Normalmente, su Facebook evito di curiosare nella pagina comune a tutti gli “amici”, preferendo invece andare di proposito nella pagina personale di taluni che di solito ritengono di far partecipi gli altri di cose – diciamo – di una certa sostanza. Lo so, è questione di gusti. Giulio è uno di questi, e di solito, il mio andare a “fargli visita” non rimane deluso. Come in questo caso, per l’appunto. Vi invito a leggere con attenzione e il massimo rispetto il suo ricordo di quello che erano i vecchi manicomi. Specialmente per quelle lacrime dall’amico andato a trovare. Grazie Giulio. (Pi.Mu.)
FERITE APERTE
di Giulio M.Manghina
Oggi hanno aperto al pubblico Rizzeddu, l’ex manicomio – c’era la fila, come quando hanno aperto le carceri di San Sebastiano. Strutture repressive, non monumenti – l’una di devianze mentali, l’altra di devianze sociali.
Dovevano essere una soluzione, invece erano un problema.
Ma non è questo. Non so cosa abbia visto la folla di quel che resta di Rizzeddu, del suo giardino, delle sue stanze, delle sue voci, delle sue grida, dei suoi silenzi. Andavo a trovare un Amico a Rizzeddu – non avevo neanche vent’anni e la prima volta mi ci volle del coraggio per farlo, ma fui ripagato dal suo forte abbraccio e dalle sue lacrime quando mi vide. Della struttura manicomiale ricordo solo l’odore spietato degli interni e le persone inermi che sostavano nel giardino, ma forse ho rimosso molto del resto. Un giorno vidi un volto che mi sembrava conosciuto – un uomo col viso affilato e smagrito, il naso aquilino e gli occhi infossati, con indosso quel che restava di un vecchio impermeabile e con un bordino blu in testa – anche lui si accorse di me, mi venne incontro e mi disse: “Ti ricordi di me? Sono AP, abitavo vicino a casa tua…. dì ai miei figli che sono guarito” mi disse “dì loro che mi vengano a prendere e mi riportino a casa, qui è un inferno”. AP era lì perché aveva tentato di uccidere la moglie, e c’era quasi riuscito – ai figli non ho mai detto niente. No, non ci sono andato oggi a Rizzeddu e ho fatto forza su me stesso per scrivere.
Dopo alcuni commenti, in cui giustamente si è rilevato il rischio della spettacolarizzazione e della curiosità morbosa che può aver spinto qualcuno a far la fila per potersi immergere nella tetra atmosfera della sofferenza mentale, Giulio ha chiarito:
L’ho fatto per condividere con voi un’esperienza personale che avevo rimosso e che è venuta a galla dopo aver visto una foto della folla in fila per la visita. Solo questo. La folla è, per definizione, una massa eterogenea composta di diverse sensibilità e la si può osservare da diversi punti di vista non necessariamente incompatibili. Personalmente ho apprezzato il fatto che nel caso del manicomio, a differenza del carcere di S.Sebastiano, sia stato vietato l’uso di fotocamere – qualche buona ragione gli organizzatori l’avranno avuta. Ancora grazie per la vostra pazienza e partecipazione.