambe, che nonostante anche quelle per me non sono mai state particolarmente muscolose, le garettine le facevamo e tu gioivi “sadicamente” quando raggiungevi per primo il traguardo.

Sono trascorsi ben ventott’anni da quella notte in cui mamma Giovanna si chiese cos’era quel liquido che improvvisamente si era visto sparso nel pavimento.

“Piè..Piè….svegliati…..forse ci siamo….”. E difatti. Verso le otto di mattina vedemmo finalmente il tuo faccione stravolto per la fatica di aver oltrepassato quel magico tunnel che ti ha introdotto alla vita, giustamente piangente, sia per respirare a pieni polmoni e sia perché eri stato costretto ad abbandonare la calda casettina che ti aveva ospitato per ben nove mesi, dando forma giorno dopo giorno ad un nuovo bel corpicino, fornito di un cervello e sopratutto di un “cuore” che, ne ero da subito convinto, avrebbe contribuito a migliorare questo mondaccio dove ti avevamo ficcato.

Grazie a Colui che ha voluto che tu percorressi le strade di questo mondo. È molto discreto, e non gli piace “apparire”, ma è più presente di quanto lo siamo a noi stessi.

Grazie, carissimo figliolone Giuseppe, per l’impegno che stai ponendo per aiutarci tutti a recuperare quelle sembianze umane che questi difficili tempi rischiano di farci perdere.

Grazie a mamma Giovanna per la grande generosità che ti ha trasmesso.

Grazie alla tua “sorellina” Marta per gli stimoli che non ti fa mancare per migliorarti sempre più.

Grazie alla tua e nostra Beatrice per il bene che vuole per te.

Grazie agli amici che ti hanno accompagnato in questi anni e continuano a farlo. Non è facile questa vita e percorrerla insieme ad altri la rende sicuramente meno temibile e senza dubbio alcuno più piacevole.

Grazie perché la tua esistenza ci aiuta tutti ad essere migliori.

Auguri figliolo

In memoria di Mario, ad un anno dal “trapasso”

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da un ricordo di Irene Baule

 

Oggi sono un po’ stanca, ma posso dire di avere trascorso una mattinata veramente unica. E ringrazio i figli di Sevkija Mario che ci hanno invitato all’ultimo saluto di questo grande signore che avevamo imparato a voler bene come un fratello.

Posso dirvi solo che, più che una cerimonia, è stato un momento di vita, condotto senza fretta e con grande dignità. Vigili e dipendenti del cimitero hanno capito e hanno assecondato i ritmi del congedo rom. Veramente toccante…

Figli nipoti nipotini, tutti belli e molto partecipi, in un modo tanto diverso dai nostri funerali! Un pacifico riappropriarsi degli spazi e delle relazioni, fino alla completa riappacificazione con chi se ne va – come ci ha spiegato bene il genero Giuliano – lasciando questa vita di sofferenza per rinascere a una vita di pace e armonia.

Abbiamo ancora una volta imparato molto dai nostri fratelli rom. A partire dai piccolini, che tutti portavano fiori e baci al nonno. Le ragazzine offrivano a tutti bibite e macedonia come ad un battesimo…

Poi la cerimonia musulmana, la preghiera con le mani rivolte verso il cielo, poi il saluto delle figlie e delle madri, tutte gli hanno detto qualcosa, poi la sepoltura, con amore, senza fretta. I vigili e i dipendenti del cimitero hanno capito e rispettato Il loculo ben pulito, ornato con un bel tappeto su cui è stata adagiata con cura la bara.

E poi il cuscino con il pizzo, il piumone a fiori, i vestiti, le sigarette, lo zainetto con le sue cose, la Vecchia Romagna, le canne da pesca… E la figlia che gli parlava con amore e ogni oggetto era lo spunto per raccontare a lui, a noi, a tutta la famiglia.

Noi preghiamo per Mario, speriamo che lui dal regno della Pace preghi per noi e soprattutto protegga i più piccoli e i più indifesi nel cammino non facile di questa vita.

Che nessuno della tua bella e grande famiglia debba d’ora in poi soffrire quello che hai sofferto tu, fratello mio.

“R.I.P.” di che?

di Piero Murineddu

Quest’oggi mi gira uno “strano” pensiero e credo sia il caso esternarvelo.

L’umore è inevitabilmente rattristato per le morti causate dal pontaccio di Genova, per la morte della Borsellino, da sempre in prima linea per combattere le mafie e denunciare con coraggio i malaffari, dai tanti morti sconosciuti, spesso a causa dalla cattiveria umana….

Il mio pensiero va in particolare alla mia amica Gavina, deceduta una ventina di giorni fa, alla bella età di 88 anni e dopo un’esistenza trascorsa nel miglior modo possibile, cioè dando attenzione alle necessità altrui, specialmente dei più bisognosi.

Penso – e chiedo scusa – in modo particolare a quell’irritante, pappagallesco e formalissimo “R.I.P.”. Lo so, sono un tantino pignoleretto, ma, santiddio, sforzarsi di scrivere per intero “riposa in pace” non accorcerebbe la vita a nessuno. E questa è la prima parte del pensiero che mi frulla in queste ore.

L’altra è questa storia del “riposo” per chi oltrepassa la Soglia Sconosciuta.

Lo mmetto, questa storiella non mi è mai andata mai giù. Un corpo inerte, inevitabilmente destinato alla decomposizione, che si riposa. Oppure la sua essenza “spirituale”, chiamatela anima o come vi pare, che se ne sta a pennicchellare oziosamente vita eterna durante?

Lo so, per molti e nella visione comune è un modo di dire, ma una cosa voglio comunicarvela.

Tempo fa ebbi la fortuna di leggere un libro dove il carissimo Alberto Maggi racconta la sua esperienza di essersi trovato ricoverato in ospedale, più in là che qua.

Tra i tanti passaggi raccontati e descritti, a tratti anche in modo molto divertente, mi aveva colpito l’idea che chi ha lasciato questa terra se ne stia tutta la santa eternità a contemplare la Luce Perpetua, oziosamente “a riposo”.

L’ho gia detto, modi di dire, fors’anche poeticamente. Ma Alberto, che aveva vissuto, essendo molto grave, l’eventualità della morte con la massima tranquillità, e da quanto da lui detto, sopratutto nella gioia, cosa che non dovrebbe meravigliare per chi crede realmente che la morte è solo un passaggio e non la fine di tutto. Ecco, lui diceva che una volta varcata la Soglia, si diventa molto più attivi di quanto forse lo si è stato quando si era in ….vita. E a me la cosa sembra ragionevole. È impensabile che per chi si è svelato il Mistero, si disinteressi totalmente di ciò che combiniamo noialtri ancora respiranti, spesso delle enormi cazzate e azioni che servono solo ad una lenta autodistruzione collettiva. In modo per noi incomprensibile, sono presenti e partecipi, perlomeno per evitarci a non combinare pasticci più grossi.

A me l’idea piace. A ciascuno pensarla come crede.

A questo proposito, penso a Gavina e al suo e nostro Petronio. Non credo proprio che se ne stiano continuamente ed eternamente ad amoreggiare, specialmente ora che hanno riavuto la giovinezza di una volta. Eppoi due come loro, infaticabili come sono sempre stati. Trovo impensabilissimo che se ne impippino e pensino esclusivamente alla loro …..beatitudine.

Gavina, Petronio, Rita, mia madre, mio padre, tuo fratello, il tuo caro amico, il tuo piccolo figliolo, la tua divertente nonna e pure il tuo trisnonno che non hai neanche conosciuto…….. Tutti presenti, a modo loro, per sostenerci nei momenti di particolare fatica……

E mi raccomando, quel patetico “R.I.P.”………Ve ne prego, se vi riesce, evitatelo. Per cortesia, s’intende……

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Nella foto, una giovanissima e affascinante Gavina Demurtas

Sul cantare in chiesa

di Piero Murineddu

Svegliatomi all’improvviso, questa notte non riuscivo a respirare. Pur nell’agitazione di quei lunghi sforzi per riuscire a introdurre aria nei polmoni, mi è venuto da pensare che quelli erano gli ultimi minuti della mia vita. Con molta fatica, e cercando di non farmi prendere dal panico, mi è riuscito di….continuare a vivere.

In attesa di riprendere sonno, al buio ho allungato il braccio e ho preso in mano lo smartphone. Digitando digitando, m’imbatto in uno scambio d’opinioni a partire da questo breve filmato in cui Riccardo Muti, nel bel mezzo di un concerto in cui il pubblico era certamente gente di un certo livello e che usa frequentare la musica “colta”, il Nostro, mimando il gesto con superiorità, deride l’uso dello “schitarrare” in chiesa, dicendo che alla sua morte vorrebbe essere accompagnato dalle alte melodie di Giovanni da Palestrina e non – rifacendo il gesto e provocando l’ilarità dei musicisti e del pubblico – da “…e mio fratello viene con me…..” e zum zum zum.

Dico la verità. Il tutto l’ha fatto in modo snobistico e per me leggermente irritante, “bacchettandoando”, dall’alto del suo pulpito di esperto, anche la mancata autorità dei vescovi.

Dicevo dunque dello scambio di commenti, nella pagina che tra l’altro è di una mia amica feisbuchina.

Ho letto i vari punti di vista sull’argomento, e la cosa mi ha fatto piacere, se non altro perché finalmente non si parlava delle sparate di quel misero ministro degli interni che l’Italia si ritrova.

A momenti mi è parso d’intravedere posizioni simil talebani o addirittura “ISISani”, ma ho seguito con interesse il commento di ciascuno. Ero tentato di sparare in mezzo anche la mia, ma ci ho rinunciato per discrezione.

Adesso però voglio prendermi lo spazio per esprimere la mia di opinione.

Tradizionalmente l’organo è lo strumento principe nella maggior parte delle chiese, e diciamo pure che, per il suono che produce, riesce ad accompagnare meglio il canto dell’assemblea. Quando canta, s’intende.

Ho qualche riserva riguardo al fatto che il suo suono aiuterebbe meglio ad “elevare lo spirito”. Mi chiedo: ad elevarlo a chi e a che cosa?

Io so che le assemblee liturgiche sono principalmente un incontro di persone che sono lì per riconoscersi come fratelli e sorelle che chiedono al Padre comune l’aiuto per amarsi realmente fra loro e per amare concretamente TUTTI gli altri che non sono presenti in quel momento.

Se invece ci si reca in chiesa per sentire una vaga presenza del divino e respirare aria di spiritualità che soddisfi il bisogno individuale, questa è un’altra faccenda.

Quindi, persone che attraverso il canto esprimono l’unità, la comunione che cercano di costruire, quella richiesta dal Maestro (non dal maestro Muti).

Io tante volte mi son ritrovato in assemblee dove bastava l’accompagnamento di una chitarra per raggiungere l’unisono dei cuori. In tante comunità sparse per il mondo, in sud Aamerica come in Africa, uno strumento che non sia ” colto” come l’organo è più che sufficiente, sostituito spesso e volentieri da una sei corde, da un’arpa, da un charango, da dei flauti o da semplici tamburi. E allora? Lo spirito non si “eleva”? I cuori non battono in sincronia? Non s’impara ugualmente a volersi bene, che alla fine è ciò che conta maggiormente?

Posso ipotizzare che il Padre Misericordioso gioisce maggiormente se vede vicini di banco che si sorridono fraternamente, più che vedere individui molto “ascetici” con gli occhi chiusi, mani giunte e prostrati che, al momento dello scambio della pace, fanno fatica a toccare la mano del vicino e sorridergli?

Punti di vista. Questo è il mio. Tra i commenti che dicevo, ho letto un riferimento al caro don Tonino Sanna, musicista di pregio nella cui chiesa che animava non ho mai sentito “basso” schitarrare. Non ne abbiamo mai parlato. Sarà uno dei tanti argomenti che affronteremo un dì.

A proposito. Leggere sull’argomento in piena notte, mi ha aiutato a riprendere la respirazione con più rilassamento. Grazie

Curarsi con l’omeopatia? Diciamo che……

Beppe Grillo scrive ai farmacisti perchè non vendano prodotto opmeopatici

Qui trovi l’articolo     https://www.ilpost.it/2018/08/14/beppe-grillo-omeopatia/

 

e qui c’è il mio parere

di Piero Murineddu

Diciamo che pur di curare una qualsiasi malattia, ciascuno è liberissimo di rivolgersi a chi vuole e a qualunque sostanza. Ma che si voglia proibire ai farmacisti di vendere ciò che ritengono opportuno, mi sembra francamente esagerato. Sta a ciascuno fare le sue scelte e decidere se spendere i propri soldi per quello che ritiene di doverli spendere.

Altra cosa è quando è il medico di famiglia a confonderti le idee.

È capitato a me, nel paese dove vivo. Da una parte pronto a prescriverti il farmaco di cui tradizionalmente fai uso, ma nel contempo ti fa i c……i così dicendo che ci sarebbe quell’altro prodotto omeopatico, che si, costa in po’, ma non provoca effetti collatterali, rafforza le difese immunitarie e bla bla e ancora bla. Tu, che vuoi star meglio e del tuo medico ti sei sempre fidato, che fai? ” E va bene, lu duttò, se lo dice lei…..”

Ecco, a me questo atteggiamento non mi garba affatto, arrivando ad un livello d’irritazione tale da portarmi a cambiare medico. Ma, mi chiedo, son modi di fare questi? Se proprio credi in un determinato modo alternativo per star bene le persone, dedicati a quello e lascia perdere l’altro. Perché disorientare ulteriormente la nostra incompetenza in materia?

Il medico sei tu, caz., non sono io…. Ti ho scelto come medico. Devi tentare di curarmi al meglio, non farmi stragirare i pendenti coi tuoi ripensamenti…..

E pensare che……..

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di Piero Murineddu

E pensare che qualche ministruncolo, in questi tristi e reazionari tempi, vorrebbe impedire ai poveri immigrati ambulanti di cercare di vendere la loro solita mercanzia in spiaggia e addirittura multarli.

E pensare che a me non danno fastidio, come a molti altri.

E pensare che la loro presenza “colora” piacevolmente la spiaggia.

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E pensare che ti danno l’opportunità d’imparare a contrattare sul prezzo, ma così, quasi per gioco, finendo col dargli un euro in più del prezzo chiesto inizialmente.

E pensare che la loro presenza ti aiuta a superare la mezza sonnolenza mattutina, cercando di contare quante decine di cappelli da smerciare riescono a tenere su un’unica testa, la loro.

E pensare che alla fine, mi fanno venire talmente il buon umore, che decido di farmi coraggio, gonfiarmi il petto, raddrizzare la schiena, prendermi la rincorsina e finalmente fare il primo bagno della stagione. Si, lo so, l’estate sta andando da un bel pezzo, ma io sono sempre quello dell’ultimo momento. E che volete farci….così mi ha fatto mammà e a me va più che bene.

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Restiamo umani, santiddio…

 

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Quanto scritto su, pubblicandolo anche su FB, sulla pagina che gestisco “Banca della Memoria di Sorso e Sennori” a cui possono accedere anche gente che non mi son scelto come amica, un “simpatico” lettore, sulla falsariga del modo in cui ho fatto alcune considerazioni riguardo alla vendita ambulante nelle spiagge, che a mio parere assolutamente non subiamo, ha ironizzato sul fatto che “loro” sono abusivi, non pagano le tasse, mentre lui invece ecc ecc. Tutto giusto, se l’osservazione non sottintendesse la diffusa insofferenza ( quando non aperto rifiuto) verso i migranti, non considerando che nella maggior parte sono persone che vorrebbero condurre una vita dignitosa con un lavoro regolare ma che si vedono costretti a sfiancarsi di fatica per guadagnare qualche soldo. E questa sarebbe far concorrenza ai commercianti “regolari”? Ma dai, per favore…..

In ogni caso ho ritenuto opportuno non dare visibilità a questo “simpatico” commentatore, cancellandolo da questo spazio che, fino a prova contraria gestisco io e nessuno è obbligato a frequentare. Chi vuole esprimere la sua opinione, lo faccia liberamente nella pagina che FB gli mette a disposizione, ma non abusando degli spazi altrui. Se poi questo signore, che tra l’altro non credo di conoscere, vuole discutere privatamente della questione, mi faccia sapere e sono disponibilissimo a parlarne a quattr’occhi.

Chiudo e passo ad altro.

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Al rientro dal mare, mi fermo in quell’ospitale minimarket proprio di fronte a “Porchile”, sulla litoranea per Castelsardo, per comprare un quotidiano e sbirciarlo sorbendo con tutta tranquillità una bibita seduto sotto l’ombra di un pino. Un angoletto semplice e rilassante, fornito di attrezzatura per far divertire i bimbi. A parte che nel negozio vi trovi un po’ di tutto, ma il fatto che chi gestisce pensa a questi piccoli accorgimenti, è sicuramente un valore aggiunto. Una “furbizia” per attirare maggiori clienti? È possibile. Ma io dico: usatela pure questa piccola furbizia, se serve ad accogliere nel migliore dei modi possibile le persone, dato più che vi farà entrare qualche soldino in più in cassa.

Comunque, la bibita era fresca al punto giusto. È stata purtroppo la notizia della morte dei due medici avvenuta in mare che mi è dispiaciuta, uno dei quali conoscevo come ottima persona e professionista, colpito tempo fa da un grave lutto che gli ha portato via la giovanissima figlia appena tredicenne, che seppur nella sua tenera età, ha dato grande esempio di generosità e di benevolenza verso qualunque prossimo che incontrava nelle sue giornate. Condoglianze alle rispettive famiglie.

In margine al “Come eravamo” di Leo Spanu

Piccola premessa

di Piero Murineddu

Il nostro Leo, giovanotto settantenne (forzatamente) sussincu, continua nel suo blog la rivisitazione degli ultimi decenni, mettendone in rilievo gli eventi che li hanno caratterizzati.

Come presentazione, ho scelto la foto e la didascalia che l’accompagna, riguardo l’uso della bicicletta. Nello specifico del 1973 era quasi imposto per la questione legata al divieto di usare i veicoli a motore in certi giorni.

Tuttavia a me da’ lo spunto per fare alcune considerazioni sul perché, per esempio a Sorso, in un certo qual modo ci si vergogni quasi di far uso della due ruote, anche se ultimamente ho notato qualcuno che ha pensato bene di comprarsene una col motorino elettrico e li vedo felicemente sfrecciare con tutta tranquillità anche nelle salitine e salitone.

Allora, ci si vergogna o no di gironzolare in bici a Sossu o cos’altro è che ci blocca e ci porta, ogni volta che usciamo di casa, ad accendere il motore dell’auto e via, anche se dobbiamo fare solo qualche centinaio o addirittura decina di metri? Non c’è la mentalità? Il troppo traffico automibilistico lo sconsiglia? La conformazione delle strade non lo incoraggia? Oppure temiamo semplicemente di essere considerati stravaganti? mmmmmmmm….. mi sa che il motivo ruoti molto intorno a quest’ultima possibilità.

Il giudizio degli altri. Siamo sempre lì. Ci rinchiudiamo noi stessi dentro la gabbia del ” cosa potrebbero pensare gli altri” e lanciamo lontano la chiave. Meglio non attirare in nessun modo l’attenzione. Più comodo uniformarci e tirare a campare.

Eppure, per tornare al punto dell’uso della due ruote, rimaniamo ammirati quando, visitando qualche città del “continente”, vediamo le vecchiette pedalare tranquillamente con la busta della spesa ben assicurata nel cestello.
Boh. Finisco qui e dò spazio a Leo, il baffuto e occhialuto sussincu di nascita ma da sempre altrove con la testa.

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Novembre 1973. Misure di austerità per contenere i consumi di petrolio: tra i tanti divieti anche quello di circolazione per automobili e moto nei giorni festivi. Tutti a piedi o in bicicletta.

http://leospanu.blogspot.com/2018/08/come-eravamo-1970-1979.html

L'immagine può contenere: una o più persone, persone in bici, bicicletta e spazio all'aperto

“Giorni d’agosto” ma non solo

 

di Giulio M.Manghina

Tra una foto e l’altra è cambiato il mondo, inteso come Pianeta.

Al tempo della prima foto in Italia c’erano 50/M di abitanti, oggi ce ne sono più di 60/M e quello scorcio di sabbia è rimasto sempre lo stesso, anzi sì è un po’ ridotto.

Nel primo spazio si stava tranquilli, nel secondo è uno stress – ma cos’è lo stress in confronto a un selfie da pubblicare su FB o su Instagram, in una vita vissuta per i like?

“Nulla teme più l’uomo che essere toccato dall’ignoto”, scriveva Elias Canetti nell’incipit del suo “Massa e Potere”, e chi può dire di conoscere qualcuno in una massa fitta, disarticolata e disomogenea come quella che occupa un piccolo lembo di terra lambito da un mare che ha ormai perso il suo colore turchese primigenio?

E’ così che nasce la paura, la diffidenza, l’astio, il rancore di chi sente l’altro – bianco o nero che sia – come un invasore di un territorio che ritiene proprio, ma che è un territorio di tutti, di tutta l’umanità, come il Pianeta.

E nelle spiagge pollaio di oggi è lo stesso che in un treno sovraffollato, dove c’è sempre qualcuno che sclera contro un altro che sente estraneo, ma che in fondo è uguale, ma proprio uguale, uguale a lui.

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UNA RIFLESSIONE

di Piero Murineddu

Alle considerazioni fatte da Giulio nella sua pagina ho di getto commentato che ero d’accordissimo. Qui voglio prendermi più tempo per aggiungere una mia riflessione.

Dico subito che a me la spiaggia in sé non attira granché, se poi è sovraffollata, considerando la variatissima e diversissima umanità costretta a trascorrere ore e ore a stretto contatto, solo il pensiero mi fa correre il più lontano possibile.

Eppure, eppure….

Eppure è possibile considerare la cosa da un altro punto di vista, e posso dire che l’esperienza l’ho fatta.

Secondo me dipende molto da come ti senti dentro, che poi è la stessa cosa di quanto succede normalmente nel vivere quotidiano, e in questi tempi anche per quanto riguarda il rapporto con la “diversità” rappresentata da un’immigrato.

Il mio vicino di spiaggia, seppur sconosciuto, DEVO considerarlo una persona tutto sommato uguale a me, con le stesse esigenze, gli stessi diritti e doveri e, nello specifico, col desiderio di trascorrere uno spazio della sua giornata piacevolmente al mare. Ho detto prima che dipende da come ci si sente dentro. Se io non mi ritengo l’unico in diritto di….., allora faccio attenzione al diritto del mio vicino e sopratutto al rispetto; se invece mi sento “padrone” ed egoisticamente in diritto di…., allora sorgono i conflitti, dimostrando principalmente a me stesso di essere un emerito imbecille che non ha capito come si vive in mezzo alla gente.

L’ho fatta troppo facile? Forse, ma intanto con qualsiasi mio “vicino” occasionale io cerco di essere il più cordiale e rispettoso possibile, e solitamente ciò che accade dopo è conseguente a questo atteggiamento. Se poi l’interlocutore ( vicino d’ombrellone, vicino di fila alla cassa del negozio, in autobus, in piazza, al bar…..) è un coglione, ne piange le conseguenze principalmente lui, sia consapevole o non lo sia, e non certamente perché lo prendo a cazzotti, che non sarei neanche capace di farlo.In ogni caso, io rimango quello che sono.

“Sono volontaria. Chiamami….”

di Piero Murineddu

E’ trascorsa poco più di una settimana dalla dipartita della cara Gavina, conosciuta dai più semplicemente come “signora Gavì”. Erano diversi mesi allettata, con possibilità di ripresa praticamente ridotta a zero. Bene ha detto la figlia minore, Claudia,riferendosi a chi in questo lungo e penoso periodo di agonia cercava di consolarla affermando che era arrivato il suo momento. Volitiva com’è sempre stata la mamma, sembra quasi che il momento di lasciare questa terra l’abbia deciso lei, chiedendo al Padre Misericordioso di permetterle di raggiungere il marito Petronio proprio il giorno del compleanno di quest’ultimo, il 28 luglio. Così è stato, e tutti siamo contenti per la grande festa che i due hanno sicuramente fatto riincontrandosi dopo sette anni.

Durante la cerimonia liturgica di commiato, celebrata nella chiesa dei frati cappucini, vi è stato inevitabilmente un filo di tristezza dovuta al distacco fisico, ma l’atmosfera non era “funebre” e cupa come solitamente la vediamo e l’intendiamo. Le parole di padre Fabio, l’atteggiamento dei presenti, la serenità dei familiari,  i nostri canti ….. Tutto ha contribuito ad infondere in ciascuno un senso di speranza per una nuova vita che stava prendendo avvio, liberata (finalmente) dalle sofferenze e dai tanti limiti che comporta la conduzione di questa esistenza che ci è stata donata attraverso l’amore dei nostri genitori.

Al termine, con comprensibile timore di dover parlare davanti ad un pubblico, la nostra Anna Demuro, ex insegnante ed artista a tutto tondo, originaria di Calangianus ma residente a Sorso da moltissimo tempo, che negli ultimi tempi, con la sua costante e discreta presenza, ha sostenuto gli stretti familiari della grande “signora Gavì” che si apprestava a lasciare questa terra, ha pronunciato le parole che seguono, a nome di tutti, presenti e assenti…….

 

IMG-20180804-WA0005Nella foto, al centro si riconosce Gavina con la divisa dell’Avis, indossata per tre decenni circa a servizio dei più bisognosi

“Sono volontaria. Chiamami….”

 

di Anna Demuro

Gavina Demurtas è una di quelle donne che hanno sfondato il muro del silenzio di una società che voleva le donne solo casalinghe

e come un’aquila ha mostrato gli artigli a chi voleva impedirle di fare una scelta diversa.

Non era figlia unica di genitori benestanti. Il suo pasto quotidiano era pane duro senza companatico e solo l’acqua,

gonfiandolo, poteva rispondere, almeno in parte alla pressante richiesta dello stomaco vuoto.

Gavina ha combattuto come una guerriera contro vita e costumi di una società che doveva cambiare.

Ha incollato al muro il pane duro rammollito nell’acqua ed è corsa a cercarsi un lavoro, riscattando così se stessa e i fratelli.

Non ha mai dimenticato il suo prossimo che da questa condizione non riesce a difendersi.

Chi conosce la povertà inevitabilmente è portato a fare altri incontri e lei ha visto soffrire, oltre la fame, il disagio del freddo,

della mancanza di abiti idonei, di scarpe, di coperte.

Di tutto doveva farsi carico lei. E c’era il disabile che aveva bisogno di stampelle, carrozzine e sanitari vari

e il malato allettato che mancava di adeguata assistenza. Lei c’era sempre.

Col servizio del soccorso ambulanza, durato circa trent’anni, Gavina ha salvato tante vite. Le sue parole erano:

” sono volontaria, chiamami…..

E per volontà e amore era ovunque presente.

Nel giorno delle sue esequie Sorso la ringrazia cosi:

Gavina cara,

oggi tutta la comunità di Sorso si stringe intorno a te per, per celebrare la tua bontà e l’abnegazione,

la condivisione del dolore e della sofferenza, della disabilità, della malattia e della povertà.

Le tue erano attenzioni speciali, che offrirvi insieme al tuo tempo, senza contare le ore, anche quando il tuo corpo ti chiedeva una tregua per

farcela ancora. Sei stata preziosa per tutti e lo resterai nella nostra memoria. Hai dato esempio di solidarietà vera, quella che si tocca con

mano, che accarezza col gesto e con gli occhi, sorride, conforta, solleva lo spirito ed entra nell’anima.

L’amore che tu davi non era una patina senza spessore, una vetrina dove tanti si specchiano passando per strada.

No! Il tuo amore era e resta quello vero, profondo, evangelico, al quale tutti dovremmo guardare.

Ti sei trascinata per le vie di Sorso seguendo le richieste di aiuto, anche quando le gambe non volevano più saperne di leggerti ancora.

Hai dato tutto di te, anche i muscoli e il sangue. Chi ha potuto vedere sa che, per il tuo prossimo hai offerto tutta te stessa,

fino a lasciare sul letto di morte l’immagine di Gesù crocifisso.

Tutta Sorso ti ringrazia e ti abbraccia, e alla tua memoria sia dedicata una stele che esalti di te tutto quello che sei.

Ai figli un abbraccio forte, forte, forte per una mamma così grande.