Cosa sappiamo di loro?

di Piero Murineddu

Definiti genericamente “zingari”, termine a cui abbiamo dato una valenza dispregiativa e che deriva da “athinganoi”, cioé esperti nella lavorazione dei metalli. Molti continuano a temerli, ma pochi conoscono la loro storia e la loro cultura, tramandate in prevalenza oralmente.

Nei tempi passati, non potendo fare a meno della loro ingombrante e sgradita presenza, si son costruiti dei campi a loro destinati, possibilmente lontani dai centri abitati o perlomeno periferici. Veri e propri campi di concentramento, quindi. Col tempo, divenuti non degni di farci vivere degli esseri umani, le autoritá europee hanno dato indicazioni per l’integrazione di queste famiglie nel contesto civile. Nonostante i ritardi, diverse amministrazioni locali si sono attivate in questo senso. Le difficoltà non sono mancate e continuano a non mancare. Le più diverse motivazioni, non ultime le resistenze da entrambi le parti, dovute anche alla mancanza di conoscenza e all’accettazione della sensibilitá “culturale” altrui. Come solitamente succede, insomma.

Ho cercato nella Rete notizie sull’argomento, in particolare elementi che possono aiutarci a conoscere meglio la cultura di queste persone, la maggior parte delle quali sono italiani a tutti gli effetti.

In conclusione, due video. Uno realizzato oltre dieci anni fa, indicativo del clima che spesso si crea nei rapporti tra “zingari” e “gagé”. Il secondo dedicato alla storia di Giuseppe Lavakovich, istriano divenuto italiano, lavoratore in terra africana occupata dall’Arrogante col petto in fuori e ben mascellato, tessera fascista unicamente per necessitá di sopravvivenza e partigiano per liberarci dal giogo nazifascista, che solo quest’ultima particolare vicenda basterebbe ad avere massimo rispetto per questo  popolo.

Mi scuso con chi legge e con gli autori per la mancanza d’indicazione delle fonti.

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Chi sono i Rom e gli altri? Da dove arrivano?

(autori vari)

Preferiscono essere chiamati Rom, che nella loro lingua, il romanes, significa “uomo”. E definiscono gagè, “gli altri”, il resto del mondo, cioè i non Rom. Il gagio (singolare di gagè) è per loro un credulone, superstizioso, troppo attaccato alle cose, talvolta violento. I gagè, dal canto loro, li chiamano zingari e pensano che siano trasandati, infidi, ladri, senza cultura. Ma generalizzare è sbagliato: nell’Est europeo, e in molti casi anche in Italia, vivono in normali case, lavorano, studiano e la convivenza coi gagè è tranquilla.

I Rom bosniaci chiamano l’Italia “il Paese dei campi”, intendendo i campi nomadi, recintati. Da noi fanno spesso la questua, a volte furti. Le baracche fatiscenti prendono fuoco. Politici e cittadini fanno manifestazioni. I sindaci sono preoccupati.

Ma i Rom sono sempre stati nomadi? È vero che non hanno cultura? Perché sono visti come accattoni? Chi sono?

Discendono da una popolazione che parlava una forma volgare di sanscrito, il praclito. Nel 1000 d. C. circa, lasciò il delta dell’Indo, fra l’India e il Pakistan. Vi erano esperti nella lavorazione dei metalli, chiamati athinganoi, da qui “zingari”. In 4 secoli i Rom si insediarono in molti Paesi europei, a partire dai Balcani. Giá da allora i Rom non si comportavano tutti allo stesso modo, cambiavano economia e ritmi di vita secondo le opportunità offerte dai Paesi ospitanti.

Li si poteva suddividere in 3 aree geografiche. La prima, quella Balcanica, durante l’impero Ottomano li vide sviluppare un gran numero di professioni, soprattutto artigianali. Alla fine del XVI secolo erano tutti censiti, abitavano in dimore fisse e pagavano le tasse. Erano insomma ottimi contribuenti, divisi in corporazioni: lautari (musicisti e costruttori di strumenti musicali), fabbri, orefici, sarti, macellai, venditori di cavalli, “veterinari”, contadini liberi.

La seconda area, che corrispondeva ai principati di Valacchia e di Moldavia (oggi parte della Romania), li vide invece nello scomodo ruolo di schiavi. Erano proprietà del principe, e lui poteva permettere loro l’esercizio di mestieri itineranti (acrobati, addestratori di orsi, giocolieri), lingurari (costruttori di utensili di legno), calderai e ramai, a patto che gli pagassero i tributi. Salvo venire donati, con l’intera famiglia, a un monastero ortodosso a saldo dei peccati del principe. Spesso i Rom erano schiavi di feudatari e monasteri che li utilizzavano nei campi. E rimasero tali fino alla metà dell’800 (altro che nomadi…), quando, con le rivoluzioni liberali, fu abolito lo schiavismo nella regione.

Queste prime due aree, la Balcanica e la Rumena, oggi ospitano il 90% dei Rom europei. E non per caso sono sedentari, vivono in vere case con bagno e cucina, sanno fare i mestieri più diversi, coltivano la terra. In Romania, i furti da loro commessi sono vicini allo zero. Lo afferma l’Interpol.

Ma c’è una terza area, conflittuale: è l’Europa occidentale.Come sono arrivati?

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Fra il 1417 e il 1430 furono notate, dall’Italia all’Olanda, compagnie di pellegrini che si dicevano “egiziani”. Erano condotte da presunti conti e duchi, composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. I cronisti del tempo raccoglievano sempre la stessa versione: “Siamo egiziani, ma cristiani, dobbiamo espiare una penitenza per un peccato di apostasia che ci condanna a un pellegrinaggio di 7 anni. Per favore aiutateci”. Le lettere erano firmate da Sigismondo, imperatore del Sacro Romano Impero, dal papa o da altri grandi. Alcune erano vere, molte altre false. Risultato: molte città fecero cospicue donazioni ai sedicenti “egiziani”, da cui vengono alcuni nomi che oggi indicano i Rom, come gipsy o gitani. Ma un pellegrinaggio credibile non poteva durare in eterno.

Si diffusero così bandi per cacciare i Rom. Erano repressi di pari passo con la nascita dell’industria nell’Europa occidentale, che richiedeva mano d’opera salariata e non consentiva forme di accattonaggio o mestieri da girovaghi. Nonostante la repressione (in alcune fasi chi uccideva uno zingaro aveva diritto ai suoi beni), i Rom si legarono a vari territori, da cui presero il nome, come i Sinti piemontesi, i Sinti lombardi, i Kalè andalusi, i Manouche francesi, i Romanichals gallesi.

Il 50% della loro lingua rimase quella delle origini, per il resto acquisirono termini delle lingue locali. In questa parte d’Europa, dove tanti popoli avevano dovuto lottare per la loro identitá, i Rom si mossero molto cautamente. Non fecero mai guerre e per non essere cancellati, si sparpagliarono in piccole unità, famiglie allargate che ogni tanto si riunivano, ma dovevano essere mobili e sfuggenti ai controlli. Il nomadismo fu quindi un adattamento di fronte alla repressione, non una condizione etnica.

Poi arrivarono le persecuzioni di Hitler: 500 mila Rom eliminati nei campi di concentramento. Si occupò di loro anche il fascismo, deportandoli dalla Slovenia italiana nel campo di Tosci (Te) e rinchiudendo i Sinti abruzzesi a Boiano (Cb).

Alcune circostanze accomunano Rom ed ebrei: essere stati entrambi schiavi. I primi accusati di essere della stirpe maledetta di Caino, i secondi di deicidio. Ariani degradati gli uni, razza inferiore gli altri. Dai nazisti gli ebrei subirono la shoàh (distruzione), i Rom il porrajmos (divoramento). Ma se ai primi la Germania ha riconosciuto i danni, ai secondi nessun rimborso. Il motivo è che i Rom non sarebbero un popolo, un’unità culturale, ma una condizione. È vero?

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Un giornalista del National Geographic organizzò un lungo viaggio con un romanichal, Rom gallese, e dimostrò che egli poteva comunicare, a parole, a gesti e con le canzoni, con i Rom di diverse parti del mondo. Se gli ebrei hanno avuto la Bibbia, come scrigno d’identità culturale, i Rom hanno sempre avuto la musica. «Che ha influenzato e arricchito compositori come Johannes Brahms, Franz Schubert, Maurice Ravel, Igor Strawinsky, Peter Ciaikowski» spiega Santino Spinelli, rom abruzzese, 2 lauree (in musicologia, lingue e letterature moderne) e docente all’Università di Trieste. «Per arrivare a Goran Bregovic, che utilizza a piene mani la musica dei Rom macedoni. La musica rom ha fondato il jazz europeo. È un modo per comunicare. Nella musica c’è la lingua, l’etica, la filosofia di vita, la narrazione, la nostra memoria».

C’è poi un altro nocciolo duro della cultura rom: i riti funebri. A volte, quando una persona muore, vengono bruciati tutti i suoi beni, roulotte compresa, a garanzia che l’eredità non crei dissidi fra i parenti e dislivelli sociali nel gruppo. Soprattutto nei Paesi dell’Est, le sepolture sono ampie: trovano posto il letto, il comò, i quadri, modellini di moto e macchine di lusso. Ricordano quelle degli Egizi, per cui gli oggetti si animavano a beneficio del morto quando la tomba veniva chiusa.

Altra tradizione, la legge rom. Non si sovrappone a quella dello Stato, ma i Rom la rispettano alla lettera; regolamenta liti, danneggiamenti, controversie matrimoniali. Se il fatto è grave, i giudici vengono da altre comunità, a garanzia di equità. La pena è sempre un risarcimento. «Sia chi vince sia chi perde deve poi pagare una festa a tutta la comunità, una forma di riconciliazione collettiva.

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Altri tratti culturali dei Rom emergono dalle accuse loro rivolte. Sono sporchi? Quando non c’è elettricità o acqua calda è difficile lavarsi in 200, d’inverno, magari con un solo rubinetto. I Rom hanno paura dell’impurità, come gli indiani e gli ebrei. Hanno 14 contenitori diversi in cui lavare le loro cose: non devono entrare in contatto le pentole con piatti, i vestiti dei maschi con quelli delle femmine, gli indumenti intimi con gli altri e così via. Le nostre tradizioni di camping e barbecue sono copiate dai Rom. Ma loro trovano disgustoso tenere la toilette nella roulotte, come fanno i gagè…

Le donne rom sono disponibili? Favole. Evitano il contatto con i gagè, per paura delle impurità. Quasi sempre si sposano vergini e talvolta espongono il panno insanguinato come prova. Vivono in una società maschilista, dove però è severamente censurato l’uomo che non osserva i doveri familiari.

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I Rom predicono il futuro? «Noi per primi non ci crediamo» spiega il leader di un campo a Milano. Le donne confermano: «è un mestiere, facciamo finta». La chiaroveggenza è un modo di trasformare la loro diversità agli occhi dei gagè, insicuri e superstiziosi, a proprio vantaggio.

I Rom rubano, sono violenti? Nei processi interni le sentenze sono severe nei casi di violenza, anche verso un gagè. «Ma se un rom ha rubato con destrezza e per necessità» spiega un giudice rom «per noi non c’è reato».

Perché chiedono la carità? Erano commercianti porta a porta. Tornavano negli stessi luoghi a vendere oggetti per la casa e l’agricoltura. Se non vendevano, chiedevano da mangiare o qualche spicciolo. Il manghel, che significa sia vendere sia elemosinare, era accettato un tempo nelle campagne. Con il potenziamento della distribuzione commerciale, i Rom hanno perso questo ruolo. Rimane la questua. Inoltre, migliaia di Rom che lavoravano con le giostre e i circhi, a causa della crisi di questo settore, sono rimasti disoccupati senza gli aiuti sociali che spettano ai gagè.

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In Italia vive una percentuale più bassa dell’intera Europa. Metà dei Rom che abitano nel paese è di nazionalità italiana, solo il 3% è nomade, mentre la maggior parte della popolazione rom è stanziale.

Le regioni d’Italia dove la presenza Rom è più significativa sono il Lazio, la Campania, la Lombardia e la Calabria.

In Italia vivono due grandi gruppi “zingari”, i sinti e i rom. Il primo nome deriva da Sindh, una regione del Pakistan da dove provengono, il secondo significa “uomo libero” e viene usato per designare l’intera comunità nomade. I sinti sono di provenienza mitteleuropea mentre i rom abruzzesi, la più nutrita comunità italiana, arrivarono da Grecia e Albania. Dopo la guerra iugoslava abbiamo avuto una forte immigrazione di rom khorakhana (musulmani) e kanjarja (ortodossi), quelli che più ci capita di incontrare per strada mentre chiedono l’elemosina.

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Le 11 tribù principali presenti in Italia

 

■ ROM DEL MERIDIONE

In Italia dalla fine del 1300, si stabilirono in Abruzzo ma anche in Campania, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria.

■ SINTI

Zingari di Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna: giostrai e proprietari di circhi.

■ ROM LOVARI E KALDERASA

In Italia dai primi del Novecento. I lovari (“lob”, cavallo in ungherese) allevano equini, mentre i kalderasa sono stagnini e doratori di rame. Vivono in roulotte.

■ ROM RUDARI

Romeni, in Italia dagli anni Sessanta. Musicanti e artisti di strada, lavorano anche il rame e vivono in accampamenti lungo la via Tiburtina, a Roma.

■ ROM KHORAKHANA E KANJARJA

Ultimi arrivati dopo la guerra in Iugoslavia. Musulmani e ortodossi, vivono in accampamenti.

■ KAULJA

Poverissimi, sono di origine algerina ma provengono dalla Francia e sono di religione musulmana.

■ SUFI

Piccola comunità derviscia del Pontonaccio (Firenze). Vengono dai Balcani, sono musulmani.

■ CÄRNER

Piccola comunità della Val Venosta. Vivono e si spostano sui carri, da cui prendono il nome.

■ CAMMINANTI

Risiedono a Noto, in Sicilia, si mantengono vendendo ceci abbrustoliti e palloncini.

 

 

 

Cosa sappiamo di loro?ultima modifica: 2020-10-08T06:54:30+02:00da piero-murineddu
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