Albino, giovane prete, chinato il capo pianse amaramente

Premessa

di Piero Murineddu

Irene ha pianto, di rabbia e di tristezza, quando la giovane – mamma di quattro bambini di cui uno gravemente disabile e che non può raggiungerlo a Varese dov’è ricoverato perchè non ha neanche i soldi per il biglietto e per stare vicino al figlio per qualche giorno – quando la giovane, dicevo, le ha riportato il cesto prestatole con ancora dentro le palmette rimaste invendute. Domenica delle Palme 2018. La Settimana Santa iniziata tristemente e con poco cibo sulla tavola. Si è presentata sul sagrato della chiesa, la giovane donna, per vendere le crocette intrecciate con le sue stesse mani. Splendide crocette. E’ stata letteralmente scacciata da altri concorrenti, sicuramente bisognosi ma col “vantaggio” di essere italianissimi. “Prima gli italiani !“, si è sentito sbraitare in questa recente campagna elettorale. “Prima gli italiani !“, si continuerà a sentire sempre più forte d’ora in avanti.

La giovane mamma, poco più grande di mia figlia, si è spostata poi al supermercato, ma anche lì “ l’abbiamo già comprata in chiesa…”

Quando Irene mi ha raccontato, ho sentito un forte nodo alla gola. Quando oggi ho letto questo racconto che Rita mi ha mandato, il nodo si è finalmente sciolto in lacrime, lacrime che mi aiutano a continuare a rimanere umano, per quanto sempre più difficile stia diventando.

Grazie Irene

Grazie Rita

Grazie Albino

 Grazie Mohammed  

Grazie Joooooooooooosh

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“Se lui non c’è, me ne vado anch’io”

di Rita Clemente

– Guarda che meraviglia! E’ un’opera del ‘700, scuola di maestri bolognesi. E ha anche un discreto valore economico; il legno è frassino puro. Guarda, ha degli occhi! Sembra che ti stia fissando per dirti qualcosa.

Don Albino, come stregato, guardava quel crocifisso a grandezza naturale, scultura lignea che campeggiava nel bel mezzo della parete grande della sala parrocchiale. Ciò che colpiva di più, in effetti, era lo sguardo del Cristo. Era proprio vero che “voleva dir qualcosa”. Non uno sguardo sofferente, occhi semichiusi, corrugamento di dolore, come di solito si vede nei crocifissi. Ma aperto, franco, diretto, che ti fissava assorto. Quasi come lo sguardo dei Cristi delle chiese orientali.

– E’ il pezzo più di valore della nostra Chiesa – continuò don Franco, il parroco, spiegando quella meraviglia al giovane prete che gli avevano mandato, come aiutante e viceparroco, fresco fresco di Ordine ricevuto.-

Per questo l’abbiamo messo qui, nella sala grande. Pensa, persino il vescovo ce lo invidia!

Don Albino era nuovo di quella parrocchia. La sua prima attività pastorale. Ma era pieno di zelo e di entusiasmo: donarsi, annunciare il vangelo, fare nella vita qualcosa di grande. Ecco perché beveva avidamente tutto quello che il vecchio parroco andava insegnandogli. Era già stato presentato al Consiglio pastorale e aveva conosciuto tutti quelli che in Parrocchia “contavano”. Poi le donne. Un gruppetto molto attivo che si dava da fare non poco per mantenere la Chiesa lustra e pulita.

E’ bella la nostra Chiesa – diceva Margherita, cosiddetta la “capa” – bellissima. Una perla. L’hanno fatta così bella in questo quartiere. Sai, la maggior parte della gente di qui sono gente per bene. Tutti vengono a Messa, iscrivono i figli a catechismo e insomma…diciamo che va bene. Ma più in là, vedi?, là, oltre lo stradone…Dove ci sono quelle case giallo sporco. Lì l’ambiente te lo raccomando. Mangiapreti senza Dio. Gente che vive di espedienti. Rubacchia. Zingari. Extracomunitari. Don Franco fa quello che può, poveretto, mah….. la situazione peggiora di giorno, in giorno…

C’è una messe abbondante laggiù – pensava intanto don Albino – ci sarà da lavorare”. Ma non disse niente alla solerte Margherita.

Domenica. Don Albino arrivava sempre trafelato alle 9.30 in punto sulla sua motoretta. A causa della scarsità di preti, al mattino gli toccava andare in un paese vicino, distante otto km, a dir messa presso la Casa di riposo “Anni Azzurri”. E poi, doveva organizzare tutto per la messa delle 11,30: il coro, le letture, le preghiere, qualche confessione, le attività della settimana, le donne che gliene contavano sempre una e via dicendo. Non aveva un attimo da rifiatare. Per questo arrivava sempre puntuale. E ogni volta, sia che spaccasse il sole, sia che tirasse vento, sia che piovesse a dirotto, lo trovava sempre lì. Col cappuccio sulla testa o le maniche della camicia a quadri tirate su. Lì con la sua povera mercanzia: fazzoletti, calzini, cinture, qualche tovaglia di plastica. Salutava e non diceva altro. Aspettava. Qualcuno gli metteva in mano una monetina, spesso senza neppure guardarlo. E lui diceva sommessamente: “Grazie, Dio ti benedica”. Pochissimi compravano qualcosa. E lui lì, in piedi contro lo stipite della porta o seduto sul gradino. Con un sorriso umile e il suo “grazie, Dio ti benedica” sempre pronto sulle labbra.

Aveva tanta fretta, don Albino, ma…

– Ciao. Mi daresti dei fazzoletti? Sono molto raffreddato

– Sì. Quanti pacchetti? Uno, due…

– Dammene due, va. Questo raffreddore…

Lui sorrise…

– Tempo brutto …

– Già. E tu, non hai freddo, con quella maglietta leggera?

– Io no freddo. Io bitoato.

– Tieni 10 euro. No, non darmi il resto. Come ti chiami?

– Grazie. Mohammed.

– E vieni da dove?

– Io vengo da Marocco. Vicino Rabat.

– Ah, il Marocco! fa caldo lì, vero?

– Sì, caldo. Molto caldo.

– E hai famiglia?

– Mia familia Marocco. Molia e tre fili.

– E tu, lavori, Mohammed?

– Io no lavoro. Io lavorato. Muratore. Adesso non ce l’ho lavoro.

– Ah! E’ un momento difficile. Come si chiamano i tuoi bambini?

– lGrande, Samir. Secondo, Abdullah. E – gli occhi dell’uomo brillarono – e ultima, Karima…

– Karima! Che bel nome, per una bimba!

– Sì, lei bella ma lei malata. Core. Lei bisogna molte, molte medicine.

Don Albino scosse la testa. Chissà perché, gli venne in mente una frase sentita, ma da chi?

raccontano un sacco di bugie, poi li vedi la sera nei bar che bevono e fanno baldoria

Ma lo sguardo di Mohammed gli sembrava così dolce, così indifeso!

– Don Albino, ti cercano! Lucetta del coro sta impazzendo, con questi ragazzi

– Vengo, vengo! Scusa, devo scappare. Ci sentiamo ancora. Ciao.

– Sì. Ciao, ciao.

Lo rivide più e più volte. Sempre puntuale, con la sua mercanzia. Montava alle 9.00 e smontava alle 12.00 con qualsiasi tempo. Erano diventati amici. Ogni domenica, don Albino comprava qualcosa. Non gli piaceva fare l’elemosina. Gli sembrava di ferire la dignità di quell’uomo che vendeva le sue cose, non chiedeva l’elemosina. Ormai aveva fatto la scorta di cinture, calzini, fazzoletti. Anche due tovaglie di plastica aveva comprato e le aveva regalate: una alla madre e una alla sorella. E sapeva tutto di Karima ormai, la bambina ammalata di cuore.

Quella domenica in Chiesa si celebrava un matrimonio. Hassad guardava stupito tutto quell’andirivieni di gente ben vestita che entrava e usciva, ragazze con gambe e braccia nude, capelli biondi e sciolti, bellissime, quasi irreali. Ma nello stesso tempo i suoi occhi mobilissimi e vivaci seguivano la traiettoria delle mani che s’infilavano nelle tasche o nelle borsette e da portafogli, portamonete, borsellini di tutte le taglie e misure come per incanto usciva la monetina tintinnante che andava a posarsi in quel cestino che – menomale! – si era portato dietro, oltre alla solita mercanzia. 50 cent., un euro, qualche volta due euro! E qualche volta – o buon Allah! – perfino, perfino una moneta di carta (che lui sapeva, con la sagacia di chi impara in fretta il prezzo della vita, valere molto, molto di più!). Hassad guardava affascinato i cesti di fiori bianchi e rosa che arrivavano uno dietro l’altro, il tappeto rosso che si srotolava lungo tutto il corridoio della Chiesa, fino lì, lì in fondo e le ragazze…. Ma non abbandonava mai con gli occhi lo zio Mohammed che, seduto sul gradino di fronte, ogni tanto tossiva, tossiva e doveva abbassare la testa e soffiarsi il naso e sputacchiare dentro un fazzoletto…Per questo lui ormai lo accompagnava, perché lo zio era malato e non poteva stare attento ai soldi, ma di soldi c’era un gran bisogno laggiù in Marocco, per questo lui – vispo ragazzo ormai 15enne – era venuto fino in Italia, su un barcone era venuto e per poco non ci aveva rimesso la pelle…

Se ci pensava…lui non sapeva nuotare e a un certo punto il barcone aveva fatto su e giù, su e giù, come un tronco di palma scosso da un vento forte, tutti si erano messi a gridare… e lui era caduto in mare! Per fortuna, Allah era stato benevolo con loro e un peschereccio li aveva raccolti, non ricordava come, ricordava solo due forti braccia che lo avevano preso e portato all’asciutto. E poi la strada, quanta strada, perfino nascosto in un camion in mezzo a cesti con galline che starnazzavano (il conducente era stato bravo: lo aveva tirato su che quasi sveniva), per arrivare in questa città strana, dove c’era il fratello di sua madre. Il nome di questa città l’aveva imparato subito: Torino. E solo Torino aveva sulle labbra, altro non sapeva dire. Così, quando si era fermato, affamato e infreddolito, vicino a quel distributore di benzina, l’uomo del camion l’aveva visto. “Dove vai?” gli aveva chiesto e altre cose che Hassad non aveva capito, ma gli era bastato dire la parola magica: “Torino”. “Dai, monta su” aveva detto l’uomo, ma lui aveva capito il gesto più che le parole. Era montato sul camion e il guidatore gli aveva dato un panino e una lattina di Coca Cola, poi lo aveva fatto nascondere dietro, in mezzo alle ceste piene di galline. Così era arrivato a Torino.

C’erano tante cose in questa città, ma per lui solo questo contava, il suo unico punto di riferimento: il fratello di sua madre! Zio Mohammed lo aveva aiutato come aveva potuto, dividendo con lui un pasto e un pezzo di letto (dormivano in cinque in una stanza), ma adesso che lo zio era ammalato, toccava a lui aiutarlo! Ecco perché il suo occhio vigile, nonostante le distrazioni affascinanti, non lo lasciava un minuto.

A un certo punto, vide lo zio ripiegarsi su se stesso: un accesso di tosse più violento degli altri lo stava squassando e stava sputando, una roba giallastra con striature rosse, sputando per terra perché non ce la faceva più a tenersi e non aveva più niente con cui pulirsi, di fazzolettini ne aveva tanti, ma doveva venderli! Hassad ebbe paura e si guardò intorno smarrito: cercava un volto amico, magari quel prete, l’unico che gli aveva rivolto la parola una o due domeniche prima, gli aveva chiesto come si chiamava e se andava a scuola: “Hassad – gli aveva risposto – io scola”.

Il suo italiano era ancora ai minimi termini. Ma quel prete non c’era. C’era un donnone invece, che si parò davanti a lui e gli gridò frasi incomprensibili. Lui non capiva niente, ma una parola la capì, bella chiara: la parola “polizia”. Sapeva che cosa significava: essere presi, portati in un posto brutto, molto brutto. Un suo amico c’era stato. Poi aveva cercato di scappare, aveva morso la mano di un poliziotto e l’avevano portato in prigione. Hassad non voleva andare in un posto così. Suo zio era malato e forse moriva in un posto così. E Karima? E le medicine? No, lui da grande voleva sposare Karima. Balzò in piedi. Afferrò lo zio per un braccio e lo tirò su. Gli disse qualcosa, in quel loro dialetto dalla energica espressività gutturale. Qualcosa che fece spaventare l’uomo. Come d’incanto, raccolsero in fretta le loro povere cose e si dileguarono.

Andate via, non vedete che sporcate la Chiesa? Andate via, questa è la nostra Chiesa! Via di qui o chiamo la polizia!

Queste parole, don Albino le sentì distintamente. Margherita era una brava donna, certo, ma spesso non sapeva quel che diceva. Questa però no, non gliel’avrebbe fatta passare. Chi era lei per mandare via delle persone in malo modo? Delle persone! Don Albino stava confessando, ma si alzò come una furia e corse fuori. Corse a cercare Mohammed e Hassad: doveva, doveva chiedere scusa per le parole imprudenti di Margherita. Ma non li vide più. Con un sospiro accorato, tornò in Chiesa:

“Presto, don Albino, gli sposi stanno arrivando!” qualcuno gli disse. Scrollando il capo, finì di confessare, fece recitare l’atto di dolore e poi andò in sacrestia a cambiarsi. Doveva celebrare il matrimonio. Ma in testa aveva un pensiero fisso. Una specie di tarlo.

Devo chiedere scusa, devo chiedere scusa! Come annunciamo il Vangelo, se mandiamo via i poveri? Torneranno, torneranno, e gli chiederò scusa!”

Ma Mohammed e Hassad non si fecero più vedere. Non la domenica successiva, né l’altra, né l’altra ancora. Don Albino aveva una spina nel cuore. Poi il tempo passa, le cose da fare sono tante, tantissime. Non si può stare con il pensiero fisso sempre su un unico assillo! Lentamente, ma inesorabilmente, l’immagine dei due marocchini si fece sempre più fievole nella mente del giovane prete. Tante altre creature presero il loro posto. La messe era molta e lui sapeva di non avere tempo da perdere.

Una domenica – dopo quanto tempo? – uno strano tipo prese il posto di Mohammed. Si sedeva sui gradini della Chiesa e restava lì, dalle 9 alle 12, puntualmente, ogni domenica. Era un giovane alto, barbuto, piuttosto magro, anzi, piuttosto patito in viso. Volto dal colorito olivastro, non aveva le fattezze tipiche degli Arabi. Avrebbe potuto essere indifferentemente un italiano o uno straniero. Un tipo mediterraneo magari, questo sì. Vestiva in modo che si sarebbe potuto definire trasandato: un paio di jeans sdruciti, una casacca rossa, stile indiano. E i sandali ai piedi. Sedeva e guardava avanti a sé. La cosa strana era che non vendeva niente e non voleva niente. Spesso, come già faceva con Mohammed, la gente metteva mano al portafogli, al portamonete, al borsellino e ne tirava fuori la monetina sonante… ma lui alzava il palmo della mano e faceva segno di no. “No, grazie!”

Naturalmente, la gente chiacchierava. Non riuscivano a capire….

– Avete visto? – diceva una – sono andati via i marocchini e vengono i drogati.

– Che ne sai tu se è drogato? – ribatteva un’altra.

– Come no? – diceva una terza, anzi, un terzo – Io quei tipi lì li riconosco da lontano…

– Eppure non vuole niente. Soldi non ne raccoglie.

– Già, questo è strano. Chissà che si è messo in mente…è come se ci studiasse tutti.

– Magari vuole capire le nostre abitudini, per fregarci.

– Secondo me, voi vi fate troppe paranoie. Secondo me, è uno così e basta.

– Così come?

– Così, cioè …..strano ….ma…..non ha intenzioni cattive!

– E da che cosa lo deduci?

– E tu, da che cosa lo deduci, che è un delinquente?

– Delinquente, non so – si intromise una rispettabile signora – ma drogato…ci giurerei. Avete visto cos’ha sulla mano?

– Cosa?

– Una…una striscia rossa….sembra una ferita!

– Sì, e avete visto anche sulla fronte? Ci ha come tante punture di spillo!

– Ora che mi ci fate pensare, anche sui piedi! Sì, anche sui piedi ci ha una striscia rossa…

– E voi dite che non è drogato? Quello si buca, garantito!

– Ma perché spettegolate? – questa è la voce di don Albino, che coglie sul più bello il gruppo dei “commentatori” della domenica – Che ne sapete voi?

– Eh, don Albino, tu sei troppo buono, troppo fiducioso! Stai attento, comunque, io di uno che bazzica intorno alla Chiesa non si sa con che intenzioni, non mi fiderei!

– Voi esagerate!

– Esageruma nen, don Albino! In Chiesa ci sono anche cose di valore! Per esempio, il crocifisso ….

– Già, il crocifisso! Bisogna avvertire il parroco!

– Basta così. Il parroco lo avverto io. Andate, andate in pace. Sia lodato Gesù Cristo.

– Sempre sia lodato. Ma stia attento!

A don Albino non piacevano le chiacchiere da piazzetta. Ma quell’uomo sconcertava pure lui. Non capiva …che ci faceva lì tutte le domeniche?

“Eppure, ne verrò a capo” si disse.

Domenica di sole, primavera nell’aria. Ormai erano passati sei mesi dalla scomparsa di Mohammed e Hassad.

– Saranno tornati a casa loro – diceva la gente

– O ce li hanno rispediti. Erano clandestini.

– Sporchi e lerci dio sa come!

– Già. E venivano qui, a rovinare la nostra Chiesa!

Ma lui, lui era sempre lì. Don Albino allora prende il coraggio a due mani e gli si avvicina:

– Ciao. Posso fare qualcosa per te?

Il giovane si volta e lo guarda fisso. Don Albino ha un sussulto. Quegli occhi, dove ha visto quegli occhi? Uno sguardo intenso, profondo. Non gli è nuovo. Ma dove ha visto quello sguardo?

– Io non ho bisogno di niente, grazie.

Una voce profonda. Un sorriso luminoso su quel volto emaciato. E quello sguardo…

– No, è che…siccome da tempo ti vedo qui …volevo capire …

– Io vengo qui perché cerco il mio amico.

– Il tuo amico? Quale amico?

– Mohammed. Veniva sempre qui, tutte le domeniche.

– Ah, Mohammed. Ma è un pezzo che non viene più!

– Non viene più … – gli fa eco il giovane.

– So che era malato. Lo cercavo anch’io i primi tempi. Ma poi mi sono rassegnato.

– Io no.

– Comunque, non saprei dirti dove cercarlo. Non so dove abitava, forse non aveva neppure una dimora fissa …un po’ qua …un po’ là …da amici.

Il giovane si alzò in piedi.

– Grazie – gli disse – andrò a cercarlo altrove. Andrò via di qua. Se non c’è lui, me ne vado anch’io.

– Se posso fare qualcosa….Come ti chiami? – ma il giovane s’era già allontanato. Si girò:

– Mi chiamo Jooooosh…. – gridò nel vento

“Si chiama Josh – disse tra sé don Albino – almeno così ho capito”.

Qualche notte dopo don Albino fece uno strano sogno. Sognò di essere in una sala grande, con tante candele le cui fiammelle ondeggiavano, quasi ci fosse un vento leggero che le scuotesse. Era seduto, ma in piedi, davanti a lui, c’era quel giovane misterioso che si chiamava Josh. Lo guardava, con quel suo sguardo enigmatico.

– Che ci fai qui, Josh? – gli chiese

– Sono venuto a riprendere la croce

Don Albino realizzò di trovarsi nella sala parrocchiale. Ma con suo grande stupore, vide che la croce era vuota. Il crocifisso non c’era più. E allora accadde una cosa strana. Josh andò verso il muro, staccò la croce e se la pose sulle spalle..

– Josh, che fai? – si sentì dire, o forse lo pensò soltanto.

– Porto via la croce. Questa è la croce di Mohammed e io devo aiutarlo a portarla.

Fu allora che don Albino se ne rese conto. Gli occhi di Josh, gli occhi del crocifisso …erano gli stessi occhi! Josh, Jeoshua, Gesù….

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io.

Risentì quella frase. Poi il silenzio. Le candeline si spensero. Vagava in un buio assoluto. Disperatamente cercò di scuotersi, di uscire da quella tenebra … e si svegliò.

La domenica le campane suonano. Bisogna fare in fretta. C’è tanto da sbrigare! I canti, le letture, gli avvisi, gli impegni della settimana, la messa, poi i saluti, i colloqui, i bambini, i fidanzati, gli anziani, saluta questo e quello, fissa gli appuntamenti, va bene, buona festa, a domani, Si ritrovano da soli, lui e don Franco.

– E anche per oggi, ringraziando Dio, è fatta. E domenica prossima tutti in Duomo per la funzione solenne. Come ci tiene, il vescovo!

– Bene – rispose distrattamente don Albino. L’impressione del sogno della notte prima ancora lo teneva soggiogato e non sapeva districarsene. Era come immerso in un’atmosfera cupa e misteriosa.

Entrarono nella sala grande. Mentre Giuanin il sacrestano aiutava don Franco a togliersi e a riporre i paramenti sacri, lo sguardo di don Albino corse sulla parete e…quale fu il suo stupore quando vide una croce…una grande, immensa croce fatta di tinta scolorita sul muro…. Un’orma, soltanto più un’orma di croce.

– Don Franco! – gli venne quasi un urlo

– Che c’è? – rispose meravigliato il vecchio parroco

– Il crocifisso…dov’è il crocifisso?

– Ah, il crocifisso! Già, te lo dovevo dire. L’ha voluto il vescovo, per la funzione solenne. Lo sai che ci andava matto. Ieri sera sono venuti due della Curia a prelevarlo. Che, gli potevo dire di no?

– E …e tornerà?

– E chi lo sa. Speriamo. Ma con i vescovi, non si sa mai! E poi, qui non era al sicuro. Mi hanno detto le donne…che gira brutta gente qui attorno…e questo è un pezzo raro…mi sento più tranquillo se rimane lì.

Beh, io vado. Tu ti fermi ancora?

– Solo dieci minuti. Metto a posto delle carte…

– Va bene. A rivederci allora. Chiudi bene la chiesa. Sia lodato Gesù Cristo

– Sempre sia lodato.

Don Franco e Giuanin uscirono. Don Albino rimase solo. Fissava quell’orma di croce, senza più crocifisso, senza sguardo, senza amore, senza niente. Solo un’orma

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io – aveva detto.

Chiuse bene la porta della sacrestia e andò in chiesa. La chiesa era silenziosa, vuota. Fredda. E questo lui sentì. Un gran vuoto, un gran silenzio. Un gran freddo interno. Un gran dolore. Per Mohammed, per Hassad, per Karima, malata di cuore, per Josh, per tutte le creature le cui croci si vedono passare vive e stillanti sangue, fame, dolore, fatica, paura. “Tante croci intorno a noi – pensò. – E che non valgono niente. Non come una croce di prezioso frassino. Niente di niente”.

Chinò il capo, e pianse, amaramente pianse.

Albino, giovane prete, chinato il capo pianse amaramenteultima modifica: 2018-03-27T17:56:16+02:00da piero-murineddu
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  1. Irene

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