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PIRAPARAPAPERAPARAPAPERA…

 

(P.Muri.)

Ma guardalo il Roberto professore….conosce tutto il testo a memoria conosce.

Lucio, seppur completamente brillo, i suoi vocalizzi non li sgarra neanche un po’.

Francescone mi sembra quello più sobrio, oltre che quasi impassibile nello strimpellarsi i suoi due accordi due.

Piuttosto mi sfugge quante barbe e baffi son presenti e, ancor di più, se in quelle tante bottiglie sui tavoli è rimasto qualche goccio, aspettando pazientemente di finire nel gargarozzo del più lesto.

Mondo sconvolto

Dalla Premessa di

                              “Un dolore infinito

di Rita Clemente

“….madri negli ospedali, tutte intabarrate di nero, piangevano sui corpi squarciati dei figli. Una madre irachena, rattrappita nel suo dolore, senza più lacrime sul corpicino della figlioletta uccisa mi è rimasta inchiodata nella memoria……”

 

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Piccole cose che contribuiscono ad abbellire il mondo

di Piero Murineddu

Alla fine, ciò che conta è il proprio piccolo contributo per rendere il mondo migliore e anche più bello.

Pasquetta. Una bellissima giornata che ha permesso la tradizionale uscita all’aria aperta, con lo scopo e la speranza di attenuare almeno un po’ i normali malumori che, per chi più o più meno e disparati motivi, i tempi che viviamo provocano.

Di questa giornata sono quattro le cose che l’hanno resa particolarmente bella:

1) Principalmente il ritorno della mia amata figlia da uno dei suoi sempre più frequenti viaggi fuori dall’isola per motivi che a voi non interessano. È sempre una grande gioia per un genitore riabbracciare la propria creatura che, arrivata ad una certa età, non manca ormai molto per intraprendere la sua vita fuori dal “controllo” di babbo e mammà, presumibilmente in luoghi lontani da dove è cresciuta.

2) L’altra cosa è ancora legata all’essere genitori, ovvero poter trascorrere delle liete ore con tuo figlio, ormai adulto e residente solitamente lontano dal nido dove è cresciuto, contento della vita che si è scelto.

3) Terza cosa. Trascorrere delle lietissime ore insieme a tua moglie, compagnia indissolubile di una vita, condivisa tra tante gioie e altrettante fatiche.

4) L’ultimo motivo che hanno abbellito questa giornata è una cosettina che per molti può apparire persino banale, e forse lo è, almeno per chi ha dei metri di giudizio completamente diversi dai miei. Mi fa pensare e fa ben sperare che ancora c’è qualcuno che cerca, nella propria limitata possibilità, di far gioire altri delle proprie piccole iniziative e intuizioni.

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A me, il vedere queste bici ormai in disuso, ripitturate alla benemeglio e usate come porta fiori, nella loro estrema semplicità ha provocato una grande gioia, quasi tutta interiore. Di quelle sensazioni che provi solo tu ed è unutile farne partecipi altri in quel momento, che magari hanno la “testa” altrove e non possono capire.
Spero che adesso, leggendo, qualcun altro capisca quanto ho provato io con questa bellissima e semplicissima visione.

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Sul dissentire

 

di Piero Murineddu

Era un po’ che non compravo “La Repubblica”. Motivo? Più di uno, compreso l’atteggiamento politicamente cerchiobottista di comodo del 94enne fondatore Eugenio, arrivato in questi giorni a virgolettare parole di Francesco che tali non sarebbero, facendo dire al triste Socci Antonio che Bergoglio dovrebbe ormai fare le valige (!). Anto’, ma perché non te ne stai bonino e pensi alla tua candid’animaccia?

Ma lasciamo stare. Dico piuttosto perché oggi l’ho comprata ‘sta Repubblica: l’intervista ad Alberto Maggi, motivo validissimo per passare in edicola.

Non sai chi è Alberto Maggi e sei interessato a saperlo? Hai internet a portata di dito. Vacci e cerca.

Ho letto con grande piacere e qualche cosa la voglio mettere in rilievo.

Impiegato al Comune e pure fidanzato. Prima ancora in una fabbrica di cravatte: normali, lusso ed extralusso. Cambiava solo la confezione. Qui capisce l’idolatria e l’opera di persuasione della pubblicità, che ci rende tutti degli imbecillotti.

Ad un certo punto: paffette….decide di farsi frate. Non l’avesse mai detto in casa! Il padre gli da’ una busta contenente dei soldi e gli dice di non farsi più vedere, mentre la mamma pensa che sia uscito fuori di testa.

Da subito i suoi superiori si accorgono che Alberto avrebbe creato problemi, e il padre provinciale dei “Servi di Maria”, lo stesso Ordine di David Maria Turoldo di cui era grande estimatore e che il giovanotto aveva scelto perché è l’unica congregazione a non aver avuto un fondatore (“ho sempre pensato che la figura del fondatore mettesse in ombra quella di Gesù”) fu mandato praticamente in un posto per renderlo innocuo e impossibilitato a diffondere le sue “eresie” e, come spesso fa il Potere, impedirgli di disturbare il manovratore. Inevitabilmente il pensiero va a don Milani, ma anche allo stesso Turoldo, “invitato” a girovagare per il mondo perché troppo “disturbatore” dell’insegnamento ortodosso dottrinale.

Montefano, nelle Marche, in un vecchio convento dove vi era un frate in attesa d’intraprendere la vita eterna ( nessun “aldilà”, dice Maggi. In altra forma, ma tutto “quaggiù”. Vita e morte, due aspetti dello stesso “Dono”: una Vita che non avrà mai fine).

Col tempo, con l’aiuto di amici e dei proventi della vendita dei suoi libri, il convento si rinnova, diventando un Centro Studi biblici che è un piacere vederlo e frequentarlo.

Proprio rompiballe Alberto! Arriva a dire – pensate un po’ – che anche la figura del direttore spirituale è una forma di potere. Tutto parte dalla Misericordia (ricordate quella “strana” cosa di cui parlava Gesù?), e la risposta per continuare a fare il prete Alberto l’ha trovata nel rapporto con gli altri, sopratutto se emarginati. L’altro, qualunque altro, bisogna servirlo con il cuore.

Continuo con una esperienza personale.

Si capisce quanto possano dare fastidio coloro che non sono perfettamente “inquadrati” e difficilmente, se non addirittura impossibile, inquadrabili. In qualsiasi campo. In questo caso per quanto riguardo questioni legate ad un credo e ad una visione della vita. Eterni scontenti. Sempre qualcosa da ridire su tutto. Di quelli che la maggior parte dei preti (e dei “bravi fedeli”) guardano con diffidenza e bisognosi di ricondurre nell’ovile.

Personalmente io mi considero tra questi. O meglio, altri mi considerano tale. “Cani sciolti”, insomma.

Bau bau bau…… Oh, quanto da’ fastidio, specialmente ai benpensanti e beninquadrati !

Un mese fa circa, stimolato dalle parole di Francesco riguardo alle Messe di suffragio (che non si pagano), avevo rilanciato la vicenda attraverso uno scritto, provocando normali reazioni. Dopo ben venti giorni, interviene una mia “amica” feisbuchina, che tra l’altro, essendoci stata la possibilità di conoscerci di persona, vivendo nel paese vicino al mio, non mi aveva minimamente c…… Ecco, questa amica sifaperdire, dopo un argomentare pieno di contraddizioni, mi aveva definito “fomentatore di odio”, perché, evidentemente ai suoi occhi, certe cose non bisognerebbe dirle e minimamente toccarle. Ho tentato un minimo di dialogo. Tutto inutile.

Voglio dire, con l’esempio fatto, che per certi, troppi, bisogna abbassare la testa e seguire ciò che l’Autorità Costituita indica, senza permettersi di obiettare, e se lo fai, non sei più un “buon cattolico”.

Che c’entra con Maggi? Vedi tu.

Intanto, visto che siamo a Pasqua e chissà quanto cibo si è ingozzato, a questi e ad altri che sono convinti che “non bisogna discutere, ma solo obbedire” dico, naturalmente con tutta la cordialità possibile:
andate a c….. e fattene una bella grossa. Auguri

 

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Questo é l’ articolo su Repubblica. É illeggibile, ma giusto come prova che non mi sono inventato niente

Per i nostri peccati o per cosa?

Alberto Maggi ha scritto l’anno scorso questo articolo, ma la sua validità rimane tutta intera.

Un piccolo avvertimento. Se non hai voglia di mettere in discussione la tua irremovibile fede così come ti è stata sempre insegnata e tramandata, evita di leggere quanto dice  padre Maggi, e ancora meno, quanto dico io al termine. Stattene tranquillo e Buona Pasqua a te

(P.Muri.)

No, Gesù non è morto per i nostri peccati

 

di Alberto Maggi

Gesù Cristo è morto per i nostri peccati. È questa la risposta che si dà normalmente a quanti chiedono come mai il Figlio di Dio abbia finito i suoi giorni nella forma più infamante per un ebreo, il patibolo della croce, la morte dei maledetti da Dio (Gal 3,13).

Gesù è morto per i nostri peccati. Non solo per i nostri, ma anche per quegli uomini e donne che lo hanno preceduto e quindi non lo hanno conosciuto, e perfino per tutta l’umanità che verrà. Se è così, è inevitabile che guardando il crocefisso, con quel corpo che è stato torturato, piagato, rigato da fiotti e grumi di sangue, quei chiodi che squarciano la carne, quelle spine infilzate nella testa di Gesù, chiunque si senta in colpa… il Figlio di Dio è finito sul patibolo per i nostri peccati! Sensi di colpa che rischiano di infiltrarsi come un tossico nel profondo della psiche umana, diventare irreversibili al punto da condizionare per sempre l’esistenza dell’individuo, come ben sanno psicologi e psichiatri ai quali non manca il lavoro con persone religiose devastate da scrupoli e turbamenti.

Eppure basta leggere i vangeli per vedere che le cose stanno diversamente. Gesù è stato assassinato per gli interessi della casta sacerdotale al potere, terrorizzata dall’idea di perdere il dominio sul popolo, e soprattutto di vedere svanire la ricchezza accumulata a spese della credulità delle persone.

La morte di Gesù non è dovuta soltanto a un problema teologico, ma economico. Il Cristo non era un pericolo per la teologia (nell’ebraismo erano molte le correnti spirituali che competevano tra esse ma che erano tollerate dalle autorità), ma per l’economia.Il delitto per il quale Gesù sarà eliminato è l’aver presentato un Dio completamente diverso da quello imposto dai capi religiosi, un Padre che ai suoi figlioli non chiede, mai, ma che dona, sempre. La florida economia del tempio di Gerusalemme, che ne faceva la banca più sicura di tutto il Medio Oriente, si reggeva sulle imposte, sulle offerte, e soprattutto, sui rituali per ottenere – a pagamento – il perdono di Dio. Era tutto un commercio di animali, di pelli, di offerte in denaro, frutta, grano, tutto per l’onore di Dio e le tasche mai sature dei sacerdoti, “cani avidi, che non sano saziarsi” (Is 56,11).

Quando gli scribi, le massime autorità teologiche del paese, ritenute il magistero infallibile della Legge, vedono Gesù perdonare i peccati a un paralitico, immediatamente sentenziano: “Costui bestemmia!” (Mt 9,3). E i bestemmiatori dovevano essere subito uccisi (Lv 24,11-14). L’indignazione degli scribi può sembrare una difesa dell’ortodossia, in realtà è volta a salvaguardare l’economia. Per il perdono dei peccati, infatti, il peccatore doveva andare al tempio e offrire quel che il tariffario delle colpe prescriveva, secondo l’entità del peccato, elencando dettagliatamente quante capre, galline, piccioni o altro offrire in riparazione dell’offesa al Signore. E Gesù invece perdona, gratuitamente, senza invitare il perdonato a salire al tempio per portare la sua offerta.

“Perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,37) è infatti lo sconvolgente annuncio di Gesù: appena due parole che però rischiano di destabilizzare tutta l’economia di Gerusalemme. Per ottenere il perdono da Dio non c’è più bisogno di andare al tempio, di portare delle offerte, di sottostare a riti di purificazione, nulla di tutto questo. No, basta perdonare e si viene immediatamente perdonati… E l’allarme cresce, i sommi sacerdoti e gli scribi, i farisei e i sadducei sono tutti inquieti, sentono franare il terreno sotto i piedi, finché, in una drammatica riunione del sinedrio, il massimo organo giuridico del paese, il sommo sacerdote Caifa prende la decisione. Gesù va ammazzato, e non solo lui, ma anche tutti i discepoli perché non è pericoloso solo il Nazareno, ma la sua dottrina, e fintanto ci sarà un solo seguace capace di propagarla, le autorità non dormiranno sonni tranquilli (“Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui…”, Gv 11,47). E Caifa per convincere il sinedrio dell’urgenza di eliminare Gesù non si rifà a temi teologici, spirituali, no, il sommo sacerdote conosce bene i suoi, quindi brutalmente tira in ballo quel che sta a loro più a cuore, l’interesse: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo…” (Gv 11,50). Gesù non è morto per i nostri peccati e tantomeno perché questa fosse la volontà di Dio, ma per l’avidità dell’istituzione religiosa, capace di eliminare chiunque intralci i suoi interessi, fosse pure il Figlio di Dio: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità” (Mt 21,38). Il vero nemico di Dio non è il peccato, che il Signore nella sua misericordia riesce sempre a cancellare, ma l’interesse, la convenienza, l’avidità, che rendono gli uomini completamente refrattari all’azione divina.

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E allora, per i nostri peccati o per cosa?

di Piero Murineddu

“Il delitto per il quale Gesù sarà eliminato è l’aver presentato un Dio completamente diverso da quello imposto dai capi religiosi”

O santiddiobenedetto, certo che quest’affermazione di Maggi un po’ d’inquietudine la crea, ammettiamolo.

Ci hanno sempre detto che Gesù è morto per i nostri peccati, per “redimerla” questa benedetta umanità ultrapeccatrice. E come ?Ma versando il suo sangue, si capisce. E così facendo, avrebbe placato l’ira di quel Dio che se ne stava sempre chissà dove, perennemente incazzato e col muso lungo perché l’uomo, da Lui creato, voluto o pensatela come volete, si era permesso di disubbidire alle sue disposizioni. Quando? Ma all’Origine di Tutto, si capisce.

Leggendo il pensiero di Alberto l’ “Ereticone” vieni a sapere invece che Gesù è stato fatto fuori per la solita permalosità di chi detiene il potere che, qualunque esso sia, non ha mai permesso a nessuno di essere messo in discussione. Se poi di mezzo c’è la grana, uuhhhhhh….allora la cosa si fa seria e dolorosa.

In questi giorni ci commuoveremo, cosa che non fa mai male. Parteciperemo ai “sacri” riti, specialmente a quelli strappa lacrime, spettacolarmente “suggestivi”, ci batteremo il petto finanche quasi a sfondarcelo…..

Tutto fino a Pasqua, quando finalmente avrà termine la lagna e potremo abbuffarci di cioccolato e riempirci la panza di quei poveri e teneri agnellini.

A seguire? A seguire il solito e normale tramtram:

prima gli italiani e gli altri se ne vadano in affanculo

guai chi tocca i principi su cui si fonda la civile Europa,

lontano dagli occhi chi disturba i turisti e deturba il paesaggio rovistando nei cassonetti o che osa ancora chiedere l’elemosina.

E poi ancora tutti commossi per la morte di un presentatore televisivo ma indifferenti verso le migliaia di bambini dilaniati dalle civili bombe, comprese quelle italiane (costruite per dare il lavoro che manca, si capisce).

Continueremo a irritarci quando la “lurida zingara” insisterà per spillarci qualche spicciolo, specialmente quando stiamo per entrare nel sacro tempio per adempiere ai sacri doveri religiosi…….

Che dite, mi sono allontanato dal tema iniziale, cioè se Gesù è morto o no per i nostri peccati? Fate voi. Intanto so con certezza da quale parte sta Lui, qualunque sia l’Intoccabile Dottrina che hanno messo su coloro che di Lui si sentono portavoce e ufficiali divulgatori………

E dato che ci sono, la mia la dico chiara chiara : di ciò che ci ha indicato di fare Quello là, stringi stringi non ce ne frega una minchia, e noi continuiamo bellamente a farci i cazzacci nostri. Punto

Albino, giovane prete, chinato il capo pianse amaramente

Premessa

di Piero Murineddu

Irene ha pianto, di rabbia e di tristezza, quando la giovane – mamma di quattro bambini di cui uno gravemente disabile e che non può raggiungerlo a Varese dov’è ricoverato perchè non ha neanche i soldi per il biglietto e per stare vicino al figlio per qualche giorno – quando la giovane, dicevo, le ha riportato il cesto prestatole con ancora dentro le palmette rimaste invendute. Domenica delle Palme 2018. La Settimana Santa iniziata tristemente e con poco cibo sulla tavola. Si è presentata sul sagrato della chiesa, la giovane donna, per vendere le crocette intrecciate con le sue stesse mani. Splendide crocette. E’ stata letteralmente scacciata da altri concorrenti, sicuramente bisognosi ma col “vantaggio” di essere italianissimi. “Prima gli italiani !“, si è sentito sbraitare in questa recente campagna elettorale. “Prima gli italiani !“, si continuerà a sentire sempre più forte d’ora in avanti.

La giovane mamma, poco più grande di mia figlia, si è spostata poi al supermercato, ma anche lì “ l’abbiamo già comprata in chiesa…”

Quando Irene mi ha raccontato, ho sentito un forte nodo alla gola. Quando oggi ho letto questo racconto che Rita mi ha mandato, il nodo si è finalmente sciolto in lacrime, lacrime che mi aiutano a continuare a rimanere umano, per quanto sempre più difficile stia diventando.

Grazie Irene

Grazie Rita

Grazie Albino

 Grazie Mohammed  

Grazie Joooooooooooosh

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“Se lui non c’è, me ne vado anch’io”

di Rita Clemente

– Guarda che meraviglia! E’ un’opera del ‘700, scuola di maestri bolognesi. E ha anche un discreto valore economico; il legno è frassino puro. Guarda, ha degli occhi! Sembra che ti stia fissando per dirti qualcosa.

Don Albino, come stregato, guardava quel crocifisso a grandezza naturale, scultura lignea che campeggiava nel bel mezzo della parete grande della sala parrocchiale. Ciò che colpiva di più, in effetti, era lo sguardo del Cristo. Era proprio vero che “voleva dir qualcosa”. Non uno sguardo sofferente, occhi semichiusi, corrugamento di dolore, come di solito si vede nei crocifissi. Ma aperto, franco, diretto, che ti fissava assorto. Quasi come lo sguardo dei Cristi delle chiese orientali.

– E’ il pezzo più di valore della nostra Chiesa – continuò don Franco, il parroco, spiegando quella meraviglia al giovane prete che gli avevano mandato, come aiutante e viceparroco, fresco fresco di Ordine ricevuto.-

Per questo l’abbiamo messo qui, nella sala grande. Pensa, persino il vescovo ce lo invidia!

Don Albino era nuovo di quella parrocchia. La sua prima attività pastorale. Ma era pieno di zelo e di entusiasmo: donarsi, annunciare il vangelo, fare nella vita qualcosa di grande. Ecco perché beveva avidamente tutto quello che il vecchio parroco andava insegnandogli. Era già stato presentato al Consiglio pastorale e aveva conosciuto tutti quelli che in Parrocchia “contavano”. Poi le donne. Un gruppetto molto attivo che si dava da fare non poco per mantenere la Chiesa lustra e pulita.

E’ bella la nostra Chiesa – diceva Margherita, cosiddetta la “capa” – bellissima. Una perla. L’hanno fatta così bella in questo quartiere. Sai, la maggior parte della gente di qui sono gente per bene. Tutti vengono a Messa, iscrivono i figli a catechismo e insomma…diciamo che va bene. Ma più in là, vedi?, là, oltre lo stradone…Dove ci sono quelle case giallo sporco. Lì l’ambiente te lo raccomando. Mangiapreti senza Dio. Gente che vive di espedienti. Rubacchia. Zingari. Extracomunitari. Don Franco fa quello che può, poveretto, mah….. la situazione peggiora di giorno, in giorno…

C’è una messe abbondante laggiù – pensava intanto don Albino – ci sarà da lavorare”. Ma non disse niente alla solerte Margherita.

Domenica. Don Albino arrivava sempre trafelato alle 9.30 in punto sulla sua motoretta. A causa della scarsità di preti, al mattino gli toccava andare in un paese vicino, distante otto km, a dir messa presso la Casa di riposo “Anni Azzurri”. E poi, doveva organizzare tutto per la messa delle 11,30: il coro, le letture, le preghiere, qualche confessione, le attività della settimana, le donne che gliene contavano sempre una e via dicendo. Non aveva un attimo da rifiatare. Per questo arrivava sempre puntuale. E ogni volta, sia che spaccasse il sole, sia che tirasse vento, sia che piovesse a dirotto, lo trovava sempre lì. Col cappuccio sulla testa o le maniche della camicia a quadri tirate su. Lì con la sua povera mercanzia: fazzoletti, calzini, cinture, qualche tovaglia di plastica. Salutava e non diceva altro. Aspettava. Qualcuno gli metteva in mano una monetina, spesso senza neppure guardarlo. E lui diceva sommessamente: “Grazie, Dio ti benedica”. Pochissimi compravano qualcosa. E lui lì, in piedi contro lo stipite della porta o seduto sul gradino. Con un sorriso umile e il suo “grazie, Dio ti benedica” sempre pronto sulle labbra.

Aveva tanta fretta, don Albino, ma…

– Ciao. Mi daresti dei fazzoletti? Sono molto raffreddato

– Sì. Quanti pacchetti? Uno, due…

– Dammene due, va. Questo raffreddore…

Lui sorrise…

– Tempo brutto …

– Già. E tu, non hai freddo, con quella maglietta leggera?

– Io no freddo. Io bitoato.

– Tieni 10 euro. No, non darmi il resto. Come ti chiami?

– Grazie. Mohammed.

– E vieni da dove?

– Io vengo da Marocco. Vicino Rabat.

– Ah, il Marocco! fa caldo lì, vero?

– Sì, caldo. Molto caldo.

– E hai famiglia?

– Mia familia Marocco. Molia e tre fili.

– E tu, lavori, Mohammed?

– Io no lavoro. Io lavorato. Muratore. Adesso non ce l’ho lavoro.

– Ah! E’ un momento difficile. Come si chiamano i tuoi bambini?

– lGrande, Samir. Secondo, Abdullah. E – gli occhi dell’uomo brillarono – e ultima, Karima…

– Karima! Che bel nome, per una bimba!

– Sì, lei bella ma lei malata. Core. Lei bisogna molte, molte medicine.

Don Albino scosse la testa. Chissà perché, gli venne in mente una frase sentita, ma da chi?

raccontano un sacco di bugie, poi li vedi la sera nei bar che bevono e fanno baldoria

Ma lo sguardo di Mohammed gli sembrava così dolce, così indifeso!

– Don Albino, ti cercano! Lucetta del coro sta impazzendo, con questi ragazzi

– Vengo, vengo! Scusa, devo scappare. Ci sentiamo ancora. Ciao.

– Sì. Ciao, ciao.

Lo rivide più e più volte. Sempre puntuale, con la sua mercanzia. Montava alle 9.00 e smontava alle 12.00 con qualsiasi tempo. Erano diventati amici. Ogni domenica, don Albino comprava qualcosa. Non gli piaceva fare l’elemosina. Gli sembrava di ferire la dignità di quell’uomo che vendeva le sue cose, non chiedeva l’elemosina. Ormai aveva fatto la scorta di cinture, calzini, fazzoletti. Anche due tovaglie di plastica aveva comprato e le aveva regalate: una alla madre e una alla sorella. E sapeva tutto di Karima ormai, la bambina ammalata di cuore.

Quella domenica in Chiesa si celebrava un matrimonio. Hassad guardava stupito tutto quell’andirivieni di gente ben vestita che entrava e usciva, ragazze con gambe e braccia nude, capelli biondi e sciolti, bellissime, quasi irreali. Ma nello stesso tempo i suoi occhi mobilissimi e vivaci seguivano la traiettoria delle mani che s’infilavano nelle tasche o nelle borsette e da portafogli, portamonete, borsellini di tutte le taglie e misure come per incanto usciva la monetina tintinnante che andava a posarsi in quel cestino che – menomale! – si era portato dietro, oltre alla solita mercanzia. 50 cent., un euro, qualche volta due euro! E qualche volta – o buon Allah! – perfino, perfino una moneta di carta (che lui sapeva, con la sagacia di chi impara in fretta il prezzo della vita, valere molto, molto di più!). Hassad guardava affascinato i cesti di fiori bianchi e rosa che arrivavano uno dietro l’altro, il tappeto rosso che si srotolava lungo tutto il corridoio della Chiesa, fino lì, lì in fondo e le ragazze…. Ma non abbandonava mai con gli occhi lo zio Mohammed che, seduto sul gradino di fronte, ogni tanto tossiva, tossiva e doveva abbassare la testa e soffiarsi il naso e sputacchiare dentro un fazzoletto…Per questo lui ormai lo accompagnava, perché lo zio era malato e non poteva stare attento ai soldi, ma di soldi c’era un gran bisogno laggiù in Marocco, per questo lui – vispo ragazzo ormai 15enne – era venuto fino in Italia, su un barcone era venuto e per poco non ci aveva rimesso la pelle…

Se ci pensava…lui non sapeva nuotare e a un certo punto il barcone aveva fatto su e giù, su e giù, come un tronco di palma scosso da un vento forte, tutti si erano messi a gridare… e lui era caduto in mare! Per fortuna, Allah era stato benevolo con loro e un peschereccio li aveva raccolti, non ricordava come, ricordava solo due forti braccia che lo avevano preso e portato all’asciutto. E poi la strada, quanta strada, perfino nascosto in un camion in mezzo a cesti con galline che starnazzavano (il conducente era stato bravo: lo aveva tirato su che quasi sveniva), per arrivare in questa città strana, dove c’era il fratello di sua madre. Il nome di questa città l’aveva imparato subito: Torino. E solo Torino aveva sulle labbra, altro non sapeva dire. Così, quando si era fermato, affamato e infreddolito, vicino a quel distributore di benzina, l’uomo del camion l’aveva visto. “Dove vai?” gli aveva chiesto e altre cose che Hassad non aveva capito, ma gli era bastato dire la parola magica: “Torino”. “Dai, monta su” aveva detto l’uomo, ma lui aveva capito il gesto più che le parole. Era montato sul camion e il guidatore gli aveva dato un panino e una lattina di Coca Cola, poi lo aveva fatto nascondere dietro, in mezzo alle ceste piene di galline. Così era arrivato a Torino.

C’erano tante cose in questa città, ma per lui solo questo contava, il suo unico punto di riferimento: il fratello di sua madre! Zio Mohammed lo aveva aiutato come aveva potuto, dividendo con lui un pasto e un pezzo di letto (dormivano in cinque in una stanza), ma adesso che lo zio era ammalato, toccava a lui aiutarlo! Ecco perché il suo occhio vigile, nonostante le distrazioni affascinanti, non lo lasciava un minuto.

A un certo punto, vide lo zio ripiegarsi su se stesso: un accesso di tosse più violento degli altri lo stava squassando e stava sputando, una roba giallastra con striature rosse, sputando per terra perché non ce la faceva più a tenersi e non aveva più niente con cui pulirsi, di fazzolettini ne aveva tanti, ma doveva venderli! Hassad ebbe paura e si guardò intorno smarrito: cercava un volto amico, magari quel prete, l’unico che gli aveva rivolto la parola una o due domeniche prima, gli aveva chiesto come si chiamava e se andava a scuola: “Hassad – gli aveva risposto – io scola”.

Il suo italiano era ancora ai minimi termini. Ma quel prete non c’era. C’era un donnone invece, che si parò davanti a lui e gli gridò frasi incomprensibili. Lui non capiva niente, ma una parola la capì, bella chiara: la parola “polizia”. Sapeva che cosa significava: essere presi, portati in un posto brutto, molto brutto. Un suo amico c’era stato. Poi aveva cercato di scappare, aveva morso la mano di un poliziotto e l’avevano portato in prigione. Hassad non voleva andare in un posto così. Suo zio era malato e forse moriva in un posto così. E Karima? E le medicine? No, lui da grande voleva sposare Karima. Balzò in piedi. Afferrò lo zio per un braccio e lo tirò su. Gli disse qualcosa, in quel loro dialetto dalla energica espressività gutturale. Qualcosa che fece spaventare l’uomo. Come d’incanto, raccolsero in fretta le loro povere cose e si dileguarono.

Andate via, non vedete che sporcate la Chiesa? Andate via, questa è la nostra Chiesa! Via di qui o chiamo la polizia!

Queste parole, don Albino le sentì distintamente. Margherita era una brava donna, certo, ma spesso non sapeva quel che diceva. Questa però no, non gliel’avrebbe fatta passare. Chi era lei per mandare via delle persone in malo modo? Delle persone! Don Albino stava confessando, ma si alzò come una furia e corse fuori. Corse a cercare Mohammed e Hassad: doveva, doveva chiedere scusa per le parole imprudenti di Margherita. Ma non li vide più. Con un sospiro accorato, tornò in Chiesa:

“Presto, don Albino, gli sposi stanno arrivando!” qualcuno gli disse. Scrollando il capo, finì di confessare, fece recitare l’atto di dolore e poi andò in sacrestia a cambiarsi. Doveva celebrare il matrimonio. Ma in testa aveva un pensiero fisso. Una specie di tarlo.

Devo chiedere scusa, devo chiedere scusa! Come annunciamo il Vangelo, se mandiamo via i poveri? Torneranno, torneranno, e gli chiederò scusa!”

Ma Mohammed e Hassad non si fecero più vedere. Non la domenica successiva, né l’altra, né l’altra ancora. Don Albino aveva una spina nel cuore. Poi il tempo passa, le cose da fare sono tante, tantissime. Non si può stare con il pensiero fisso sempre su un unico assillo! Lentamente, ma inesorabilmente, l’immagine dei due marocchini si fece sempre più fievole nella mente del giovane prete. Tante altre creature presero il loro posto. La messe era molta e lui sapeva di non avere tempo da perdere.

Una domenica – dopo quanto tempo? – uno strano tipo prese il posto di Mohammed. Si sedeva sui gradini della Chiesa e restava lì, dalle 9 alle 12, puntualmente, ogni domenica. Era un giovane alto, barbuto, piuttosto magro, anzi, piuttosto patito in viso. Volto dal colorito olivastro, non aveva le fattezze tipiche degli Arabi. Avrebbe potuto essere indifferentemente un italiano o uno straniero. Un tipo mediterraneo magari, questo sì. Vestiva in modo che si sarebbe potuto definire trasandato: un paio di jeans sdruciti, una casacca rossa, stile indiano. E i sandali ai piedi. Sedeva e guardava avanti a sé. La cosa strana era che non vendeva niente e non voleva niente. Spesso, come già faceva con Mohammed, la gente metteva mano al portafogli, al portamonete, al borsellino e ne tirava fuori la monetina sonante… ma lui alzava il palmo della mano e faceva segno di no. “No, grazie!”

Naturalmente, la gente chiacchierava. Non riuscivano a capire….

– Avete visto? – diceva una – sono andati via i marocchini e vengono i drogati.

– Che ne sai tu se è drogato? – ribatteva un’altra.

– Come no? – diceva una terza, anzi, un terzo – Io quei tipi lì li riconosco da lontano…

– Eppure non vuole niente. Soldi non ne raccoglie.

– Già, questo è strano. Chissà che si è messo in mente…è come se ci studiasse tutti.

– Magari vuole capire le nostre abitudini, per fregarci.

– Secondo me, voi vi fate troppe paranoie. Secondo me, è uno così e basta.

– Così come?

– Così, cioè …..strano ….ma…..non ha intenzioni cattive!

– E da che cosa lo deduci?

– E tu, da che cosa lo deduci, che è un delinquente?

– Delinquente, non so – si intromise una rispettabile signora – ma drogato…ci giurerei. Avete visto cos’ha sulla mano?

– Cosa?

– Una…una striscia rossa….sembra una ferita!

– Sì, e avete visto anche sulla fronte? Ci ha come tante punture di spillo!

– Ora che mi ci fate pensare, anche sui piedi! Sì, anche sui piedi ci ha una striscia rossa…

– E voi dite che non è drogato? Quello si buca, garantito!

– Ma perché spettegolate? – questa è la voce di don Albino, che coglie sul più bello il gruppo dei “commentatori” della domenica – Che ne sapete voi?

– Eh, don Albino, tu sei troppo buono, troppo fiducioso! Stai attento, comunque, io di uno che bazzica intorno alla Chiesa non si sa con che intenzioni, non mi fiderei!

– Voi esagerate!

– Esageruma nen, don Albino! In Chiesa ci sono anche cose di valore! Per esempio, il crocifisso ….

– Già, il crocifisso! Bisogna avvertire il parroco!

– Basta così. Il parroco lo avverto io. Andate, andate in pace. Sia lodato Gesù Cristo.

– Sempre sia lodato. Ma stia attento!

A don Albino non piacevano le chiacchiere da piazzetta. Ma quell’uomo sconcertava pure lui. Non capiva …che ci faceva lì tutte le domeniche?

“Eppure, ne verrò a capo” si disse.

Domenica di sole, primavera nell’aria. Ormai erano passati sei mesi dalla scomparsa di Mohammed e Hassad.

– Saranno tornati a casa loro – diceva la gente

– O ce li hanno rispediti. Erano clandestini.

– Sporchi e lerci dio sa come!

– Già. E venivano qui, a rovinare la nostra Chiesa!

Ma lui, lui era sempre lì. Don Albino allora prende il coraggio a due mani e gli si avvicina:

– Ciao. Posso fare qualcosa per te?

Il giovane si volta e lo guarda fisso. Don Albino ha un sussulto. Quegli occhi, dove ha visto quegli occhi? Uno sguardo intenso, profondo. Non gli è nuovo. Ma dove ha visto quello sguardo?

– Io non ho bisogno di niente, grazie.

Una voce profonda. Un sorriso luminoso su quel volto emaciato. E quello sguardo…

– No, è che…siccome da tempo ti vedo qui …volevo capire …

– Io vengo qui perché cerco il mio amico.

– Il tuo amico? Quale amico?

– Mohammed. Veniva sempre qui, tutte le domeniche.

– Ah, Mohammed. Ma è un pezzo che non viene più!

– Non viene più … – gli fa eco il giovane.

– So che era malato. Lo cercavo anch’io i primi tempi. Ma poi mi sono rassegnato.

– Io no.

– Comunque, non saprei dirti dove cercarlo. Non so dove abitava, forse non aveva neppure una dimora fissa …un po’ qua …un po’ là …da amici.

Il giovane si alzò in piedi.

– Grazie – gli disse – andrò a cercarlo altrove. Andrò via di qua. Se non c’è lui, me ne vado anch’io.

– Se posso fare qualcosa….Come ti chiami? – ma il giovane s’era già allontanato. Si girò:

– Mi chiamo Jooooosh…. – gridò nel vento

“Si chiama Josh – disse tra sé don Albino – almeno così ho capito”.

Qualche notte dopo don Albino fece uno strano sogno. Sognò di essere in una sala grande, con tante candele le cui fiammelle ondeggiavano, quasi ci fosse un vento leggero che le scuotesse. Era seduto, ma in piedi, davanti a lui, c’era quel giovane misterioso che si chiamava Josh. Lo guardava, con quel suo sguardo enigmatico.

– Che ci fai qui, Josh? – gli chiese

– Sono venuto a riprendere la croce

Don Albino realizzò di trovarsi nella sala parrocchiale. Ma con suo grande stupore, vide che la croce era vuota. Il crocifisso non c’era più. E allora accadde una cosa strana. Josh andò verso il muro, staccò la croce e se la pose sulle spalle..

– Josh, che fai? – si sentì dire, o forse lo pensò soltanto.

– Porto via la croce. Questa è la croce di Mohammed e io devo aiutarlo a portarla.

Fu allora che don Albino se ne rese conto. Gli occhi di Josh, gli occhi del crocifisso …erano gli stessi occhi! Josh, Jeoshua, Gesù….

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io.

Risentì quella frase. Poi il silenzio. Le candeline si spensero. Vagava in un buio assoluto. Disperatamente cercò di scuotersi, di uscire da quella tenebra … e si svegliò.

La domenica le campane suonano. Bisogna fare in fretta. C’è tanto da sbrigare! I canti, le letture, gli avvisi, gli impegni della settimana, la messa, poi i saluti, i colloqui, i bambini, i fidanzati, gli anziani, saluta questo e quello, fissa gli appuntamenti, va bene, buona festa, a domani, Si ritrovano da soli, lui e don Franco.

– E anche per oggi, ringraziando Dio, è fatta. E domenica prossima tutti in Duomo per la funzione solenne. Come ci tiene, il vescovo!

– Bene – rispose distrattamente don Albino. L’impressione del sogno della notte prima ancora lo teneva soggiogato e non sapeva districarsene. Era come immerso in un’atmosfera cupa e misteriosa.

Entrarono nella sala grande. Mentre Giuanin il sacrestano aiutava don Franco a togliersi e a riporre i paramenti sacri, lo sguardo di don Albino corse sulla parete e…quale fu il suo stupore quando vide una croce…una grande, immensa croce fatta di tinta scolorita sul muro…. Un’orma, soltanto più un’orma di croce.

– Don Franco! – gli venne quasi un urlo

– Che c’è? – rispose meravigliato il vecchio parroco

– Il crocifisso…dov’è il crocifisso?

– Ah, il crocifisso! Già, te lo dovevo dire. L’ha voluto il vescovo, per la funzione solenne. Lo sai che ci andava matto. Ieri sera sono venuti due della Curia a prelevarlo. Che, gli potevo dire di no?

– E …e tornerà?

– E chi lo sa. Speriamo. Ma con i vescovi, non si sa mai! E poi, qui non era al sicuro. Mi hanno detto le donne…che gira brutta gente qui attorno…e questo è un pezzo raro…mi sento più tranquillo se rimane lì.

Beh, io vado. Tu ti fermi ancora?

– Solo dieci minuti. Metto a posto delle carte…

– Va bene. A rivederci allora. Chiudi bene la chiesa. Sia lodato Gesù Cristo

– Sempre sia lodato.

Don Franco e Giuanin uscirono. Don Albino rimase solo. Fissava quell’orma di croce, senza più crocifisso, senza sguardo, senza amore, senza niente. Solo un’orma

– Se lui non c’è, me ne vado anch’io – aveva detto.

Chiuse bene la porta della sacrestia e andò in chiesa. La chiesa era silenziosa, vuota. Fredda. E questo lui sentì. Un gran vuoto, un gran silenzio. Un gran freddo interno. Un gran dolore. Per Mohammed, per Hassad, per Karima, malata di cuore, per Josh, per tutte le creature le cui croci si vedono passare vive e stillanti sangue, fame, dolore, fatica, paura. “Tante croci intorno a noi – pensò. – E che non valgono niente. Non come una croce di prezioso frassino. Niente di niente”.

Chinò il capo, e pianse, amaramente pianse.

L’insegnamento di Gesù? Tanti piccolissimi gesti per sconfiggere il nostro egoismo

di Piero Murineddu

Addirittura due Messe questo fine settimana. Una ieri, in occasione del funerale di uno zio acquisito. Nonostante una scrupolosità massima nei controlli medici, un improvviso infarto e via, verso l’estremo Viaggio. Messa in una “cattedrale nel deserto” della periferia sassarese, omelia incentrata nell’elencare prevalentemente le doti di quest’ottantenne molto attivo nella vita sociale ed ecclesiale della zona.

A fine Messa, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi ad una signora poco distante, di cui avevo apprezzato la bella voce nel cantare: “Ma conosceva don Tonino Sanna?” – “Don Tonino chi?” – “Il parroco di Porto Torres…” – ” Don Sanna? Iiihhh, se lo conoscevo…” – ” Sa, l’ho capito perchè al Padre Nostro invece di dire  non ci indurre in tentazione ha detto non ci abbandonare nella tentazione..” E ancora qualche bla bla bla con spontaneo e caloroso abbraccio conclusivo.

Durante la fila per le dovute condoglianze, mi reco dal parroco celebrante, principalmente per congratularmi per l’umanissime parole usate e, dato che c’ero,per rilevare il freddino e l’acustica non perfetta di questo grande edificio: “ E che, per criticare sei venuto?” Ma no, santiddio, giusto un mio parere. E poi mi sono anche congratulato per l’apprezzabile “omelia”!

Ah, la suscettibilità di certi preti !!

Oggi usuale tappa a Porto Torres. Pensate, non avevo capito del cambiamento d’orario, per cui, chiestolo ad un passante, mi è venuto giusto giusto per partecipare alla Messa delle undici al “Cristo Risorto“, dove solitamente mi recavo per ascoltare il mio buon don Tonino che oggi, e in eterno, se la sta cantando e suonando nel Regno, quello che aveva contribuito a costruire già negli anni che ha percorso su questa terra.

Gente a non finire. Giusto, oggi è Domenica delle Palme. Venditori con le loro ceste all’entrata, “fedeli” all’interno con il mazzetto misto  ulivo e palmetto ben impugnato e pronto per prendersi almeno una goccina dell’acqua  “benedetta” che di lì a poco il giovane parroco barbuto avrebbe provveduto a spargere con un buon slancio del braccio.

Naturalmente, tutti col mazzetto ben in alto, per essere certi che la “benedizione” arrivasse garantita e non rischiare che, arrivati a casa, si venisse rimproverati dalla suocera inferma: “Eh….. gia è benedetta già !?”

Fortunatamente, arrivato per tempo, una sedia ancora libera son riuscito a trovarla. Persone appoggiate al muro per tutta la lunghezza del perimetro, fin dentro il presbiterio.

Come qualcuno saprà sicuramente, nel giorno di questa  “festività” – festività per dire, dal momento che, duemila anni fa circa, un Uomo completamente innocente e colpevole solo di aver avuto lo sfrontato coraggio di smascherare i tanti sepolcri imbiancati, da quest’accoglienza in poi, i nemici e sopratutto gli amici, gliene combinano di tutti i colori –oggi, dicevo, si legge il lungo racconto della Passione, quest’anno secondo il punto di vista di Marco o delle persone a lui vicine, finito il quale, il buon don Michele mette in risalto alcuni aspetti, sotto forma di domande poste all’assemblea: “Quante volte ciascuno di voi non si è sentito tradito e abbandonato…..” ecc ecc, e lasciando da parte tutto l’aspetto truculento delle atroci sofferenze subìte dal malcapitato Protagonista.

Come insegnato dal buon don Tonino, il Testo che tratta cose importanti bisogna ascoltarlo comodamente, ben seduti, altrimenti il corpo, strettamente collegato alla mente e quindi alla capacità di ascolto, se è stanco, giustamente si rifiuta di assimilare le grandi Verità proclamate. Per cui, durante la lunga lettura del Passio, giustamente seduti. E questo almeno se la sedia te la sei procurata arrivando per tempo. E gli altri? Che fanno? A patire il forzato dover stare in piedi per tutto il tempo del raduno liturgico?

Cioè, si è capita la “Condivisione” proposta da quell’Uomo massacrato e fatto fuori ingiustamente, oppure continuano a rimanere belle teorie e basta? Spesso, purtroppo, è la seconda. Per cui, egoisti si entra ed egoisti se ne esce da questi momenti, “ascetici” e spirituali si fa per dire.

Guardate, non mi prendete come esempio di niente, perchè sono miserabile quanto e più di molti, ma io, all’inizio della lunga lettura, ho rinunciato alla mia comodità ed ho offerto la mia sedia ad una persona che era in piedi vicino. Ho fatto una grande fatica (non è mai facile e spontaneo rinunciare alle proprie comodità), ma l’ho sentito come dovere, per cui non mi sento nè eroe nè meritevole di chissà che.

Ad un certo punto, finita l’omelia, son dovuto andar via perchè i polpaccini delle gambe mi facevano tremendamente male. Tuttavia, il mio “precetto” (!) son certo di avermelo fatto per intero.

E’ un pò la conclusione che l’omeliante ha fatto: la cosa che è rimasta più incisiva è quel piccolo gesto di attenzione che, nel cammino verso il Calvario, una donna ha avuto nei confronti del Condannato.

Alla fine la nostra vita è fatta di tanti piccoli gesti. Se a loro dessimo più attenzione, forse inizieremmo a guardarci meno in cagnesco e con più simpatia reciproca.

Buona Settimana Santa e buona vita a ciascuno.

 

Le tre foto si riferiscono allo scorso settembre, quando il carissimo don Alberto Maggi venne in questa chiesa di Porto Torres per presentare il suo libro sulla – pensate un po’ – “beatitudine” della morte

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E invece questa canzone di Claudio Chieffo tratta di un particolare Giuda, diverso da quel traditore avido di denaro che siamo abituati a vedere. Anche lui, come tantissimi del tempo, pensavano che Gesù fosse quel Messia forte e condottiero che li avrebbe guidati, armi in pugno, contro i romani occupanti ed oppressori. Grande fu la sua delusione quando capì che l’intenzione del Maestro che seguiva non era proprio quella, e tale fu il suo rimorso per quanto aveva fatto, che giunse a togliersi la vita.

MONOLOGO DI GIUDA

Non fu per i trenta denari ma per la speranza che

lui, quel giorno, aveva suscitato in me.

Io ero un uomo tranquillo, vivevo bene del mio, rendevo anche gli onori alla casa di Dio.

Ma un giorno venne quest’uomo, parlò di pace e d’amore, diceva ch’era il Messia,

il mio Salvatore.

Per terre arate dal sole, per strade d’ogni paese, ci soffocava la folla con le mani tese.

Ma poi passavano i giorni e il regno suo non veniva, gli avevo dato ormai tutto e lui mi tradiva.

Divenne il cuore di pietra e gli occhi scaltri a fuggire; m’aveva dato l’angoscia e doveva morire. Appeso all’albero un corpo che non è certo più il mio, ora lo vedo negli occhi: è il Figlio di Dio.

 

Curiosando qua e là

di Piero Murineddu

Freddino assai l’inizio di ‘sta primavera, che se non sto attento, recupero, triplicata, l’influenza che quest’anno mi son evitata. Brrrrrr…….e ch’è, ai primi di gennaio siam tornati? Ma intanto che m’importa, per benino mi copro e la passeggiatina la fò ugualmente.

Ventuno di marzo. Compagno al guinzaglio e incassonato, sciarpone, giubbotone, infilo la chiave, metto in moto, drum drum, ingrano la marcia (seconda: in discesa è la mia strada…) e via. No, verso l’interno no: San Lorenzo, mulino e zia Maria  me li riservo per i giorni di forte malinconia. La litoranea è più che sufficiente, giusto per annusare come il tutto va: osservare, giudicare e riferire. A chi? Ma a voi, Santiddio !

Fronte “Li Nibari“, campeggio di proprietà comunale ma che mai di preciso si sa di chi la gestione sia.

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Bella, proprio bella la struttura lì sorta, dopo che l’ultima volta che vi ho messo piede dentro, tre anni fa circa, vi trovai un ammasso di travi annerite e ancora fumanti. Una pena che non vi dico.

Bel colpo d’occhio, anche se quel pozzangherone d’acqua piovana non si capisce bene cosa ci stia a fare. Sarà che da queste parti non sanno che esistono dei normalissimi canaletti che l’acqua te la portano direttamente verso il mare, tra l’altro a pochi metri di distanza? Comunque bello. Ora tutt’invetrato è, e anche ben sorvegliato, stando almeno al cartello che lo indica…

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Non si sa bene da chi la registrazione sia effettuata, come invece legge imporrebbe, ma il fine è benissimo immaginabile:  impedire ai soliti vigliacchi poni foggu di agire nottetempo indisturbati. Oh, sembrerebbe di quei cartelli bau bau  “Attenti al cane” di molti cancelli privati, che se guardi e annusi bene, non vedi e non senti minimamente la presenza e il puzzo di cagnone e nemmanco di cagnetto, ma intanto l’avvertimento è dato, per cui attenzione fate.

Il verde è azzeccatissimo, anche se da materiale plastico sembrerebbe generato. Ma non importa: il colpo d’occhio c’è  ed è quello che importa….

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Sei lì. Entrare dentro il salone non puoi, ma come  fai a rinunciare al giretto per vedere almeno tutto l’esterno. D’altronde di proprietà comune si tratta, per cui è bene e anche giusto che il cittadino si renda conto direttamente di come la gestione avvenga.

Giro e rigiro  e questo è quanto i miei occhietti occhialuti vedono…

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Devo riassumere? E riassumiamo, dai. Ma così, in ordine (disordine!) vario……

Sabbia che non le basta più la spiaggia e, ischórria ischórria (facendo finta di niente, non dandolo a vedere…), fino  a Sossu salire se ne vuole…

Lastre di chissà di cosa son fatte, divelte

Cabine spalancate, col giusto contenuto della solita sabbia e chiavi comprese

Bagni, anche loro spalancati e maltenuti

Componenti della passerella a decine di metri dalla sede loro assegnata

Altro ancora, ma qui mi fermo.

Considerazioni? L’ho detto, gestione privata ma proprietà pubblica, per cui un po’ di decorosa attenzione e cura invernale non guasterebbe. Magari, servirebbe anche a dissuadere eventuali malintenzionati, nel senso di delinquenti allo stato puro. Non son bastati gli incendi della Pinetina, del lido di Platamona, del bar della seconda discesa a mare, del Kioscherellino bellino bellino bellino di Melise chissà quali altri ancora? Va bene, i farabutti notturni e vigliacconi ci son sempre stati, ma se c’è uno straccio di sorveglianza, qualcosa si potrebbe ancora evitare, Dio Benedetto !

Guardate, lo dico papale papale: a me, più che in estate, il mare piace in inverno (sciarpona, cuffiona, doppi calzettoni, giubbottoni, guantoni, mutandoni….) e m’intristisco quando vedo certi stati di abbandono o quasi….

Certo, non ci vado a stravaccarmi nelle sdraio a tot all’ora, serviti e riveriti, per godermi il tramonto all’orizzonte…..

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…e neanche a mangiazzare quelle carni miste arrostite alla giusta distanza dalla brace, come usano fare in Brasile e Argentina (per me una spianatina, una lattughina e un pezzo di formaggio non stagionato è più che sufficiente: bonu e barattu)

Desidero solo, anzi,  voglio, esigo che i luoghi di proprietà pubblica siano rispettati, curati e ben tenuti. E questo sempre e in tutte le stagioni. Tutto qui

Onore grande alle “Emilie” di tutto il mondo

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(Piero Muri.)

Spero che la vecchia Emilia sia ancora viva e in salute. Oggi dovrebbe avere 87 anni. Quel giorno, a Lesbo, seduta con due sue amiche, stava accudendo un neonato arrivato dalla Siria, oggi martoriata più che mai.

A piangere maggiormente delle spesso disumane decisioni dei grandi sono sempre loro, i bambini, i più indifesi, quelli che non hanno colpa se il mondo continua ad essere sempre più sull’orlo del baratro.

Onore ad Emilia e a tutti i nostri vecchi, che col tempo, hanno riacquistato l’innocenza che l’età adulta troppe volte fa perdere.

Ed io starei in mezzo a loro……

di Piero Murineddu

“Se non diamo l’elemosina ci sentiamo in colpa e così continuiamo a foraggiare parassiti, alcolizzati, sfruttati e sfruttatori. Non è dignitoso per una persona vivere di elemosina”.

Avete letto del parroco di Grandate, nel comasco, che appoggia l’ordinanza sindacale anti acattonaggio e bla bla bla? No? Ve ne riporto in link sotto….

Ed eccolo un altro dei cosiddetti “uomini di Dio” (Dio di Gesù Cristo?) che dall’alto del suo comodo pulpito digrigna i denti dicendo che non tutti i poveri sono poveri e appoggiando l’ordinanza anti accattonaggio emanata dal sindaco, che non mi scomodo neppure per sapere a quale parte politica appartenga.

Come son certo, scusando la presunzione, a quale tipo di Chiesa appartenga questo parroco così sicuro di se e tranciante nei giudizi.

E come sono ancora più certo che nel presunto “Popolo di Dio”, fervente osservante e ossequioso dei “precetti” (leggi “obblighi”), laici, preti, religiosi e suore che siano, molti la pensino esattamente come Roberto, il don canuto di Como.

E ancora son certissimo del muso duro, in proposito, che hanno molti appartenenti a movimenti ecclesiali, in primis CL e compagnia, oranti e osservanti.

Ma non solo. Sono certissimo che tutti costoro, sarebbero i primi ad imbracciare la spada per difendere in armi i sacri confini dell’Europa “cristiana” contro l’invasione dei mori.

E Francesco lì, in un angolo buio a pregare, circondato dai tanti derelitti (creati dai benpensanti, cattolici o devoti laici), che si riscaldano condividendo le poche coperte rimaste e che, tra una preghiera e l’altra, parlano di quanto sarebbe bello se nel mondo ci fossero meno imbecilli razzisti e presuntuosamente arroganti che si spacciano per assoluti e unici detentori e difensori dell’unica vera Verità.

E per finire (anche se non si finisce mai….), io starei nel bel mezzo, siano essi poveri o “presunti” tali, a mio agio e convinto che in ogni caso mi troverei in una compagnia molto più gradita al Dio Tenero, Comprensivo e Misericordioso. Quello che mi ha fatto conoscere Gesù Cristo, guardato con sospetto e abbandonato anche dagli amici a lui più vicini, salvo poi capire che avevano sempre compreso ben poco di Lui.

Sono “buonista”, come amate dire quando volete offendere qualcuno? Eia, lo sono….cazzo.

http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_marzo_22/basta-assisterei-mendicantigiusto-cacciarlidalla-citta-998f36fc-2daa-11e8-b050-709a5e0412ee.shtml