Due chiacchiere con Dalia, figlia del signor Gaberščik

di Dario Falcini



“Qui nacque nel 1939 Giorgio Gaber. Inventore del Teatro-Canzone. La sua opera accompagna vecchie e nuove generazioni sulla strada della libertà di pensiero e dell’onestà intellettuale”.

Così è scritto sulla targa che accoglie tutti quelli che passano da via Londonio 28, in zona corso Sempione, a Milano. Qui era nato, il 25 gennaio 1939, e ha vissuto i suoi primi anni Giorgio Gaber.

Figlio di un impiegato e di una casalinga, immigrati a Milano dal Nord Est, ha cambiato per sempre la cultura in Italia, fondendo linguaggi e facendo incontrare la musica e il teatro come nessuno aveva fatto prima. Il jazz, poi la canzone italiana, assieme a Tenco, Jannacci e Celentano. Il suo percorso artistico, da lì, non si è più interrotto, arricchendosi sempre di nuove esperienze e di traiettorie originali.

Gaber, e assieme a lui il suo alter ego, il Signor G, è scomparso la notte di capodanno del 2002, un anno e mezzo dopo aver pubblicato il suo ultimo album, La mia generazione ha perso, fotografia decisamente a fuoco di un Paese che stava cambiando, con traumi non da poco. Sono in molti ora a dire che la sua capacità di lettura e racconto della realtà, la sua profondità e ironia, sarebbero molto utili in questi tempi assurdi e feroci. Hanno ragione.

Di cosa ha rappresentato e cosa rappresenta oggi Giorgio Gaber parliamo con Dalia Gaberščik, figlia del Signor G. Vicepresidente della Fondazione Gaber, è rimasta nel mondo della musica, di cui è una figura chiave in Italia: è la fondatrice di Goigest, tra le principali società di comunicazione nell’ambito dello spettacolo del nostro Paese.

Polish_20210125_183000024

 

Nei giorni scorsi l’ anniversario della morte di De André, oggi della nascita di suo padre. L’Italia si sta “specializzando” in questo tipo di celebrazioni?

Al di là della grandezza dei personaggi, credo abbia a che fare con il forte vuoto che avvertiamo in questi anni. Ci ho riflettuto parecchio. Se penso all’attenzione mediatica che ha avuto negli ultimi tempi papà, a volte sono incredula. E penso che lui per primo ne sarebbe sorpreso, perché ne ha avuta molto più ora di quando era in vita. Credo che, in qualche misura, abbia a che fare con un sentimento forte delle generazioni precedenti, quella di Faber e papà e quella dei Queen, verso i “loro” artisti, un legame che oggi si fa maggiore fatica a costruire.

I 16enni di oggi che sentimento hanno verso una figura come quella di Gaber, che se ne andava quando loro nascevano?

Lorenzo, il mio figlio più grande, da tempo porta in giro nelle scuole una lezione-spettacolo su suo nonno. Ha fatto più di 200 repliche. All’inizio, racconta, c’è sempre un po’ diffidenza, temono di annoiarsi. Alla fine il loro diventa entusiasmo. Siamo abituati a codificare i giovani con stereotipi superficiali e un po’ scemi, invece le nuove generazioni, spesso, hanno una grande passione per ciò che c’era prima: studiano, si informano. Per me, ad esempio, non era così. Anche perché non ricordo, da ragazzina, di aver avuto riferimenti come sono oggi per giovani e meno giovani personaggi come Gaber o Jannacci.

E nel mondo della musica e della cultura Gaber è stato “capito” del tutto secondo lei? O, paradossalmente, è più facile farlo per gli studenti?

Secondo me c’è un’enorme distinzione tra chi lo ha visto e sentito, soprattutto a teatro, e chi “ne ha sentito parlare”. Questi spesso si limitano a La libertà, Destra-Sinistra, o, quando si spingono in là con l’approfondimento, Non insegnate ai bambini. Per quelli di un’altra generazione, invece, lui è soprattutto Barbera e champagne, Torpedo blu e Porta Romana. Ovviamente va più che bene, anche perché tutti parlano comunque bene di lui. Ma chi è stato ai suoi spettacoli ha un altro tipo di visione, spesso impazzisce per Gaber.

Ci dice le tre canzoni della sua vita.

Goganga da bambina mi piaceva per via della pernacchia. Amo Non insegnate ai bambini, perché è stata scritta dopo la nascita dei miei figli e quindi in qualche modo mi riguarda direttamente. E poi Qualcuno era comunista, che è la sintesi massima del teatro canzone: in sei minuti racchiude risate, pensieri, musica e commozione. Era davvero un grande godimento sentirla a teatro.

Tutti le chiedono cosa penserebbe dell’Italia oggi. Lo faccio anche io.

Diciamo che negli ultimi anni era molto più interessato alle nevrosi del sistema-uomo, che alla piccola bagarre politica quotidiana. Vero è anche che fino a due anni fa Destra-Sinistra, un pezzo del 1994, era molto attuale. Ora lo scenario è del tutto cambiato, per cui immagino la cosa lo interesserebbe, e probabilmente sarebbe divertito da una contrapposizione spesso didascalica sui vari argomenti. Oppure, forse, si occuperebbe di immigrazione, visto che il tema dell’ ”altro” era già stato al centro di Sogno in due tempi. Ci tengo a dire che da questo punto di vista lui non si è mai tirato indietro: ci sono dei pezzi di teatro canzone che indicano più che chiaramente come vedeva il mondo. Ma, in generale, faccio fatica a immaginare cosa ne penserebbe di questo enorme casino in cui siamo finiti.
Oggi avrebbe Instagram secondo lei?

Su questo ho le idee più chiare. Lui ha volutamente abbandonato la tv, il successo più popolare – e tanti soldi – per l’unico mezzo che riconosceva: il teatro, che per lui è stata una folgorazione, la passione di una vita. Gli sembrava di parlare ogni sera con ogni singola persona che stava seduta di fronte a lui, e questo era molto emozionante per lui. Per nessuna cifra o motivo avrebbe rinunciato a questo tipo di comunicazione. Quindi penso che i mezzi digitali gli starebbero un po’ stretti da questo punto di vista.

Riesce ancora a vederlo “fisicamente” accanto a lei?

Purtroppo tutti abbiamo davanti a noi le immagini degli ultimi momenti con i nostri cari, a fronte magari di 50 anni assieme. La nostra mente fa questo giochino perverso. Un po’ come se lavorassimo di backup, e ti rimanesse solo l’ultimo salvataggio. Io ho un’enorme fortuna: foto, filmati e dischi me lo fanno ricordare in tutti i momenti della sua vita. Ho visto  uno speciale di Rai Storia con le immagini di papà da ragazzino, poi dal vivo al Lirico – che, a lui dedicato, speriamo riapra presto – e in tanti altri momenti. Poi, se mi concentro, mi tornano alla mente anche gli ultimi momenti, quando non stava bene. Ma per me papà non è solo quello, e ritengo sia una grandissima fortuna.

Riascolta le sue canzoni?

Poco, perché le conosco davvero tutte a memoria.

Cosa augurerebbe di prendere da lui ai musicisti con cui lavora?

Papà amava definirsi “persona normale”. Quest’epoca ha sfornato tanti artisti – ma non quelli con cui lavoro io (ride) – che hanno un po’ perso la testa, quindi gli augurerei un po’ di “normalità”. Quello sì.

Polish_20210125_120158891

 

https://youtu.be/uEcsHhrudUU

https://youtu.be/7cN1bH5Gzfg

https://youtu.be/mqGPbJ9gKLw

Due chiacchiere con Dalia, figlia del signor Gaberščikultima modifica: 2021-01-25T18:22:12+01:00da piero-murineddu
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *