La tortura, uno dei modi più disumani con cui manifestare la propria vigliaccheria

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TORTURA 1

di Ali Abunimah

 

Una percentuale crescente di bambini palestinesi arrestati dalle forze di occupazione israeliane sono sottoposti a isolamento, interrogatori duri e maltrattamenti equiparabili a torture.

Nella stragrande maggioranza dei casi, i bambini sono stati prelevati dai loro letti.

I bambini riferiscono che soldati israeliani pesantemente armati li hanno arrestati in circostanze violente durante raid notturni nelle case della loro famiglia.

I bambini sono spesso svegliati dal suono dei soldati israeliani che sbattono sulla porta d’ingresso prima che un membro della famiglia apra la porta o soldati forzino la strada, per assaltare la casa.

Poi, i soldati d’occupazione riuniscono tutti gli occupanti della casa, indipendentemente dalla loro età, in una stanza o fuori e richiedono l’identificazione.

In generale, viene perquisita tutta la casa durante il raid. Una volta che l’identità di un bambino è stato verificata dalla sua carta d’identità, la sua famiglia viene informata che deve accompagnare i soldati.

I bambini o i loro genitori non sono quasi mai informati delle accuse e questo momento è più probabilmente l’ultima volta che la famiglia può vedere il proprio figlio prima che compaia in un tribunale militare a seguito di un periodo imprecisato di isolamento e interrogatori.

Una volta che i soldati hanno identificato il bambino, le sue mani vengono legate con lacci di plastica, solitamente dietro la schiena, e lui viene bendato e portato in un veicolo militare.

Più della metà dei bambini ha riferito qualche forma di violenza fisica durante l’arresto e il trasferimento alle strutture di interrogatorio.

Queste strutture sono sotto il controllo del Service delle prigioni israeliano e/o della polizia segreta Shin Bet.
Al-Jalame è tra i numerosi servizi israeliani attrezzati dalla società privata di carcerazione internazionale G4S.

In media, i bambini trascorrono 10 giorni in isolamento, ma vi sono casi in cui i bambini vengono trattenuti fino a 29 giorni. I bambini portati a Kishon hanno testimoniato di essere stati rinchiusi in una piccola cella senza finestre, illuminata 24 ore al giorno da una lampadina fioca.

Dormono su un letto di cemento, sul pavimento o su un materasso sottile , spesso descritto come “sporco” e ” maleodorante“. Le pareti sono grigie, con sporgenze taglienti o ruvide su cui è doloroso appoggiarsi.

Privati di assistenza legale, contatti con la famiglia e quasi mai informati sui loro diritti, compreso il diritto di rimanere in silenzio, i bambini sono sottoposti a interrogatori prolungati, abusi e violenze al livello di tortura.

La maggior parte dei bambini sono accusati di lancio di pietre, un reato che può potenzialmente portare ad una condanna fino a 20 anni a seconda dell’età del bambino. Ma l’accusa può essere un pretesto per costringere i bambini a fornire informazioni utili nello sforzo di Israele di sopprimere qualsiasi forma di resistenza all’occupazione.

Le tecniche di interrogatorio sono generalmente mentalmente e fisicamente coercitive, spesso incorporano un mix di intimidazioni, minacce e violenza fisica, con un chiaro intento di ottenere una confessione.

Grida e intimidazioni vengono regolarmente utilizzati per sollecitare confessioni, dichiarazioni incriminanti , e informazioni su vicini o familiari.

Durante gli interrogatori, i bambini riferiscono di essere costretti a sedersi su una sedia bassa di metallo bloccata a terra, con le mani e i piedi ammanettati alla sedia , spesso per diverse ore.

In molti casi, i bambini hanno riferito di essere sottoposti a un “abuso di posizione”, che nel caso più frequente consiste nell’incatenare il bambino ad una sedia in una posizione dolorosa per lunghi periodi di tempo.

Dopo aver sperimentato abusi orribili e giorni di isolamento, i bambini sono psicologicamente vulnerabili . Gli inquisitori israeliani approfittano di questo con l’uso di informatori. DCI-palestina descrive la tecnica usata da Israele, sulla base di racconti dei bambini.

Dopo molti giorni di isolamento e interrogatori prolungati, il bambino viene informato che l’interrogatorio è finito e che saranno trasferiti a una cella della prigione.

Una volta che il bambino arriva in cella, un prigioniero adulto lo accoglie calorosamente, spesso portando cibo caldo, un pacchetto di sigarette o altre cose.

Il prigioniero adulto tenta di conquistare la fiducia del bambino attraverso la condivisione di informazioni sulla famiglia del bambino o membri della sua comunità. I bambini riferiscono di essere consigliati di non parlare con nessuno, eccetto questo individuo specifico per quanto riguarda il loro interrogatorio.

Spesso, il prigioniero adulto chiede al bambino dell’ interrogatorio e quali domande gli sono state chieste, o si offre di avvisare altri all’esterno se egli condivide informazioni.

Dopo un giorno o due, il bambino è sottoposto di nuovo a interrogatorio dove è spesso confrontato con una registrazione audio o dichiarazioni che ha fatto all’informatore prigioniero adulto.

Durante l’interrogatorio, il bambino si rende conto per la prima volta che il prigioniero adulto è un informatore che collabora con gli ufficiali dei servizi segreti israeliani, e l’interazione del bambino con questo individuo faceva parte della procedura di interrogatorio.

Di fronte a questa realtà, i bambini in genere forniscono una confessione senza accesso alla consulenza delle accuse formulate contro di loro durante l’interrogatorio.

Il rapporto DCI-palestina è stato sottoposto a una serie di organi delle Nazioni Unite e comprende un’analisi di come il maltrattamento dei bambini e il crescente uso dell’isolamento da parte di Israele costituiscano gravi violazioni del diritto internazionale, comprese le convenzioni in materia di tortura.

La pratica di usare l’isolamento sui bambini nei centri di detenzione israeliani deve essere riconosciuta come una forma di tortura ed essere immediatamente interrotta.

Ma si nota anche la totale impunità che ha permesso che gli abusi israeliani siano continuati senza controlli.

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di Yara Hawari

 

L’uso della tortura nei confronti dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane é sistematico.

Nell’agosto del 2019, le forze di occupazione israeliane hanno iniziato una campagna mirata contro i giovani palestinesi e hanno arrestato oltre 40 studenti dell’Università di Birzeit. Poiché a molti studenti è stato negato il diritto di incontrare i loro avvocati, si suppone anche che molti siano stati sottoposti a tortura.

Dall’istituzione dello Stato di Israele nel 1948, la Israeli Security Agency (ISA) ha sistematicamente torturato i palestinesi usando una varietà di tecniche. E sebbene molti Paesi abbiano inserito il divieto di tortura nella loro legislazione nazionale (nonostante rimanga una pratica diffusa con il pretesto della sicurezza dello Stato), Israele ha intrapreso una strada diversa: non ha adottato una normativa nazionale che vieti l’uso della tortura e i suoi tribunali hanno permesso di utilizzare la tortura nei casi di “necessità”. Ciò ha dato all’ISA via libera nel fare ampio uso della tortura contro i prigionieri politici palestinesi.

Questo breve resoconto si concentra sull’uso della tortura nel processo detentivo israeliano (sia al momento dell’arresto che nelle carceri), tracciandone i momenti storici e i più recenti sviluppi. Basandosi sul lavoro di varie organizzazioni palestinesi, il documento sostiene che la pratica della tortura, incorporata nel sistema carcerario israeliano, è sistematica e legittimata attraverso l’ordinamento giuridico interno.

Il documento indica chiaramente alla comunità internazionale la strada per inchiodare Israele alle sue responsabilità e porre fine a queste violazioni.

La questione della tortura occupa un posto importante nelle discussioni su etica e moralità. Molti hanno sostenuto che la pratica della tortura riflette una società malata e corrotta. In effetti, la tortura prevede la totale disumanizzazione di una persona e, una volta che ciò si verifica, i confini dell’abbruttimento sono senza limite. Inoltre, mentre il pretesto comune degli apparati di sicurezza per l’utilizzo della tortura è che possa fornire informazioni vitali, ciò si è dimostrato del tutto infondato.

Molti esperti prestigiosi, e persino funzionari della CIA, sostengono che le informazioni ottenute sotto tortura sono generalmente false. I prigionieri possono essere costretti a confessare qualsiasi cosa per fermare la sofferenza a cui vengono sottoposti.

Il sistema giuridico internazionale proibisce la tortura sulla base del diritto internazionale consuetudinario nonché di una serie di trattati internazionali e regionali.

L’articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti”. Il diritto internazionale umanitario, che regola il comportamento delle parti durante il conflitto, include anche il divieto di tortura. Ad esempio, la terza Convenzione di Ginevra vieta la “violenza sulla vita e sulla persona, in particolare omicidi di ogni tipo, mutilazioni, trattamenti crudeli e torture”, nonché “oltraggi alla dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti”.

La Quarta Convenzione afferma: “Nessuna coercizione fisica o morale deve essere esercitata contro le persone sotto tutela, in particolare per ottenere informazioni da loro o da terzi”.

Il divieto di tortura è così assoluto che è considerato jus cogens nel diritto internazionale, il che significa che non è derogabile e che nessun’altra legge può soppiantarlo.

Eppure la tortura continua ad essere utilizzata da molti Paesi in tutto il mondo. Amnesty International la definisce una crisi globale, affermando di aver denunciato negli ultimi cinque anni violazioni del divieto di tortura da parte della grande maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite.

La “guerra al terrore”, guidata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, ha portato in particolare a terribili casi di torture sistematiche, inflitte soprattutto a prigionieri arabi e musulmani. Il campo di detenzione di Guantanamo Bay, istituito dagli Stati Uniti nel 2002 per detenere “terroristi”, ne é un esempuo eloquente. Immagini di prigionieri bendati, incatenati e inginocchiati a terra con tute arancione sono state diffuse in tutto il mondo.

Tuttavia forse le immagini più esplicite di questa condizione storica sono giunte dal carcere militare americano di Abu Ghraib in Iraq. Foto trapelate e testimonianze di militari hanno rivelato che la prigione era un luogo di torture su larga scala, incluso lo stupro di uomini, donne e bambini. All’epoca, l’amministrazione americana condannò questi atti e cercò di far credere che si trattasse di incidenti isolati. Le organizzazioni per i diritti umani hanno riferito il contrario.

Inoltre, recenti testimonianze da Abu Ghraib rivelano legami sinistri tra gli interrogatori statunitensi e quelli israeliani. In un libro di memorie, un ex addetto americano agli interrogatori in Iraq ha affermato che l’esercito israeliano ha addestrato il personale americano in varie tecniche di interrogatori e torture, inclusa quella che è diventata nota come “seggiola palestinese”, in cui il prigioniero è costretto a sporgersi su una sedia in posizione accovacciata e con le mani legate ai piedi. La pratica, che provoca un dolore lancinante, è stata perfezionata sui palestinesi – da qui il suo nome – e adottata dagli americani in Iraq.

Nonostante questi scandali, sono state intraprese pochissime azioni per proteggere i prigionieri di guerra e la tortura continua ad essere giustificata in nome della sicurezza.

Nella prima intervista di Donald Trump dopo che aveva prestato giuramento come presidente degli Stati Uniti, egli ha dichiarato che, nel contesto della “guerra al terrore”, “la tortura funziona”. Anche prodotti di cultura di massa, quali programmi televisivi come “24” e “Homeland” [Patria, in italiano “Caccia alla spia”, serie televisiva statunitense, ndtr.] ” normalizzano l’utilizzo della tortura, in particolare contro arabi e musulmani, e promuovono l’idea che essa sia giustificata in funzione del bene superiore.

Vi è stato anche un recente incremento di serie televisive e film che mettono in scena le attività del Mossad e dello Shin Bet, ognuno dei quali rende eroiche le attività dell’ISA mentre demonizza i palestinesi come terroristi.

Queste serie e film presentano al mondo un’immagine di Israele che gli consente di giustificare le sue violazioni del diritto internazionale, compresa la tortura.

Mentre Israele ha ratificato la Convenzione contro la tortura (CAT) nel 1991, non l’ha integrata nella sua legislazione nazionale. Inoltre, nonostante la commissione delle Nazioni Unite sostenga il contrario, Israele sostiene che la CAT non si applica al territorio palestinese occupato. Ciò consente a Israele di affermare che non esiste alcun crimine di tortura in Israele, tortura che è effettivamente consentita in caso di “necessità”, come è stato affermato a proposito del caso Arbeed. Questa “necessità” è anche conosciuta come la “bomba pronta ad esplodere”, una dottrina sulla sicurezza utilizzata da molti governi per giustificare la tortura e la violenza in situazioni considerate come strettamente dipendenti da contingenze temporali.

Israele ha anche approvato diverse sentenze sulla questione della tortura che hanno rafforzato e giustificato le attività dei suoi servizi di sicurezza. Ad esempio, nel 1987 due palestinesi dirottarono un autobus israeliano e vennero in seguito catturati, picchiati e giustiziati dallo Shin Bet. Sebbene ci fosse un divieto di pubblicazione sui media israeliani, i dettagli della tortura e dell’esecuzione trapelarono e portarono all’istituzione di una commissione governativa. Mentre la commissione concluse che “la pressione sui detenuti non deve mai raggiungere il livello di tortura fisica … un grado moderato di pressione fisica non può essere evitato”. Le raccomandazioni della commissione erano incompatibili con il diritto internazionale a causa della loro vaga definizione di “un grado moderato di pressione fisica “, e in sostanza diedero allo Shin Bet carta bianca al fine di torturare i palestinesi.

Oltre un decennio più tardi, e in seguito alla richiesta da parte delle organizzazioni per i diritti umani, nel 1999 la Corte di Giustizia israeliana ha emesso una sentenza secondo cui durante gli interrogatori dell’ISA non sarebbe stato più permesso usare mezzi fisici nel corso degli interrogatori, mettendo così al bando l’uso della tortura. La corte ha stabilito che quattro metodi comuni di “pressione fisica” (scuotimento violento, incatenamento a una sedia in una posizione di tensione, essere costretto a lungo in una posizione accovacciata e la privazione del sonno) erano illegali. Eppure la corte ha aggiunto una clausola che ha fornito una scappatoia per chi conduce gli interrogatori, vale a dire che coloro che utilizzino la pressione fisica non dovranno affrontare una responsabilità penale se si evince che lo abbiano fatto in una situazione di pericolo imminente o per la necessità di difendere lo Stato – in altre parole, se il detenuto risulti essere una minaccia immediata per la sicurezza pubblica.

La necessità della tortura in nome della sicurezza è stata riaffermata nel 2017, quando l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha emanato una sentenza a favore dello Shin Bet, con cui ha ammesso quelle che ha denominato “forme estreme di pressione” sul detenuto palestinese Assad Abu Ghosh. La giustificazione è stata che Abu Ghosh fosse in possesso di informazioni su un imminente attacco terroristico. La corte lo ha ritenuto “un interrogatorio con tecniche avanzate” piuttosto che una tortura e ha dichiarato che fosse giustificato dalla dottrina della “bomba pronta ad esplodere”. Analoghe sentenze sono state costantemente ripetute.

Sebbene le organizzazioni palestinesi per i diritti umani presentino regolarmente denunce alle autorità israeliane, raramente ricevono una risposta e, quando succede, è spesso per informare che il caso è stato chiuso a causa della mancanza di prove. In effetti, dal 2001 sono stati presentati 1.200 reclami contro i servizi di sicurezza per tortura, ma nessun agente è mai stato perseguito.

Ogni anno il sistema carcerario militare israeliano detiene e incarcera migliaia di prigionieri politici palestinesi, principalmente dai territori del 1967, territori occupati da Israele dopo la “Guerra dei Sei Giorni” del 1967, conquiste mai riconosciute dall’ONU, ndtr.

Dall’inizio dell’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e dell’istituzione della legge marziale in quelle aree Israele ha arrestato oltre 800.000 palestinesi, pari al 40% della popolazione maschile e un quinto della popolazione totale.

La legge israeliana consente inoltre ai militari di trattenere un prigioniero per un massimo di sei mesi senza accusa, secondo una procedura nota come detenzione amministrativa. Questo periodo può essere prolungato indefinitamente, mediante “imputazioni” tenute segrete.

I prigionieri e i loro avvocati, quindi, non sanno di cosa sono accusati o quali prove vengono usate contro di loro. L’ultimo giorno del periodo di sei mesi chi è detenuto con tale modalità viene informato se sarà rilasciato o se la sua detenzione sarà ulteriormente prolungata.

“Addameer-the Prisoner Support and Human Rights Association”, Sostegno ai prigionieri e associazione per i diritti umani, Ong palestinese costituita nel 1992, ha definito questa pratica come una forma di tortura psicologica.

È durante il periodo iniziale della detenzione, sia amministrativa che di altro tipo, quando i detenuti sono spesso privati del contatto con avvocati o familiari, che sono sottoposti alle forme più severe di interrogatori e torture. Se vengono sottoposti a processo, affrontano un giudizio da parte del personale militare israeliano e spesso si vedono negata un’ adeguata assistenza legale. Questo sistema è illegale ai sensi delle leggi internazionali e organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani hanno documentato una vasta gamma di violazioni dei diritti umani.

Ai bambini non viene risparmiata l’esperienza della prigionia e della tortura all’interno del sistema militare israeliano e quasi sempre viene loro negata la presenza della tutela dei genitori durante gli interrogatori.
Uno di questi esempi è del 2010, quando la polizia di frontiera israeliana ha arrestato il sedicenne Mohammed Halabiyeh nella sua città natale di Abu Dis. Al momento dell’arresto la polizia gli ha rotto una gamba e lo ha picchiato, prendendo intenzionalmente a calci la gamba ferita. È stato interrogato per cinque giorni consecutivi e ha dovuto affrontare minacce di morte e violenza sessuale. È stato quindi ricoverato in ospedale, dove gli agenti israeliani hanno continuato ad abusare di lui facendo penetrare siringhe all’interno del suo corpo e dandogli pugni in faccia.

Halabiyeh è stato denunciato e sottoposto a processo come un adulto, come nel caso di tutti i minori palestinesi detenuti di età superiore ai 16 anni, in diretta violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia. ) Israele arresta, detiene e processa ogni anno da 500 a 700 minori palestinesi.

Secondo Addameer, i metodi più comuni utilizzati dallo Shin Bet e dagli agenti addetti all’interrogatorio includono:

Tortura di posizione: i detenuti vengono obbligati a stare in posizioni forzate, spesso con le mani legate dietro la schiena e i piedi incatenati mentre sono costretti a sporgersi in avanti. Vengono lasciati in tali posizioni per periodi di tempo prolungati durante l’interrogatorio.

Pestaggi: i detenuti spesso subiscono pestaggi, sia a mani nude che con oggetti, e talvolta vengono tramortiti.

Isolamento: i detenuti vengono posti in isolamento o in confino solitario per lunghi periodi.
Privazione del sonno: ai detenuti viene impedito di riposare o dormire e sono sottoposti a lunghe sessioni di interrogatorio.

Tortura sessuale: uomini, donne e bambini palestinesi sono soggetti a stupri, molestie fisiche e minacce di violenza sessuale. Le molestie sessuali verbali sono una pratica particolarmente comune in cui i detenuti sono esposti a commenti su loro stessi o sui loro familiari. Questo tipo di tortura è spesso considerato efficace perché la vergogna per l’oltraggio sessuale impedisce ai detenuti di rivelarla.

Minacce per i familiari: i detenuti devono ascoltare minacce di violenza contro i familiari per essere spinti a fornire delle informazioni. Ci sono stati casi in cui membri della famiglia sono stati arrestati e interrogati in una stanza vicina in modo che il detenuto potesse sentire mentre erano sottoposti a tortura.

I suddetti metodi di tortura lasciano danni permanenti. Mentre la tortura fisica può lasciare gravi danni fisici, tra cui ossa rotte e dolori muscolari e articolari cronici, soprattutto a causa di posizioni forzate o dell’essere costretti in un piccolo spazio, il danno psicologico può essere ancora peggiore, con condizioni come depressione profonda e duratura , allucinazioni, ansia, insonnia e pensieri suicidi.

Molti meccanismi di tortura richiedono la complicità degli attori all’interno del sistema giudiziario militare israeliano, incluso il personale medico. Ciò si verifica nonostante il codice deontologico, come definito dalla Dichiarazione di Tokyo e dal Protocollo di Istanbul, includa la clausola secondo cui i medici non devono collaborare con gli agenti che conducano interrogatori che comportino torture, non devono condividere informazioni mediche con i torturatori e devono opporsi attivamente alla tortura.

In realtà i medici israeliani sono stati a lungo complici della tortura di detenuti e prigionieri palestinesi. Nel corso degli anni i giornalisti hanno scoperto documenti che rivelano che i medici approvano la tortura e riportano il falso per giustificare le lesioni inflitte durante gli interrogatori.

I medici sono anche complici dell’alimentazione forzata, un altro meccanismo di tortura, sebbene meno comune, usato dal regime israeliano. L’alimentazione forzata richiede che un detenuto sia legato mentre un tubo sottile viene inserito attraverso una narice e spinto fino allo stomaco. Il liquido viene quindi iniettato attraverso il tubo nel tentativo di alimentare il corpo. Il personale medico deve posizionare il tubo, che può finire per passare attraverso la bocca o la trachea invece che per l’esofago, nel qual caso deve essere retratto e sostituito. Questo non solo provoca grande dolore, ma può anche portare a gravi complicazioni mediche e persino alla morte.

Negli anni ’70 e ’80 diversi prigionieri palestinesi morirono per essere stati nutriti con la forza, provocando un ordine di cessazione da parte della Corte Suprema israeliana. Tuttavia, una legge della Knesset del 2012 ha ripristinato la legalità dell’alimentazione forzata nel tentativo di interrompere gli scioperi della fame dei palestinesi. In un documento inviato al primo ministro israeliano nel giugno 2015, l’Associazione Medica Mondiale ha affermato che “l’alimentazione forzata è violenta, spesso dolorosa e contraria al principio di autonomia individuale. È un trattamento degradante, disumano e può equivalere a tortura.

Per i palestinesi, la tortura è solo uno degli aspetti della violenza strutturale che affrontano nelle mani del regime israeliano, che li rinchiude in una prigione a cielo aperto e li priva dei loro diritti fondamentali. Ed è anche un aspetto che riceve scarsa attenzione dalla comunità internazionale, di solito perché le autorità israeliane usano argomenti relativi alla sicurezza dello Stato, rafforzati dalla narrativa della “guerra al terrore”.

Questo è stato il caso di Samer Arbeed, che i media israeliani hanno definito un terrorista, facendo sì che la maggior parte degli Stati mantenga il silenzio sul suo trattamento nonostante sia stato presentata una petizione e siano state fatte pressioni da molte organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani.

Come per tutte le violazioni contro il popolo palestinese, la tortura israeliana sollecita una messa in discussione sull’utilità dell’ordinamento giuridico internazionale.

Il 13 maggio 2016, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha raccomandato a Israele più di 50 misure a seguito di una revisione della sua conformità alla Convenzione contro la tortura, tra cui il fatto che tutti gli interrogatori dovrebbero avere una documentazione audio e visiva, che ai detenuti dovrebbero essere concessi esami medici indipendenti e che la detenzione amministrativa dovrebbe essere eliminata.

Queste sono, naturalmente, raccomandazioni importanti e si dovrebbe fare in modo che Israele le rispetti. Tuttavia, in un momento in cui gli attori di Paesi terzi non sono generalmente disposti a ritenere Israele responsabile della violazione del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi, non sono sufficienti.

Di seguito vengono riportati alcuni passaggi che coloro che si impegnano per i diritti dei palestinesi nei contesti internazionali e nazionali possono adottare allo scopo di interrompere il carattere sistematico della tortura israeliana:

Le organizzazioni e i gruppi dovrebbero raccogliere prove sulla responsabilità penale individuale, al di fuori di Israele e Palestina, di coloro che sono coinvolti nella tortura dei palestinesi.

La responsabilità può essere estesa non solo a coloro che commettono la tortura, ma anche a coloro che aiutano, favoriscono e omettono informazioni al riguardo. Ciò include il personale che interroga, i giudici militari, le guardie carcerarie e i medici. Poiché la tortura è un crimine di guerra dello jus cogens, è soggetta alla giurisdizione universale, il che significa che terze parti possono presentare denunce penali contro singoli individui.

Sebbene la responsabilità penale individuale non affronti necessariamente la struttura sistematica della tortura contro i palestinesi, essa mette sotto pressione le persone israeliane coinvolte limitando i loro movimenti e i viaggi all’estero.

In quanto unico organo giudiziario indipendente a cui è possibile accedere in grado di porre fine all’impunità per le violazioni dei diritti dei palestinesi, la Corte Penale Internazionale ha il compito di ritenere Israele responsabile.

L’ufficio del procuratore, con tutte le informazioni e le relazioni dettagliate che gli sono state presentate, dovrebbe avviare un’indagine formale sulle violazioni all’interno del sistema carcerario israeliano.

Gli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra e le organizzazioni internazionali per i diritti umani devono fare pressione sul Comitato Internazionale della Croce Rossa affinché ottemperi al proprio mandato al fine di proteggere i detenuti palestinesi e aprire un’indagine su tutte le accuse di tortura.

La società civile e le istituzioni palestinesi dovrebbero continuare a sostenere coloro che lavorano per aiutare le vittime della tortura. Tale sostegno può essere potenziato da uno sforzo mirato e specifico per espandere tali risorse e renderle accessibili in tutte le aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Ciò dovrebbe includere anche l’impegno rivolto a rompere il tabù della ricerca di interventi terapeutici e l’eliminazione dello stigma riguardante la violenza sessuale.

Le aggressioni sessuali di solito non vengono trattate interamente perché le vittime si vergognano troppo di raccontare il loro calvario e il fatto di non parlarne rende la guarigione più difficile. Creare spazi più sicuri per le testimonianze individuali e collettive è la chiave per aiutare i sopravvissuti a riprendersi.
Con tali azioni concertate, i palestinesi e i loro alleati possono lavorare per limitare la pratica della tortura così profondamente radicata nel sistema carcerario israeliano e coperta dalla legge israeliana, impegnandosi anche per aiutare a guarire coloro che ne hanno subito le conseguenze dolorose.

La tortura, uno dei modi più disumani con cui manifestare la propria vigliaccheriaultima modifica: 2020-02-17T07:06:21+01:00da piero-murineddu
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