Autore archivio: piero-murineddu

La cipolla africana di Mussabainzu

 

di Lalla Careddu

Ricordo che ad Alghero mi chiamarono a parlare di SPRAR con Lorenzo Braina e Franca Masu. Franca cantò, e Braina faceva Braina, cioè quel magnifico uomo che è. Io feci quello che faccio sempre, scrissi un raccontino. Che è questo:

Quando i figli di Teresa, la mia amica che è morta l’anno scorso, hanno detto all’amministratore che avevano affittato la casa ai profughi, o cosa sono, immigrati boh, io li volevo denunciare tutti.
Ma come?
Questa è una palazzina rispettabile, siamo tutte vedove, tre per l’esattezza, e siamo sole. Tutte anziane, ci facciamo compagnia, chi ci difende da questi?

L’avvocato mi ha detto che non potevo fare nulla. E quando mi taglieranno la gola? Eh? Speranzina dice che sono esagerata, ma lei non ha l’artrosi dell’anca, lei può correre se qualcuno le vuole tagliare la gola. Che tanto la raggiungono lo stesso. Poi ridiamo, cara Speranzina che fa tanto la moderna.

Sono arrivati oggi. Tre. Neri come la pece e lunghi come il mese di maggio. Io intanto mi sono fatta aggiungere tre serrature, che non si sa mai. E non apro a nessuno, manco a Speranzina, che si arrangi lei e la sua gola tagliata, già ridiamo se la picchiano questi. Io non apro a nessuno.

Stanotte non ho dormito, avevo paura che buttassero giù la porta con una accetta da boscaiolo, come in Shining. Domani metto un cartello nel portone: IN QUESTO CONDOMINIO SONO VIETATE LE ACCETTE DA BOSCAIOLO. Cominciamo a mettere i puntini sulle “i”, che qua siamo in Italia.

Speranzina stamattina mi ha detto che sono esagerata. Aspetta quando ti prendono la pensione, le ho detto. E in quel momento ho visto i nomi sui campanelli. Ma questi non li possono scrivere in italiano i nomi, che siamo in Italia? Mussa? Nome di gatto, di gente non battezzata. Speranzina ha detto che sono nomi africani. Vabbè, io li chiamo Bainzu, Proto e Gianuario, come i martiri di Porto Torres, così ci capisco.

Al ritorno dal supermercato Proto o Gavino, che tanto sono tutti uguali, mi voleva rubare la spesa. Ho gridato: MOLLA LA SPESA GAVINO! Ho urlato forte, e l’ha mollata subito. Cominciamo bene, Speranzina, qua ci rubano la spesa e mi sono chiusa in casa. Quattro mandate. Pure la sedia, toh, che se usa l’accetta lo sento subito e tocco il salvalavita Beghelli che lo vedi se vengono miei figli. La testa come i martiri di Porto Torres vi staccano. Eh.

Pure stamattina Gianuario voleva rubarmi la spesa, ma ho urlato solo al secondo piano, che ero stanca. L’ha mollata subito, sullo zerbino. Dev’essere che il parroco gli ha raccontato la storia dei martiri. Eh, mica siamo scemi qua.

Poi hanno cominciato a cucinare alle nove del mattino. Una puzza di cipolla terribile e ho chiamato Speranzina perché chiamasse l’amministratore, che non si può cucinare queste cose in una casa perbene. E quella cretina, che vedrai uno di questi giorni le entrano a casa con l’accetta questi tre, mi ha detto che non c’era differenza con quando io preparo il sugo la domenica alle sette. Ma questa è cipolla sarda! Loro sicuramente usano una cipolla africana.

Dev’essere che mi hanno sentito e mi hanno suonato alla porta. Bainzu. Con un piatto di una roba strana. Per assaggiare, mi ha detto. Ho allungato la mano e ho preso il piatto di carta. ASPETTI LI’. Gli ho ordinato. Che io sono sassarese e se un piatto entra un piatto esce. E gli ho dato due fette di torta di mele. Buongiorno e non si disturbi più Signor Gavino! Mi ha guardato strano ma ho chiuso in fretta la porta. Quattro mandate. Più la sedia per l’accetta da boscaiolo. Io di questa roba non ne mangio. Cipolla africana ci dev’essere. Il profumo è buono. Sì, l’ho mangiato. Così così, già si poteva mangiare.

Non faccio in tempo a poggiare la busta della spesa che tentano di rubarmela. Però ora hanno imparato e per evitare che io gridi me la lasciano sulla porta. Speranzina dice che mi aiutano. Io non ne ho bisogno d’aiuto. Però oggi sul loro zerbino ho lasciato tre cipolle. Con un biglietto: cipolla sarda. Oh, questi tre riescono a far puzzare pure la cipolla sarda, stamattina alle nove c’era un prof…, una puzza di soffritto che ajò, non va bene.

Oggi Bainzu mi ha suonato alla porta. Ho guardato dallo spioncino. Non aveva accetta da boscaiolo, e ho aperto poco, con la catenella. Mi ha chiesto un’aspirina per Gianuario, quello che si vede meno. E cosa ha, gli ho chiesto, qualche malattia strana? No signora…influenza. Ma la prendono l’influenza gli africani? Boh, io gliela do. E camomilla ne avete? Non sa cos’è la camomilla. Lì esce Speranzina con la teiera pronta. Aspettà Mussa, che l’ho preparata io.
– Ma scema sei?
– Eh, quanto sei esagerata.
E entra dai boscaioli.
E riesce dopo dieci minuti. Con la gola intatta.
E siccome non esiste che lei ha visto l’appartamento degli assassini di vecchie e io no, e anche perché non mi dica che sono paurosa, ho suonato.
“Signor Gavino, tenga questo limone, che Speranzina non è mai stata brava a fare tisane”.

Caro diario,
sono passati sei mesi. Siamo ancora vive. Domani Proto parte e io e Speranzina siamo tristi. Perché questi ragazzi sono davvero bravi, educati e ci hanno aiutato molto. Fra due giorni partono pure Bainzu e Gianuario, i martiri turritani se ne vanno.

Dice che ne arrivano altri, speriamo che siano bravi anche questi. E che almeno uno sia alto ad altezza di plafoniera delle scale, come Gavino, che cambiava le lampadine dei pianerottoli senza manco la scala. Perché in un condominio di anziane uno che sia ad altezza plafoniera ci vuole sempre”

Saluto fascista al funerale e ” lasseddi chi s’ ammazziani tra eddhi”

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Se nelle chiese si usasse meglio il potere che dà il microfono…

di Piero Murineddu

Rissa per droga, quindi. Non per questioni di corna, di “sei stata col mio ragazzo…” o altre amenità varie che caratterizzano la quotidianità, aldilà del colore della pelle. Le indagini hanno appurato che….. Il finale dell’articolo, tratto da La Nuova di ieri, domenica 23, quasi elogia il videoamatore, grazie al quale ecc.

Ne ho parlato lo scorso 18 settembre, introducendo il post con i commentini “filosalvini” che fa l’improvvisato cameraman, senza scomporsi minimamente quando la rissa prende talmente una brutta piega che da uno coinvolto si sente il disperato invito a chiamare la polizia. Lui, il videoamatore, è troppo impegnato nelle riprese e a fare le sue considerazioni, per cui è impossibilitato ad intervenire. D’altronde si sente all’inizio del filmato:“Lasseddi chi s’ammazziani tra eddhi…“. Cioè, un atteggiamento vomitevole. Adesso è quasi un eroe, perchè grazie al suo video, gli inquirenti ecc ecc…..

Nell’articolo che riporto all’ inizio non traspare minimamente il freddo e disinteressato fare di chi filma. Potevano anche ammazzarsi, ma lui era impegnato a filmare e a commentare.Non so se essere disgustato più dal videoamatore oppure dall’articolista anonimo…..

Voglio proporre  la riflessione riguardo al saluto fascista di gruppo durante il funerale di un “camerata”  fatta da Gaetano Galia, prete impegnato su vari fronti del vivere sociale a Sassari, dove sono avvenuti i due fatti, a mio giudizio, strettamente collegati.

Prete ed educatore, oppure educatore e prete, fate voi. Fatto sta’ che non è il solito pretino della domenica che ti fa la sua brava omelia politically correct , attento a non scontentare nessuno e sopratutto a non toccare certe corde sensibili del quotidiano vivere di questi tempi. Duri tempi, e non tanto per me personalmente, quanto per le pericolose tensioni sociali che vediamo sempre più in crescendo. Diciamolo chiaramente: sono pochi i preti che abbassano lo sguardo su ciò che avviene nel quotidiano. Più comodo stare col viso in sù, fare riflessioni sul gia e non ancora…… Eppure il parlare dall’ambone domenicale avrebbe influenza. Poca? Molta? Avrebbe influenza. Punto. Epperò, l’ho gia detto, potrebbe far storcere il naso a più di un pio fedele. Devotissimo, per carità, ma che all’uscita dalla chiesa distoglie lo sguardo da chi tende la mano invece di fargli un fraterno sorriso. Non vuoi dargli i soldi perchè pensi che li usi per ubriacarsi o chissà per cos’altro? Ma almeno non fare la faccia schifata. E’ il minimo che si richiede a chi presume di seguire l’insegnamento cristiano. Eppoi ci sono le considerazioni a largo raggio (prima gli italiani…..ma perchè non se ne vanno da dove son venuti……zingari brutti, sporchi, cattivi, ladri…….).

Ecco, dicevo, se nell’usare il potere del microfono domenicale, il prete insistesse su certi temi terreni LEGATISSIMI alla fede, forse in giro i giudizi dei bravi praticanti sarebbero diversi, più cristiani e meno salviniani. Certo, condizione indispensabile è che non sia lo stesso prete a pensarla in un certo modo, diciamo del “respingimento” invece che dell’accoglienza. Se così fosse, ci sarebbe da ripensare l’intero cristianesimo……

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EDUCARE PER PREVENIRE: COSì SI BATTE IL FASCISMO

di Gaetano Galia

Cari insegnanti, genitori, catechisti e volontari delle Associazioni civili, in riferimento agli ultimi fatti accaduti a Sassari, mi son preso un po’ di tempo, prima di esprimere un commento. E non sarebbe male che lo facessimo sempre tutti.

La riflessione, la distanza dagli eventi, la presa di coscienza delle cause che portano a certi fatti, consentono, con un po’ di distacco emotivo, di essere un po’ più oggettivi.

Per esempio, in riferimento all’episodio del saluto fascista davanti alla Chiesa di san Giuseppe, le prime reazioni emotive, portavano alla paura di una Sassari fascista. Come si reagisce?

Certo una prima reazione è di denuncia e di sdegno. Sono ancora fresche le paure che rinnovano ricordi spiacevoli nella nostra storia. E dunque?

Il mio pensiero si rifà alla metodologia educativa salesiana dell’approccio preventivo promozionale. Se tutte le maestre, gli insegnanti, genitori, catechisti, si prendessero l’impegno di descrivere nei particolari, ai nostri giovani, la storia dell’Italia fascista con

le privazioni delle libertà,

gli imprigionamenti,

gli esili e i confinamenti delle persone con un’opinione diversa,

l’adesione alle leggi razziali,

l’eccidio di una generazione di giovani mandati in guerra senza senso…..

forse avremmo una generazione futura che non inneggerà più al fascismo e alla sua ideologia totalitaria e non avremmo più bisogno di indagare i nostri giovani, i nostri figli, per il reato di apologia del fascismo.

Le agenzie educative, dunque,

la prevenzione,

l’educazione,

la proposta di valori quali

la democrazia,

il rispetto della persona,

il rispetto della diversità delle idee,

l’uguaglianza delle persone;

valori fondamentali da riproporre continuamente nella quotidianità delle nostre esperienze educative.

Forse abbiamo abbassato la guardia!
Questi segnali, più che farci prendere dal panico, devono sensibilizzarci al fatto che questa tremenda ideologia è sempre dietro l’angolo, perché, c’è sempre un uomo che

vuole prevalere su un altro,

che vuole prevaricare sull’altro,

che vuole sedersi su un gradino superiore per sete di denaro, di potere e di successo.

Ma l’uomo di destra di turno potrebbe obiettare: e le dittature di sinistra? Ebbene sì, anche le dittature di sinistra vanno denunciate alla stessa maniera, tutte le forme di terrorismo, di violenza, vanno condannate allo stesso modo e mai giustificate per un’adesione ideologica.

E la storia della Chiesa con le sue violenze? Certo, anche la dittatura religiosa, il fanatismo religioso, o forme teocratiche anacronistiche, allorquando sono violente e opprimenti, non hanno nessuna attinenza col messaggio evangelico di Gesù, garantista, pacifista, democratico e non violento e vanno condannate.

Tutte le forme totalitarie sono negative e deleterie, anche se si avvicinano ad una nostra sensibilità politica o ideologica o di fede.

Non esistono dittature buone o meno buone.

Certe discussioni sono davvero ridicole. Come quando si dice che una “certa gelosia” fa bene all’amore.

Un elemento negativo, non può avere niente di buono, perché ha alla base un virus negativo, che non si concilia con nessuna positività.

L’unica forma di governo è solo e sempre la democrazia, perfettibile certo, ma sempre in mano al popolo.

Famiglia, scuola, chiesa, società civile, dovranno lavorare a livello di prevenzione ed educazione, anche con l’esempio quotidiano: quando si dice ad un bambino in maniera ferma “stai zitto!”, o gli urliamo: “non urlare”, o esclamiamo: “cosa ci fano tutti questi negri in città”, stiamo già comunicando la nostra modalità di relazione antidemocratica, dispotica e razzista.

Nessun bambino cresce democratico e libero se vive e sperimenta un ambiente oppressivo e dispotico.

E il primo fascismo da debellare è quello della nostra intolleranza, intransigenza ed estremismo.

Solo il dialogo, il rispetto e l’accoglienza delle differenze può creare una vera società democratica.

“Traversata del deserto con oasi”? L’opinione di Anna

di Piero Murineddu

Io l’ho letto. Mi è piaciuto. Mi ha fatto riflettere molto e mi  ha divertito tantissimo. Ne ho parlato, ma giusto un accenno.Per chi è interessato, nella pagina di seguito vi trova anche le indicazioni per riceverlo a casa..

https://pieromurineddu.myblog.it/2018/03/10/si-e-fatto-sempre-cosi/

 

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Anna Demuro, un’eccellente e sensibile artista che vive dalle mie parti, lo ha letto anche lei e le sei paginette manoscritte che riporto è quanto lo scorrere le pagine del libro le ha provocato. Parere di un’insegnante sull’esperienza fatta da una collega. Entrambe attualmente in pensione. Più o meno coetanee. Anna ha aiutato a venir su dei bambini durante la scuola elementare, in località diverse del nord Sardegna e particolarmente nei cosiddetti “stazzi” della Gallura, luoghi dove lei stessa ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza.

Rita Clemente, partendo dalla Puglia, è risalita fin su in Piemonte, “camminando” insieme a ragazzi e ragazze nel pieno dello stravolgimento ormonale e riuscita ad arrivare al sospirato pensionamento, poco prima di …….schiattare,  dopo un’estenuante “attraversamento del deserto, alleviato da diverse e piacevolissime oasi” . Lo ripeto ancora: procuratevi questo volume, accessibilissimo per tutte le tasche. Solo la prima risata e la profonda riflessione che segue subito dopo ripagano da subito il prezzo di copertina. Provare per credere.

Anna non fa uso di strumenti elettronici. Ero disponibilissimo a riscrivere il testo col pc, anche per far faticare meno i lettori, ma visto il suo immediato diniego e conoscendola, ho desistito immediatamente. Per questa donna l’uso della penna è insostituibile. Paragonabile neanche lontanamente al freddo pigiare sui tasti. Lo so, siamo tutti d’accordo, sapendo che la calligrafia mostra anche ciò che è la persona che muove quella mano. Lo sappiamo, ma la strada  comodamente  impersonale di far saltare l’indice destro da una lettera all’altra della tastiera l’abbiamo imboccata ormai un po’ tutti, per cui…..allegramente verso l’appiattimento generale. Così va la vita!

Lascio a ciascuno di ” decifrare” quanto Anna ha pensato dopo aver appreso delle “avventure” e delle fatiche vissute da Rita durante i suoi 35 anni d’insegnamento…

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Una volta…….

 

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di Piero Murineddu

La ragazzina della foto potrebbe essere chiunque oggi si ritrova parecchi anni già vissuti.

Tempi in cui, specialmente se appartenenti al sesso femminile, cioè a quello realmente “forte”, si contribuiva fattivamente (e faticosamente!) alla conduzione della casa.

E questo sia perché le famiglie erano numerose, sia perché le mamme trascorrevano buona parte della giornata a lavorare nei campi, sia perché non erano tutti che frequentavano la scuola (per mancanza di obbligo legislativo, perché non se ne capiva l’importanza o semplicemente perché a casa c’era da dare una mano….).

Ai tempi non c’era assolutamente l’obiettivo di avere titoli di studio. Parlo della gente del “popolo” ovviamente, nel senso di famiglie il cui l’unico reddito era la magra cifra che il capofamiglia o l’eroica mamma che lavorava “a giornata” in campagna riuscivano a mettere insieme, perché per i figli di professionisti lo studiare era scontato, dal momento che dovevano subentrare all’attività di papà una volta andati in pensione e anche prima, spesso con lo studio, inteso come luogo, bell’e che pronto. La cosa avviene anche oggi, ma non con l’evidenza di una volta.

Dicevo delle ragazzine che per forza (di necessità) dovevano crescere in fretta, dovendo fare pure da mamma ai fratelli più piccoli.

In “compenso”, in vista d’incontrare un buon partito (o quelli che per prima le “metteva” incinte!), si provvedeva anno dopo anno, e questo sin da tenera età, a preparar loro un buon “corredo”, cioè asciugamani, lenzuola con federe possibilmente ricamate dall’esperte mani di mamme e nonne, indumenti intimi, copriletto, tovaglie……

Di proposito mi sto soffermando sulla figura femminile, da sempre destinata ad essere “angelo del focolare domestico”, e se qualcuna deviava da questo ruolo tradizionalmente imposto, non raramente era definita
“masciu” e addirittura, chissà perché, “maru”.

La mancanza di frequentazione scolastica, dicevo, salvo le dovute eccezioni. Diciamo che in un certo qual senso per buona parte di loro era anche preclusa. L’ho detto: era della casa che dovevano principalmente occuparsi. Eppoi l’istruzione, la conoscenza……erano considerate cose evanescenti, non collegate direttamente alla realtà di ogni giorno. Al massimo, per molte, c’erano i corsi di cucito o per diventare buone casalinghe.

Attenzione, non voglio generalizzare. Vi erano anche genitori che, pur non avendo potuto studiare, ne capivano tuttavia l’importanza, e facevano immani sacrifici perché ai propri figli (e figlie!) si creassero opportunità a loro mancate.

Potrei andare avanti, ma preferisco fermarmi qui.

Confronti coi giorni d’oggi? Fate voi, anche perché ho un impegno da assolvere con una certa urgenza.

Sulla vile aggressione a Sassari

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di Piero Murineddu

Non cerca vendetta il giovane della Guinea fatto oggetto di una feroce e vigliacca aggressione da parte di un gruppo di ventenni sassaresi, uno dei quali rinchiuso nel carcere di Bancali e che, a quanto pare, gia in precedenza aveva dato prova di bullaggine, originata probabilmente sia dall’ambiente in cui ha vissuto finora, e sicuramente incoraggiata dal clima che ai nostri giorni si respira in giro di caccia all’immigrato.

Il giovane africano ” cerca solo pace (…..), opportunità di riscatto dopo una sofferenza che lo schiaccia fin da quando era bambino”, come ben dice Gianni Bazzoni nel suo articolo su La Nuova di oggi.

Come dice il mio amico Carlo, con un passato di condivisione in terra africana con la gente del posto, questi giovanotti, lupi affamati quando sono in branco e agnellini spaesati quando son da soli, più che di pene per far pagar loro il malfatto, come si usa fare in questo Paese dove il carcere continua ad esser considerato come luogo di espiazione dei peccati sociali commessi, avrebbero bisogno di stare un periodo a contatto con persone che patiscono privazioni e sofferenze di ogni genere, come avviene, nel loro luogo d’origine, per buona parte di coloro che si vedono costretti ad affrontare viaggi della Speranza, alla ricerca di condizioni di vita degne per un essere umano.

Noialtri, così decisamente intransigenti verso i troppi che si son messi spesso acriticamente al seguito di quel tragico pifferaio che si ritrova momentaneamente ed incredibilmente ad essere garante della sicurezza interna nazionale spargendo odio ogni volta che apre bocca, noialtri, dicevo, definiti dispregiativamente “buonisti” da certi furboni, non vogliamo vendette e non siamo schiavi di tale sentimento. Vogliamo una società giusta e pacificata, dove il diritto a vivere dignitosamente venga garantito a tutti, a TU-TTI !

Vogliamo che i nostri giovani sopratutto, nutrano sentimenti di accoglienza e benevolenza verso chi è stato costretto ad abbandonare la propria terra e i propri cari non sicuramente per farsi gite di piacere.

Vogliamo che gli adulti, se tali lo sono anche oltre l’età anagrafica, sentano il dovere di dare esempi positivi ai propri e ai figli degli altri.

La scuola ha una grande responsabilità in questo senso.

Continua la campagna di guerra civile del ministro legofascista

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di Giovanni Di Mauro
(“Internazionale”)

Il decreto legislativo numero 104 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’8 settembre 2018. Sono 5.675 parole la cui sostanza è che dal 14 settembre in Italia è molto più facile comprare un’arma, comprese quelle definite “da guerra” come i kalashnikov e i fucili semiautomatici.

Era un impegno che M* S* aveva preso in campagna elettorale. L’11 febbraio, in visita alla fiera Hit Show di Vicenza, aveva firmato un documento intitolato “Assunzione pubblica di impegno a tutela dei detentori legali di armi”. Incredibilmente, i dati sul numero di armi che circolano in modo legale in Italia non sono resi pubblici dal ministero dell’interno. Secondo alcune stime, che risalgono al 2007, le armi nel nostro paese sono tra i 4 e i 10 milioni.

Di sicuro, scrive l’Agi citando l’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili, ci sono 1.300 punti vendita al dettaglio di armi e munizioni,ai quali si aggiungono più di 400 associazioni sportive dilettantistiche e tiri a volo. Per un volume d’affari complessivo di 900 milioni di euro.

Il mercato italiano è più piccolo di quello statunitense, ma tra i paesi industrializzati l’Italia è uno di quelli con il più alto tasso di omicidi compiuti con arma da fuoco, in rapporto alla popolazione: 0,71 ogni centomila abitanti, subito dopo gli Stati Uniti (2,97) e la Svizzera (0,77) ma prima di Spagna (0,20), Germania (0,19) o Francia (0,06). Ed è vero che in Italia gli omicidi, indipendentemente dall’arma usata, sono molto diminuiti (dai 1.916 del 1991 ai 397 del 2016), ma crescono percentualmente quelli compiuti tra le mura domestiche e in cui le vittime sono donne,così come aumentano gli ammonimenti delle questure per violenza domestica.

In questi giorni il parlamento sta discutendo la proposta della Lega di modifica della legge sulla legittima difesa, che prevede l’eliminazione del principio di proporzionalità tra offesa e difesa. Se sarà approvata, ci sarà davvero da aver paura.

La fede rafforza la libertà

di Gioacchino Lagreca

Sarà, la vita del Cristo, una lotta continua contro il potere costituito, sia religioso sia come ordinamento sociale.

Entrambi infatti tengono l’uomo del suo tempo, ma anche qualsiasi uomo di ogni epoca, in una condizione di assoggettamento che lo privano della sua libertà.

Caratteristica fondamentale del potere religioso, che in Israele all’epoca di Gesù assommava in sè anche quello politico, essendo strettamente colluso con l’usurpatore romano, era quello di dividere gli uomini in puri e impuri, rendendo quindi il rito della purificazione una vera e propria “forca caudina” da cui passare per avvicinarsi a Dio, perché nessuno in stato di impurità poteva accedere al tempio e quindi al cospetto di Dio.

Questo meccanismo perverso faceva del tempio di Gerusalemme, gestito dal sommo sacerdote, dai farisei e dagli scribi, un vero e proprio centro di potere, anche economico, in cui veniva spacciata per volontà di Dio la bramosia dei sacerdoti.

Precisione nell’informare. Ed anche coraggio. Grazie

 

Festa nel Centro migranti

di Donatella Sini, 6 giugno 2017

“Jaama dambé” significa “unione tra culture diverse” ed è un progetto nato all’interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Baja Sunajola, a Lu Bagnu, gestito dalla cooperativa Eco Service. L’obiettivo è quello di formare un gruppo di persone attive, attraverso la frequentazione di laboratori di pelletteria, intreccio sardo, musica, teatro, informatica, sartoria e agricoltura. Per presentare il progetto è stata organizzata una serata aperta che ha visto la presenza di un pubblico numeroso e interessato. I protagonisti provengono da diversi Paesi: Senegal, Gambia, Nigeria, Congo, ma anche Siria, Iraq, Afghanistan, Eritrea e Palestina. Il centro ne ospita poco più di 200, fra cui 3 neonati (nati a Baia Sunajola), 17 donne e 44 minori. Il ricambio è costante, perché coloro che ottengono l’ambita “rilocation”, partono quasi tutti alla volta di altri Paesi europei. «L’accoglienza non è fatta solo da mafia capitale – ci tiene a sottolineare il direttore del Centro Salvatore Barra – ma anche da persone che ci credono. Noi vogliamo differenziarci, non solo accogliere e fornire pasti ma anche offrire attività che tengano occupati i ragazzi e ne favoriscano l’integrazione, e l’eventuale ricollocazione, nel mondo del lavoro, tramite tirocini o collaborazioni. Tutte iniziative che esulano dal contratto che abbiamo sottoscritto con la Prefettura». E i laboratori iniziano a dare i loro frutti, anche materiali. Grazie alla fattiva collaborazione con Laore ed il Cnr, due ettari di terreno, adiacente al centro vengono coltivati e producono ortaggi e piante officinali. «Noi puntiamo a formare persone qualificate, non solo manodopera – prosegue Barra – non si può inondare la società di persone senza arte né parte». Ai ragazzi vengono quindi impartite lezioni di educazione civica e vengono loro spiegati i comportamenti, consentiti o auspicati, dalla cultura del Paese che li ospita. Sul campo 52 dipendenti, uno staff composto da professionisti fra cui psicologi, educatori, assistenti sociali, mediatori linguistici ma anche un presidio sanitario, con un medico e un infermiere. Persino della cucina nessuno si lamenta, il menu è offerto in base alle esigenze degli ospiti. Il 19 giugno il presidente della cooperativa, Pasquale Brau, sottoscriverà ufficialmente la nascita dello “Jaama Dambè” che diventerà una realtà economica a tutti gli effetti, si potrà fatturare, vendere beni e fornire servizi. Il progetto di inserimento sociale farà quindi un passo in avanti, da Lu Bagnu verso il mondo.

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Lite nel Centro migranti

di Salvatore Santoni, 30 agosto 2018

 

Tragedia sfiorata nel centro migranti di Lu Bagnu. Una furibonda lite scoppiata la notte tra domenica e lunedì scorsi tra due migranti ospitati nella struttura di Baja Sunaiola è finita a pugnalate.
Tutto comincia con una banale discussione. Da una parte c’è un 29enne; dall’altra un 26enne.

Entrambi sono del Gambia.(1) A un certo punto la situazione si infiamma: intorno a mezzanotte (2) il più grande dei due minaccia l’altro. Passa qualche minuto e la lite degenera. Il 29enne è fuori di sé e passa all’azione, impugna un coltello a serramanico e scaglia due fendenti all’avversario: uno al fianco e l’altro al gluteo. Gli altri migranti accorrono richiamati dalle urla del ferito e tentano di immobilizzare l’aggressore; qualcun altro dà l’allarme chiamando il 112 (3). Nel centro di Baja Sunaiola arrivano le pattuglie del nucleo operativo dei carabinieri di Porto Torres e un’ambulanza medicalizzata del 118. Il ferito viene preso in carico dal personale sanitario e trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale “Santissima Annunziata” di Sassari, dove si sottoporrà ad alcuni accertamenti clinici. Le sue condizioni appaiono fin da subito serie ma non gravi.(4) Più tardi di scoprirà che è stato molto fortunato: la medicalizzata è riuscita a intervenire in pochissimi minuti perché si trovava in zona.

Nel frattempo i militari, guidati dal capitano Romolo Mastrolia, hanno già sigillato la scena del crimine e stanno facendo i primi accertamenti sul posto per fare luce sulla vicenda. Le indagini per risalire all’aggressore si complicano a causa dell’iniziale riottosità a parlare da parte dei migranti (5) che hanno assistito alla scena. La svolta arriva poco più tardi, quando i militari riescono a convincere i testimoni a farsi avanti per indicare l’accoltellatore. A quel punto i carabinieri identificano e arrestano il 29enne – ora si trova nel carcere di Bancali – con l’accusa di tentato omicidio (6).

Il fatto capitato nella notte tra domenica e lunedì è soltanto l’ultimo di una serie di tensioni a cui sono sottoposti gli ospiti (7) – e di riflesso anche i gestori – della struttura di Lu Bagnu. Questo perché la coop sociale “La Luna” ha in carico migranti di diverse etnie (8) – il centro ospita complessivamente 150 persone (9) – che non sempre vanno d’accordo tra loro. I mediatori culturali tentano di fare il possibile ma spesso le discussioni sono incontenibili (10). E se va bene gli screzi si ricompongono, ma quando gira male si rischia la tragedia.

 

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Un decalogo, una conclusione e un…

di Piero Murineddu

 

Spero abbi avuto la pazienza di leggere i due articoli, scritti a distanza di un anno l’uno dall’altro.
Il primo è stato digitato dalla corrispondente di Castelsardo, nel cui comune sorge il Centro per migranti. Il secondo dal nostro amico Santoni, solitamente colui che fa conoscere ciò che avviene in terra di Romangia, in particolare a Sorso.

Il racconto di due eventi, a ben guardare, che comportano la convivenza più o meno normale tra persone: momenti gioiosi di festa e qualche altro di malumore e tensione. Quello che succede in ogni famiglia,insomma, a parte la presenza di un coltello a serramanico in più usato non certamente per accarezzare.

Capita che conosco qualcuno all’interno di questo Centro di Accoglienza che si trova a Lu Bagnu, presso Castelsardo. A lui ho chiesto la sua versione dei fatti. Capita anche che Musta, il giovane amico che mi ha raccontato l’episodio, è mediatore culturale, e proprio la sera del fattaccio era di turno. Ed eccoli i fatti riguardanti il secondo articolo…….

1. I due protagonisti sono uno del Gambia, il ferito, e l’altro del Ghana

2. Lo scontro è avvenuto all’incirca verso le 18 di domenica 26 agosto

3. A chiamare l’ambulanza e le forze dell’ordine è stato lo stesso Musta, in quel momento responsabile del Centro

4. L’indomani mattina il ferito ha fatto ritorno al Centro

5. Rintracciare il feritore non è stato per niente difficoltoso, dal momento che si trovava a testa china seduto nel letto della stanza che condivide col giovane che ha ferito

6. “Tentato omicidio”. Mah! Si trovava nel bagno e il giovane gambiano non ha bussato prima di entrare. In un momento di stizza, perchè disturbato nella sua intimità, si è tolto di tasca questa piccola “rasoggia”, usandola impropriamente. Da qui a voler ammazzare un uomo ce ne passa…..

7. Da quanto mi dice Musta, gli episodi di tensione sono quasi assenti, e questo da parecchio tempo

8. Nel Centro sono presenti bengalesi, ganesi, gambiani, senegalesi, nigeriani, egiziani, della Costa d’Avorio, della Guinea e uno della Serra Leone. Il fatto che appartengano a nazionalità diverse non è per forza motivo di scontro, anche se inevitabilmente ciascuno si sceglie le proprie amicizie. Ciò non impedisce a partecipare agli stessi corsi che si svolgono nella comunità, quali quello di intreccio, guidato da un gambiano, di sartoria, di musica, di teatro, di agricoltura, pratica di sport. Non molto distante da Baja Sunajola vengono prodotte verdure, vendute direttamente ai consumatori. La scuola d’italiano non manca.

9. Sono presenti circa 110 ospiti

10. Musta non mi ha parlato di “discussioni incontenibili”. Vorrei vedere me, proveniente da condizioni invivibili, aver dovuto affrontare un viaggio estenuante e subìto di tutto, esser costretto a vivere lontano di miei affetti, avere davanti un futuro pieno d’incognite, sentire di incomprensioni continue  e innumerevoli pregiudizi  nel Paese dove son capitato, oltre che sapere che è governato da un ministro dell’Interno che invece di contribuire a creare condizioni di convivenza pacifica, fa di tutto per seminare odio contro lo “sporco negro” e il “lurido zingaro”.

Sin qui l’ incresciosa vicenda del Centro di Accoglienza di Lu Bagnu.

Ora voglio aggiungere un altro aspetto, forse un tantino personale e che solo apparentemente esula da quanto detto sinora.

Conosco Salvatore, l’autore dell’articolo,  e so che cerca di svolgere al meglio il suo mestiere. Spesso è accusato di fare informazione “di parte”, specialmente da parte di chi attualmente sta amministrando il paese dove vivo io e lui, Sorso. Fino a poco tempo fa, nel sito del Comune vi era addirittura, in primissimo piano, una sorta di sondaggio, dove si chiedeva se un’informazione che nuoce (!) aiuta o meno la cittadina romangina a progredire.

Quale poteva essere la risposta? Dio mio, un “sondaggio” di estrema stupidità, oltre esser più che chiaro a chi fosse riferito! A voglia continuare a ripetere e straripetere che il compito di chi fa informazione è “rompr’i corbelli” a chi gestisce il potere, cioè “rompere le scatole” come si dice in pavanese (cit. Guccini). Chi fa informazione ha le sue idee, certo, e non potrebbe essere altrimenti. Spetta a chi ha il compito provvisorio di gestire la Cosa Pubblica prendere spunto per cercare di migliorare il proprio operato. Lo so, sono un “sognatore”, e nello stesso tempo conosco la suscettibilità di chi guida il carro, spesso strapieno di opportunisti.

Breve biografia di Gavina Demurtas

Due parole di premessa

di Piero Murineddu

 

“Non ha paura di affrontare l’altro, “il diverso” e frequenta la vicina tribù  Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei (…..) il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza”.

Storicamente, il passaggio descritto di seguito da Anna Demuro si colloca nel periodo dell’infanzia trascorso  dalla piccola Gavina in Africa, durante uno dei diversi tentativi fatti dall’Italia d’impadronirsi di una porzione del continente oltre il Mediterraneo, “nero” per il colorito della pelle dei suoi abitanti ma  con un sottosuolo ricchissimo che ha fatto gola  a chi se n’è voluto da sempre impossessare, ieri come oggi.

All’ “affrontare l’altro” ormai  gli si è dato una valenza esclusivamente negativa, mettendo in secondo piano l’aspetto positivo del termine (Iniziare a esaminare una questione, approfondirla, considerarla nei vari aspetti……). È sicuramente con questa predisposizione d’animo che Gavina avvicinava i suoi coetanei e tutte le persone più grandi d’età, e questo atteggiamento la portava ad “ascoltare, imparare, aiutare, socializzare” e di conseguenza a far proprio “il senso del dovere, della responsabilità e della condivisione”. Sorella di tutti.

È proprio vero che gli anni dell’infanzia sono basilari per far crescere una buona e forte personalità. Buona e forte Gavina lo è stata, e pure con un certo caratterino. Po’ In tutta la sua lunga vita. Per lei e i suoi familiari, per il marito, per i figli e le figlie. Per tutte le persone che hanno avuto la fortuna d’incontrarla.

 

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Gavina Demurtas, la grande madre

di Anna Demuro

Nasce a Sorso (SS) il 25 ottobre del 1930 e si spegne a Sorso il 28 luglio del 2018.
Non difetta di coraggio fin dall’infanzia, quando assume l’incarico di portare cibo e bevande al padre, prigioniero degli inglesi nel campo di concentramento di Asmara, in Eritrea.

Non ha paura di affrontare “l’altro”, “il diverso” e frequenta la vicina tribù. Osserva, ascolta, impara, aiuta, socializza. Si fa strada in lei che già frequenta la scuola primaria, il senso del dovere, della responsabilità, della condivisione, della fratellanza.

Nella conduzione della famiglia, composta di sei figli, Gavina è il braccio destro della madre. Pian piano emerge in lei un carattere di ferro, battagliero, che non si ferma dinanzi agli ostacoli, non si arrende ad una vita di stenti.

A guerra finita, la famiglia rientra in Italia, spogliata di tutto. Conosce la fame, e proprio a questa condizione di estrema miseria Gavina si ribella. Nonostante la giovane età ha imparato a guardare lontano, dove la fame può essere vinta dalla forza delle braccia e della volontà, a qualsiasi costo. Non tollera la condizione dei fratelli, né quella dei genitori provati, dalla lunga prigionia che ha tolto loro ogni speranza.

Decide di trovarsi un lavoro. Fa la commessa a Sassari in un negozio di tessuti e quando consegna ai genitori il primo salario, è scossa da un sentimento che lei stessa, a parole, non saprà mai spiegare. È molto di più del sano orgoglio che nasce dalla consapevolezza di essere in grado di provvedere ai bisogni primari della famiglia. È un sentimento che resta attaccato lì, al cuore, come la radice si attacca alla roccia. Forse proprio li, in quel momento, quando Gavina vede la sazietà dei suoi cari seduti intorno alla tavola, esplode in lei quell’amore per gli altri che le pulsa nel petto.

Non è stato facile per lei superare le ostilità di una società completamente chiusa, contraria all’idea che una donna potesse varcare la soglia di casa per cercare lavoro, autonomia dalla famiglia di origine, indipendenza da qualsiasi figura maschile.
La donna doveva badare alla casa e ai figli, al massimo poteva fare la sarta o ricamare ma sempre chiusa tra le mura domestiche. L’unica alternativa poteva essere la vita monacale, come in pieno Medioevo.

Gavina ha saputo guardare molto lontano e non ha avuto bisogno di scendere in piazza per gridare a tutti la sua idea di libertà. Ha capito che l’unica strada per arrivare a lei doveva necessariamente passare attraverso la cultura. Una strada lunga e difficile, un percorso ad ostacoli che non le faceva paura.

Non le bastava più sapere leggere e scrivere e fare la commessa per tutta la vita. Voleva conseguire la licenza di Scuola Media senza però togliere alla famiglia il salario: dunque lavorava di giorno e la notte studiava. Quando, sopraffatta dalla stanchezza e dal sonno si accasciava sui libri, il padre provava a svegliarla col tintinnio del cucchiaino sulla tazzina di caffè.

Era una donna decisa, determinata e con queste qualità e la preparazione adeguata ha superato anche gli esami del concorso bandito dalle Poste Italiane. Ha servito lo stato per quarant’anni con puntualità e rigore. L’ha servito tre volte: lavorando allo sportello, prendendosi cura del marito e dei quattro figli nati dalla loro unione, e del prossimo a lei sempre presente.

Non c’era povero che, nel deposito presso la sua abitazione non trovasse ciò che gli serviva per vestirsi o ripararsi dal freddo la notte. Non c’era disabile che non potesse ottenere il supporto sanitario di cui aveva bisogno e non c’era famiglia con un infermo allettato cui lei, se chiamata, non regalasse il suo tempo. “Sono volontaria. Chiamami.”
Si presentava sempre così.

Queste sono le opere di Gavina che tutti possiamo vedere ma ci sono anche quelle che pochi conoscono: scadenze da onorare, bisogni da soddisfare, viaggi di necessità anche oltre confine e tant’altro di cui nessuno doveva sapere.

Questa è carità e la carità non si mostra.
Ma l’amore al suo prossimo è una luce che ha accompagnato Gavina per tutta la vita e tutti lo abbiamo veduto. Siamo testimoni diretti!

Nel giorno delle sue esequie è stata accompagnata dal mesto urlo dell’ambulanza, al cui servizio ha donato circa trent’anni della sua vita, salvando tante persone.Va bene anche questo ma crediamo che a Gavina Demurtas si debba molto di più.

Sicuramente una figura da aggiungere alle tante che hanno dato lustro alla nostra città e che possiamo vedere scorrere in “Sorso e il territorio. Storia – Arte – Cultura”, sul portale del Comune di Sorso. Tutto questo va bene ma non basta a rendere giustizia di tanta abnegazione nella totale donazione di sé agli altri. Occorre un riconoscimento da parte delle Istituzioni nelle forme concrete che tutti conosciamo, riservate finora soltanto agli uomini.

La madre dei poveri, dei malati, dei disabili, dei bisognosi di ogni genere di assistenza, dispensatrice d’amore, ha diritto, finalmente prima donna nella città di Sorso, ad un segno tangibile di perenne gratitudine che ne custodisca la memoria.