L’orto per rallegrare la vita ma anche come metafora

di Piero Murineddu

I problemi di vista mi accompagnano daaaaa….boh…forse da quel giorno in cui, nei lontani primi anni di scuola, cercando di sbirciare senza essere visto le gambe accavallate della maestra e non riuscendo più a distinguere il colore dei mutandoni che indossava, tornai piangendo a casa e riferito il fatto a mia madre, prima mi diede due sculaccioni per la mia “impertinenza”, poi mi portò dal medico il quale, dopo avermi fatto leggere qualcosa sul muro, avanzò l’ipotesi che fòòòrse avevo bisogno degli occhiali. Alla faccia del “forse”, santamedicina! Praticamente é da allora che li porto, e figuriamoci se ricordo quanto, mia madre prima ed io in seguito, abbiamo fatto guadagnare ad ottici ed oculisti.

Questa strana introduzione per dire che purtroppo la vista non mi permette di stare molto sui libri, per cui a volte preferisco cercare in Rete video registrati di conferenze varie o approfondimenti su argomenti che m’interessano.

Ascoltare e nutrirmi della saggezza di Enzo Bianchi, l’iniziatore di un nuovo modo di vivere il monachesimo comunitario, lo faccio spesso.

Non so a che punto é la vicenda non ancora del tutto chiara legata al monastero da lui fondato a Bose, in Piemonte, e in questo momento non m’interessa neanche. Fatto sta’ che, argomentando sulla passione che ha sempre avuto per la cura dell’orto, l’ho ascoltato anche la scorsa notte.

Mi son ricordato che in altra occasione avevo letto un suo vecchio articolo sul tema, e probabilmente furono proprio le sue parole ad incoraggiarmi a tentarne l’avvio, con risultati, dico subito, abbastanza scarsini, e questo sia per il tipo di terreno, che per quanto l’abbia arricchito di sostanza organica di ogni tipo ( si, anche quella…), si é sempre rifiutato di far crescere cose diverse che non fossero le viti coltivate a suo tempo dai miei genitori, e sia anche perché sicuramente avrei dovuto dedidargli più tempo e di conseguenza maggiore cura. Comunque, se il tutto me lo consentirá, in futuro mi riprometto di….. Ma non subito, pa cariddái. Ora é meglio che mi dedichi a recuperare un po’ di legna che in quest’inverno alle porte rallegrerá il fuocherello nel camino e sopratutto il mio …. umore.

Intanto riporto quell’articolo che dicevo prima, e dato che ci sono, anche il video, o meglio audio, che la notte trascorsa ha fatto compagnia alla mia insonnia.

 

L’orto come metafora

di Enzo Bianchi

( marzo 2007)

 

“Ricordati che per fare un orto ci vuole acqua, letame, ma soprattutto una ciuenda!”.

Parole di sapienza che mio padre mi ripeteva ogni volta che gli chiedevo di regalarmi un orto. La mia famiglia non possedeva terra, ma dopo tanta insistenza mio padre affittò per me – avevo solo 14 anni! – un pezzo di terra perché potessi farmi l’orto. E imparai subito la necessità della ciuenda, del recinto di canne e poi di fil di ferro, per delimitare l’orto, ma anche per proteggerlo dagli animali e … dagli uomini.

L’ orto è una grande metafora della vita spirituale, l’hortus conclusus, difeso appunto da una recinzione: luogo di lavoro e di delizia, luogo di semina e di raccolto, luogo di attesa e di soddisfazione. Ho cominciato a tenere l’orto da ragazzo e da allora non sono mai riuscito a vivere senza accudire un orto. Arrivato a Bose per iniziare una vita monastica, ho subito avviato un orto – che ora altri conducono, ricavandone frutti meravigliosi in ogni stagione – e anche oggi continuo a tenere un piccolo orto vicino alla mia cella, interamente dedicato alle erbe aromatiche: prezzemolo, basilico, boraggine, erba cipollina, menta, timo, maggiorana, aglio… Non riuscirei a vivere senza questo orto che non solo dà gusto ai cibi, ma mi insaporisce l’anima. Del resto, continuo ad andare sovente nell’orto lavorato dai fratelli e dalle sorelle, perché non trovo soddisfazione più grande del mangiare i pomodori raccolti dalla pianta, dell’accarezzare i peperoni carnosi, il “cuneo” e il “quadrato d’Asti”, dello strappare uno spicchio d’aglio per mangiarmi, fattasi notte, nella mia cella, una “soma” di pane, olio buono, sale e aglio…

Mi piace pensare che di là, nel paradiso che non a caso ha il nome di “giardino”, ci sono tanti orti che mi aspettano.

 

L’orto per rallegrare la vita ma anche come metaforaultima modifica: 2020-11-23T09:45:49+01:00da piero-murineddu
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