E di ga razza sei, me figlio’ ?

Introduzione

di Piero Murineddu

 

Rita Spanu oltre 40 anni fa decise di lasciare la sua Sorso per raggiungere altri lidi. E in questo caso, proprio di “lido” si tratta, in quanto vive a Soverato, una cittadina di poco meno 9000 abitanti sulla costa orientale calabrese, ad una trentina di chilometri da Catanzaro.

Una ragazza che ricordo dai modi gentili, discreti ed estremamente rispettosi, caratteristiche che oggi, raggiunta l’età del “ripensamento”, avrà sicuramente conservato.

Rita, accogliendo il mio invito racconta alcuni suoi ricordi degli anni trascorsi a Sossu, esprimendo sul finale le sue impressioni sulla Sorso attuale.

Rita continua a definirsi sussinca e “billellariana” della prima ora, ma da quello che qualche amico comune mi conferma, gia dai tempi della giovinezza aveva dei modi che si distinguevano dagli aspetti immancabilmente poco positivi che ogni comunità possiede, e il parlare con lieve accento “continentale” evidenziava questa sua piacevole “diversità”.

Nonostante ciò, o forse proprio per questo, dovendo percorrere da piccola il centro storico, dove vi abitavano probabilmente le famiglie meno abbienti e forse anche più numerose, Rita racconta che si sentiva attratta da questo mondo che provocava in lei un certo fascino. Era tra quelle vie strette che si viveva la vera essenza dell’essere sussinchi, coi suoi pregi e difetti.

La famiglia Spanu abitava di fronte all’attuale Biblioteca Comunale, la cui casa occupava uno dei quattro angoli che racchiudono il vasto blocco edilizio includente anche la parrocchiale di San Pantaleo.

Da piccola, dovendosi recare dalla nonna, Rita si trovava a dover percorrere la zona antica del paese, ed è proprio da qui che inizia il suo racconto, che sicuramente non mancherà di portare molti non più giovanissimi a ripensare a quello che si era, nel bene o meno bene.

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“E NON PASSARE DA VIA CORTE ALESSANDRIA”

di Rita Spanu

 

“Ecco, prendi questa busta e portala a nonna. Mi raccomando, vai dritta, non parlare con nessuno, non fermarti a curiosare, se qualcuno ti offre qualcosa rifiuta e corri via e NON passare da via Corte Alessandria”

La mamma di Cappuccetto Rosso faceva meno raccomandazioni!

Camminare per strada senza rischi

Sorso, negli anni ’60, era un paesotto tranquillo i bambini potevano andare ovunque senza che gli adulti li dovessero accompagnare. L’unico problema o pericolo serio era rappresentato dalle (poche) automobili che circolavano condotte da ex contadini e/o carrettieri che avendo ancora poca dimestichezza con questi nuovi mezzi di trasporto rischiavano di travolgere i pedoni con molta facilità.

Ragazzi di oggi e di ieri

Le siringhe si vedevano solo negli ambulatori dei medici di famiglia e se ne aveva un sacro terrore. I ragazzini e le ragazzine non si sognavano di entrare nei bar per prendere birrette da consumare nei marciapiedi antistanti, bevendo e ruttando in faccia ai passanti con serena incoscienza come se fosse la cosa più normale del mondo.

Tutti noi si andava dappertutto, si giocava in strada, e le nostre mamme ci spedivano ovunque per fare i “comandi”, seppure con tutte le raccomandazioni di cui sopra. In ogni caso, il più delle volte, al rientro a casa le genitrici sapevano perfettamente se avevi ubbidito o meno ai dettami impartiti prima di uscire. Infatti, comari, vicine o passanti se notavano qualcosa di strano riferivano immediatamente a chi di dovere. Il controspionaggio dei “ciarameddhi” era sempre in servizio.

Il centro storico, luogo di vita vera

Via Corte Alessandria è il tratto antistante via Jelithon: in quegli anni erano considerati una specie di suburra. Su me quella zona esercitava un fascino incredibile. Passando di lì si osservava un mondo che in altri punti del paese non esisteva. C’erano un paio di famiglie che abitavano al piano terra e vivevano la loro esistenza interamente per strada. Il nucleo che mi incuriosiva di più era la famiglia di uno degli spazzini* del paese. Non ho idea di quanti figli avessero, so solo che erano sempre per strada e la loro madre non taceva un minuto urlando contro di loro delle espressioni che, all’epoca trovavo pittoresche salvo poi capire che la cosa più carina che augurava loro, con mille sadiche varianti, era una lunga e dolorosa agonia senza rimedio e/o la morte:

ti vegghiani tuttu fragassaddu mari

ti n’esciani l’occi

vai che la chisgina

ti vegghia fatt’a pezzi…,

 

Figuratevi la mia curiosità. A parte le cose che capivo o credevo di capire, rimaneva una lunga sequela di parolacce irripetibili delle quali sapevo solo che, per l’appunto, non potevo ripetere né chiederne il significato ad anima viva!

Cantare durante le faccende domestiche

Proseguendo, superato il tratto incriminato, iniziava il “festival della canzone”. Porte e finestre spalancate con le padrone di casa che facendo pulizia (imbarrazzéndi) cantavano a squarciagola “Non ho l’età per amaaartiiii” o “Tu mi fai girar come fossi una bambolaaa” e successi vari del tempo.

Era bello vedere in tempi di pre-lavatrice come le casalinghe si aiutavano con il bucato:

“Me’ surè, véni a aggiuddammi a trippià li linzori”.

Già, strizzare bene le lenzuola per facilitarne l’asciugatura era lavoro da fare in due. Ed ecco che anche il bucato diventava un evento sociale: cosa prepari per pranzo-ancora non lo so – ieri ho fatto il minestrone e oggi lo riscaldo – non parlarmene mio marito non vuole vedere nulla di riscaldato e “li pizzinni” poi non ne parliamo…Hai sentito che la tale ha litigato con la tal’altra e non si parlano più – come sta’ tua suocera,ecc ecc.

Non si passava inosservati

Nel frattempo chi passava di lì e non abitava nei dintorni veniva squadrata/o dalla testa ai piedi e si cercava di intuire di che “razza era”. Niente di discriminante, per carità. Era solo il modo che le persone più anziane avevano per stabilire di chi eri figlio, nipote e individuare così i parenti più o meno prossimi, elemento fondamentale per la loro tranquillità psico-fisica pare, dal momento che la prima domanda che ti rivolgevano era:

“me figliò, e di ga razza sei”?

Ovvero, figliolo/a, chi sono i tuoi parenti, genitori, nonni ?

Non si passava inosservati. Crescendo, però, questo genere di attenzione cominciò a dare fastidio.

Davvero seccante tornare a casa e vedere che le mamme sapevano, con minuzia di particolari, dove eri stato, con chi e per quanto tempo… Eh sì. Le mamme a quei tempi parlavano, osservavano, curiosavano negli affari dei figli, la privacy si debellava, se necessario, con qualche scappellotto e un “stasera non esci” a seconda della gravità dei limiti superati. Attenzione: giudizio materno totalmente inappellabile, ergo, fila dritto e non provarci nemmeno.

Le mariedefilippi avevano ancora da venire e il loro Piano di Rincoglionimento e Appiattimento dell’Attività Neuronale non aveva ancora inficiato il rapporto di gerarchico rispetto presente, fino ad allora, nelle famiglie normali.

Le botteghe “umane” sotto casa

Altro evento sociale era fare la spesa nei negozi di alimentari dove trovavi dalla farina ai lacci per le scarpe, c’era sempre folla, tutto era ritardato dal servizio ad personam (pochissimi i prodotti preconfezionati): mezzo chilo di pasta, due etti di caffè, 3 etti di zucchero ecc.ecc. Per quanto il negoziante fosse veloce ci voleva un sacco di tempo per approntare tutte le richieste e quindi tempo per una “ciaramiddhadda”, scambio di pareri, notizie varie ne rimaneva sempre parecchio. Inutile dire che rimanevo incantata a sentire “i grandi” parlare di fatti per me misteriosi e di persone ancora più misteriose che dimenticavo quasi subito a meno ché non fosse qualche fatto raccontato con atteggiamento da cospiratori. Mi colpiva più il tono della voce che il racconto in sé stesso anche perché il più non capivo la portata dell’evento raccontato. Infatti per lungo tempo non riuscii a spiegarmi (avevo circa 7/8 anni) cosa ci fosse di strano nel fatto che una tale fosse andata a casa del fidanzato rimasto solo a casa perché la madre era in visita alla sorella in un paese vicino, e loro avessero trascorso l’intero pomeriggio insieme lontani da occhi indiscreti.

Feci ridere tutti i presenti affermando che mi sembrava una gran buona azione che la tale avesse fatto buona compagnia al suo fidanzato rimasto solo in casa. Arrivai addirittura a dire che probabilmente lui non sapesse cucinare e lei gli avesse preparato la cena. Beata ingenuità. Mi offese molto comunque, la gran risata di mia madre quando una delle presenti le raccontò l’accaduto e nessuna delle due volle dirmi il perché di tanta ilarità.

Rischio gravidanze …premature

In quegli anni, l’unico rischio per le ragazze era di ritrovarsi incinta e ricorrere a matrimoni riparatori in giovane età. Sia chiaro, lo “scandalo” era sempre notevole, ma dopo qualche tempo tutto finiva nel rientrare nei binari della totale normalità.

Cambiamenti trovati nelle rimpatriate occasionali

A Sorso le cose sono cambiate nel giro di pochissimo tempo. Io sono andata via definitivamente nel 1980. Bene, nel giro di pochi anni (tornavo sempre per le feste comandate e altre occasioni) cominciavo a trovare cambiamenti poco piacevoli. Intanto la desertificazione della “passeggiata” presso la stazione ferroviaria, storico punto d’incontro per tutti, giovani e meno giovani sostituita da bar affollati da ragazzini e ragazzine sbracati e sboccati con precoci facce da tossici.

Poca gente per strada. Portoni sprangati. Finestre ai piani bassi protette da inferriate. Vagabondaggio automobilistico di nullafacenti che ti ritrovi tra i piedi in continuazione.

Purtroppo Sorso non ha più una connotazione, un’identità che possa consentire a chi passa di lì di avvertire un senso di appartenenza propria dei piccoli centri. Ora non è né carne né pesce: diabolicamente presenta i problemi e disagi della grande città (uno per tutti: i parcheggi maledetti, ti ritrovi auto in ogni dove) unendo gli svantaggi dei piccoli centri: niente teatro, cinema, poche occasioni e pochi o nulla centri di aggregazione.

E di ga razza sei, me figlio’ ?ultima modifica: 2024-03-20T01:17:38+01:00da piero-murineddu
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Commenti (2)

  1. Piero

    Che ricordi sono tornato indietro anni 60 meravigliosoi.ho 67 anni e non vivo più a sorso dal 1982,fino a 5 anni vivevo proprio in via corte alesandria

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    1. piero-murineddu (Autore Post)

      E quindi siamo coetanei. Non ho capito chi sei. Magari potresti dirmi qualcosa di te

      Rispondi

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