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Sul dissentire

 

di Piero Murineddu

Era un po’ che non compravo “La Repubblica”. Motivo? Più di uno, compreso l’atteggiamento politicamente cerchiobottista di comodo del 94enne fondatore Eugenio, arrivato in questi giorni a virgolettare parole di Francesco che tali non sarebbero, facendo dire al triste Socci Antonio che Bergoglio dovrebbe ormai fare le valige (!). Anto’, ma perché non te ne stai bonino e pensi alla tua candid’animaccia?

Ma lasciamo stare. Dico piuttosto perché oggi l’ho comprata ‘sta Repubblica: l’intervista ad Alberto Maggi, motivo validissimo per passare in edicola.

Non sai chi è Alberto Maggi e sei interessato a saperlo? Hai internet a portata di dito. Vacci e cerca.

Ho letto con grande piacere e qualche cosa la voglio mettere in rilievo.

Impiegato al Comune e pure fidanzato. Prima ancora in una fabbrica di cravatte: normali, lusso ed extralusso. Cambiava solo la confezione. Qui capisce l’idolatria e l’opera di persuasione della pubblicità, che ci rende tutti degli imbecillotti.

Ad un certo punto: paffette….decide di farsi frate. Non l’avesse mai detto in casa! Il padre gli da’ una busta contenente dei soldi e gli dice di non farsi più vedere, mentre la mamma pensa che sia uscito fuori di testa.

Da subito i suoi superiori si accorgono che Alberto avrebbe creato problemi, e il padre provinciale dei “Servi di Maria”, lo stesso Ordine di David Maria Turoldo di cui era grande estimatore e che il giovanotto aveva scelto perché è l’unica congregazione a non aver avuto un fondatore (“ho sempre pensato che la figura del fondatore mettesse in ombra quella di Gesù”) fu mandato praticamente in un posto per renderlo innocuo e impossibilitato a diffondere le sue “eresie” e, come spesso fa il Potere, impedirgli di disturbare il manovratore. Inevitabilmente il pensiero va a don Milani, ma anche allo stesso Turoldo, “invitato” a girovagare per il mondo perché troppo “disturbatore” dell’insegnamento ortodosso dottrinale.

Montefano, nelle Marche, in un vecchio convento dove vi era un frate in attesa d’intraprendere la vita eterna ( nessun “aldilà”, dice Maggi. In altra forma, ma tutto “quaggiù”. Vita e morte, due aspetti dello stesso “Dono”: una Vita che non avrà mai fine).

Col tempo, con l’aiuto di amici e dei proventi della vendita dei suoi libri, il convento si rinnova, diventando un Centro Studi biblici che è un piacere vederlo e frequentarlo.

Proprio rompiballe Alberto! Arriva a dire – pensate un po’ – che anche la figura del direttore spirituale è una forma di potere. Tutto parte dalla Misericordia (ricordate quella “strana” cosa di cui parlava Gesù?), e la risposta per continuare a fare il prete Alberto l’ha trovata nel rapporto con gli altri, sopratutto se emarginati. L’altro, qualunque altro, bisogna servirlo con il cuore.

Continuo con una esperienza personale.

Si capisce quanto possano dare fastidio coloro che non sono perfettamente “inquadrati” e difficilmente, se non addirittura impossibile, inquadrabili. In qualsiasi campo. In questo caso per quanto riguardo questioni legate ad un credo e ad una visione della vita. Eterni scontenti. Sempre qualcosa da ridire su tutto. Di quelli che la maggior parte dei preti (e dei “bravi fedeli”) guardano con diffidenza e bisognosi di ricondurre nell’ovile.

Personalmente io mi considero tra questi. O meglio, altri mi considerano tale. “Cani sciolti”, insomma.

Bau bau bau…… Oh, quanto da’ fastidio, specialmente ai benpensanti e beninquadrati !

Un mese fa circa, stimolato dalle parole di Francesco riguardo alle Messe di suffragio (che non si pagano), avevo rilanciato la vicenda attraverso uno scritto, provocando normali reazioni. Dopo ben venti giorni, interviene una mia “amica” feisbuchina, che tra l’altro, essendoci stata la possibilità di conoscerci di persona, vivendo nel paese vicino al mio, non mi aveva minimamente c…… Ecco, questa amica sifaperdire, dopo un argomentare pieno di contraddizioni, mi aveva definito “fomentatore di odio”, perché, evidentemente ai suoi occhi, certe cose non bisognerebbe dirle e minimamente toccarle. Ho tentato un minimo di dialogo. Tutto inutile.

Voglio dire, con l’esempio fatto, che per certi, troppi, bisogna abbassare la testa e seguire ciò che l’Autorità Costituita indica, senza permettersi di obiettare, e se lo fai, non sei più un “buon cattolico”.

Che c’entra con Maggi? Vedi tu.

Intanto, visto che siamo a Pasqua e chissà quanto cibo si è ingozzato, a questi e ad altri che sono convinti che “non bisogna discutere, ma solo obbedire” dico, naturalmente con tutta la cordialità possibile:
andate a c….. e fattene una bella grossa. Auguri

 

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Questo é l’ articolo su Repubblica. É illeggibile, ma giusto come prova che non mi sono inventato niente

Per i nostri peccati o per cosa?

Alberto Maggi ha scritto l’anno scorso questo articolo, ma la sua validità rimane tutta intera.

Un piccolo avvertimento. Se non hai voglia di mettere in discussione la tua irremovibile fede così come ti è stata sempre insegnata e tramandata, evita di leggere quanto dice  padre Maggi, e ancora meno, quanto dico io al termine. Stattene tranquillo e Buona Pasqua a te

(P.Muri.)

No, Gesù non è morto per i nostri peccati

 

di Alberto Maggi

Gesù Cristo è morto per i nostri peccati. È questa la risposta che si dà normalmente a quanti chiedono come mai il Figlio di Dio abbia finito i suoi giorni nella forma più infamante per un ebreo, il patibolo della croce, la morte dei maledetti da Dio (Gal 3,13).

Gesù è morto per i nostri peccati. Non solo per i nostri, ma anche per quegli uomini e donne che lo hanno preceduto e quindi non lo hanno conosciuto, e perfino per tutta l’umanità che verrà. Se è così, è inevitabile che guardando il crocefisso, con quel corpo che è stato torturato, piagato, rigato da fiotti e grumi di sangue, quei chiodi che squarciano la carne, quelle spine infilzate nella testa di Gesù, chiunque si senta in colpa… il Figlio di Dio è finito sul patibolo per i nostri peccati! Sensi di colpa che rischiano di infiltrarsi come un tossico nel profondo della psiche umana, diventare irreversibili al punto da condizionare per sempre l’esistenza dell’individuo, come ben sanno psicologi e psichiatri ai quali non manca il lavoro con persone religiose devastate da scrupoli e turbamenti.

Eppure basta leggere i vangeli per vedere che le cose stanno diversamente. Gesù è stato assassinato per gli interessi della casta sacerdotale al potere, terrorizzata dall’idea di perdere il dominio sul popolo, e soprattutto di vedere svanire la ricchezza accumulata a spese della credulità delle persone.

La morte di Gesù non è dovuta soltanto a un problema teologico, ma economico. Il Cristo non era un pericolo per la teologia (nell’ebraismo erano molte le correnti spirituali che competevano tra esse ma che erano tollerate dalle autorità), ma per l’economia.Il delitto per il quale Gesù sarà eliminato è l’aver presentato un Dio completamente diverso da quello imposto dai capi religiosi, un Padre che ai suoi figlioli non chiede, mai, ma che dona, sempre. La florida economia del tempio di Gerusalemme, che ne faceva la banca più sicura di tutto il Medio Oriente, si reggeva sulle imposte, sulle offerte, e soprattutto, sui rituali per ottenere – a pagamento – il perdono di Dio. Era tutto un commercio di animali, di pelli, di offerte in denaro, frutta, grano, tutto per l’onore di Dio e le tasche mai sature dei sacerdoti, “cani avidi, che non sano saziarsi” (Is 56,11).

Quando gli scribi, le massime autorità teologiche del paese, ritenute il magistero infallibile della Legge, vedono Gesù perdonare i peccati a un paralitico, immediatamente sentenziano: “Costui bestemmia!” (Mt 9,3). E i bestemmiatori dovevano essere subito uccisi (Lv 24,11-14). L’indignazione degli scribi può sembrare una difesa dell’ortodossia, in realtà è volta a salvaguardare l’economia. Per il perdono dei peccati, infatti, il peccatore doveva andare al tempio e offrire quel che il tariffario delle colpe prescriveva, secondo l’entità del peccato, elencando dettagliatamente quante capre, galline, piccioni o altro offrire in riparazione dell’offesa al Signore. E Gesù invece perdona, gratuitamente, senza invitare il perdonato a salire al tempio per portare la sua offerta.

“Perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,37) è infatti lo sconvolgente annuncio di Gesù: appena due parole che però rischiano di destabilizzare tutta l’economia di Gerusalemme. Per ottenere il perdono da Dio non c’è più bisogno di andare al tempio, di portare delle offerte, di sottostare a riti di purificazione, nulla di tutto questo. No, basta perdonare e si viene immediatamente perdonati… E l’allarme cresce, i sommi sacerdoti e gli scribi, i farisei e i sadducei sono tutti inquieti, sentono franare il terreno sotto i piedi, finché, in una drammatica riunione del sinedrio, il massimo organo giuridico del paese, il sommo sacerdote Caifa prende la decisione. Gesù va ammazzato, e non solo lui, ma anche tutti i discepoli perché non è pericoloso solo il Nazareno, ma la sua dottrina, e fintanto ci sarà un solo seguace capace di propagarla, le autorità non dormiranno sonni tranquilli (“Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui…”, Gv 11,47). E Caifa per convincere il sinedrio dell’urgenza di eliminare Gesù non si rifà a temi teologici, spirituali, no, il sommo sacerdote conosce bene i suoi, quindi brutalmente tira in ballo quel che sta a loro più a cuore, l’interesse: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo…” (Gv 11,50). Gesù non è morto per i nostri peccati e tantomeno perché questa fosse la volontà di Dio, ma per l’avidità dell’istituzione religiosa, capace di eliminare chiunque intralci i suoi interessi, fosse pure il Figlio di Dio: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità” (Mt 21,38). Il vero nemico di Dio non è il peccato, che il Signore nella sua misericordia riesce sempre a cancellare, ma l’interesse, la convenienza, l’avidità, che rendono gli uomini completamente refrattari all’azione divina.

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E allora, per i nostri peccati o per cosa?

di Piero Murineddu

“Il delitto per il quale Gesù sarà eliminato è l’aver presentato un Dio completamente diverso da quello imposto dai capi religiosi”

O santiddiobenedetto, certo che quest’affermazione di Maggi un po’ d’inquietudine la crea, ammettiamolo.

Ci hanno sempre detto che Gesù è morto per i nostri peccati, per “redimerla” questa benedetta umanità ultrapeccatrice. E come ?Ma versando il suo sangue, si capisce. E così facendo, avrebbe placato l’ira di quel Dio che se ne stava sempre chissà dove, perennemente incazzato e col muso lungo perché l’uomo, da Lui creato, voluto o pensatela come volete, si era permesso di disubbidire alle sue disposizioni. Quando? Ma all’Origine di Tutto, si capisce.

Leggendo il pensiero di Alberto l’ “Ereticone” vieni a sapere invece che Gesù è stato fatto fuori per la solita permalosità di chi detiene il potere che, qualunque esso sia, non ha mai permesso a nessuno di essere messo in discussione. Se poi di mezzo c’è la grana, uuhhhhhh….allora la cosa si fa seria e dolorosa.

In questi giorni ci commuoveremo, cosa che non fa mai male. Parteciperemo ai “sacri” riti, specialmente a quelli strappa lacrime, spettacolarmente “suggestivi”, ci batteremo il petto finanche quasi a sfondarcelo…..

Tutto fino a Pasqua, quando finalmente avrà termine la lagna e potremo abbuffarci di cioccolato e riempirci la panza di quei poveri e teneri agnellini.

A seguire? A seguire il solito e normale tramtram:

prima gli italiani e gli altri se ne vadano in affanculo

guai chi tocca i principi su cui si fonda la civile Europa,

lontano dagli occhi chi disturba i turisti e deturba il paesaggio rovistando nei cassonetti o che osa ancora chiedere l’elemosina.

E poi ancora tutti commossi per la morte di un presentatore televisivo ma indifferenti verso le migliaia di bambini dilaniati dalle civili bombe, comprese quelle italiane (costruite per dare il lavoro che manca, si capisce).

Continueremo a irritarci quando la “lurida zingara” insisterà per spillarci qualche spicciolo, specialmente quando stiamo per entrare nel sacro tempio per adempiere ai sacri doveri religiosi…….

Che dite, mi sono allontanato dal tema iniziale, cioè se Gesù è morto o no per i nostri peccati? Fate voi. Intanto so con certezza da quale parte sta Lui, qualunque sia l’Intoccabile Dottrina che hanno messo su coloro che di Lui si sentono portavoce e ufficiali divulgatori………

E dato che ci sono, la mia la dico chiara chiara : di ciò che ci ha indicato di fare Quello là, stringi stringi non ce ne frega una minchia, e noi continuiamo bellamente a farci i cazzacci nostri. Punto

Albino, giovane prete, chinato il capo pianse amaramente

Premessa

di Piero Murineddu

Irene ha pianto, di rabbia e di tristezza, quando la giovane – mamma di quattro bambini di cui uno gravemente disabile e che non può raggiungerlo a Varese dov’è ricoverato perchè non ha neanche i soldi per il biglietto e per stare vicino al figlio per qualche giorno – quando la giovane, dicevo, le ha riportato il cesto prestatole con ancora dentro le palmette rimaste invendute. Domenica delle Palme 2018. La Settimana Santa iniziata tristemente e con poco cibo sulla tavola. Si è presentata sul sagrato della chiesa, la giovane donna, per vendere le crocette intrecciate con le sue stesse mani. Splendide crocette. E’ stata letteralmente scacciata da altri concorrenti, sicuramente bisognosi ma col “vantaggio” di essere italianissimi. “Prima gli italiani !“, si è sentito sbraitare in questa recente campagna elettorale. “Prima gli italiani !“, si continuerà a sentire sempre più forte d’ora in avanti.

La giovane mamma, poco più grande di mia figlia, si è spostata poi al supermercato, ma anche lì “ l’abbiamo già comprata in chiesa…”

Quando Irene mi ha raccontato, ho sentito un forte nodo alla gola. Quando oggi ho letto questo racconto che Rita mi ha mandato, il nodo si è finalmente sciolto in lacrime, lacrime che mi aiutano a continuare a rimanere umano, per quanto sempre più difficile stia diventando.

Grazie Irene

Grazie Rita

Grazie Albino

 Grazie Mohammed  

Grazie Joooooooooooosh

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“Se lui non c’è, me ne vado anch’io”

di Rita Clemente

– Guarda che meraviglia! E’ un’opera del ‘700, scuola di maestri bolognesi. E ha anche un discreto valore economico; il legno è frassino puro. Guarda, ha degli occhi! Sembra che ti stia fissando per dirti qualcosa.

Don Albino, come stregato, guardava quel crocifisso a grandezza naturale, scultura lignea che campeggiava nel bel mezzo della parete grande della sala parrocchiale. Ciò che colpiva di più, in effetti, era lo sguardo del Cristo. Era proprio vero che “voleva dir qualcosa”. Non uno sguardo sofferente, occhi semichiusi, corrugamento di dolore, come di solito si vede nei crocifissi. Ma aperto, franco, diretto, che ti fissava assorto. Quasi come lo sguardo dei Cristi delle chiese orientali.

– E’ il pezzo più di valore della nostra Chiesa – continuò don Franco, il parroco, spiegando quella meraviglia al giovane prete che gli avevano mandato, come aiutante e viceparroco, fresco fresco di Ordine ricevuto.-

Per questo l’abbiamo messo qui, nella sala grande. Pensa, persino il vescovo ce lo invidia!

Don Albino era nuovo di quella parrocchia. La sua prima attività pastorale. Ma era pieno di zelo e di entusiasmo: donarsi, annunciare il vangelo, fare nella vita qualcosa di grande. Ecco perché beveva avidamente tutto quello che il vecchio parroco andava insegnandogli. Era già stato presentato al Consiglio pastorale e aveva conosciuto tutti quelli che in Parrocchia “contavano”. Poi le donne. Un gruppetto molto attivo che si dava da fare non poco per mantenere la Chiesa lustra e pulita.

E’ bella la nostra Chiesa – diceva Margherita, cosiddetta la “capa” – bellissima. Una perla. L’hanno fatta così bella in questo quartiere. Sai, la maggior parte della gente di qui sono gente per bene. Tutti vengono a Messa, iscrivono i figli a catechismo e insomma…diciamo che va bene. Ma più in là, vedi?, là, oltre lo stradone…Dove ci sono quelle case giallo sporco. Lì l’ambiente te lo raccomando. Mangiapreti senza Dio. Gente che vive di espedienti. Rubacchia. Zingari. Extracomunitari. Don Franco fa quello che può, poveretto, mah….. la situazione peggiora di giorno, in giorno…

C’è una messe abbondante laggiù – pensava intanto don Albino – ci sarà da lavorare”. Ma non disse niente alla solerte Margherita.

Domenica. Don Albino arrivava sempre trafelato alle 9.30 in punto sulla sua motoretta. A causa della scarsità di preti, al mattino gli toccava andare in un paese vicino, distante otto km, a dir messa presso la Casa di riposo “Anni Azzurri”. E poi, doveva organizzare tutto per la messa delle 11,30: il coro, le letture, le preghiere, qualche confessione, le attività della settimana, le donne che gliene contavano sempre una e via dicendo. Non aveva un attimo da rifiatare. Per questo arrivava sempre puntuale. E ogni volta, sia che spaccasse il sole, sia che tirasse vento, sia che piovesse a dirotto, lo trovava sempre lì. Col cappuccio sulla testa o le maniche della camicia a quadri tirate su. Lì con la sua povera mercanzia: fazzoletti, calzini, cinture, qualche tovaglia di plastica. Salutava e non diceva altro. Aspettava. Qualcuno gli metteva in mano una monetina, spesso senza neppure guardarlo. E lui diceva sommessamente: “Grazie, Dio ti benedica”. Pochissimi compravano qualcosa. E lui lì, in piedi contro lo stipite della porta o seduto sul gradino. Con un sorriso umile e il suo “grazie, Dio ti benedica” sempre pronto sulle labbra.

Aveva tanta fretta, don Albino, ma…

– Ciao. Mi daresti dei fazzoletti? Sono molto raffreddato

– Sì. Quanti pacchetti? Uno, due…

– Dammene due, va. Questo raffreddore…

Lui sorrise…

– Tempo brutto …

– Già. E tu, non hai freddo, con quella maglietta leggera?

– Io no freddo. Io bitoato.

– Tieni 10 euro. No, non darmi il resto. Come ti chiami?

– Grazie. Mohammed.

– E vieni da dove?

– Io vengo da Marocco. Vicino Rabat.

– Ah, il Marocco! fa caldo lì, vero?

– Sì, caldo. Molto caldo.

– E hai famiglia?

– Mia familia Marocco. Molia e tre fili.

– E tu, lavori, Mohammed?

– Io no lavoro. Io lavorato. Muratore. Adesso non ce l’ho lavoro.

– Ah! E’ un momento difficile. Come si chiamano i tuoi bambini?

– lGrande, Samir. Secondo, Abdullah. E – gli occhi dell’uomo brillarono – e ultima, Karima…

– Karima! Che bel nome, per una bimba!

– Sì, lei bella ma lei malata. Core. Lei bisogna molte, molte medicine.

Don Albino scosse la testa. Chissà perché, gli venne in mente una frase sentita, ma da chi?

raccontano un sacco di bugie, poi li vedi la sera nei bar che bevono e fanno baldoria

Ma lo sguardo di Mohammed gli sembrava così dolce, così indifeso!

– Don Albino, ti cercano! Lucetta del coro sta impazzendo, con questi ragazzi

– Vengo, vengo! Scusa, devo scappare. Ci sentiamo ancora. Ciao.

– Sì. Ciao, ciao.

Lo rivide più e più volte. Sempre puntuale, con la sua mercanzia. Montava alle 9.00 e smontava alle 12.00 con qualsiasi tempo. Erano diventati amici. Ogni domenica, don Albino comprava qualcosa. Non gli piaceva fare l’elemosina. Gli sembrava di ferire la dignità di quell’uomo che vendeva le sue cose, non chiedeva l’elemosina. Ormai aveva fatto la scorta di cinture, calzini, fazzoletti. Anche due tovaglie di plastica aveva comprato e le aveva regalate: una alla madre e una alla sorella. E sapeva tutto di Karima ormai, la bambina ammalata di cuore.

Quella domenica in Chiesa si celebrava un matrimonio. Hassad guardava stupito tutto quell’andirivieni di gente ben vestita che entrava e usciva, ragazze con gambe e braccia nude, capelli biondi e sciolti, bellissime, quasi irreali. Ma nello stesso tempo i suoi occhi mobilissimi e vivaci seguivano la traiettoria delle mani che s’infilavano nelle tasche o nelle borsette e da portafogli, portamonete, borsellini di tutte le taglie e misure come per incanto usciva la monetina tintinnante che andava a posarsi in quel cestino che – menomale! – si era portato dietro, oltre alla solita mercanzia. 50 cent., un euro, qualche volta due euro! E qualche volta – o buon Allah! – perfino, perfino una moneta di carta (che lui sapeva, con la sagacia di chi impara in fretta il prezzo della vita, valere molto, molto di più!). Hassad guardava affascinato i cesti di fiori bianchi e rosa che arrivavano uno dietro l’altro, il tappeto rosso che si srotolava lungo tutto il corridoio della Chiesa, fino lì, lì in fondo e le ragazze…. Ma non abbandonava mai con gli occhi lo zio Mohammed che, seduto sul gradino di fronte, ogni tanto tossiva, tossiva e doveva abbassare la testa e soffiarsi il naso e sputacchiare dentro un fazzoletto…Per questo lui ormai lo accompagnava, perché lo zio era malato e non poteva stare attento ai soldi, ma di soldi c’era un gran bisogno laggiù in Marocco, per questo lui – vispo ragazzo ormai 15enne – era venuto fino in Italia, su un barcone era venuto e per poco non ci aveva rimesso la pelle…

Se ci pensava…lui non sapeva nuotare e a un certo punto il barcone aveva fatto su e giù, su e giù, come un tronco di palma scosso da un vento forte, tutti si erano messi a gridare… e lui era caduto in mare! Per fortuna, Allah era stato benevolo con loro e un peschereccio li aveva raccolti, non ricordava come, ricordava solo due forti braccia che lo avevano preso e portato all’asciutto. E poi la strada, quanta strada, perfino nascosto in un camion in mezzo a cesti con galline che starnazzavano (il conducente era stato bravo: lo aveva tirato su che quasi sveniva), per arrivare in questa città strana, dove c’era il fratello di sua madre. Il nome di questa città l’aveva imparato subito: Torino. E solo Torino aveva sulle labbra, altro non sapeva dire. Così, quando si era fermato, affamato e infreddolito, vicino a quel distributore di benzina, l’uomo del camion l’aveva visto. “Dove vai?” gli aveva chiesto e altre cose che Hassad non aveva capito, ma gli era bastato dire la parola magica: “Torino”. “Dai, monta su” aveva detto l’uomo, ma lui aveva capito il gesto più che le parole. Era montato sul camion e il guidatore gli aveva dato un panino e una lattina di Coca Cola, poi lo aveva fatto nascondere dietro, in mezzo alle ceste piene di galline. Così era arrivato a Torino.

C’erano tante cose in questa città, ma per lui solo questo contava, il suo unico punto di riferimento: il fratello di sua madre! Zio Mohammed lo aveva aiutato come aveva potuto, dividendo con lui un pasto e un pezzo di letto (dormivano in cinque in una stanza), ma adesso che lo zio era ammalato, toccava a lui aiutarlo! Ecco perché il suo occhio vigile, nonostante le distrazioni affascinanti, non lo lasciava un minuto.

A un certo punto, vide lo zio ripiegarsi su se stesso: un accesso di tosse più violento degli altri lo stava squassando e stava sputando, una roba giallastra con striature rosse, sputando per terra perché non ce la faceva più a tenersi e non aveva più niente con cui pulirsi, di fazzolettini ne aveva tanti, ma doveva venderli! Hassad ebbe paura e si guardò intorno smarrito: cercava un volto amico, magari quel prete, l’unico che gli aveva rivolto la parola una o due domeniche prima, gli aveva chiesto come si chiamava e se andava a scuola: “Hassad – gli aveva risposto – io scola”.

Il suo italiano era ancora ai minimi termini. Ma quel prete non c’era. C’era un donnone invece, che si parò davanti a lui e gli gridò frasi incomprensibili. Lui non capiva niente, ma una parola la capì, bella chiara: la parola “polizia”. Sapeva che cosa significava: essere presi, portati in un posto brutto, molto brutto. Un suo amico c’era stato. Poi aveva cercato di scappare, aveva morso la mano di un poliziotto e l’avevano portato in prigione. Hassad non voleva andare in un posto così. Suo zio era malato e forse moriva in un posto così. E Karima? E le medicine? No, lui da grande voleva sposare Karima. Balzò in piedi. Afferrò lo zio per un braccio e lo tirò su. Gli disse qualcosa, in quel loro dialetto dalla energica espressività gutturale. Qualcosa che fece spaventare l’uomo. Come d’incanto, raccolsero in fretta le loro povere cose e si dileguarono.

Andate via, non vedete che sporcate la Chiesa? Andate via, questa è la nostra Chiesa! Via di qui o chiamo la polizia!

Queste parole, don Albino le sentì distintamente. Margherita era una brava donna, certo, ma spesso non sapeva quel che diceva. Questa però no, non gliel’avrebbe fatta passare. Chi era lei per mandare via delle persone in malo modo? Delle persone! Don Albino stava confessando, ma si alzò come una furia e corse fuori. Corse a cercare Mohammed e Hassad: doveva, doveva chiedere scusa per le parole imprudenti di Margherita. Ma non li vide più. Con un sospiro accorato, tornò in Chiesa:

“Presto, don Albino, gli sposi stanno arrivando!” qualcuno gli disse. Scrollando il capo, finì di confessare, fece recitare l’atto di dolore e poi andò in sacrestia a cambiarsi. Doveva celebrare il matrimonio. Ma in testa aveva un pensiero fisso. Una specie di tarlo.

Devo chiedere scusa, devo chiedere scusa! Come annunciamo il Vangelo, se mandiamo via i poveri? Torneranno, torneranno, e gli chiederò scusa!”

Ma Mohammed e Hassad non si fecero più vedere. Non la domenica successiva, né l’altra, né l’altra ancora. Don Albino aveva una spina nel cuore. Poi il tempo passa, le cose da fare sono tante, tantissime. Non si può stare con il pensiero fisso sempre su un unico assillo! Lentamente, ma inesorabilmente, l’immagine dei due marocchini si fece sempre più fievole nella mente del giovane prete. Tante altre creature presero il loro posto. La messe era molta e lui sapeva di non avere tempo da perdere.

Una domenica – dopo quanto tempo? – uno strano tipo prese il posto di Mohammed. Si sedeva sui gradini della Chiesa e restava lì, dalle 9 alle 12, puntualmente, ogni domenica. Era un giovane alto, barbuto, piuttosto magro, anzi, piuttosto patito in viso. Volto dal colorito olivastro, non aveva le fattezze tipiche degli Arabi. Avrebbe potuto essere indifferentemente un italiano o uno straniero. Un tipo mediterraneo magari, questo sì. Vestiva in modo che si sarebbe potuto definire trasandato: un paio di jeans sdruciti, una casacca rossa, stile indiano. E i sandali ai piedi. Sedeva e guardava avanti a sé. La cosa strana era che non vendeva niente e non voleva niente. Spesso, come già faceva con Mohammed, la gente metteva mano al portafogli, al portamonete, al borsellino e ne tirava fuori la monetina sonante… ma lui alzava il palmo della mano e faceva segno di no. “No, grazie!”

Naturalmente, la gente chiacchierava. Non riuscivano a capire….

– Avete visto? – diceva una – sono andati via i marocchini e vengono i drogati.

– Che ne sai tu se è drogato? – ribatteva un’altra.

– Come no? – diceva una terza, anzi, un terzo – Io quei tipi lì li riconosco da lontano…

– Eppure non vuole niente. Soldi non ne raccoglie.

– Già, questo è strano. Chissà che si è messo in mente…è come se ci studiasse tutti.

– Magari vuole capire le nostre abitudini, per fregarci.

– Secondo me, voi vi fate troppe paranoie. Secondo me, è uno così e basta.

– Così come?

– Così, cioè …..strano ….ma…..non ha intenzioni cattive!

– E da che cosa lo deduci?

– E tu, da che cosa lo deduci, che è un delinquente?

– Delinquente, non so – si intromise una rispettabile signora – ma drogato…ci giurerei. Avete visto cos’ha sulla mano?

– Cosa?

– Una…una striscia rossa….sembra una ferita!

– Sì, e avete visto anche sulla fronte? Ci ha come tante punture di spillo!

– Ora che mi ci fate pensare, anche sui piedi! Sì, anche sui piedi ci ha una striscia rossa…

– E voi dite che non è drogato? Quello si buca, garantito!

– Ma perché spettegolate? – questa è la voce di don Albino, che coglie sul più bello il gruppo dei “commentatori” della domenica – Che ne sapete voi?

– Eh, don Albino, tu sei troppo buono, troppo fiducioso! Stai attento, comunque, io di uno che bazzica intorno alla Chiesa non si sa con che intenzioni, non mi fiderei!

– Voi esagerate!

– Esageruma nen, don Albino! In Chiesa ci sono anche cose di valore! Per esempio, il crocifisso ….

– Già, il crocifisso! Bisogna avvertire il parroco!

– Basta così. Il parroco lo avverto io. Andate, andate in pace. Sia lodato Gesù Cristo.

– Sempre sia lodato. Ma stia attento!

A don Albino non piacevano le chiacchiere da piazzetta. Ma quell’uomo sconcertava pure lui. Non capiva …che ci faceva lì tutte le domeniche?

“Eppure, ne verrò a capo” si disse.

Domenica di sole, primavera nell’aria. Ormai erano passati sei mesi dalla scomparsa di Mohammed e Hassad.

– Saranno tornati a casa loro – diceva la gente

– O ce li hanno rispediti. Erano clandestini.

– Sporchi e lerci dio sa come!

– Già. E venivano qui, a rovinare la nostra Chiesa!

Ma lui, lui era sempre lì. Don Albino allora prende il coraggio a due mani e gli si avvicina:

– Ciao. Posso fare qualcosa per te?

Il giovane si volta e lo guarda fisso. Don Albino ha un sussulto. Quegli occhi, dove ha visto quegli occhi? Uno sguardo intenso, profondo. Non gli è nuovo. Ma dove ha visto quello sguardo?

– Io non ho bisogno di niente, grazie.

Una voce profonda. Un sorriso luminoso su quel volto emaciato. E quello sguardo…

– No, è che…siccome da tempo ti vedo qui …volevo capire …

– Io vengo qui perché cerco il mio amico.

– Il tuo amico? Quale amico?

– Mohammed. Veniva sempre qui, tutte le domeniche.

– Ah, Mohammed. Ma è un pezzo che non viene più!

– Non viene più … – gli fa eco il giovane.

– So che era malato. Lo cercavo anch’io i primi tempi. Ma poi mi sono rassegnato.

– Io no.

– Comunque, non saprei dirti dove cercarlo. Non so dove abitava, forse non aveva neppure una dimora fissa …un po’ qua …un po’ là …da amici.

Il giovane si alzò in piedi.

– Grazie – gli disse – andrò a cercarlo altrove. Andrò via di qua. Se non c’è lui, me ne vado anch’io.

– Se posso fare qualcosa….Come ti chiami? – ma il giovane s’era già allontanato. Si girò:

– Mi chiamo Jooooosh…. – gridò nel vento

“Si chiama Josh – disse tra sé don Albino – almeno così ho capito”.

Qualche notte dopo don Albino fece uno strano sogno. Sognò di essere in una sala grande, con tante candele le cui fiammelle ondeggiavano, quasi ci fosse un vento leggero che le scuotesse. Era seduto, ma in piedi, davanti a lui, c’era quel giovane misterioso che si chiamava Josh. Lo guardava, con quel suo sguardo enigmatico.

– Che ci fai qui, Josh? – gli chiese

– Sono venuto a riprendere la croce

Don Albino realizzò di trovarsi nella sala parrocchiale. Ma con suo grande stupore, vide che la croce era vuota. Il crocifisso non c’era più. E allora accadde una cosa strana. Josh andò verso il muro, staccò la croce e se la pose sulle spalle..

– Josh, che fai? – si sentì dire, o forse lo pensò soltanto.

– Porto via la croce. Questa è la croce di Mohammed e io devo aiutarlo a portarla.

Fu allora che don Albino se ne rese conto. Gli occhi di Josh, gli occhi del crocifisso …erano gli stessi occhi! Josh, Jeoshua, Gesù….

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io.

Risentì quella frase. Poi il silenzio. Le candeline si spensero. Vagava in un buio assoluto. Disperatamente cercò di scuotersi, di uscire da quella tenebra … e si svegliò.

La domenica le campane suonano. Bisogna fare in fretta. C’è tanto da sbrigare! I canti, le letture, gli avvisi, gli impegni della settimana, la messa, poi i saluti, i colloqui, i bambini, i fidanzati, gli anziani, saluta questo e quello, fissa gli appuntamenti, va bene, buona festa, a domani, Si ritrovano da soli, lui e don Franco.

– E anche per oggi, ringraziando Dio, è fatta. E domenica prossima tutti in Duomo per la funzione solenne. Come ci tiene, il vescovo!

– Bene – rispose distrattamente don Albino. L’impressione del sogno della notte prima ancora lo teneva soggiogato e non sapeva districarsene. Era come immerso in un’atmosfera cupa e misteriosa.

Entrarono nella sala grande. Mentre Giuanin il sacrestano aiutava don Franco a togliersi e a riporre i paramenti sacri, lo sguardo di don Albino corse sulla parete e…quale fu il suo stupore quando vide una croce…una grande, immensa croce fatta di tinta scolorita sul muro…. Un’orma, soltanto più un’orma di croce.

– Don Franco! – gli venne quasi un urlo

– Che c’è? – rispose meravigliato il vecchio parroco

– Il crocifisso…dov’è il crocifisso?

– Ah, il crocifisso! Già, te lo dovevo dire. L’ha voluto il vescovo, per la funzione solenne. Lo sai che ci andava matto. Ieri sera sono venuti due della Curia a prelevarlo. Che, gli potevo dire di no?

– E …e tornerà?

– E chi lo sa. Speriamo. Ma con i vescovi, non si sa mai! E poi, qui non era al sicuro. Mi hanno detto le donne…che gira brutta gente qui attorno…e questo è un pezzo raro…mi sento più tranquillo se rimane lì.

Beh, io vado. Tu ti fermi ancora?

– Solo dieci minuti. Metto a posto delle carte…

– Va bene. A rivederci allora. Chiudi bene la chiesa. Sia lodato Gesù Cristo

– Sempre sia lodato.

Don Franco e Giuanin uscirono. Don Albino rimase solo. Fissava quell’orma di croce, senza più crocifisso, senza sguardo, senza amore, senza niente. Solo un’orma

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io – aveva detto.

Chiuse bene la porta della sacrestia e andò in chiesa. La chiesa era silenziosa, vuota. Fredda. E questo lui sentì. Un gran vuoto, un gran silenzio. Un gran freddo interno. Un gran dolore. Per Mohammed, per Hassad, per Karima, malata di cuore, per Josh, per tutte le creature le cui croci si vedono passare vive e stillanti sangue, fame, dolore, fatica, paura. “Tante croci intorno a noi – pensò. – E che non valgono niente. Non come una croce di prezioso frassino. Niente di niente”.

Chinò il capo, e pianse, amaramente pianse.

L’insegnamento di Gesù? Tanti piccolissimi gesti per sconfiggere il nostro egoismo

di Piero Murineddu

Addirittura due Messe questo fine settimana. Una ieri, in occasione del funerale di uno zio acquisito. Nonostante una scrupolosità massima nei controlli medici, un improvviso infarto e via, verso l’estremo Viaggio. Messa in una “cattedrale nel deserto” della periferia sassarese, omelia incentrata nell’elencare prevalentemente le doti di quest’ottantenne molto attivo nella vita sociale ed ecclesiale della zona.

A fine Messa, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi ad una signora poco distante, di cui avevo apprezzato la bella voce nel cantare: “Ma conosceva don Tonino Sanna?” – “Don Tonino chi?” – “Il parroco di Porto Torres…” – ” Don Sanna? Iiihhh, se lo conoscevo…” – ” Sa, l’ho capito perchè al Padre Nostro invece di dire  non ci indurre in tentazione ha detto non ci abbandonare nella tentazione..” E ancora qualche bla bla bla con spontaneo e caloroso abbraccio conclusivo.

Durante la fila per le dovute condoglianze, mi reco dal parroco celebrante, principalmente per congratularmi per l’umanissime parole usate e, dato che c’ero,per rilevare il freddino e l’acustica non perfetta di questo grande edificio: “ E che, per criticare sei venuto?” Ma no, santiddio, giusto un mio parere. E poi mi sono anche congratulato per l’apprezzabile “omelia”!

Ah, la suscettibilità di certi preti !!

Oggi usuale tappa a Porto Torres. Pensate, non avevo capito del cambiamento d’orario, per cui, chiestolo ad un passante, mi è venuto giusto giusto per partecipare alla Messa delle undici al “Cristo Risorto“, dove solitamente mi recavo per ascoltare il mio buon don Tonino che oggi, e in eterno, se la sta cantando e suonando nel Regno, quello che aveva contribuito a costruire già negli anni che ha percorso su questa terra.

Gente a non finire. Giusto, oggi è Domenica delle Palme. Venditori con le loro ceste all’entrata, “fedeli” all’interno con il mazzetto misto  ulivo e palmetto ben impugnato e pronto per prendersi almeno una goccina dell’acqua  “benedetta” che di lì a poco il giovane parroco barbuto avrebbe provveduto a spargere con un buon slancio del braccio.

Naturalmente, tutti col mazzetto ben in alto, per essere certi che la “benedizione” arrivasse garantita e non rischiare che, arrivati a casa, si venisse rimproverati dalla suocera inferma: “Eh….. gia è benedetta già !?”

Fortunatamente, arrivato per tempo, una sedia ancora libera son riuscito a trovarla. Persone appoggiate al muro per tutta la lunghezza del perimetro, fin dentro il presbiterio.

Come qualcuno saprà sicuramente, nel giorno di questa  “festività” – festività per dire, dal momento che, duemila anni fa circa, un Uomo completamente innocente e colpevole solo di aver avuto lo sfrontato coraggio di smascherare i tanti sepolcri imbiancati, da quest’accoglienza in poi, i nemici e sopratutto gli amici, gliene combinano di tutti i colori –oggi, dicevo, si legge il lungo racconto della Passione, quest’anno secondo il punto di vista di Marco o delle persone a lui vicine, finito il quale, il buon don Michele mette in risalto alcuni aspetti, sotto forma di domande poste all’assemblea: “Quante volte ciascuno di voi non si è sentito tradito e abbandonato…..” ecc ecc, e lasciando da parte tutto l’aspetto truculento delle atroci sofferenze subìte dal malcapitato Protagonista.

Come insegnato dal buon don Tonino, il Testo che tratta cose importanti bisogna ascoltarlo comodamente, ben seduti, altrimenti il corpo, strettamente collegato alla mente e quindi alla capacità di ascolto, se è stanco, giustamente si rifiuta di assimilare le grandi Verità proclamate. Per cui, durante la lunga lettura del Passio, giustamente seduti. E questo almeno se la sedia te la sei procurata arrivando per tempo. E gli altri? Che fanno? A patire il forzato dover stare in piedi per tutto il tempo del raduno liturgico?

Cioè, si è capita la “Condivisione” proposta da quell’Uomo massacrato e fatto fuori ingiustamente, oppure continuano a rimanere belle teorie e basta? Spesso, purtroppo, è la seconda. Per cui, egoisti si entra ed egoisti se ne esce da questi momenti, “ascetici” e spirituali si fa per dire.

Guardate, non mi prendete come esempio di niente, perchè sono miserabile quanto e più di molti, ma io, all’inizio della lunga lettura, ho rinunciato alla mia comodità ed ho offerto la mia sedia ad una persona che era in piedi vicino. Ho fatto una grande fatica (non è mai facile e spontaneo rinunciare alle proprie comodità), ma l’ho sentito come dovere, per cui non mi sento nè eroe nè meritevole di chissà che.

Ad un certo punto, finita l’omelia, son dovuto andar via perchè i polpaccini delle gambe mi facevano tremendamente male. Tuttavia, il mio “precetto” (!) son certo di avermelo fatto per intero.

E’ un pò la conclusione che l’omeliante ha fatto: la cosa che è rimasta più incisiva è quel piccolo gesto di attenzione che, nel cammino verso il Calvario, una donna ha avuto nei confronti del Condannato.

Alla fine la nostra vita è fatta di tanti piccoli gesti. Se a loro dessimo più attenzione, forse inizieremmo a guardarci meno in cagnesco e con più simpatia reciproca.

Buona Settimana Santa e buona vita a ciascuno.

 

Le tre foto si riferiscono allo scorso settembre, quando il carissimo don Alberto Maggi venne in questa chiesa di Porto Torres per presentare il suo libro sulla – pensate un po’ – “beatitudine” della morte

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E invece questa canzone di Claudio Chieffo tratta di un particolare Giuda, diverso da quel traditore avido di denaro che siamo abituati a vedere. Anche lui, come tantissimi del tempo, pensavano che Gesù fosse quel Messia forte e condottiero che li avrebbe guidati, armi in pugno, contro i romani occupanti ed oppressori. Grande fu la sua delusione quando capì che l’intenzione del Maestro che seguiva non era proprio quella, e tale fu il suo rimorso per quanto aveva fatto, che giunse a togliersi la vita.

MONOLOGO DI GIUDA

Non fu per i trenta denari ma per la speranza che

lui, quel giorno, aveva suscitato in me.

Io ero un uomo tranquillo, vivevo bene del mio, rendevo anche gli onori alla casa di Dio.

Ma un giorno venne quest’uomo, parlò di pace e d’amore, diceva ch’era il Messia,

il mio Salvatore.

Per terre arate dal sole, per strade d’ogni paese, ci soffocava la folla con le mani tese.

Ma poi passavano i giorni e il regno suo non veniva, gli avevo dato ormai tutto e lui mi tradiva.

Divenne il cuore di pietra e gli occhi scaltri a fuggire; m’aveva dato l’angoscia e doveva morire. Appeso all’albero un corpo che non è certo più il mio, ora lo vedo negli occhi: è il Figlio di Dio.

 

Curiosando qua e là

di Piero Murineddu

Freddino assai l’inizio di ‘sta primavera, che se non sto attento, recupero, triplicata, l’influenza che quest’anno mi son evitata. Brrrrrr…….e ch’è, ai primi di gennaio siam tornati? Ma intanto che m’importa, per benino mi copro e la passeggiatina la fò ugualmente.

Ventuno di marzo. Compagno al guinzaglio e incassonato, sciarpone, giubbotone, infilo la chiave, metto in moto, drum drum, ingrano la marcia (seconda: in discesa è la mia strada…) e via. No, verso l’interno no: San Lorenzo, mulino e zia Maria  me li riservo per i giorni di forte malinconia. La litoranea è più che sufficiente, giusto per annusare come il tutto va: osservare, giudicare e riferire. A chi? Ma a voi, Santiddio !

Fronte “Li Nibari“, campeggio di proprietà comunale ma che mai di preciso si sa di chi la gestione sia.

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Bella, proprio bella la struttura lì sorta, dopo che l’ultima volta che vi ho messo piede dentro, tre anni fa circa, vi trovai un ammasso di travi annerite e ancora fumanti. Una pena che non vi dico.

Bel colpo d’occhio, anche se quel pozzangherone d’acqua piovana non si capisce bene cosa ci stia a fare. Sarà che da queste parti non sanno che esistono dei normalissimi canaletti che l’acqua te la portano direttamente verso il mare, tra l’altro a pochi metri di distanza? Comunque bello. Ora tutt’invetrato è, e anche ben sorvegliato, stando almeno al cartello che lo indica…

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Non si sa bene da chi la registrazione sia effettuata, come invece legge imporrebbe, ma il fine è benissimo immaginabile:  impedire ai soliti vigliacchi poni foggu di agire nottetempo indisturbati. Oh, sembrerebbe di quei cartelli bau bau  “Attenti al cane” di molti cancelli privati, che se guardi e annusi bene, non vedi e non senti minimamente la presenza e il puzzo di cagnone e nemmanco di cagnetto, ma intanto l’avvertimento è dato, per cui attenzione fate.

Il verde è azzeccatissimo, anche se da materiale plastico sembrerebbe generato. Ma non importa: il colpo d’occhio c’è  ed è quello che importa….

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Sei lì. Entrare dentro il salone non puoi, ma come  fai a rinunciare al giretto per vedere almeno tutto l’esterno. D’altronde di proprietà comune si tratta, per cui è bene e anche giusto che il cittadino si renda conto direttamente di come la gestione avvenga.

Giro e rigiro  e questo è quanto i miei occhietti occhialuti vedono…

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Devo riassumere? E riassumiamo, dai. Ma così, in ordine (disordine!) vario……

Sabbia che non le basta più la spiaggia e, ischórria ischórria (facendo finta di niente, non dandolo a vedere…), fino  a Sossu salire se ne vuole…

Lastre di chissà di cosa son fatte, divelte

Cabine spalancate, col giusto contenuto della solita sabbia e chiavi comprese

Bagni, anche loro spalancati e maltenuti

Componenti della passerella a decine di metri dalla sede loro assegnata

Altro ancora, ma qui mi fermo.

Considerazioni? L’ho detto, gestione privata ma proprietà pubblica, per cui un po’ di decorosa attenzione e cura invernale non guasterebbe. Magari, servirebbe anche a dissuadere eventuali malintenzionati, nel senso di delinquenti allo stato puro. Non son bastati gli incendi della Pinetina, del lido di Platamona, del bar della seconda discesa a mare, del Kioscherellino bellino bellino bellino di Melise chissà quali altri ancora? Va bene, i farabutti notturni e vigliacconi ci son sempre stati, ma se c’è uno straccio di sorveglianza, qualcosa si potrebbe ancora evitare, Dio Benedetto !

Guardate, lo dico papale papale: a me, più che in estate, il mare piace in inverno (sciarpona, cuffiona, doppi calzettoni, giubbottoni, guantoni, mutandoni….) e m’intristisco quando vedo certi stati di abbandono o quasi….

Certo, non ci vado a stravaccarmi nelle sdraio a tot all’ora, serviti e riveriti, per godermi il tramonto all’orizzonte…..

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…e neanche a mangiazzare quelle carni miste arrostite alla giusta distanza dalla brace, come usano fare in Brasile e Argentina (per me una spianatina, una lattughina e un pezzo di formaggio non stagionato è più che sufficiente: bonu e barattu)

Desidero solo, anzi,  voglio, esigo che i luoghi di proprietà pubblica siano rispettati, curati e ben tenuti. E questo sempre e in tutte le stagioni. Tutto qui

Onore grande alle “Emilie” di tutto il mondo

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(Piero Muri.)

Spero che la vecchia Emilia sia ancora viva e in salute. Oggi dovrebbe avere 87 anni. Quel giorno, a Lesbo, seduta con due sue amiche, stava accudendo un neonato arrivato dalla Siria, oggi martoriata più che mai.

A piangere maggiormente delle spesso disumane decisioni dei grandi sono sempre loro, i bambini, i più indifesi, quelli che non hanno colpa se il mondo continua ad essere sempre più sull’orlo del baratro.

Onore ad Emilia e a tutti i nostri vecchi, che col tempo, hanno riacquistato l’innocenza che l’età adulta troppe volte fa perdere.

Ed io starei in mezzo a loro……

di Piero Murineddu

“Se non diamo l’elemosina ci sentiamo in colpa e così continuiamo a foraggiare parassiti, alcolizzati, sfruttati e sfruttatori. Non è dignitoso per una persona vivere di elemosina”.

Avete letto del parroco di Grandate, nel comasco, che appoggia l’ordinanza sindacale anti acattonaggio e bla bla bla? No? Ve ne riporto in link sotto….

Ed eccolo un altro dei cosiddetti “uomini di Dio” (Dio di Gesù Cristo?) che dall’alto del suo comodo pulpito digrigna i denti dicendo che non tutti i poveri sono poveri e appoggiando l’ordinanza anti accattonaggio emanata dal sindaco, che non mi scomodo neppure per sapere a quale parte politica appartenga.

Come son certo, scusando la presunzione, a quale tipo di Chiesa appartenga questo parroco così sicuro di se e tranciante nei giudizi.

E come sono ancora più certo che nel presunto “Popolo di Dio”, fervente osservante e ossequioso dei “precetti” (leggi “obblighi”), laici, preti, religiosi e suore che siano, molti la pensino esattamente come Roberto, il don canuto di Como.

E ancora son certissimo del muso duro, in proposito, che hanno molti appartenenti a movimenti ecclesiali, in primis CL e compagnia, oranti e osservanti.

Ma non solo. Sono certissimo che tutti costoro, sarebbero i primi ad imbracciare la spada per difendere in armi i sacri confini dell’Europa “cristiana” contro l’invasione dei mori.

E Francesco lì, in un angolo buio a pregare, circondato dai tanti derelitti (creati dai benpensanti, cattolici o devoti laici), che si riscaldano condividendo le poche coperte rimaste e che, tra una preghiera e l’altra, parlano di quanto sarebbe bello se nel mondo ci fossero meno imbecilli razzisti e presuntuosamente arroganti che si spacciano per assoluti e unici detentori e difensori dell’unica vera Verità.

E per finire (anche se non si finisce mai….), io starei nel bel mezzo, siano essi poveri o “presunti” tali, a mio agio e convinto che in ogni caso mi troverei in una compagnia molto più gradita al Dio Tenero, Comprensivo e Misericordioso. Quello che mi ha fatto conoscere Gesù Cristo, guardato con sospetto e abbandonato anche dagli amici a lui più vicini, salvo poi capire che avevano sempre compreso ben poco di Lui.

Sono “buonista”, come amate dire quando volete offendere qualcuno? Eia, lo sono….cazzo.

http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_marzo_22/basta-assisterei-mendicantigiusto-cacciarlidalla-citta-998f36fc-2daa-11e8-b050-709a5e0412ee.shtml

Ebbè, Angeli’….. com’è ?

di Piero Murineddu

È una vita che ci conosciamo. Cresciuti insieme i lu Pultheddhu, quartiere di Sorso, allora più periferico di adesso, dopo che è sta edificata tutta la zona bassa, al di sotto del cimitero, verso il mare. Quante battaglie coi sassi e quante teste rotte, perchè se ti arrivano in testa, le triddhie (pietre) bene non fanno. Esperienza diretta, come tanti altri.

Dicevo quartiere periferico, e nonostante i decenni e decenni trascorsi, quel grande orto lì sotto ha resistito. Certo, non produce più come una volta, quando facevamo razzía di belle lattugone fresche, “di campo” senza dubbio alcuno, dal produttore direttamente al consumatore senza sborsare un centesimo.E poi quelle avventure giù in quella stradetta sterrata che ancora esiste e dove lu muntinaggiu (mondezzaio) abbondava assai assai. Arance, pesche, mele….Si arraffava di tutto, naturalmente quando il proprietario era assente. E ancora partite di calcio nel campetto a ridosso del vero campo di calcio, il “Madau“. Partite ma anche affarratori (zuffe) a non finire. Insomma, la vita normalissima dei ragazzi di quei tempi.

Noi però, almeno in pochi, allora si strimpellava un pó, e lui “Storia di due innamorati” riusciva già a farla. Se poi a suonare era presente anche suo fratello minore Gianni, eh, allora a me rimaneva solo posare la chitarra d una parte e dedicarmi solo e gioire per la sintonia che avevano raggiunto.

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Angelo l’ impegno per usare al meglio la sei corde l’ ha messo tutto e il livello raggiunto lo dimostra chiaramente.

Angelo, in arte Angelino, vive letteralmente di musica. Esperienze di gruppo – è stato tra i fondatori dei “Farm” e dei “Cento“, tanto per dire… – ma sopratutto musicista di piano – bar, almeno da una certa età in poi. Repertorio ricco e aggiornato di continuo.

Della capacità compositiva è solo da poco tempo che ne sono venuto a conoscenza, e da quello che ho avuto occasione di sentire, lo fa anche egregiamente.

A proposito ha in cantiere qualcosa che riserverà delle belle sorprese, specialmente ai suoi concittadini, ma questo punto lo lasciamo per ora in sospeso.

Volevo più che altro farvi partecipi di questo struggentissimo brano, da lui scritto per onorare la memoria di un suo amico, anch’esso musicista e venuto a mancare sei anni fa. Tal Peppino Secchi, animatore del famoso Carrasgiali tempiesu (carnevale di Tempio Pausania). Con lui Angelo ha suonato in diverse edizioni di questa festa della spensieratezza, tale almeno in apparenza. Diciamo che è uno spazio temporale in cui si cerca di mettere da parte le tante inibizioni che la vita impone e ci si butta nella chiassosa mischia, salvo poi tornare alla vita quotidiana, se non “grigia”, sicuramente dura e faticosa un po’ per tutti.

Se vogliamo, le parole del brano in un certo qual modo vogliono significare questo.

Nel primo video è interpretato  da Vincenzo Murino, tempiese anche lui e fornito di un’ottima voce. Nel secondo video c’è la versione solo musicale. Ascoltatela con attenzione. Vedrete con quale maestria la chitarra classica di Giacomo Spano aggiunge valore al brano già bellissimo in sé.

Questa versione è stata inserita in un evento  per chitarristi classici a livello mondiale.

Alcuni amici, Murino e Sotgiu, hanno aiutato Angelo a fare una buona traduzione in gallurese, ed è in questa versione che riporto il testo, per non sminuire il bellissimo suono di questo particolare idioma, tra l’altro assai e piacevolmente “musicale”.

Ebbe’ Peppi’….. com’e’?

cumprita è la sei dì (1) ed eu chici a svintià a smintigà tuttu lu bì

Ebbè Peppì cal’è la stedda chi t’ha abbagliatu

la bucca chi t’ha basgiatu e chi t’abbrisi lu cori in chissa dì

E  manu a manu andendi la ‘ita anda a fiurì  l‘amori chi cunsola comi li fiori ha di passa’

Ebbè Peppì und’è l’amicu chi no t’ha datu

la spaddha und’appuggiatti a pignì

candu la festa ‘en’a comprì

Ebb’ Peppi’ cal’è l’ultimu pinsamentu

candu la nii bianca in Limbara (2)

di la Gaddhura lu celi risciara

E dammi la to’ manu abà chi socu caschendi

l’ammentu no cunsola e lu so’ tempu ha di passa’

chissi momenti chi li tulmenti

brusgiani l’occi, li notti e li dì

Dugna tempu veni come passani cumenti passani li fiori

cussì è matessi l’amori ca la piglia e ca la lassa

E canta solittu’ v’è sutt’a l’alligria

cramendi di fa’ ea pa lagrimà in cumpagnia

Chissi momenti chi li tulmenti brusgiani l’occi, li notti e li dì

Ebbè Peppi’….com’è ?

(1) sei giorni, durata del carnevale tempiese

(2) Limbara è il monte che sovrasta Tempio

 

 

E baaaaaasta !!

di Piero Murineddu

Il fatto è questo: non puoi fare una spesuccia a rate, dando la tua email, che ti ritrovi la posta elettronica completamente strapiena di

questi bitcoin della malora,

di avvisi che avrei vinto cifre stratosferiche,

di accettazione di finanziamenti mai richiesti,

di solleciti a ritirare pacchi regalo,

di dottoresse capaci di far ingrossare e allungare quell’uccello là fino all’inverosimile (praticamente una terza gamba)………

E tutti, dico tutti, che ti danno confidenzialmente del tu (“buongiorno Piero…”) come se ci conoscessimo da una vita e ne avessimo combinato insieme di tutti i colori.

Ma chi vi conosce, ma chi vi ha mai cercato?! Ma andatevene tutti quanti a c….. e lasciatemi in santissima pace!!

Ma mi avete preso proprio per un imbecille?!

Adesso elimino la decina di email che ho, me ne faccio una tutta nuova e la do’ a persone assolutissimamente fidate.

C…., non ne posso più ogni giorno stare lì a buttare tutta la spazzatura ammucchiatasi.

Basta, d’ora in poi solo a persone fidate, e tutte le “sirenette” bastardone se ne vadano ad affogarsi nel loro zozzo mare…..

 

Questo stramaledetto “Bitcoin“, per esempio, che chissà come ha fatto ad intrufularsi nella mia posta e che giornalmente son’occupato ad eliminare senza neanche aprirlo.  Maledetto ! Andate a leggere le trappole che nasconde….

https://www.avvenire.it/economia/pagine/bitcoin-la-folle-corsa-della-criptovaluta

Padre Alberto e la morte come beatitudine

 

di Piero Murineddu

Finalmente son riuscito a vedere il video della presentazione da parte di Alberto Maggi,presso la Parrocchia “Cristo Risorto” a Porto Torres, dell’ultimo suo libro.Purtroppo l’audio non è dei migliori, e questo mi dispiace, più che altro per la fatica fatta dal “cameraman” ufficiale dell’evento.

Bella e attesa mattinata di quel  sabato dello scorso 9 settembre. Nei giorni precedenti avevo vagamente sentito l’annuncio, ma per maggior sicurezza avevo contattato lo stesso Alberto: ” E certo che sarò a Porto Torres, dove non distante vive uno dei miei nipoti. Ci vedremo finalmente di persona e ci abbracceremo”

Bella anche l’atmosfera che si era creata, in quella grande sala voluta dagli abitanti del quartiere, animati allora. spiritualmente ma non solo, da un giovane don Tonino Sanna.

Si vedeva che erano persone assetate di parole “forti” che non fossero le usuali paroline, irritanti e oltremodo “spiritualizzate”, del “vogliamoci bene” che spesso escono dalla bocca “domenicale” di troppi preti.

Persone abituate ad ascoltare il pensiero estremamente umano e cristiano principalmente di don Tonino, ma anche, all’occorrenza, dello stesso Maggi, di padre David Maria Turoldo, di padre Ortensio da Spinetoli e altri ancora. Persone che hanno preso la loro scelta di vita “religiosa” non una comoda passeggiata, sicuramente. E neanche che si sono occupati di essere semplici trasmettitori dell’ortodossia cattolica, a volte evanescente alle orecchie dell’uomo di oggi e dogmatica (” così è, e guai chi osa mettere in discussione quanto “ex cathedra” sancito….”. In estrema sintesi, rischiosamente distante dalla Persona e dalla vita concreta di Gesù Cristo.

Padre Alberto ha presentato il suo libro da tutte le parti, e non certamente per sua richiesta, quanto perchè a lui richiesto di farlo, segno che in giro si ha bisogno di ascoltare messaggi e specialmente esperienze sostanziose.

Ho deciso di riportare la riscrittura delle sue parole di presentazione fatta in una parrocchia di Chieti.

Riporto anche una breve intervista dello stesso Maggi riguardo al suo libro.

 

 

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Breve recensione tratta da libreriauniversitaria.it:

Dopo la personale esperienza umana della malattia raccontata con contagiosa allegria in “Chi non muore si rivede”, Alberto Maggi affronta, con il suo stile sempre gioioso, il difficile argomento della morte, uno dei grandi tabù della nostra società. Alberto Maggi offre parole ricche di serenità e speranza, lontanissime da quell’inesauribile repertorio di frasi fatte che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, anche quando vengono da uomini di fede. Leggendo queste pagine riusciremo invece a comprendere e accogliere l’aspetto naturale della morte, per renderla davvero una sorella come poeticamente suggeriva san Francesco, una compagna lungo l’intero viaggio nella nostra esistenza. E grazie a questa nuova consapevolezza, potremo finalmente allontanare ogni tristezza e tornare a vibrare in un crescente, pieno accordo con quella grande sinfonia che è la vita.

 

Auditorium della Parrocchia Sant ‘Anna (Chieti)

Nota

La trasposizione è alla lettera, gli errori di composizione sono dovuti alla differenza fra la lingua scritta e la lingua parlata e la punteggiatura è posizionata a orecchio.

 

padre Alberto

Buonasera a tutti, grazie a don Domenico, grazie a voi. Si viene sempre più che volentieri qui per questi incontri, anche se quest ‘anno è soltanto una serata. Una serata che spero sia ricca di contenuti perché parliamo di qualcosa di cui non vogliamo mai parlare: non si parla volentieri della morte. Vedete, per quelli della mia generazione, negli anni 50 il tabù era il sesso, neanche si pronunciava quella parola. Oggi il tabù è la morte, non se ne parla. Eppure è una realtà che, volenti o nolenti, più nolenti che volenti, ci troviamo nella vita a dover affrontare, prima con la morte dei nostri cari, delle persone che conosciamo, e anche se speriamo che sia il più lontano possibile nel nostro orizzonte, l inevitabile nostra morte. Ed è un avvenimento drammatico, quando ci muore una persona cara, siamo talmente storditi, sconvolti, che viviamo come in trance, non c è neanche quasi più la voglia di continuare a vivere. Le risposte che si danno tradizionalmente, nel momento della morte dei nostri cari, non è che ci convincano più di tanto.

Ci poniamo tanti interrogativi: perché? Poi ci chiediamo: dov’ è che adesso sarà questa persona e com’ è? La risposta tradizionale che è in cielo e contempla il Signore o che riposa per l’ eternità non è che ci convinca, e comunque non è una prospettiva molto allettante. A peggiorare le cose sono quelli che vogliono a tutti i costi confortare. Sono quelli, ne ho visti ed è capitato anche me, che, nel momento del dolore in cui puoi soltanto piangere, e nient altro sono quelli che con una pacca sulle spalle ti dicono Dai, non piangere! Ma tu in quel momento vuoi piangere! Perché col pianto esprimi tutto il tuo dolore e ti puoi liberare. Sono quelli che cercano di confortarti e ti danno una pacca sulle spalle, sono quelli che nel Libro di Giobbe vengono chiamati i consolatori molesti. Dice Giobbe anch’ io sarei capace di dire le stesse cose se fossi al vostro posto. Ma, ancora più di questi confortatori molesti, che cercano con le parole di andare incontro al momento di dolore, quando una persona invece non vuole parole perché in quel momento non ci sono parole adatte, la persona vuole soltanto che nel silenzio e nel dolore, senta una vicinanza affettiva e affettuosa delle persone. Ma, quando ci capita di affrontare il lutto di una persona cara, il momento più pericoloso è inevitabile, perché sono mescolate tra di noi, è l incontro con le persone pie, le persone devote, quelle persone che ne sanno una più del Padreterno, che hanno tutte le risposte già preconfezionate. Allora ci diranno è il Signore che l ha chiamato, è il Signore che l’ ha  preso, oppure era già matura per il Paradiso, quando è giovane o un bambino, un ragazzo, i fiori più belli li vuole il Signore oppure è un angioletto in Paradiso. Un altra che forse viene detta perché siamo tutti un po cattivelli: i più buoni il Signore li vuole con sé.

Allora, visto che lui i più buoni li prende con sé, una sana dose di cattiveria non gusta per sfuggire alle mire del Padreterno! E via così, tutto quell incredibile armamentario dello stupidario religioso, che non fa altro che far covare un rancore verso questo Signore che prende, che pota, che toglie. Allora questa sera, come già diceva il nostro don Domenico, tentiamo di affrontare questo tema di cui non si parla mai volentieri e che però prima o poi fa parte della nostra esistenza, secondo quelli che sono i dati biblici. Prima dobbiamo fare una premessa, perché c è stato un cambiamento radicale del concetto della morte che, nella sociologia, viene datato Cos è successo nel 1930? Prima di quella data la gran parte delle persone moriva in casa; dopo gli anni 30 il progresso negli ospedali, nelle attività mediche, ha fatto sì che l ospedale, da luogo dove si andava a curarsi, si trasformasse in luogo dove si andava a morire. Quindi negli anni 30 del secolo scorso c è stato questo grandissimo cambiamento. Un cambiamento che ha fatto sì che la morte più desiderata oggi sia quella che in passato era la più temuta. Siccome non si ha più questa esperienza della morte, e le persone muoiono da sole in un ospedale, non con i propri cari, è cambiata anche l idea di morte desiderabile. Qual è la morte più ambita, più desiderabile? Lo sappiamo, quando la persona muore nel sonno, fortunato! E’ morto e neanche se n’ è accorto.

Ebbene, in passato, quella che oggi è la morte più desiderata, era la morte più temuta. C era una giaculatoria, un preghiera che diceva dalla morte improvvisa liberaci Signore! Ci si preparava alla morte. C’ erano dei libri intitolati l arte del morire o simili. La morte era considerata un avvenimento importante della propria esistenza, il momento più vivo della propria esistenza, e se guardiamo le foto, ma soprattutto le stampe dell antichità, vediamo che attorno al moribondo c era tutta la famiglia. Il moribondo non veniva espropriato della sua fine, ma veniva accompagnato con tutta la famiglia, compresi quei bambini che oggi si tengono lontani dal cadavere perché altrimenti si impressionano. Una volta erano meno impressionati, la morte faceva parte del panorama della propria esistenza, per cui il morto si preparava al momento della sua fine, del suo trapasso, e tutta la famiglia gli stava attorno con l affetto, bambini compresi, per accogliere quelle che erano chiamate, ricordate, le ultime volontà: le parole dette dal morente che venivano conservate come un tesoro prezioso.

Bene, dal 1930 tutto questo è cambiato, non si muore più in casa, normalmente si muore in ospedale; perché si è andata via via radicando l idea di rifiutare la morte come termine della propria esistenza. Oggi, anche una persona anzianissima, anche un centenario, quando gli prende qualcosa, viene portato in ospedale. Anziché tenerlo in casa e accompagnarlo all inevitabile momento del trapasso, naturalmente con cure e antidolorifici, tutto quello che vogliamo, ma soprattutto con l affetto, anche un centenario viene spedito gli ultimi giorni in ospedale, privandolo di quell affetto, di quel conforto che è necessario nel momento del trapasso. Oggi si muore per lo più da soli, intubati e, magari, per guadagnare una settimana di vita. Questo perché si rifiuta il concetto di mortalità, cioè che siamo mortali. Anche quando muore una persona anziana, si cerca sempre un motivo alla sua morte. E stato un raffreddore, è stata l incapacità del medico, non è stato operato Non si accetta qualcosa che è ovvia si muore perché siamo mortali. E la cosa più ovvia, questo viene rifiutato. Allora cosa porta questo? Porta al fatto che la persona venga spossessata della sua morte. Non parlando della morte, evitando questo argomento, anche la persona quando è ammalata, non viene più vista come un individuo da accompagnare con affetto e con amore a questo momento importante della sua esistenza, ma come una persona minorenne, o peggio, minorata, che deve restare all oscuro di quello che gli sta per accadere.

Sapeste quante volte e questa è stata l’ esperienza di don Domenico e di altri preti, si viene chiamati al capezzale di una persona che è agli ultimi giorni, ma prima di entrare i familiari chiariscono mi raccomando non gli faccia capire niente, perché sennò si spaventa. Lui sa che ha una gastrite, non è un tumore. Poi entri dalla persona, di dice di chiudere la porta. Una volta chiusa la porta di dice Padre, io ormai sono alla fine, non faccia capire niente ai miei familiari che si spaventano. E una commedia, tutti sanno che ormai il traguardo è la morte, ma nessuno vuole farlo sapere all altro per paura di cosa? Per paura che si spaventi. E quindi l individuo viene privato della morte vissuta con l affetto e la preparazione e l accompagno dei propri cari e, soprattutto, viene privato dell ultimo dono che uno può fare.

Noi – chi ha capito il significato della vita viviamo per gli altri. L ultimo regalo che possiamo dare agli altri è il momento della nostra morte. Perché? Nessuno può raccontare la propria morte; noi la morte la sappiamo soltanto da quella degli altri, da come muoiono gli altri, ma se non vediamo più come muoiono gli altri Sapete che oggi molte persone anche quando hanno un moribondo, lo trasferiscono in ospedale anche perché ormai sono incapaci di gestire quel momento. Oddio è morto, e cosa si fa adesso? Una volta c era tutta una tradizione, si sapeva cosa fare quando c era il morto. Oggi non si sa più. Allora si preferisce affidarlo a mani professioniste, dei becchini, ma che naturalmente non hanno quell affetto della persona cara. Quindi si priva la persona di un momento importante. La morte sarà questa la linea che tratteremo in questo incontro, sulla base dei Vangeli è il momento più importante della nostra esistenza. Il momento della morte è il coronamento della nostra vita e noi ne facciamo un dono ai nostri cari. Ecco, guarda, questo è l ultimo regalo che ti posso fare, il mio momento del mio morire. Ma per comprendere ciò di cui stiamo parlando, bisogna analizzare il linguaggio. Noi in maniera errata contrapponiamo la vita alla morte, ma questo non è esatto. Non vanno contrapposte la vita e la morte, ma nascita e morte, entrambe elementi della stessa vita.

Cosa significa questo? Facciamo un esempio, così lo possiamo comprendere tutti quanti. Il bambino, nei mesi in cui sta dentro la pancia della mamma, sta bene, è il suo mondo, non ne conosce altri. Ha alimento, ha affetto, ha tutto quello che gli serve per vivere. Eppure arriva un momento in cui il bambino se vuole continuare ad esistere, deve abbandonare quel mondo in cui era cresciuto, e deve aprirsi verso l ignoto. E un momento sempre traumatico, indubbiamente, eppure soltanto quando lascia il suo mondo, finalmente scopre quell amore dei genitori che aveva appena intuito, finalmente vede quella luce che non conosceva. Soltanto nel moneto della nascita, si accorge della bellezza di quello che l attendeva. Probabilmente se lui avesse dovuto scegliere non avrebbe voluto venire fuori, perché quello era il mondo. Ebbene, la morte è la nuova e definitiva nascita. Quindi non contrapporre la vita alla morte, ma nascita e morte sono entrambe elementi della stessa vita. Non c è un momento della propria esistenza in cui c è una fine di tutto; non è una fine, ma è una nascita. Gli antichi, infatti, chiamavano il giorno della morte il giorno natalizio, la nuova e definitiva nascita.

Sempre per rimanere con questo esempio, proviamo ad immaginare che fossero stati due gemelli. Naturalmente nasce prima uno, l altro che è rimasto dentro cosa pensa? Che l altro non c è più, che è morto. Invece è l altro che è vivo e tu, se non ti sbrighi a venir fuori, vai incontro alla morte. Questo è quello che ci accade. Quindi il momento della morte è il momento della nuova e definitiva nascita delle persone. Perché la morte non interrompe il ciclo vitale, quindi, ripeto, non vita contrapposta alla morte, ma nascita e morte entrambe elementi importanti di un unica esistenza. La morte non interrompe il ciclo vitale, ma gli permette di fiorire in una maniera completamente nuova. Quindi quella che si chiama risurrezione non è una seconda vita, neanche una nuova vita, ma è la piena realizzazione dell unica vita. Noi abbiamo una vita, arriva un certo mo mento della nostra esistenza che, se vogliamo continuare a vivere, anche noi dobbiamo attraversare questo passaggio. Allora, come il bambino soltanto nascendo scopre l amore dei genitori, noi, soltanto attraverso il momento della morte, scopriremo quella grandezza dell amore di Dio di cui adesso nel breve arco della nostra esistenza, abbiamo potuto capire soltanto frammenti. Quindi è importante allora questo linguaggio, non contrapponiamo la vita alla morte, ma la nascita alla morte.

L’ altro termine da comprendere è quello di vita. Nei Vangeli i Vangeli sapete sono scritti in greco si usano due termini importanti da conoscere per indicare la vita. Sono due parole entrate nell uso comune, quindi non c è nessun problema. Uno è bios, da cui biologia; è la vita biologica, questa ha un inizio, ha una sua crescita, ha un suo massimo sviluppo e poi, inevitabilmente, incomincia la parabola del declino, fino al suo disfacimento. Quindi è la vita della ciccia. Ma in questa vita ce n è un altra, che in greco è chiamata zoe, che è la vita divina. E questa ha un inizio, comincia con la nascita, ha un suo sviluppo, uno crescita, ma, proprio mentre la parte biologica comincia a declinare, questa continua la sua salita senza fine. A un certo momento nella vita dell individuo c è come un divorzio: fisicamente andiamo incontro ci dispiace, naturalmente. C è S. Paolo, nella lettera ai Corinti che usa un espressione brutale riguardo al disfacimento, dice S. Paolo Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si ringiovanisce di giorno in giorno.

Allora arriva un momento della nostra esistenza che la parte della ciccia va incontro al disfacimento e, purtroppo ce ne accorgiamo, ma quella interiore ringiovanisce sempre di più. Quindi è importante tenere presente questi due aspetti. Queste due vite hanno una caratteristica: la vita biologica, per crescere, ha bisogno di essere nutrita. Noi siamo ciccia, per crescere abbiamo bisogno di mangiare. L altra, per crescere, ha bisogno di nutrire, allora ci vuole equilibrio tra questi due aspetti. Quando si sopravvaluta troppo l uno a scapito dell altro incomincia uno sbilanciamento nella persona; quindi noi abbiamo una vita biologica che ha bisogno di essere nutrita per crescere, ma abbiamo una vita interiore, che è quella che continua per sempre, che ha bisogno di nutrire. Potremmo usare un espressione: la vita biologica ci fa delle persone viventi, la vita divina ci fa delle persone vitali. Allora, cosa succede? E questa è la garanzia che ci dà Gesù. Arriva un giorno che tutte le componenti della parte biologica, tutte le cellule che compongono la nostra esistenza, cessano tutte di vivere. Sapete, ci dicono i biologi, che ogni giorno, noi non ce ne accorgiamo, ci muoiono milioni di cellule. E non ce ne accorgiamo. Ce ne accorgiamo a distanza di tempo, perché vediamo questa ruga che non c era, la pelle qui adesso casca una volta non c’ era. Sono cellule che sono morte e non si sono più riformate. Ebbene, arriverà un giorno che tutte queste cellule che compongono la parte biologica cesseranno la loro esistenza, ma se c è quell altra vita, noi non ce ne accorgeremo. Questa è la buona notizia portata da Gesù. Gesù non libera dalla paura della morte, Gesù libera dalla morte stessa.

Per avere questa qualità di vita bisogna aver orientato la propria vita verso il bene degli altri. C è il rischio è un rischio, non sappiamo se è verificato o meno che una persona che, anziché nutrire gli altri, ha pensato soltanto a nutrire se stessa, cioè una persona che sia stata sorda ai bisogni degli altri, una persona che sia stata cieca di fronte alle necessità degli altri, una persona che ha pensato unicamente a se stessa, ai propri bisogni, alle proprie necessità, ha curato soltanto la parte biologica. Ma non ha curato quell altra, la zoe, e la zoe, se non viene alimentata, si atrofizza fino a sparire. Allora c è il rischio ed è un monito che c è nei Vangeli ma non sarà il nostro caso, se siamo qui, che chi ha vissuto soltanto per sé, quando arriva il momento della morte biologica, è la morte di tutto. Non c è niente.

Perché durante la vita non è stata alimentata. Nei Vangeli c è questo monito di Gesù, conosciamo la parabola di Matteo, quando Gesù si rivolge a quelli che non hanno mai riconosciuto il Signore, e dirà: Avevo fame, mi hai dato da mangiare? Sì. Ero straniero, mi hai ospitato? Gesù si preoccupa delle risposte ai bisogni elementari degli uomini, non c è bisogno che venga Dio dal cielo per dirci che ad una persona che muore di fame c è da dare da mangiare. Non c è bisogno che ci sia un testo sacro a dirci che ad una persona che è nuda, dobbiamo vestirla. E normale. Quelli che l avranno fatto, dice il Signore, Venite, benedetti dal Padre mio. Cosa significa? Quelli che anche non hanno conosciuto Dio, non hanno mai sentito parlare del Signore, però hanno avuto queste risposte d amore verso gli altri, hanno sviluppato la parte divina in loro, per cui, quando arriva il momento della morte biologica, sono persone vive. Ma è il monito agli altri. Avevo fame, m hai dato da mangiare? No. Avevo sete mi hai dato da bere? No. Persone che hanno chiuso gli occhi ai bisogni e alle necessità degli altri; ebbene, per questi la formula di Gesù è molto severa, dice Andate via, maledetti! Notate però la differenza: mentre a quelli che hanno dato queste risposte d amore Gesù dice Venite benedetti dal Padre mio ; Dio è amore e benedice, quando dice Andate via, maledetti, non dice da Dio. Dio non maledice, Dio è amore. Perché sono maledetti? Chi li ha maledetti? Si sono auto-maledetti. La parola maledetto, la prima volta che appare nella Bibbia è per Caino, assassino di suo fratello.

Quindi chi non ha volontariamente risposto ai bisogni vitali di un altro, è come un assassino. E maledetto, ma non da Dio, perché Dio non maledice, si è maledetto da solo. Aveva una possibilità di vita, non ce l ho avuta. Dio è amore e lui fa una proposta di vita, chi la accoglie vive per sempre, chi la rifiuta, quando arriva il momento della morte biologica, è la morte per sempre. E la parte negativa che c interessa, ma è quella positiva. L esperienza della comunità cristiana è stata per noi paradossale. I primi cristiani non credevano nella risurrezione dei morti, i primi cristiani non credevano che Gesù risuscitava i morti, ma credevano che il Signore comunicava ai vivi una vita di una qualità tale che faceva loro superare la morte. Quindi non credevano a un Dio che risuscita i morti, ma credevano a un Dio che ai vivi comunica la sua stessa vita, la sua stessa capacità vitale. Lo dirà Gesù nella polemica con i sadducei, che il suo Dio non è il Dio dei morti, quello che risuscita i morti, ma è il Dio dei vivi, quello che ai vivi comunica una vita capace di superare la morte. Convinti di questo, perché lo sperimentavano, i primi cristiani si ritenevano già risuscitati. Ci sono delle leggere di S. Paolo che contengono delle espressioni che sembrano folli, paradossali. Dice S. Paolo noi che siamo già risuscitati. Fammi capire, come sarebbe a dire? Voi che siete già risorti.

Ma non c’ è la vita, la morte e poi la risurrezione. No. Quanti accolgono Gesù e il suo messaggio, e con lui e come lui orientano la propria vita per il bene degli altri, hanno già adesso una vita di una qualità tale che è quella dei risorti. Per cui i primi cristiani non credevano che sarebbero risuscitati dopo la morte, ma credevano che la risurrezione avvenisse in questa esistenza. O si risuscita adesso o non si risuscita più. Allora questo ha cambiato il concetto di vita eterna. Nel mondo ebraico contemporaneo a Gesù, cosa si intendeva per vita eterna? C era la vita, a un certo momento c era la morte, si finiva tutti, buoni e cattivi, nella caverna del regno dei morti e poi l ultimo giorno, un ipotetico ultimo giorno, ci sarebbe stata la risurrezione dei giusti, solo dei giusti. Questo era quello che si credeva al tempo di Gesù sulla vita eterna. Quindi soltanto i giusti sarebbero risuscitati per vivere per sempre. Allora Gesù prende questa immagina della vita eterna, ma ne cambia il significato. Quando Gesù deve parlare di vita eterna non adopera mai verbi al futuro. Gesù non dice chi crede avrà la vita eterna, Gesù dice chi crede ha la vita eterna. Allora la novità che ci ha portato Gesù è che la vita eterna non è una vita che inizia dopo la morte, ma è un qualità di vita che è possibile sperimentare già qui nel presente. Gesù dice chi mangia il mio corpo, chi mangia questo pane ha già la vita eterna, non dice avrà. La vita eterna non è un premio futuro, per il buon comportamento tenuto nel presente, ma è una qualità di vita che si può sperimentare già nel presente. Come? Gesù l ha detto, chi mangia di me ha la vita eterna, chi mangia Gesù, il figlio di Dio, che si fa pane per noi e poi, a sua volta, si fa pane per gli altri, ha già adesso una vita di una qualità tale che si chiama eterna non per la durata, ma perché è indistruttibile, cioè non farà l esperienza della morte.

Quindi, come dicevo prima, Gesù non ci libera dalla paura della morte, ma Gesù ci libera dalla morte stessa; non si farà esperienza della morte. E più volte nel Vangelo viene affermato questo, Gesù addirittura dice se uno osserva la mia parola non morirà mai. Sembrano parole di un pazzo, come fa Gesù a dire che chi osserva la sua parola non morirà mai? Da che mondo è mondo tutti sono morti. E che Gesù non sta parlando della vita biologica, tutti quanti andiamo incontro alla sua fine, ma sta parlando della vera vita, quella che ci contraddistingue, quella interiore: non faremo esperienza della morte. C è un dialogo nel Vangelo di Giovanni molto significativo al riguardo. Lo conosciamo tutti l episodio di Lazzaro dicevo prima a don Domenico, quando l anno prossimo terrò questa presentazione del libro, lo esamineremo proprio per far comprendere tutto l episodio della risurrezione di Lazzaro. Comunque, la storia più o meno la conoscete. Le sorelle mandano ad avvisare Gesù che Lazzaro è ammalato, Gesù non si muove, si muove soltanto quando è morto già da quattro giorni, quindi già putrefatto. Gesù arriva e viene investito dal rimprovero di Marta Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. E Gesù dice a Marta Marta, tuo fratello risusciterà. E Marta rimane male perché Gesù non le dice risusciterò tuo fratello, ma le dice tuo fratello risorgerà. Allora Gesù si merita una brutta risposta da Marta Capirai, so che risusciterà nell’ ultimo giorno. Come dicevo all inizio, bisogna stare attenti ad usare quelle frasi fatte per confortare le persone perché rischiamo di gettarle nella profonda disperazione. Quando una persona è in lutto, quando le è morta una persona cara, se noi per cercare di confortarla, le diciamo guarda che risusciterà, attenzione, non solo non la confortiamo, ma la gettiamo nella più profonda disperazione. Perché se noi le diciamo guarda, sai che risusciterà? Quando domai? Tra un mese, tra un anno? Quand è che risuscita, dimmelo! Alla fine dei tempi Capirai, a quell epoca anch io sarò morto, stecchito e risuscitato. E adesso che mi manca la persona.

Sapere che la persona cara risuscita, non solo non mi da conforto, ma mi getta nella più profonda disperazione. Quindi, attenzione ad usare queste frasi fatte risusciterà. Mi manca adesso, che risusciti un domani, non mi interessa. E quindi anche Gesù si becca questa brutta risposta da Marta. So che risusciterà nell ultimo giorno. Ebbene, Gesù allora modifica il significato di risurrezione e di vita con queste parole importanti: Io sono la risurrezione e la vita. Io sono, è il nome di Dio. Quando Mosè ha fatto l esperienza nel roveto ardente di quella cosa strana e ha chiesto il nome, l essere divino gli ha risposto con Io sono, allora da quella volta Io sono è diventato il nome di Dio. Quindi Gesù rivendica la pienezza della condizione divina Io sono, io sono Dio e quindi non sarà, ma sono la risurrezione e la vita. La risurrezione non è confinata alla fine ipotetica dei tempi, la risurrezione è già presente perché Gesù non dice io sarò la risurrezione, ma io sono la risurrezione. Quindi quanti hanno accolto Gesù, quanti hanno assimilato Gesù hanno già la risurrezione in loro e la vita. E poi Gesù usa due affermazioni, una per la comunità che piange il morto, la comunità che veglia il cadavere, l altra per quelli che sono vivi. Gesù dice chi crede in me, anche se muore, vivrà. Se la persona, che voi adesso piangete come cadavere, ha creduto in me, anche se adesso la vedete morta, sappiate che continua a vivere.

Naturalmente come dicevamo, non la parte biologica, ma la parte interiore. Quindi la persona che adesso voi state piangendo come defunta, sappiate che continua a vivere. Ma poi si rivolge ai viventi e dice chi vive e crede in me non morirà mai. Gesù non ci libera dalla paura della morte, Gesù ci libera dalla morte stessa. E le sue parole sono tutte vere e veritiere. Chi vive, noi che siamo vivi, e crediamo in lui credere in Gesù o significa accettare il catechismo o le verità di fede, significa credere nel progetto di Dio per l umanità, e qual è il progetto di Dio per l umanità? Un Dio talmente innamorato degli uomini che non gli basta questa vita biologica che hanno, ma vuole regalare loro la sua stessa vita divina, la vita indistruttibile, questo è il progetto di Dio sull umanità e questo significa credere in Gesù, perché in Gesù si realizza pienamente il disegno di Dio. Allora chi crede che l uomo è destinato a continuare la sua esistenza, che la sua vita non si conclude con la morte, chi crede questo, non morirà mai. Gesù non dice morirà e poi risusciterà, non farà l esperienza della morte. Vedete quando capiterà, il più lontano possibile come sempre pensiamo, questo momento, sarà un m omento straordinario, perché gli altri vedranno noi che moriamo, ma noi non ne faremo esperienza.

Noi continueremo a vivere e adesso l importante è capire dove e come si vive perché il problema è vero che si continua a vita ma dove sono e come sono e questo è il problema che ci angoscia. Quindi Gesù è chiaro: la morte non esiste. O meglio, la morte non interrompe il ciclo della vita, la morte, come recita un antico prefazio, dice la vita non è tolta, ma trasformata, la morte è come una trasformazione.

Se questo è vero, la prima cosa da fare è cambiare atteggiamento verso quelli che la chiesa con sapienza non chiama i morti, ma i defunti. Uno dirà beh, morto o defunto è la stessa cosa. Non è così. Morto è qualcuno per cui ormai non c è più niente da fare. La chiesa, nella sua saggezza, ha usato sempre il termine defunti, infatti se andate a vedere nel calendario il 2 novembre non è mica la dei morti, ma dei defunti. Defunti, da un verbo latino defungere significa aver svolto un compito, una funzione. Si usava quindi per esempio, il bibliotecario aveva finito di stilare l elenco dei libri in biblioteca, allora il bibliotecario aveva defunto il suo servizio. Quindi defungere significava una funzione (fungere) che era stata terminata. Allora la chiesa non parla di morti, ma di defunti, di persone che hanno svolto il loro compito e che l hanno terminato, ma la cessazione del compito non indica la cessazione della vita. Allora il problema, a questo punto, se è vero che la vita continua è: dove sono i nostri cari? La risposta, anche se può sembrare brutale, dai Vangeli è chiara: non cerchiamo i nostri cari nel buio di un cimitero, abbiamo qui alle spalle, e neanche pensiamoli lontani svolazzanti nei cieli!

Nel Vangelo di Luca quando le donne vanno al sepolcro di Gesù, trovano la strada sbarrata da due uomini che chiedono perché cercate tra i morti chi è vivo? Se questo è vero, bisogna che il messaggio di Gesù modifichi il nostro modo di pensare e il nostro modo di reagire. Se è vero che la morte non interrompe la vita, perché cerchiamo tra i morti chi è vivo? Quindi, quando le donne vanno al sepolcro, trovano questi uomini Alt! Dove andate? Chi cercate? Cercate il morto? Andate! Ma se cercate il vivo, non dovete cercarlo tra i morti! Allora il Vangelo ci mette di fronte a una scelta, ma deve essere una scelta chiara: o continuiamo a piangere i nostri cari come morti, o li sperimentiamo come vivi. Non è possibile unire le due cose. Non è possibile andare al cimitero e piangere la persona come morta e nello stesso tempo sapere che è viva. Perché la persona non sta al cimitero, ma ci aspetta fuori, all ingresso. Quindi, finché i nostri cari vengono pianti come morti, non è possibile sperimentarli come vivi. Allora, abbiamo detto, che la morte non interrompe il ciclo vitale, non c è più, è chiaro, ci manca la parte biologica, ma sappiamo che la persona continua a vivere, continua a vivere come e dove?

Vedete, nel Vangelo di Giovanni, ci vengono presentate due donne, ma con un diverso cammino di fede. Sono le donne che sfidando il pericolo di fare la stessa fine del loro maestro, sono presso la croce di Gesù. Sapete che l ordine di cattura non era soltanto per Gesù, non era pericoloso Gesù, era pericoloso il suo messaggio e, fintanto che c era anche un solo discepolo che andava in giro a proclamare questa follia, questa pazzia, proclamata da Gesù, di un Dio amore, completamente diverso da quello che i sacerdoti proponevano, è pericoloso. Allora l ordine di cattura era per tutto il gruppo. E stato Gesù che, in una posizione di forza, ha detto se cercate me lasciare che questi si salvino. E gli altri si sono nascosti in casa per paura di fare la stessa fine di Gesù. Ma non tutti. Presso la croce di Gesù ci sono alcuni che sfidano quest ordine di cattura e si mettono presso la croce di Gesù non per consolare il morente, ma sono i discepoli che sono disposti a fare la stessa fine del loro maestro. Tra questi c è la madre, Maria presso la croce, non è una madre che soffre per il figlio, ma è la discepola che è pronta a fare la stessa fine del suo maestro. E c’ è un altra donna, Maria di Magdala, quindi entrambe sono presso la croce di Gesù, disposta a fare la fine di Gesù. Ma il cammino di fede per una delle due non era ancora completo. Mentre Maria, dopo la croce, non la vedremo più, Maria di Magdala va al sepolcro. Maria non piange un morto, lei continua a seguire il vivente, la madre di Gesù. C è una delle scene più belle e sentimentali dell iconografia cristiana, ma è un falso! La scena della pietà, è bellissima, basti pensare alla pietà di Michelangelo, Maria che accoglie il cadavere!

Non è un buon servizio verso la figura della madonna, quell immagine, perché Maria non piange un cadavere, Maria continua a sentire un Cristo vivo, lei ci crede che in Gesù c è la pienezza della vita. Alla deposizione di Gesù non c è la madre, ci sono i discepoli che, incapaci di seguirlo nella sua esistenza terrena, vogliono farlo dopo morto, sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Non c è la madre, lo so è un immagine bella, sentimentale, tutto quello che volete, ma non è un immagine che fa onore a Maria. Perché Maria, capace di stare presso la croce del suo maestro, lo sperimenta immediatamente come vivo e continua a seguire un vivente. Maria di Magdala, pur essendo capace di stare presso la croce del maestro, non è ancora arrivata alla stessa maturazione di fede.

E allora cosa fa? Maria di Magdala piange Gesù come un morto. Quindi è chiara la differenza tra le due donne! Tutte e due assistono alla morte di Gesù, una continua a seguire il Gesù vivo, l altra lo piange come Gesù morto, e sta lì al sepolcro a piangere; piange, piange guardando verso il sepolcro, e non s accorge che Gesù stava di dietro. Gesù avrà detto dietro di lei Aspettiamo, vediamo questa quando la smette! E la deve chiamare, perché quella non smetteva. Quando la chiama, si volta; e quando non guarda più il sepolcro vede Gesù vivo. Questo è molto importante quindi anche per noi. Chiaro, la morte di una persona cara lo dicevo all inizio, reca un grande dolore, ma c è un processo che dobbiamo fare. Arrivare piano piano a non piangerla come morta, per sperimentarla come viva. Se Maria di Magdala non si fosse voltata, se non avesse smesso di guardare verso il sepolcro, non si sarebbe accorta della presenza di Gesù presso di lei. Quindi bisogna decidere cosa si cerca. Si va a cercare un cadavere o un vivente? Se si cerca il vivo non si può trovarlo nel mondo dei morti. Questo fatto della morte è al di là delle possibilità e di comprensione degli uomini, per cui anche Gesù e gli evangelisti, hanno avuto bisogno di figure.

Vediamo, per concludere, le tre figure con le quali gli evangelisti trasmettono quest’ immagine della morte – La prima è quella del dormire. Lazzaro è addormentato. Quando muore Gesù nel Vangelo di Matteo c è un episodio strano. Scrive l evangelista i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi addormentati si rialzarono e risuscitarono. Perché l evangelista non dice corpi di santi morti, ma addormentati? Essendo persone che hanno dato adesione a Gesù non muoiono, si addormentano. Per cui il morire, nei Vangeli e nell antichità veniva visto come un dormire. Cos è il dormire? Il dormire è una fase importante indispensabile nella vita di un individuo. Se si dorme male si vive male. Se non si dorme non si campa. Il dormire non interrompe mica la vita, anzi! Il dormire è una pausa indispensabile per permettere alla vita di riprendere ancora con più vigore. Allora l immagine che danno gli evangelisti per indicare il momento della morte è il dormire. Ripeto, il dormire non interrompe la vita, ma è una pausa che consente alla vita di riprendere con ancora più grande energia. E sapete, naturalmente che è dal termine dormire viene la parola che conosciamo cimitero. Cimitero viene dal greco e non significa altro che dormitorio. Questo fatto che la morte non interrompe il ciclo vitale, ha portato un cambiamento epocale, radicale, e qual è stato questo cambiamento? Che i morti non mettono più paura. Nell antichità i morti venivano seppelliti lontano dalla città, gli ebrei perché ritenevano che fossero impuri, i greci perché ne avevano paura i morti venivano seppelliti più lontano possibile dal centro abitato.

Con i primi cristiani, da Costantino in poi, siccome la morte aveva smesso di mettere paura, i corpi, i cadaveri, venivano seppelliti all interno della città, dentro la chiesa o accanto alla chiesa. E i cimiteri, nell antichità, per secoli, non avevano quell aspetto lugubre che poi, man mano che la gente si è distaccata da questo insegnamento evangelico, hanno assunto. Perché vedete se ci si stacca ed è il Concilio che ci chiede la fedeltà al Vangelo – i cimiteri divennero quel luogo lugubre che è oggi. In passato i cimiteri, non solo non mettevano paura, ma erano i luoghi per l allegria. Pensate che c è stato bisogno di un Concilio, quello del 1231, nel quale la chiesa deve proibire di ballare nel cimitero. Pensate che bello! Si ballava al cimitero. Non è stato ascoltato, due secoli più tardi, nel 1400, oltre alla danza, si proibisce sentite.. ai giocolieri, ai musicanti, di giocare a qualunque gioco; si vieta ai mimi, ai giocolieri, ai burattinai, ai ciarlatani, di esercitare i loro ambigui mestieri. Quindi i cimiteri erano un luogo di effervescenza vitale, appunto perché la morte aveva smesso di fare paura. Sapete che in un famoso cimitero di Parigi, quello dei Santi Innocenti, c era un esuberanza forse esagerata di vita, era il luogo prescelto per la prostituzione. E Lutero contesta che nel cimitero della sua città avevano installato una fabbrica di birra ecco cos erano i cimiteri: luoghi di vita, appunto perché cimitero significa dormitorio. E se dormono significa che continuano a vivere con ancora più potenza.

L’ altra immagine, presa proprio dalla bocca di Gesù, è quella della semina. Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni se il chicco di grano, caduto a terra, non muore, rimane solo. Se muore, invece, produce molto frutto. E importante quest immagine, perché non si può parlare della morte se non attraverso immagini perché nessuno l ha sperimentata non c è un linguaggio. C è un chicco di grano che, se lo mettiamo in un cassetto, rimane solo. Dentro questo chicco ci sono delle potenzialità, delle energie vitali incredibili, ma, per manifestarsi, devono trovare l ambiente adatto ed essere collocate per terra. La terra non assorbe il chicco di grano, ma la terra regala al chicco tutti suoi elementi, tutti i suoi organismi e cosa succede? Succede un esplosione di vita. Nel chicco di grano c era un energia di vita, una potenzialità tale che, incontrando gli elementi adatti della terra, dell acqua, dell umidità, c è un esplosione di vita: il chicco diventa uno stelo e lo stelo diventa una spiga. Proviamo ad immaginarci visivamente un chicco e una spiga, non c è paragone! Non è possibile confrontare la bellezza della spiga con il chicco, eppure la spiga era già tutta nel chicco. Ha avuto bisogno di caratteristiche particolari per manifestarsi. Allora Gesù ci sta dicendo che in ognuno di noi ci sono delle energie, delle capacità d amore, delle forze di dono che nel breve arco della nostra esistenza, per quanto lunga possa essere, non riusciranno mai a manifestarsi pienamente, ebbene, quando arriva il momento della morte, la morte non sarà il momento della distruzione, ma il momento del potenziamento.

Solo con la morte tutte quelle energie che ci portiamo dentro, tutte queste capacità vitali, esploderanno, si libereranno e noi ci trasformeremo. Come il chicco di grano è diventato una spiga, anche noi ci trasformeremo in un crescendo senza fine. – E l altra immagine che l evangelista, appunto, dà, è quella dello splendore, l episodio della trasfigurazione di Gesù. I discepoli pensavano che la morte sarebbe stata la fine di tutto, Gesù, nell episodio della trasformazione dice ecco cosa succede dopo la morte. La morte non diminuisce l individuo, ma lo potenzia! Allora quando pensiamo ai nostri cari che sono defunti, non pensiamoci più come li abbiamo conosciuti, ma proviamo ad immaginare la stessa differenza tra il chicco e la spiga. Uno splendore di luce incredibile, uno splendore di vitalità incredibile! Il tema di questo incontro era La morte come pienezza di vita l ultima beatitudine. Allora per ultimo trattiamo questa beatitudine. E l ultima beatitudine che c è nel Nuovo Testamento. E nel libro dell Apocalisse, una beatitudine paradossale, nel capitolo 14. Scrive l autore beati fin d ora beati significa pienamente felici. Ma come fai a scrivere una cosa del genere? Come puoi associare la felicità piena con la morte?

Eppure, l’ autore dice beati fin d ora i morti che muoiono nel Signore. Quelli che muoiono nel Signore sono quelli che hanno quella vita ricordate la zoe sviluppata pienamente. Sì dice lo Spirito, perché essi riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono. L autore sta dicendo qualcosa di straordinariamente bello: la morte è una beatitudine, una felicità perché riposeranno dalla loro fatiche non è la radice dell eterno riposo, così come lo interpretiamo. Sapete, quando si recita l eterno riposo sembra quasi una condanna all ergastolo, immaginate, riposare per tutta l eternità, meglio l ergastolo, per carità! Siamo persone vitali, dopo che hai riposato un mese, tre mesi, riposare per tutta l eternità. Ma per carità! Cosa vuol dire riposeranno dalle loro fatiche? Il creatore, dopo aver creato, il settimo giorno s era riposato. Allora il riposo era segno di condizione divina. Abbiamo detto che la morte non diminuisce la persona, ma la potenzia perché nel momento del morire noi rientriamo nella pienezza della condizione divina e il creatore ci associ alla sua stessa azione creatrice. Questo significa riposare dalle loro fatiche, non significa un ozio eterno, ma che continueremo la nostra attività, come? Collaborando all azione creatrice di Dio.

Allora, se continueremo immersi in questo Dio che non avrà assorbito la nostra esistenza, ma l avrà potenziata, l avrà dilatata, il nostro compito, una volta passati attraverso la soglia della morte sarà quello di collaborare alla creazione. Collaborare alla creazione significa comunicare vita. E tanto più collaboreremo col Signore nel comunicare vita alle persone che ci sono state care durante l esistenza terrena, ecco perché la morte non ci allontana dai nostri cari, ma li rende ancora più vicini. Vedete, se è possibile se vi capiterà, ditelo alle imprese di pompe funebri di smetterla con quello scempio sul manifesto E mancato all affetto del suoi cari. Io, quando vedo quei manifesti, mi viene da strapparli! Non posso perché un prete che strappa un manifesto funebre non sta bene E mancato all affetto dei suoi cari E mancato all affetto? Tutto il contrario! E proprio il momento della morte che ci fa capire quanto volevamo bene a questa persona, è proprio nel momento della morte che l affetto si dilata. Allora i nostri cari, nel momento in cui passano attraverso la soglia della morte, non sono lontani da noi, ma sono ancora più vicini perché l amore che ci volevano nel corso della loro esistenza terrena, adesso viene potenziato dallo stesso amore di Dio. Ci vogliono bene, come ci volevano prima, ma di un amore rafforzato dallo stesso amore di Dio. E i nostri cari continuano la loro crescita e, qui mi rifaccio a un esperienza che è di tutti provate a pensare alla persona cara che è morta da tempo.

Avete notato una cosa? Che, più passa il tempo, più si ricordano soltanto le cose belle. Non è che era sempre così, perché sappiamo com è la convivenza umana, ci sono degli spigoli, ci sono degli screzi, e ci sono dei malumori la vita familiare non è mica tutta quella cosa idilliaca, ci sono contrasti di carattere. Eppure, quando la persona muore, dopo un po ci ricordiamo soltanto le cose belle. Non perché la nostra memoria fa difetto, perché se la memoria facesse difetto ci dovremmo dimenticare anche le cose belle. E perché la persona cara nel frattempo è diventata bella, immersa nell amore di Dio, quelle scorie, quei limiti che aveva durante l esistenza terrena, piano piano vengono eliminati e loro ce lo fanno capire. Sono accanto a noi e ci fanno sperimentare la loro presenza in un crescendo senza fine. E l ultimo, perché le loro opere li seguono. L’ù unica cosa che portiamo nella vita per sempre. I conti bancari, i titoli e tutto quello che volete, le case, tutto quello per il quale ci siamo affannati, rimane tutto qui. Un unica cosa ci portiamo, come capitale, nella vita definitiva: le opere fatte, cioè il bene che si è fatto. Vedete, noi siamo immersi nell oceano d amore di Dio, ne possiamo percepire dei frammenti, quando lo accogliamo e lo trasformiamo in una maniera nuova, inedita, di perdono, di amore, di condivisione generosa, quelli sono tutti tasselli che noi mettiamo nella nostra esistenza, in maniera definitiva, cioè perpetua. Il bene concreto che io posso fare oggi, questo rimane per sempre. Questo è il bagaglio con il quale entro nella vita definitiva. Tutto il resto si lascia. Quindi l unica cosa che ci accompagna e che ci segue sono le opere di bene, le opere buone che si sono compiute a beneficio degli altri. Allora, detto questo, credo e spero che, almeno da stasera, la morte faccia meno paura. Non al punto da diventare desiderabile. C è S. Paolo, in una delle sue lettere, che dice sia la morte tanto bella che non so più se mi conviene stare con voi o andare col Signore. Dice, ma siccome c è tanto bisogno, meglio che sto ancora un po qui Non fino a questo punto, ma ecco, la morte, quel momento inevitabile della nostra esistenza, va affrontato con serenità perché noi non ne faremo esperienza. I nostri cari, se lo vorranno, ci sperimenteranno vivi, viventi e vivificanti.

Bene, vi ringrazio.